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Ogni anno solo in Italia vengono letteralmente cestinate circa 6mila tonnellate di farmaci.

Acquistati obbligatoriamente in quantità maggiore rispetto a quanto si necessita (vedi la campagna di People For Planet per la vendita di farmaci sfusi in Italia), vengono dimenticati in un cassetto e, superata la data di scadenza, smaltiti troppo spesso in modo improprio. A farne le spese non è solo il consumatore ma anche l’ambiente.

L’inquinamento da prodotti farmaceutici rappresenta un grave problema per l’ecosistema che, minacciato dalle alte concentrazioni di farmaci nelle acque, sembrerebbe già subire ripercussioni irreversibili. Antibiotici, ormoni, farmaci psichiatrici e antistaminici, per citare solo alcune delle sostanze ritrovate nelle acque, stanno interferendo con la fauna marina provocando gravi mutazioni genetiche in anfibi e pesci. Inevitabilmente, a seguito di una depurazione non adeguata e/o per una diretta dispersione di farmaci in ambienti naturali, anche i danni per l’uomo possono essere ingenti.

La comunità scientifica da tempo è attiva nella ricerca di soluzioni e ad oggi sembrerebbe aprirsi uno spiraglio di speranza efficace e 100% naturale: i pioppi mangia farmaci.

Il sorprendente risultato dello studio coordinato dall’Italia, con l’Istituto di Scienze della Vita della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa in collaborazione con il Centro tedesco Helmoltz di Monaco e pubblicato anche sulla rivista Science of The Total Environment, ha dimostrato che i pioppi bianchi della varietà di Populus alba clone Villafranca, già noti per le loro proprietà di accumulare metalli pesanti e sostanze xenobiotiche organiche (sostanze estranee rispetto agli organismi), sono anche capaci di assorbire, trasformare e trattenere nelle radici sostanze inquinanti di origine farmaceutica presenti nelle acque reflue urbane. Come confermano numerosi studi, le piante hanno dimostrato di essere in grado di assorbire il Diclofenac, principio attivo che si trova alla base di farmaci antinfiammatori non steroidei assai diffusi per trattare infiammazioni di carattere muscolare, e che risulta tra quelli più presenti nelle acque reflue urbane.

Finanziamenti permettendo, la proposta dei ricercatori sarebbe quella di posizionare queste straordinarie piante  a ridosso degli impianti di depurazione.

«Capire come le piante rispondono agli inquinanti organici xenobiotici ci può aiutare a contrastare l’inquinamento in modo naturale», rileva Luca Sebastiani, direttore dell’Istituto di Scienze della Vita della Scuola Superiore Sant’Anna «Nello stesso tempo – prosegue – ci permette di verificare se questi prodotti danneggiano le colture e, nel caso di specie commestibili, se si accumulano negli organi di cui l’uomo si nutre».

Una bella scoperta per l’acqua, l’aria e la vita.

Fonte: https://www.peopleforplanet.it





Che l’eccessiva produzione e utilizzo della plastica rappresentino un problema è ormai risaputo, ma ora un aiuto in questa direzione può arrivare dai pioppi. Questi alberi (Populus alba Villafranca) sono infatti stati ribattezzati “mangiaplastica”, in quanto le loro radici sono in grado di assorbire e accumulare i principali composti inquinanti, gli ftalati, eliminandoli dall’ambiente.
A dirlo una ricerca italiana pubblicata sulla rivista Environmental Science and Pollution Research e guidata da Francesca Vannucchi, dell’Istituto di Scienze della Vita della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa.

Gli ftalati sono micro-inquinanti, composti chimici usati nell’industria delle materie plastiche, in particolare nel Pvc, con effetti negativi sul funzionamento degli ecosistemi e sulla salute umana.
Gli ftalati vengono utilizzati per realizzare profumi, pesticidi, smalti per unghie e vernici.
Saranno necessarie ulteriori ricerche per approfondire i meccanismi che regolano nei pioppi l’assorbimento dei composti inquinanti, fondamentali per comprendere come vengono smaltiti e impiegati gli ftalati dai tessuti vegetali.

Fonte: https://www.radiobruno.it





Un gruppo di ricercatori dell’Università di Washington, insieme ad alcune imprese, ha condotto il primo esperimento su larga scala in un sito di bonifica usando pioppi rafforzati con un probiotico per pulire le acque sotterranee contaminate da tricloroetilene, un inquinante piuttosto comune nelle aree industriali, pericoloso per gli esseri umani se ingerito con l’acqua o inalato con l’aria. I risultati sono stati pubblicati dalla rivista Environmental Science & Technology.

Bonificare i siti contaminati da tricloroetilene e altri inquinanti può risultare estremamente costoso usando metodi come l’escavazione o il pompaggio delle tossine dal sottosuolo. Di conseguenza, molti siti non vengono trattati. Con questo nuovo metodo, è possibile procedere alla bonifica in maniera più efficace, spesso a un costo minore.

I ricercatori hanno utilizzato il legno dei pioppi di un sito del Midwest, dove gli alberi crescono già in un suolo contaminato da tricloroetilene. Hanno triturato il legno in piccoli frammenti e isolato oltre cento differenti microbi, inserendo ogni ceppo in un contenitore con alti livelli di tricloroetilene. L’obiettivo era trovare il ceppo di microbi in grado di dissolvere in maniera efficace l’inquinante e garantire la crescita dell’albero. Gli scienziati hanno dunque sfruttato un processo naturale: alla fine hanno trovato i microbi migliori che in realtà la pianta aveva già selezionato. Il probiotico vincente è stato quello in grado di eliminare praticamente tutto il tricloroetilene.

Dopo un solo anno, gli alberi ai quali era stato inoculato il microbo erano più grandi e in salute rispetto a quelli non trattati. Dopo 3 anni, i pioppi con il probiotico erano più robusti e un campione di tre tronchi ha rivelato ridotti livelli di tricloroetilene.

Quando un albero assorbe e degrada sostanze chimiche, in genere è a spese della sua salute: il tutto ha dei riflessi evidenti come riduzione della crescita, ingiallimento delle foglie e rami secchi. Ma nei casi in cui il microbo selezionato è stato introdotto, i pioppi hanno abbattuto il tricloroetilene, diventando al contempo più robusti.

Inoltre, i ricercatori hanno scoperto che i campioni di acque sotterranee mostravano livelli più bassi della tossina e la presenza maggiore di cloruri, un elemento innocuo, sottoprodotto del tricloroetilene quando questo viene degradato.

Fonte: http://www.rinnovabili.it

 

 

 

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