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Dalla moda all’architettura, sono infinite le possibilità per restituire una nuova chance a oggetti e materiali. Ecco qualche esempio brillante.

 



Riscrivere il destino di un oggetto è un esercizio creativo che aiuta a ripensare la forma e il senso delle cose e oggi sembra essere diventato un vero e proprio trend: un mappamondo tagliato può diventare un centrotavola con una base di appoggio, un vecchio vinile una coprilampada, il bancale dimenticato in soffitta il prossimo tavolino da salotto, una ruota della bicicletta può diventare un orologio, con qualche piccolo accorgimento… Esempi di un fenomeno che nasce dal basso e che oggi è conosciuto con un termine specifico: upcycling. Non si tratta di riciclo e basta, ma della valorizzazione di un prodotto o materiale di scarto che ha esaurito la sua funzione di partenza e che torna in gioco con un nuovo aspetto, una nuova funzionalità e anche con un più alto valore aggiunto. Un po’ come quando da bambini si inventavano nuovi modi di utilizzare i barattoli di Nutella®, una volta finita la crema. Milioni di vasetti sono così diventati bicchieri nelle credenze, portapenne sulle scrivanie o materiali di partenza per manufatti artistici.

L’upcycling è alla portata di tutti, può fornire soluzioni e idee a cittadini ma anche a imprese e protagonisti di specifiche filiere, laddove servono decenni per smaltire i materiali di partenza, con ricadute a volte pesanti sulla sfera ambientale, come nel fashion o nel tech. A gennaio, al Ces di Las Vegas Samsung è stata premiata dalla Us Environmental Protection Agency (Epa) con il Cutting Edge Champion Award per il suo Galaxy Upcycling program. L’obiettivo del programma, sviluppato dall’innovation hub della compagnia e prossimo al lancio, è di aiutare i consumatori ad aggiornare l’hardware e il software di un vecchio Galaxy, per abilitare nuove funzionalità utili a sfruttare il device in un nuovo tool tech (un device Iot o una console per il gaming).

Un esempio di ambito tech ma non c’è limite alla possibilità di praticare questa forma di riuso creativo, come dimostrano diversi casi, in altri ambiti, su scala globale. C’è chi si dà come obiettivo un intero ecosistema, nel caso del progetto Upcycling the Oceans (Uto) promosso dal brand dell’eco-fashion Ecoalf, per trasformare la spazzatura che infesta i mari, in particolare la plastica, in filati di qualità per capi d’abbigliamento e accessori. Un progetto partito in Spagna nel settembre 2015, successivamente approdato in Thailandia, per dare una seconda possibilità agli scarti e toglierli da un contesto dove fanno solo danno.

Per praticare il riuso adattivo basta guardarsi intorno, in casa o nel territorio, per non lasciarsi scappare materiali che fanno parte della realtà economica e produttiva locale. Lo dimostrano due esempi italiani, in segmenti dove tecnica e creatività vanno assieme: il designer carrarese Moreno Ratti, ha dimostrato che c’è una seconda vita per le lastre di marmo che si accumulano nei magazzini. Possono diventare nuovi oggetti di design e di arredo, con dettagli lavorati per favorire gli incastri tra le superfici, rinascendo quindi con nuova funzione in formato 3D.

Altro esempio, quello di Uptitude. La startup nata in Trentino Alto Adige, e ormai sulla ribalta da qualche anno, ha intercettato il trend e ha scommesso sul riutilizzo intelligente di vecchi snowboard e sci per creare montature di occhiali come pezzi unici, con colori e grafiche che riprendono l’estetica dei prodotti originali.

Margini importanti, nell’ambito del riuso adattivo, sono quelli legati all’architettura. I container industriali, o per le spedizioni marittime, possono trasformarsi in edifici per clienti commerciali o residenziali, come dimostrato dai progetti internazionali di Lot-Ek, lo studio degli architetti Ada Tolla e Giuseppe Lignano fondato nel 1993 e di base a Napoli e New York. L’upcycle diventa, come visto negli anni e a varie latitudini, una filosofia di progettazione: si parte da un oggetto anonimo, come un container alto quaranta piedi, e si approda a una struttura che si inserisce nella vita pubblica e privata della città, puntando a sostituire un modello di costruzione tradizionale con uno innovativo, che coniuga sostenibilità ma anche modularità.

Nel prossimo futuro, sarà sempre più stimolante chiedersi da dove arrivano i materiali degli oggetti attorno a noi e assisteremo a crossover tra mondi, come dimostrava già al Salone del Mobile 2017 il materiale Solid Textile Board concepito danesi di Really realizzato in collaborazione con Kvadrat. Un esempio di upcycling dei tessuti a fine vita, per stimolare l’industria del designe e dell’architettura a sondare nuove vie. Da scarti di tessuti in cotone e lana si approda a un materiale ad alta densità, sagomabile e sfruttabile in diversi contesti. Al Salone del Mobile 2017, il designer britannico Max Lamb lo ha sperimentato su dodici modelli di panchine, per toccare con mano potenzialità e versatilità, anche cromatica, dei pannelli di nuova concezione.

Non a caso dietro molte operazione di upcycling ben riuscite c’è il tocco di un designer, di un creativo che non si ferma alla prima chance di riutilizzo e indaga altre vie o le mette in pratica. Ottimo esempio recente, l’orologio Nutella® by Alessi concepito da Giulio Iacchetti. I vasetti da 800 e 950 grammi di Nutella® possono contenere un orologio che scende dal tappo ammiccando a un pendolo, proprio come nel concept recentemente sviluppato per premiare i consumatori.

Gli esempi per volare alto non mancano, ma sono abbondanti anche quelli più alla portata, come dimostrano anche tante pagine dedicate al fenomeno sulle piattaforme social, come Instagram, di fatto veri e propri tutorial replicabili in casa. Spunti e intuizioni possono arrivare anche dai libri di settore, come quello dell’esperto inglese Max McMurdo Upcycling. L’arte del recupero, o da saggi, come il celebre Jugaad Innovation, che spiega le potenzialità creative che si liberanno anche laddove c’è frugalità.

L’upcycling non richiede però solo capacità di immaginare nuovi prodotti e abilità per farlo: come dimostrato da un evento andato in scena lo scorso ottobre alla Triennale di Milano, dal titolo Upcycled Words, anche l’immateriale può andare incontro al riuso creativo. L’art director e visual artist Daniele Cima ha creato un’intrigante operazione di upcycling visual-letterario, riabilitando ventotto headline o claim pubblicitari mai utilizzati, e scartati dai clienti, riproposti attraverso un nuovo significato e una successiva decontestualizzazione.

Insomma, per fare upcycling ci vogliono sicuramente oggetti o materiali, in prima battuta, ma anche e soprattutto la capacità di ripensare un pezzo di mondo, il proprio o quello degli altri, per scoprire che non esistono cose brutte o superate, ma solo cose che cose che meritano una seconda opportunità.

 

Fonte: https://www.wired.it

 


 

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