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Il portale Ogigia cerca di dare voce anche a versioni alternative delle verita' ufficiali, ecco perche' pubblichiamo anche un articolo a favore del programma degli F-35 (nonostante ci siano molti dubbi circa la loro efficacia in combattimento).

 

 

Sull’F35, il velivolo prodotto principalmente da Lockheed Martin e partecipato da Alenia Aermacchi (cui spetta la produzione di 800 ali), abbiamo letto di tutto. Attacchi preventivi. Proposte irrazionali. Ideologia e provincialismo da parte di un buon numero di politici. C’è chi ha detto: «Basta F 35, vogliamo asili nido». Come se fossero due elementi comparabili. Chi ha diffuso numeri a caso senza alcun fondamento pur di dimostrare che l’Italia dovrebbe tirarsi fuori dal progetto. Il che significherebbe non acquistarli, ma nemmeno assemblarli nella base piemontese di Cameri o ripararli (sempre a Cameri). L’Italia è infatti l’unico Paese oltre gli Usa che avrà una Faco (Final Assembly and Check Out) che servirà da garage per tutti i caccia europei e per quelli Usa stanziati in Europa e nel Mediterraneo. Eppure agli occhi della sinistra e di gran parte dell’intellighenzia italiana questi velivoli continuano a essere dipinti come il male assoluto. E, al contrario, la loro eliminazione apparirebbe come la panacea per il debito pubblico italiano. Si tratta di 12 miliardi di euro di spesa in circa una dozzina di anni. Certo non poco. Ma nemmeno troppo se si pensa che senza un velivolo di quinta generazione saremo destinati a restare ai margini della Nato. Una spiegazione che non difficilmente può fare leva sulle logiche di pensiero di Nichi Vendola. O di chi vuole abolire a tutti i costi le armi. Ma ciò non vale in assoluto per la sinistra italiana, che almeno su questo aspetto appare strabica. Pochi giorni fa, Rid (Rivista Italiana Difesa) ha diffuso (rilanciati da L’Espresso) i dati sulla spesa militare tricolore. E, sorpresa delle sorprese, il programma Eurofighter (partecipato da Inghilterra, Spagna, Italia e Germania) è fino ad ora venuto a costare 21,1 miliardi di euro. «Non solo: il prezzo risulta aumentato di ben 3 miliardi rispetto alla previsione formulata lo scorso anno, che si fermava a 18,1 miliardi», scrive il settimanale. «Nel corso del 2013 soltanto per comprare gli Eurofighter il ministero dello Sviluppo Economico spenderà 1.182 milioni di euro, mentre quello della Difesa sborsa mezzo miliardo per gli F-35». I numeri sono corretti. Dunque, ci saremmo aspettati una vera e propria insurrezione da parte di Sel, di un’ala del Pd e del Movimento Cinque Stelle. Invece silenzio totale.

 

Elenco fornitori componenti del programma Eurofighter



Nessun attacco politico. Anche se la cifra è quasi doppia rispetto ai preventivi dell’F35. Senza contare che bisogna aggiungere circa 900 milioni di euro che lo Stato ha dovuto sborsare per via dei ritardi del caccia europeo, noleggiando trentaquattro F16 tra il 2003 e il 2012. Il che porta il conto finale a 22 miliardi di euro. Ci siamo chiesti a questo punto se la sinistra italiana, muta di fronte al costo degli Eurofighter Typhoon, avesse verificato che questi soldi a differenza degli F 35 costituiscano un volano più forte per la nostra economia. Che forse gli anti militaristi di Sel non attacchino Finmeccanica perché dà lavoro a molti pugliesi o campani o piemontesi? Che per questo valga la pena non condannare un programma anche se militare? Sembrerebbe un buon motivo. Ma i numeri un'altra volta ci dicono qualcosa di diverso.



Eurofighter e F 35 a confronto.
Non è facile mettere sullo stesso piano i due velivoli. Il primo è un multiruolo. Il secondo è un caccia stealth. Il primo serve per la difesa aerea, il secondo per l’attacco al suolo. Un po’ come pesare mele e pere. Però, siccome sempre di frutta si tratta, proviamo a farlo. I sostenitori dell’europeismo a tutti i costi spiegano che l’Eurofighter si può modificare anche per l’attacco al suolo. È vero ma ciò richiede costi aggiuntivi spropositati (il 40% in più rispetto all’acquisto di un F 35) e comunque non diventerebbe mai competitivo quanto i velivoli nati per l’attacco al suolo. Poi ci sono i costi operativi. Per un’ora di volo del Typhoon si spendono circa 40mila euro (fonte aperta: dalle dichiarazioni del generale Domenico Esposito Direttore della Direzione Armamenti Aeronautici) mentre per il “cugino” americano l’importo scende a 24mila dollari l’ora (fonte: parlamento Olandese). Il 10% in più del costo orario di un F 16, tecnologicamente meno avanzato. Inoltre nella valutazione di un programma militare bisogna calcolare le esigenze operative. Diversamente da quanto potrebbe sembrare, cancellare il Jsf (il programma dell’F 35, ndr) non si tradurrebbe in un risparmio di 10,5 miliardi, come sostenuto da gran parte della carta stampata. «Sulla portaerei Cavour i Jsf dovranno andarci comunque, per il semplice motivo che la portaerei che la Marina insegue da oltre 75 anni è troppo piccola per ospitare aerei a decollo convenzionale e che nel mondo non esistono altri aerei da combattimento a decollo verticale», ha sostenuto recentemente Gregory Alegi, giornalista e docente esperto di aeronautica. «Se l’Italia uscisse dal programma industriale dovrebbe comunque spendere 2-2,5 miliardi per sostituire gli attuali AV-8B Harrier II+. L’Aeronautica ha in teoria più scelte, ma quando si tratterà di sostituire gli AMX e i Tornado avrà comunque bisogno di un centinaio di macchine. Per avere una linea unica dovrebbe scegliere l’Eurofighter, il cui costo non è certo inferiore al Jsf: ecco altri 10-11 miliardi. Sorpresa: 12-13,5 miliardi da spendere in più».

 

Aziende italiane coinvolte nel programma F 35 Jsf.



Infine c’è l’aspetto industriale che agli occhi della spesa pubblica diventa quello più importante e interessante per capire se il denaro sborsato è un mero costo o un investimento. Il ritorno industriale dell’Eurofighter è già definito. Per 100 euro spesi, 79 vanno a Germania, Spagna e Inghilterra. Ventuno restano in Italia. Dunque su oltre 21 miliardi spesi dall’Italia, quattro e mezzo sono rimasti nella penisola (Finmeccanica ha un ruolo molto maggiore nella parte elettronica, in particolare il radar, ma buona parte dell’attività viene fatta negli stabilimenti inglesi). I rimanenti 16,5 miliardi sono finiti negli altri tre Paesi Ue. Nel programma Jsf l’Italia ha investito 2 miliardi. Circa 600 milioni sono tornati in contratti di lavoro. Le aziende italiane coinvolte nel programma Eurofighter sono 49, una decina scarsa del gruppo Finmeccanica. Una sessantina partecipa anche al consorzio Eurojet che si occupa dei motori. Sul fronte opposto quelle al momento attive nel progetto Jsf sono sessanta. Solo sei del circuito Finmeccanica. Mentre i motori sono Pratt&Withney. Nel complesso se non ci saranno variazioni e «mantenendo il nostro impegno nel programma Jsf», ha dichiarato il generale responsabile del progetto al Parlamento, «queste aree di lavoro, a fondo corsa, porteranno una stima di circa 14 miliardi di dollari di lavoro in Italia». Più di quanto investito complessivamente. C’è anche un elenco di contro. Alcuni radar leggerebbero l’F 35, e la capacità dei suoi missili non è ancora del tutto testata. Non si tratta di un consorzio come per l’Eurofighter e i ritorni industriali non sono scritti nero su bianco. Dunque potrebbero rivelarsi inferiori alle stime. E i potenziali ritardi del progetto, i problemi sorti nell’ultimo anno sono comunque campanelli d’allarme, potrebbero appesantire i costi. Anche se su quest’ultimo fronte il Jsf sarebbe in ottima compagnia. A partire dal Typhoon.



La posizione di Finmeccanica.
Durante i ripetuti attacchi politici all’F 35 il colosso italiano della difesa non si è particolarmente speso a sostegno del programma Jsf, anche se coinvolto direttamente con la controllata Alenia. Probabilmente, a livello di holding, l’azienda di piazza Monte Grappa si sente più legata al progetto europeo. Dal bilancio consolidato del 2012 si vede che i debiti finanziari verso Eurofighter Gmbh (controllata al 21%) ammontavano a 124 milioni contro i 47 del 2011. I crediti commerciali sono cresciuti da 193 milioni del 2011 ai 261 del 2012. I ricavi provenienti dalla quota sono passati dagli 800 milioni del 2011 agli 880 del 2012. Nel 2010 era 980 e nel 2009 868. Valori importanti che se l’Italia abbandonasse in tutto e per tutto il Typhoon si ridurrebbero sensibilmente. Di contro, Alenia Aermacchi ha firmato un contratto con Lockheed Martin da 141 milioni di euro per la prima produzione di ali. Di fatto un investimento e una scommessa ancora lontana dal generare ricavi. Appare chiaro che per l’azienda della difesa italiana in questo momento resta più profittevole andare avanti con l’Eurofighter piuttosto che spingere sul velivolo di quinta generazione. Una scelta di fatto attenta ai conti e connessa a strategie industriali che in momenti di crisi impongono la necessità di raccogliere più frutti possibili da un programma prima di abbandonarlo. L’Italia in questa battaglia tra Eurofighter e F 35 dovrà basarsi su logiche, se necessario, diverse. Guardare con una visione ventennale. Investire e non spendere. Altrimenti succederà come con l’F104. Per risparmiare, nel 1975, l’Italia non aderì al programma F-16 per sostituire i vecchi F-104 Starfighter, dei quali acquistò nel 1976 altri 40 esemplari. Negli anni successivi furono necessari due programmi di ammodernamento (ASA e ASA-M), comunque insufficienti a mettere lo Starfighter in grado di difendere i cieli italiani durante l’emergenza nei Balcani, comprese le operazioni in Bosnia e Kosovo (1994-1999). Di fronte ai ripetuti ritardi dell’Eurofighter fu necessario l’oneroso noleggio dei Tornado ADV (1995-2004), seguito da quello… Degli F-16, dei quali il primo arrivato nel 2003 e l’ultimo destinato a partire nel 2012. Alla fine si è finito con lo spendere molto di più. Resta solo una domanda. Perché la sinistra italiana voglia abbattere gli F 35, mentre lasci tranquillamente parcheggiati negli hangar gli Eurofighter.

Fonte: http://www.linkiesta.it

 


 

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