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La taqiyya (in arabo: تقية ‎) indica, nella tradizione islamica, soprattutto in quella sciita, la possibilità di nascondere o addirittura rinnegare esteriormente la fede, di dissimulare l'adesione a un gruppo religioso, e di non praticare i riti obbligatori previsti dalla religione islamica (ad es. la Ṣalāt) per sfuggire a una persecuzione o a un pericolo grave e imminente contro sé stessi a causa della propria fede islamica. Il fine consiste nel non destare sospetti, simulando un atteggiamento accondiscendente e non antagonista, all'interno di una comunità ostile verso il singolo credente o l'intera comunità. Il termine arabo è traducibile in italiano come paura, stare in guardia, circospezione, timore di Dio, santità, ambiguità o dissimulazione, menzogna.



Definizione.
Sul suo sito, il Grande Ayatollah sciita Muhammad Fazel Lankarani così risponde alla domanda di un musulmano sulla liceità di nascondere la propria identità islamica:
«La taqiyya per gli sciiti significa nascondere il proprio credo temendo un danno fisico o morale e non è solo permessa ma in alcune occasioni obbligatoria.» (definizione di taqiyah secondo Muhammad Fazel Lankarani) Paragonabile alla taqiyya è il sostantivo kitmān (in arabo: كتمان‎, traducibile come "discrezione o riserva mentale"), che consiste nel dire solo una parte della verità riconoscendosi il diritto a una riserva mentale per celare le proprie reali convinzioni. Ovviamente, è assai improprio parlare di taqiyya o di kitmān quando manchi l'elemento fondamentale del rischio grave e imminente per la propria incolumità e la propria fede.



Applicabilità.
Taqiyya e kitmān, come ogni altro precetto islamico, hanno precisi ambiti di applicazione, malgrado faccia strutturalmente difetto, in ambito islamico, l'esistenza di un'autorità religiosa unica, universalmente riconosciuta da tutti i musulmani, con l'eccezione dello sciismo che può occasionalmente godere dell'insegnamento di un Marjaʿ. Ad es. secondo gli sciiti, la taqiyya e il kitmān possono essere usate legittimamente solo da musulmani ingiustamente perseguitati mentre per alcuni sunniti essi sono comunque atti inammissibili, giudicati ipocriti e indizi di mancanza di fede e di fiducia in Dio. In ogni caso, se colpevoli di un qualche misfatto, il tentativo di occultamento del crimine non è ammissibile, né sotto un profilo legale, né (ovviamente) sotto uno puramente morale. In tal caso quindi per l'Islam tutto non c'è alcuno spazio ammissibile per la dissimulazione. Il pensiero islamico, quindi, giudica "martire" chi affermi la propria fede anche di fronte a un pericolo grave e imminente ma non reputa tale "martirio" obbligatorio. Quando anzi tale atto "eroico" possa nuocere anche ad altri, esso è assolutamente vietato.



Utilizzo nella storia.
I gruppi minoritari islamici, come gli sciiti ed i kharigiti, nel corso dei secoli hanno dovuto ricorrere spesso alla taqiyya o al kitmān poiché la rivalità con i sunniti era evidente e lo è tuttora. Per questo motivo si è portati a credere che la taqiyya non faccia parte del sunnismo poiché loro non trovano doveroso nascondere la propria fede poiché il sunnismo si basa sulla sunna e quindi la vita del Profeta in cui egli e i suoi compagni tenevano stretta la propria fede ad ogni costo senza nascondere. Ci sono anche altri pensieri tra i sunniti ossia secondo il teologo sunnita al-Ghazālī, invece, mentire per proteggere se stessi o altri è ammissibile in alcune circostanze[senza fonte]. Allo stesso tempo, però, secondo altri sunniti è un atto ipocrita ed una mancanza di fede e fiducia in Dio[senza fonte]. Classico esempio di taqiyya sunnita è rappresentato dai moriscos spagnoli che, dopo la Reconquista, per tutto il XVI secolo, dovettero confrontarsi con la conversione forzata al Cristianesimo, da dimostrare con pratiche come il comunicarsi, il mangiare maiale, il consumare bevande alcoliche, il non lavarsi più volte quotidianamente o il non circoncidere i figli. Per questa ragione i moriscos sollecitarono a più riprese fatwā di faqih nord-africani circa la legalità e i limiti dell'uso della taqiyya per quanto riguardava la loro situazione:


Fatwā in morisco aljamiado (cioè scritto in castigliano con caratteri arabi) che incita alla conservazione della fede musulmana nonostante le pressioni subite e raccomanda di dissimulare.



Così si è espresso un ʿālim di questo regno parlando del nostro assoggettamento: «Io ho ben presente che siamo in un'epoca di grande paura, ma non per questo Allah ometterà di castigarci se ignorassimo quanto in nostro potere riguardo al precetto comandato. E per quanto attiene la dissimulazione, tutti possiamo usarla nel modo previsto e con i riti esteriori dal momento che i cristiani fanno salva la vita, perché tutto passa con una buona dissimulazione, perché la buona dottrina non la distrugge alcuna legge, per inumana che sia» (trascrizione in castigliano medioevale della fatwā in morisco aljamiado riprodotta qui sopra). I drusi, una setta religiosa nata dall'alveo sciita ismailita (e che si dichiara musulmana sebbene la gran parte dei musulmani non la consideri tale), praticano una taqiyya permanente, osservando con puntualità i precetti religiosi maggioritari del luogo dove risiedono: fingono di essere cristiani con i cristiani e musulmani con i musulmani, sia per risparmiarsi le persecuzioni, sia per celare i riti del loro credo, caratterizzato da grande segretezza e che non possono essere rivelati ad altri. Lo stesso accade con lo yazidismo in cui alcune popolazioni curde sono solite fingere di aderire alle pratiche sunnite, proprie della maggioranza del loro gruppo etnico.



Analogie con altre fedi.
La taqiyya ha analogie con il "Nicodemismo" (da Nicodemo, il ricco seguace del Cristo che finse di non conoscerlo sul Calvario) che venne praticato e legittimato da alcuni, con caratteristiche simili, durante le guerre di religione tra cattolici e protestanti o successive alla Riforma nel XVI secolo. Nell'ebraismo, la Halakhah (le leggi religiose) prevede, durante le persecuzione, la violabilità di tutti i precetti ad eccezione della proibizione dell'idolatria, dell'incesto e dell'assassinio. In questi casi ci si attende, infatti, il sacrificio della vita. Non esiste una effettiva proibizione ad abbracciare un'altra religione, a meno che questo non supponga la violazione di altre leggi. Mosè Maimonide, il più grande filosofo ebreo della Penisola iberica, giustificò questo comportamento tra i suoi correligionari in Yemen nella sua Iggereth Teiman ("Lettera allo Yemen").

Fonte: https://it.wikipedia.org

 


 

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