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SCIAVES. Ma allora: queste testate nucleari Usa contro il «pericolo rosso», a Naz Sciaves, ci sono state oppure no? Dice Peter Gasser, sindaco 47enne di Naz Sciaves, che se i suoi 2.887 compaesani fossero chiamati a votare, si dividerebbero a metà tra scettici e convinti. E lui, comunque, starebbe dalla parte dei primi. «Perché, dài, quell’area era tutt’altro che nascosta. E poi si sa, la Guerra fredda si è giocata molto sulla Erschreckungsstrategie, la forza della minaccia preventiva».


I segreti dell'ex base Nato di Sciaves

Chiusa nel 1983, la vecchia caserma potrebbe diventare un'area ricreativa ma restano i vecchi dubbi: ospitò missili nucleari puntati contro il Tirolo?
di Paolo Cagnan

 

 

Il sindaco non conosce probabilmente la storia del capitano James Warren Lieblang, from New Jersey: ventisei anni all’epoca del suo arresto come spia.

Era il 1972 e la base Nato di Naz Sciaves prosperava all’ombra della Guerra fredda da poco più di un decennio. All’apparenza non era che una delle tante, tantissime caserme costruite dall’esercito nella val d’Isarco un po’ sull’onda dell’emergenza terroristica degli anni Sessanta, un po’ per «segnare» il territorio, un po’ per presidiare il corridoio del Brennero, altamente strategico quale baluardo dell’eventuale espansione del Patto di Varsavia verso l’Europa del Sud e l’area del Mediterraneo.

Da una parte c’era la Nato, sorta nel 1949: alleanza strategica tra gli americani e l’Europa riemersa dalle sue macerie. Dall’altra, l’Unione sovietica e i suoi Paesi satellite, a Est. Là nel mezzo, la cortina di ferro. Chi era bambino negli anni Sessanta se lo ricorda bene, lo spauracchio della terza guerra mondiale. L’invasione dei bolscevichi. L’Impero del Male. Per attaccarci sarebbero passati dal Brennero, nessuno nutriva dubbi a proposito.

Così, nei 10,6 ettari dell’areale di Naz Sciaves fu creata una sorta di enclave militare americana. Difesa dall’esercito italiano, ma off-limits anche ai nostri alpini. Chi riusciva a entrare in caserma si trovava davanti all’invalicabile compound a stelle e strisce. Cosa ci fosse là dentro, ovvio, era segreto militare e lo è tutt’ora. Poco meno di due ettari che comprendevano un paio di capannoni, due bunker e alcune palazzine. Più rampe missilistiche a corta e media gittata, puntate su obiettivi strategici come il ponte Europa a nord di Innsbruck. Missili tipo MGR-1 più noti come «Honest John», tecnicamente «vettori tattici per armi nucleari» con gittate tra i 7 e i 48 km. Narra la leggenda, così precisa su questi aspetti da farci sospettare che le cose stessero effettivamente così, che la base era armata di 44 atomiche. Sì, insomma, una spruzzatina di plutonio sui missili et voilà, i sovietici avrebbero avuto l’accoglienza che si meritavano.

Zona militarizzata, dicevamo, quella a nord di Bressanone. A meno di due chilometri dalla base Nato c’era un’altra caserma: la «Ruazzi» di Elvas. Ospitava il battaglione logistico e per collegarla al compound americano venne creata una strada ad hoc. I militari americani in servizio furono tra i trenta e i cinquanta, mai di più. Non dormivano in caserma, alloggiando invece presso alberghetti della zona, alimentando l’economia locale e anche... la demografia. In quegli anni, dice la leggenda, nacquero alcuni bambini color cioccolato.

Neri o bianchi che fossero gli americani, è vero che più di una donna del posto ebbe fugaci avventure o vere e proprie love story con gli «occupanti», ma se oggi chiedi se in paese vi siano ancora figli di coppie miste, quasi tutti fanno spallucce.

La base Nato restò aperta sino ai primi anni Ottanta. Vi furono varie manifestazioni contro gli americani e il loro carico di morte. La vigilanza, affidata ai militari italiani, era strettissima. Diversi fungaioli e curiosi armati di macchine fotografiche passarono qualche brutto quarto d’ora, per essersi avvicinati troppo all’areale militare. Poi, il 31 luglio del 1983, gli americani se ne andarono. Le cronache dell’epoca riferiscono di grossi elicotteri militari da trasporto che nottetempo si sarebbero portati via i famosi missili. Ma nei loro ventri capienti potevano esserci solo bauli di scartoffie e casse di viveri.

Sul Monte Telegrafo, a quasi 2500 metri, svettavano i potenti radar gestiti dall’Aeronautica militare italiana: mandati in pensione proprio in quegli anni dai primi satelliti. Quanto alla guerra fredda, sarebbe ufficialmente finita tra il 1989 e il 1990, con il crollo del muro di Berlino e l’implosione dell’Unione Sovietica. Molti anni prima, gli americani si dovevano essere convinti che l’invasione dal Brennero non sarebbe mai avvenuta. Con loro smobilitò anche l’esercito. Abbandonato a se stesso e svuotato di ogni possibile minaccia, l’areale di Sciaves venne periodicamente controllato dagli alpini di Elvas sino a che, il primo febbraio del 2002, ammainò bandiera lo stesso reggimento logistico, l’ultimo rimasto in Italia. Era tramontata anche l’era della naja.

Non risulta che, in questi anni, i documenti top secret declassificati abbiano contribuito a chiarire il mistero di Sciaves. Il sindaco si sente rassicurato dalle analisi svolte nel settembre del 1992 dal Laboratorio provinciale di chimica del dottor Luigi Minach. Il quale, non potendo entrare in caserma, misurò il tasso di radioattività dei terreni circostanti, senza trovare traccia alcuna di plutonio. Ora Gasser ha chiesto all’Appa di ripetere gli esami all’interno dell’ex base Nato, perché non si sa mai.

Ma allora, se quella dei missili era una leggenda, che ci faceva il capitano Lieblang dalle parti di Sciaves quel 30 luglio del 1972?

Narrano le cronache dell’epoca che il nostro fosse un ex ufficiale dell’esercito americano passato dall’altra parte della cortina di ferro. Una spia al soldo dell’Urss, insomma. Congedatosi in modo anomalo un anno prima, l’FBI iniziò a pedinarlo nei suoi frequenti viaggi in Italia. Turista sui generis, sempre dalle parti del Brennero e di altri valichi strategici per la difesa, come il passo di Resia e la zona di Trieste. Lo ritroveranno, in quell’estate di quasi 40 anni fa, a curiosare dalle parti di Naz. Fermato a bordo della sua macchina dal controspionaggio italiano, salteranno fuori una macchina fotografica e documenti che la procura definirà «compromettenti e di notevole importanza». Le indiscrezioni parlano di carte geografiche segnate e schizzi sulla dislocazione d’installazioni militari.

«Alla spia interessavano i missili di Bressanone», titolò l’Alto Adige quel giorno. Come sia andata a finire, non siamo in grado di dirlo. Del resto, nelle spy-story degne di questo nome il finale è sempre aperto.

 

Fonte: http://altoadige.gelocal.it

 

 

Panoramica della zona "americana", con in evidenza i due bunker.



Site Rigel è stato il nome di una installazione militare statunitense-italiana situata nel territorio comunale di Naz-Sciaves nei pressi della città di Bressanone, in Alto Adige. Il sito fu utilizzato dal 1967 circa fino al luglio 1983 come deposito di "munizioni speciali" (sinonimo per munizioni nucleari) dell'Esercito statunitense destinate in caso di conflitto con il Patto di Varsavia all'impiego da parte di reparti di artiglieria italiani, stanziati a Elvas presso la caserma Giovanni Ruazzi e appartenenti alla 3ª Brigata missili "Aquileia", contro un'invasione nemica attraverso il passo del Brennero o la Val Pusteria tramite il varco di Prato alla Drava-Versciaco. A questo sito fu dato il nome in codice "Rigel".

 

Torretta ovest.

 

Cenni storici.
L'area fu istituita nel 1967 circa in base agli accordi segreti stipulati precedentemente tra il governo italiano e quello statunitense riguardanti l'impiego di armamento nucleare. Il sito che si estendeva su 10,6 ettari di terreno era suddiviso in due parti; a ovest si trovava la zona "italiana", mentre a est si trovava quella soggetta all'amministrazione americana, una zona enclave di 10,6 ettari, dove neanche i fanti potevano accedere. I soldati americani erano sempre presenti a turno all'interno della zona "bunker" americana. Vi accedevano dopo il doppio controllo all'accesso dei fanti. Il corpo di guardia principale autorizzava l'ingresso e avvisava chi era in polveriera dell'imminente arrivo americano. Una volta entrati c'era da superare il controllo interno americano all'ultimo cancello di accesso alla zona bunker americana. Qui la sicurezza era affidata al 11th US army field artillery detachment appartenente al 559° US artillery group, mentre la supervisione al sito era affidata al 559th US Army Artillery Detachment. Il complesso sorge a poco meno di due chilometri dalla caserma "Giovanni Ruazzi" di Elvas, dove dal 1 ottobre 1975 era stanziato il 1º Gruppo artiglieria pesante "Adige" (gemello del 9º Gruppo artiglieria pesante "Rovigo"), stanziato a Verona, della 3ª Brigata missili "Aquileia", un'unità dell'esercito italiano a capacità nucleare. Fino al 1983 i fanti della 4ª Compagnia fucilieri aggregati al 1º Gruppo artiglieria pesante "Adige" ma con linea di comando direttamente dipendenti dal Comando della 3ª Brigata missili "Aquileia", furono la sola forza di guardia dell'intero deposito "Rigel" situato e mimetizzato su un'altopiano quotidianamente sorvolato anche dai nostri caccia intercettori. Le quattro Compagnie "Fucilieri di Sicurezza", in totale una forza di circa venticinque Ufficiali e meno di settecento fanti, erano responsabili ed uniche incaricate della sicurezza dei quattro depositi ad armamento nucleare della "Brigata Missili". I fanti erano truppe di leva obbligatoria formate da ragazzi chiamati alla leva ordinaria, non erano corpi formati da truppe volontarie come nei paracadutisti, soldati ad altissima specializzazione, però a loro l'esercito chiedeva ed otteneva comunque attraverso un duro addestramento risultati certamente non inferiori ai corpi formati da volontari. L'esterno del sito era quotidianamente perlustrato dai Carabinieri della Brigata, i quali avevano una sede logisticamente completamente indipendente anche all'interno del corpo di guardia principale. Il corpo di guardia principale della polveriera, ospitava le due squadre di guardia smontanti, i fanti responsabili della sicurezza del sito erano circa cento suddivisi in quattro squadre armate di F.A.L e M.G., pronti, in caso di allarme, a posizionarsi anche in postazioni mimetizzate interrate situate tra la recinzione esterna e quella interna, dei depositi USA e quello Nazionale. Il deposito "Nazionale" conteneva al centro, stivato su file multiple e in piani multipli, un'importante quantitativo di munizionamento Made in U.S.A e granate per obice. Le postazioni fisse, murate e interrate, coperte da una botola in ferro, distribuite lungo tutto il perimetro del sito Rigel, erano pronte per accogliere in contrattacco difensivo di consolidamento una squadra di pronto intervento dotata dei fucili mitragliori in dotazione M.G.. Queste postazioni fisse erano posizionate in modo da dare completa e continua copertura di fuoco da mitragliatrice M.G. in tutto il perimetro del sito. Il comando del sito era affidato ad un ufficiale di complemento, un sottotenente, proveniente dalla "Scuola di Fanteria" di Cesano Roma, specializzazione "Fanteria d'assalto Motorizzata", fino all'estate del 1981 non erano ancora in funzione le nuove altane di cui una con sotto gli alloggi per le squadre di guardia. Gli ufficiali di complemento facevano turni di guardia settimanali, (le varie esercitazioni NATO, monte Romano, SETAF ecc. erano complementari anche a due turni di polveriera settimanale per mese senza mai potersi allontanare dal sito) montavano il venerdì mattina e ricevevano il cambio la settimana successiva sempre di venerdì. I fanti coordinati anche dai caporal maggiori e dai caporali facevano turni di quindici giorni, alternando un giorno di guardia al deposito ed un giorno al corpo di guardia principale a disposizione per l'addestramento sulle tecniche di difesa del sito a secondo dei tipi di attacco previsti, su come le squadre dovevano comportarsi nelle fasi di accesso, scorta degli automezzi e uscita dal sito per missioni di addestramento simulativo. I tempi di addestramento per smontare un M.G. e rimontarlo erano sotto un minuto, e questo erano in grado di farlo anche al buio, nelle esercitazioni per allarmi simulati ogni squadra di tre, quattro fanti era dotata di M.G. e radio ricetrasmittente. Al corpo di guardia principale, nel locale della guardia che controllava la strada d'ingresso che conduceva alla polveriera, c'era nella cassaforte, riservata all'ufficiale in servizio, una busta sigillata con ceralacca contenente le disposizioni d'emergenza da eseguire per comunicare in codice e in sicurezza anche con la sala Comando Operativa della 3ª Brigata Missili "Aquileia", solo l'ufficiale era autorizzato a leggerla e solo lui conosceva la combinazione d'accesso e faceva uscire i presenti in stanza prima di aprire la cassaforte. Spesso d'inverno le temperature erano sotto i venti gradi e i fanti di guardia alle garitte, con elmetto, F.A.L. e giubbotti antiproiettile, per potere meglio resistere al freddo e ad eventuali attacchi spezzavano i loro turni di guardia in cicli di trenta minuti, poi si davano un nuovo cambio. Nella caserma "Ruazzi" degli anni ottanta ne tra gli ufficiali, ne tra i fanti, risultava esserci stata la presenza di soldati altoatesini a difesa del sito "Rigel".

 

Panorama della base.



La chiusura.
La base NATO aperta agli inizi degli anni sessanta,fu chiusa il 31 luglio 1983, gli americani smobilitarono, portandosi via il loro materiale con molteplici viaggi di elicotteri. Nello stesso anno anche il 1º Gruppo artiglieria pesante "Adige" smobilitò, vi subetrò un gruppo di artiglieria da montagna. Il deposito italiano chiuse definitivamente verso la fine degli anni ottanta, ma gli alpini venivano saltuariamente a controllare l'area fino al primo febbraio 2002, quando anche il reggimento logistico alpino fu trasferito e la caserma Ruazzi chiuse i battenti. In seguito l'area venne anche sdemanializzata.

 

Interno della torretta ovest.



Le proteste.
Molte furono le proteste dei locali durante quegli anni, dove in una intervenne anche l'attuale presidente della provincia Luis Durnwalder. Quando qualcuno si avvicinava troppo, fungaioli, semplici curiosi o proprietari delle terre confinanti, questi venivano segnalati dai fanti di guardia all'ufficiale il quale prima valutava la situazione e poi se lo riteneva opportuno chiedeva l'intervento dei Carabinieri che intervenivano all'esterno per controllare ed interrogare chi restava troppo nei pressi della base; a volte è capitato nei turni di guardia notturni, che, i fanti per sicurezza, se vedevano avvicinarsi troppo le persone alla recinsione esterna sparassero dei colpi in aria di avvertimento se costretti. Per motivi di sicurezza nelle terre confinanti con il sito "Rigel" vi dovevano essere colture di bassa altezza, questo per garantire visibilità in profondità, non vi potevano essere coltivati i meleti tipici del luogo in quanto toglievano visibilità e costituivano supporto difensivo per chi desiderava avvicinarsi al sito. Questo condizionò negativamente i rapporti tra militari e locali, creando un clima di legittima diffidenza a volte al limite dell'ostile. Nel settembre 1992 sono stati svolti dal laboratorio provinciale di chimica del dottor Luigi Minach degli accertamenti attorno al perimetro della base per controllare i livelli di radioattività ed eventuali tracce di presenze di plutonio; ora l'attuale sindaco del comune Peter Gasser ha richiesto ulteriori analisi, anche all'interno della base, dato che ora è accessibile.

 

Panorama della zona "americana".



Usi futuri.
Dato che dal 2010 l'area è nelle mani della provincia, il sindaco dei paesi Peter Gasser ha deciso di trasformare tale area in un parco di divertimento, con la realizzazione di laghi balneabili e zone verdi. Dapprima vi è stato un concorso a cui hanno partecipato 20 studenti dell'Università di Architettura e Ingegneria di Francoforte seguiti dai professori Wolfgang Dunkelau e Jean Heemskerk, che hanno sviluppato ben 12 lavori. Sempre dalle idee del sindaco si propongono due percorsi didattici, uno sulla mela e l'altro sulla guerra fredda.

 

Esempio di missile MGR-1 "Honest John", presso la scuola di artiglieria di Bracciano nel 1966.



Le armi presenti nel Site Rigel.
Nel deposito si sono succedute nel tempo diverse tipologie di granate di artiglieria, testate missilistiche e altri ordigni nucleari.

 

Esempio di MGM-52 Lance nel 1967



Mine nucleari.
Si trattava di mine terrestri di potenza estremamente variabile, da 0,1 a 15 kilotoni, e di peso contenuto ad una ventina di kg. Denominate "ADM" (Atomic Demolition Munition) o SADM (Special Atomic Demolition Munition), potevano essere trasportate da uomini o da paracadutisti, e sarebbero state usate per bloccare il transito nei colli di bottiglia dei passi alpini di Resia, Brennero o Prato alla Drava-Versciaco. Uno studio dell'analista statunitense William M. Arkin del 1989 stimava in 24 ordigni la consistenza di queste armi nei depositi italiani. Le prime vennero consegnate intorno al 1963. Periodiche erano le esercitazioni tra elementi di paracadutisti italiani e artiglieri statunitensi.

Proiettili di artiglieria.
Una parte importante delle armi presenti nel deposito fu sempre rappresentata dalle granate atomiche per i reparti di artiglieria, prevalentemente italiani, dotati di doppia capacità convenzionale/nucleare. Le granate nucleari, come tutte le armi statunitensi di questo tipo che avrebbero potuto essere usate da reparti dell'Esercito Italiano, erano impiegabili sotto il cosiddetto regime della "doppia chiave". Cioè il loro impiego doveva essere autorizzato congiuntamente sia dal Governo statunitense che da quello italiano. Le granate presenti al Rigel furono quasi certamente dei calibri da 203 mm per gli obici in dotazione al 1º Gruppo artiglieria pesante "Adige" della 3ª Brigata missili dell'Esercito italiano.

Testate per missili superficie-superficie.
Nel Site Rigel venivano custodite fino al 1975 anche alcune delle testate nucleari e convenzionali che sarebbero state impiegate con i missili superficie-superficie MGR-1 "Honest John", poi sostituiti dai missili Lance, in dotazione alla Brigata missili.

Altri depositi "speciali" per le forze terrestri.
Le munizioni nucleari destinate ad equipaggiare le unità con doppia capacità dell'Esercito Italiano erano custodite oltre che presso il Site Pluto di Longare a Vicenza, che era totalmente sotto il controllo statunitense e fungeva da riserva strategica di teatro oltre che da punto di transito e manutenzione delle testate, anche presso alcuni depositi dell'Esercito Italiano sorvegliati anche da reparti statunitensi. Questi depositi, tutti nel nord-est Italia, si trovavano in prossimità delle caserme che ospitavano i reparti operativi della 3ª Brigata missili "Aquileia" dotati delle artiglierie o dei missili con capacità nucleare, ovvero pronte all'immediato impiego:
site Algol a Palù di Orsago (TV) associato alla caserma di Codognè;
site Aldebaran di Chiarano (TV) dipendente dalla caserma di Oderzo;
site Castor di Alvisopoli (VE), dipendente dalla caserma di Portogruaro.
Successivamente, in fase di riorganizzazione, tutto il munizionamento fu riunito nel solo deposito Site Pluto, ad eccezione del Site Algol che fu mantenuto operativo fino al 1992.

Un caso di spionaggio.
Secondo un testimone dell'epoca, l'allora capitano James Warren Lieblang dal New Jersey, nella base ospitava 44 ordigni nucleari basate sul plutonio. Lui stesso si trovava nei pressi della base il 23 luglio 1972, all'epoca ufficiale dell'esercito americano, passato dall'altra parte della cortina di ferro, ovvero una spia pagata dall'URSS. Fu trovato dal controspionaggio italiano nei pressi della base a bordo della sua macchina, con una macchina fotografica ed altri documenti definiti compromettenti e di notevole importanza dalla procura ma successivamente fu scagionato da ogni accusa.

Fonte: http://it.wikipedia.org

 

 

 

 

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