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È una condanna senza appello né ambiguità quella pronunciata ieri nei confronti dei miliziani dello Stato islamico (Isis) dal gran muftì d’Egitto, Shawki Allam, subito ripreso dall’agenzia di stampa nazionale Menae dai principali mezzi di informazione arabi. Allam ha accusato i miliziani Daash, questo l’acronimo utilizzato nel mondo arabo e dai media iraniani, di «violare tutti i principi dell’Islam» e ha ammonito i fedeli musulmani dicendo che «questo sanguinario gruppo rappresenta un pericolo per l’Islam e per i musulmani nel mondo». Il gran muftì ha fatto appello a tutti gli arabi perché contrastino questi pericoli.

Fino ad ora, mentre l’avanzata dell’estremismo islamico in Iraq assumeva il ritmo della tragedia inevitabile, le massime cariche religiose musulmane hanno stentato a trovare linguaggi, canali e autorevolezza necessari a rigettare l’orrore. Come se anche le guide spirituali più accreditate non sapessero come agire per fare chiarezza. Il risultato è stato un silenzio ambiguo, punteggiato dal pronunciamento, seppure significativo, di intellettuali, politici, figure anche di spicco, ma mai apicali. Ieri, invece, la presa di posizione, asciutta e netta, del gran muftì egiziano, le cui dichiarazioni sono state precedute, lunedì scorso, da quelle del grande imam Ahmad al-Tayyeb, massima autorità della moschea universitaria cairota di al-Azhar. Ancora niente di diretto, ma estrapolato dall’incontro avvenuto con Fouad Siniora, ex primo ministro libanese, e affidato alla sempre fedele agenzia Mena: «Al-Azhar segue con attenzione quanto accade nel mondo arabo e musulmano e farà di tutto per contrastare pensieri devianti e anormali». La prestigiosa università islamica rappresenta il punto di riferimento dei musulmani sunniti nel mondo. Con Siniora, musulmano sunnita, il grande imam ha affrontato questioni cruciali come estremismo, terrorismo, relazioni fra sunniti e sciiti, dialogo interreligioso fra cristiani e musulmani. La crisi politica in Iraq e la drammatica situazione delle minoranze religiose, fra cui i cristiani, sono stati anche al centro del recente incontro (il 9 agosto) fra la massima autorità sciita irachena, il grande ayatollah Ali al-Sistani, e il patriarca caldeo Louis Raphael I Sako. «Voi siete parte di noi e noi siamo parte di voi. Siete nei nostri cuori e soffriamo per quanto sta succedendo a voi, ai sunniti e agli sciiti, perché tutti sono nel mirino», ha dichiarato al-Sistani, il più influente leader religioso iracheno. Al patriarca caldeo, incontrato a Najaf, al-Sistani ha sottolineato la disponibilità ad accogliere gli sfollati cristiani, che sono «i benvenuti».

Fonte: http://sperarepertutti.typepad.com

 

 

(AGI) - Roma, 12 ago. - "Quando una forza che affigge insegne islamiche viola tutte le regole sharaitiche e morali del conflitto, nessuna referenza religiosa potra' essere avanzata per giustificare o sostenere" tali comportamenti. Lo afferma una nota dell'Unione Comunita' e Organizzazioni Islamiche in Italia, che rappresenta la maggiore associazione di musulmani nel nostro Paese. Secondo l'Ucoii, "il rispetto e la protezione della Gente del Libro (i cristiani e gli ebrei) e, in generale di tutte le popolazioni che vivono in un Paese o territorio governato dai musulmani e' un dovere ineludibile di qualunque potere che si richiami all'Islam". La condanna dell'Isis e' netta: "si tratta - afferma l'Ucoii - di forze mercenarie, in gran parte extra irachene, che sono attualmente vivamente contrastate sul territorio da forze islamiche nazionaliste e dai peshmerga curdi". Per i loro correligionari italiani, "i musulmani iracheni contrastano queste aberrazioni e sono in prima linea nella difesa e la protezione dei cristiani non solo militarmente: sedici Ulema (dotti di scienze religiose) musulmani sunniti, che appartengono a confraternite sufi di Mosul, lo scorso mese sono stati uccisi da quei criminali per aver difeso i cristiani della citta'". "Tra loro - sottolinea l'Ucoii - ci sono gli imam della Grande moschea della citta', Muhammad al-Mansuri, e quello della moschea del Profeta Giona (as), Abdel-Salam Muhamma." "Per tutte queste ragioni attinenti alla nostra lettura islamica, etica e cultura, siamo solidali - concliude la nota - con i cristiani dell'Iraq e con le altre minoranze perseguitate". (AGI) .

Fonte: http://www.agi.it

 

 

Il governo indonesiano ha ufficialmente proibito la diffusione degli insegnamenti dello Stato islamico di Iraq e Siria. Un provvedimento particolarmente importante, in quanto questo Paese islamico, pur avendo più alta concentrazione di popolazione musulmana al mondo, intende valorizzare e difendere le differenze etniche, religiose e culturali. Mentre in occidente crescono le preoccupazioni per la situazione in Iraq dopo la proclamazione del califfato ed il progressivo crescere del fanatismo dell’ISIS che sta portando ad un esodo biblico di cristiani ed altre minoranze dal Paese medio-orientale, nel corso della settimana sono arrivate prese di posizioni importanti contro questo nuovo rigurgito fanatico. L’Indonesia, il Paese con la più alta concentrazione di popolazione musulmana al mondo – 244 milioni nel 2012 con l’86,1 per cento di musulmani - ha di fatto condannato quanto sta accadendo in Iraq, definendo illegale qualsiasi tipo di supporto e di appoggio da parte dei suoi cittadini alla causa del califfato. Lunedì scorso, Djoko Suyanto, ministro che coordina gli Affari Politici, Legali e la Sicurezza nazionale, ha tenuto una conferenza stampa nella quale ha annunciate la posizione chiara del suo governo. “Il governo indonesiano ha ufficialmente proibito la diffusione degli insegnamenti dello Stato islamico di Iraq e Siria (ISIS)" – ha dichiarato Djoko Suyanto. Il ministro indonesiano ha motivato la decisione del governo, sottolineando che l’ideologia del gruppo islamico che ha dichiarato il califfato in Medio Oriente costituisce una seria minaccia alla diversità culturale e religiosa del suo Paese. Per questo deve essere monitorato attentamente e controllato. “Gli insegnamenti dell’ISIS non rappresentano una questione religiosa – ha aggiunto l’esponente del governo dell’arcipelago più grande del mondo. - Per questo il nostro governo e lo stato hanno deciso di bandire la sua ideologia dal Paese. L’Indonesia non deve essere il luogo dove si diffonde una tale dottrina”. Suyanto era accompagnato da diverse autorità del gabinetto, fra i quali l’attuale ministro per gli Affari religiosi, Lukman Hakim Saifuddin. L’intervento del governo sulla questione dell’ISIS è arrivato dopo giorni di tensione e proteste da parte di leaders religiosi di minoranze all’interno dell’Indonesia, che avevano chiamato in causa il ruolo dell’autorità politica e amministrativa, dopo che era apparto su YouTube un video provocatorio che riprendeva un leader religioso musulmano fondamentalista fare giuramento di fedeltà all’ISIS. La cosa era apparsa ancora più grave perché la ripresa era avvenuta all’interno del penitenziario in cui si trova attualmente Abu Bakar Ba’asyir, condannato per terrorismo, che, nell’atto pubblico ripreso da una telecamera, invitava i musulmani del suo Paese ad unirsi alla causa dell’ISIS. Il ministro per la Legge ed i Diritti umani, Amir Syamsuddin, si è affrettato a dichiarare che la sorveglianza ed il controllo all’interno delle carceri indonesiane saranno rinforzati al fine di impedire che si ripetano fatti come quello che ha visto Ba’asyir protagonista. Nella seconda metà di luglio si era verificato un altro caso di questo tipo con un intero gruppo di detenuti per motivi di terrorismo che, dall’intero della sala di preghiera, aveva dichiarato il proprio impegno per la causa del califfato. A fronte di questo, nel Paese asiatico molti leaders religiosi musulmani e non, stanno diffondendo una posizione anti-ISIS e lo fanno con sms e messaggi di diverso tipo sia su Facebook che su Twitter, mettendo, tra l’altro, in evidenza come la violenza dell’ideologia che guida la formazione dell’ISIS prenda di mira non solo le minoranze religiose della zona, ma anche i musulmani che non accettano i loro principi o l'appartenenza alla fascia sciita dell’Islam. Sono ora allo studio alcune strategie per contrapporsi in modo propositivo al diffondersi di questo tipo di fanatismo estremo, in un Paese dove, sebbene sia presente una forte maggioranza musulmana, la shari’a (legge islamica) non è mai stata applicata. L’Indonesia, infatti, dal giorno della sua indipendenza, fonda la propria democrazia sulla cosiddetta pancasila, la teoria dei cinque principi: fede nell'unico e solo Dio, giustizia e civiltà umana, unità della nazione, democrazia guidata dalla saggezza interiore dell' unanimità derivata dalle delibere dei rappresentanti e la giustizia sociale per tutto il popolo indonesiano. Si tratta di principi ispiratori a cui gli indonesiani sono sempre riusciti a restare fedeli, anche nei momenti più difficili ed oscuri della propria storia degli ultimi 70 anni. Le recenti elezioni presidenziali, che hanno sancito la vittoria di Joko Widodo (nella foto), popolarmente noto come Jakowi, anche se ancora appese alla spada di Damocle di una indagine per una contestazione di brogli elettorali avanzata da parte del candidato sconfitto, hanno confermato l’appoggio della popolazione indonesiana a questa idea che tende ad accettare e valorizzare le differenze etniche, religiose e culturali. Incoraggiante la foto pubblicata in questi giorni da quasi tutti i quotidiani che ritrae leaders religiosi di diverse tradizioni in piedi uno accanto all’altro con cartelli in cui si legge: grande No all’ISIS, ISIS fuori dall’Indonesia.

Fonte: http://www.cittanuova.it

 

 

PAVIA. Badia Lasan, portavoce di una delle comunità islamiche a Pavia si scaglia contro gli autori della strage di Parigi e li chiama «vigliacchi». Issa, attivista dell’altra comunità musulmana di Pavia, parla di «ragazzi manipolati che si fanno saltare in aria perchè invasati dall’odio». Issa parla a nome personale ma si dice molto sconvolto. Due settimane fa era a Parigi con i suoi figli: «Quelle vittime erano ragazzi come i nostri figli». Issa non riesce a credere che «persone innocenti possano morire»: «Per me quella non è religione quella è una setta satanica. Ciò che hanno fatto non ha giustificazione, non siamo nè il Far West nè la giungla».

Jialil, portavoce dell’altra comunità musulmana. condanna «questa barbarie perchè non ha nessuna giustificazione. I civili non c’entrano niente e non vanno toccati. L’Islam ammette la guerra, ma questa va combattuta tra soldati e adulti: donne, bambini, i monaci e gli adulti maschi che non c’entrano con i conflitti non si toccano neppure se sono in terra di guerra. C’è un famosissimo discorso del profeta dell’Islam che lo dice e se civili non vanno toccati neppure dove c’è battaglia figuriamo in una terra dove non c’è come il centro di Parigi».

«E’ stato un attacco al cuore dei valori e delle regole del mondo – dice Badia Lasan – Siamo addolorati per ciò che è successo perchè non esiste una religione che permette di uccidere gli altri . Esprimiamo cordoglio e facciamo le condoglianze ai nostri fratelli e al popolo francese per quello che ha subìto. Siamo convinti che il terrorismo non ha religione e che i primi a subire questi attacchi sono i musulmani». Lasan poi racconta che i musulmani che vivono a Pavia sentono la paura degli altri dopo gli attentati al Marais e poi si spiega meglio: «Io faccio il medico e non prendo nè treni nè autobus, ma gli altri miei amici che stanno in mezzo alla gente sentono quanto sia cambiato lo sguardo degli altri nei loro confronti. Essere musulmano non vuol dire essere terroristi. Attacchi simili sono successi a Beirut, in Egitto, queste persone fanno danno a tutti e rovinano il rapporto civile , per questi ragazzi che vanno a scuola, per le famiglie che sono venute qui per vivere in pace.».

Fonte: http://laprovinciapavese.gelocal.it

 

 

 

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