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Spesso nei film di guerra sulla Seconda Guerra Mondiale si sente far cenno ai «dannati 88 tedeschi». Vi siete mai chiesti cosa siano e perché i soldati Alleati ne abbiano così tanta paura? La risposta alla domanda è tremendamente semplice: il celebre “88” è stato uno dei cannoni più famosi della storia, e sicuramente il più temuto durante l’ultima guerra mondiale. Adesso vedremo perché.

 

Ricostruzione 3D del Flak 88.



La designazione ufficiale del cannone era Flak 88 mm (il numero sta ad indicare naturalmente il diametro della canna). Progettato e costruito dall’affermatissima Krupp, fu dapprima usato come cannone antiaereo, per poi passare al temutissimo ruolo di cannone anticarro. L’88 era l’incubo di tutti i carristi Alleati e fu soprattutto la difesa tedesca nell’entroterra francese – dopo lo sbarco in Normandia – a confermare l’ottimo valore dell’arma. Il cannone era molto “impegnativo” dal punto di vista delle risorse umane, visto che richiedeva una squadra massima di nove soldati: un comandante e ben otto serventi. D’altro canto, le prestazioni del sistema ripagavano ampiamente un tale investimento in uomini.

 

 

Il Flak 88 venne utilizzato per la prima volta sul campo nel 1936, durante la guerra civile spagnola, in modalità antiaerea. L’arma godeva di notevole precisione, anche se prima di far fuoco doveva essere ben piazzata in posizione. Contro gli aerei aveva una gittata massima di 14,6 km ed ogni proiettile aveva un peso di 9 kg. Complessivamente, dell’88 antiaereo vennero prodotte tre serie diverse: 88/18, 88/36 ed 88/37, a seconda del rapporto fra lunghezza e calibro della canna (per approfondimenti sui concetti di calibro e canna, si rimanda all’articolo di pagina 8 del numero 1 della nostra rivista). Se impiegato da artiglieri con una certa esperienza, l’88 era in grado di manifestare una cadenza di fuoco spaventosa: ben 15 colpi al minuto, cioè uno ogni 4 soli secondi! L’88 richiedeva un veicolo da trasporto per i movimenti sul campo, generalmente si trattava di un semicingolato. Uno dei fattori sicuramente innovativi dell’88, anche se dal punto di vista prettamente costruttivo, era il fatto che la canna fosse composta da sezioni modulari, per cui in caso di sostituzione era sufficiente cambiare il pezzo consumato e non tutta la canna, con notevole risparmio economico. Dopo l’uso che ne venne fatto per colpire gli aerei nemici, si cominciò a sfruttare il Flak anche contro i carri, e con successo ancora maggiore. Tale nuova sperimentazione ricevette il battesimo di fuoco durante la campagna d’Africa della Seconda Guerra Mondiale, con le truppe tedesche guidate dalla “volpe del deserto”. Rommel, infatti, decise ingegnosamente di usare alcune delle batterie antiaeree da 88 per contrastare i carri nemici, visto che durante le prime fasi della campagna africana i tedeschi godevano di una relativa superiorità aerea. Quando poi cominciò la campagna di Russia con l’operazione Barbarossa, la comparsa dell’ottimo carro sovietico T-34 cominciò a rendere inefficace l’effetto degli originari 88, quelli ancora in versione antiaerea. Una possibilità per risolvere il problema sarebbe stata quella di aumentare la fornitura di proiettili al tungsteno (i predecessori dei moderni “sabot”), ma tale materiale era destinato in grossa parte alla produzione di macchine utensili, e quindi le scorte da usare per tali proiettili scarseggiavano. L’alternativa risultò dunque essere quella di progettare e realizzare un nuovo cannone appositamente ideato per la guerra anticarro: il Flak 88 PAK 43. Tale nuovo progetto consentiva anche, in caso di emergenza, di sparare anche qualora il cannone si fosse trovato ancora sulle ruote, piuttosto che fissato a terra mediante piattaforma. Il brandeggio era a 360° e l’altezza dell’intera struttura era di un solo metro e mezzo, dunque si trattava di una sagoma bassa e difficile da colpire. Tanto per avere un’idea della potenza distruttiva dell’88, basti pensare che la nuova versione anticarro era in grado di perforare una corazzatura da 168 mm di spessore, inclinata a 30° e distante 1.000 metri! Il proiettile in versione anticarro aveva un peso di 23 kg. L’unico inconveniente che poteva manifestarsi era la formazione, subito dopo il lancio, di una densa nuvola di fumo davanti alla bocca del cannone, in caso di assenza di vento, che offuscava la visuale.

Studiamo ora come gli artiglieri dell’88 dovessero comportarsi in azione, e quale fosse ciascuno dei loro compiti. Ci riferiremo alla figura sottostante.

 

Posizionamento degli artiglieri addetti all'88.



Nello schema sono rappresentati i nove uomini addetti all’88, dei quali quello indicato con C è il comandante della postazione. Quando veniva avvistato un bersaglio, il comandante C calcolava la distanza servendosi di un particolare oculare. Fatto questo, impartiva ai cannonieri K1 e K2 l’ordine di regolare, mediante volanti, la canna sull’angolazione corretta. K6 era l’addetto all’impostazione della spoletta: ad impatto o a distanza (caso antiaereo). K7 inseriva la spoletta sul proietto, K3 metteva quest’ultimo in culatta, la chiudeva e sparava su ordine. K4, K5 e K8 erano gli addetti al passaggio dei proiettili fino a K7. Ci sembra interessante concludere con un’ultima riflessione: perché ad un certo punto della storia si ritenne necessario l’uso del cannone anticarro? Non bastava un normale cannone da campo per combattere i mezzi corazzati nemici? Quando nel 1916 apparve per la prima volta il carro armato, per opera degli inglesi, si pensava che un classico cannone d’artiglieria avrebbe potuto tranquillamente contrastare i carri nemici. Tale preconcetto si scontrò invece duramente con la realtà: un cannone da campo sparava proiettili che seguivano una classica traiettoria balistica parabolica, ed impiegavano dunque del tempo a giungere sull’obiettivo (durante quest’intervallo il bersaglio aveva la possibilità di spostarsi). Inoltre, era evidente che non fornissero sufficiente precisione. E, se non si riusciva a centrare un carro al primo colpo, questo sarebbe subito stato condotto dal pilota a cercare riparo, per poi rispondere al fuoco! Una volta compreso che un cannone da campo era del tutto inefficiente contro resistenti e veloci mezzi come i carri armati, le filosofie di progettazione militare spinsero repentinamente verso lo sviluppo di cannoni specificatamente anticarro, anche se questo avvenne ormai sul finire della Prima Guerra Mondiale. Queste nuove unità permettevano un lancio pressoché orizzontale e dunque, non solo una notevole precisione, ma soprattutto un ridottissimo tempo di volo: il carro nemico non aveva più la possibilità di evitare il proiettile. Con l’invenzione del cannone anticarro (il primo costruito dai tedeschi aveva un calibro di soli 37 millimetri), e dei successivi analoghi sistemi d’arma spalleggiabili, era iniziata l’inarrestabile lotta tra il carro ed il sistema anticarro: il primo si arricchiva di corazze sempre più spesse e mobilità maggiore, il secondo puntava verso proiettili sempre più distruttivi e veloci, calibri più elevati e rapidità di fuoco.

Marco Galluccio
Direttore

Fonte: http://alfazulu.altervista.org

 

 

 

 

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