Negli anni Ottanta, Thomas Sankara cercò di salvare il Burkina Faso, e l'Africa intera, con la sua rivoluzione condotta contro il giogo coloniale e imperialista dell'Occidente. Dopo aver negato l'intervento del Fondo Monetario Internazionale, il cui debito avrebbe legato indissolubilmente i burkinabé, Sankara diventò il portavoce dell'Africa intera, il simbolo di un continente sfruttato e che chiedeva giustizia, parità di diritti e modernizzazione. Denominato il "Che Guevara" africano, Sankara fu un visionario e portò enormi risultati nei pochi anni in cui fu al governo: il PIL del Burkina Faso crebbe come mai prima di allora, mentre alfabetizzazione e investimenti cominciavano a permeare il tessuto sociale di un paese che stava cominciando ad uscire pian piano dal Terzo Mondo. I risultati furono senza precedenti. Tuttavia, la congiura ordita contro Sankara fu l'esempio lampante dell'immutabilità della situazione, la vittoria dello status quo di chi teneva in mano le redini della geopolitica mondiale. Quale morale ci tramanda oggi Thomas Sankara? Vediamo di ripercorrere le orme di una delle più affascinanti figure del Novecento.

 

 

 

“Mentre i rivoluzionari in quanto individui possono essere uccisi, nessuno può uccidere le idee.”
(Thomas Sankara 21 dicembre 1949, Yako/ 15 ottobre 1987, Ouagadougou)

È con queste parole che voglio raccontarvi la storia di un grande eroe e personaggio del secolo appena trascorso, Thomas Sankara, il Che Guevara africano, un uomo forse poco conosciuto, ma che merita la stessa importanza e attenzione di tanti altri eroi del passato. Questo racconto comincia nello stato del Burkina Faso (Alto Volta), un paese considerato del “quarto mondo”, arido, privo di sbocchi sul mare e di risorse naturali ed economiche, ma che vanta la nascita del comandante Sankara, un militare diverso dal solito, atipico, che non si limita ad impartire ordini ai suoi uomini, ma che cerca anche di ascoltarli e capirli. All’età di 27 anni, nel 1976, Sankara fonda insieme ad un altro giovane militare di nome Blaise Compaoré, il “Gruppo degli Ufficiali Comunisti”, e pochi anni dopo, nel 1983 i due, senza spargimenti di sangue, riescono a rovesciare con un colpo di Stato il governo di Ouèdraogo allora al potere. Dopo questo fatto Sankara diventa ufficialmente presidente dell’Alto Volta. Con il suo fedele amico Blaise Compaoré, nel frattempo diventato suo vice, Sankara comincia con grande impegno e determinazione il suo progetto di ristrutturazione dello stato, basandosi su ideali di stampo libertario e comunista. Il nome dello stato viene poi cambiato da Alto Volta in Burkina Faso che letteralmente significa “Terra degli uomini integri”. Dato il suo passato da musicista, Thomas Sankara decide anche di riscrivere l’inno nazionale, dandogli il titolo di “Une seule nuit”, ovvero “Una sola notte”. In soli quattro anni di governo Sankara riesce finalmente a donare dignità al paese, istituendo grandi riforme e innovazioni, ma soprattutto avviando una grande lotta alla corruzione che da troppo tempo dilagava. Sankara rifiuta la ricchezza, vive ai limiti della povertà, si sposta in bicicletta, impone addirittura lo stesso tipo di vita anche ai suoi ministri. L’obbiettivo è vivere ogni giorno come un qualsiasi abitante del Burkina Faso. Thomas Sankara inoltre, s’impegna fortemente a garantire la parità fra uomini e donne. Sankara avvia anche una forma di integrazione e tutela nei confronti delle ex prostitute per aiutarle ad inserirsi nel mondo del lavoro, ed invita gli abitanti del Burkina Faso ad utilizzare i preservativi per contrastare l’AIDS. Oltre a questo Thomas Sankara abolisce la pratica tribale della mutilazione degli organi genitali femminili e la poligamia. In seguito avvia una campagna vaccinale di massa e per combattere la desertificazione del Sahel, pianta milioni di alberi nel territorio. Per favorire le piccole imprese e per rendere sempre più autonomo e indipendente il Burkina Faso, Sankara si avvale dell’ esercito, e questo porta ad un notevole abbassamento dei prezzi, favorendo l’aquisto di beni di prima necessità a tutta la popolazione. Il popolo sotto la guida di Sankara diventa parte integrante della vita del paese sia nelle piccole che nelle grandi cose di tutti i giorni. La rivoluzione di Sankara è innanzitutto basata sulla condivisione e sull’uguaglianza tra le persone e il messaggio principale è il voler fare capire al mondo occidentale di non essere più servi devoti, ma persone libere di scegliere il proprio destino. In quegli anni, Thomas Sankara condanna fortemente l’appoggio dei paesi occidentali nei confronti del presidente bianco del Sudafrica Pieter Willem Botha, fervido sostenitore dell’apartheid, ed è proprio per le sue idee antimperialiste, che il presidente del Burkina Faso viene esposto a continui attacchi, come ad esempio il tentativo di rovesciarlo con un colpo di stato del 1984 fortunatamente sventato. Sankara, il 29 luglio del 1987, presso l’Organizzazione dell’Unità Africana, tiene un celebre discorso in merito ai presunti debiti dei paesi africani nei confronti dei paesi occidentali. Le sue parole gli regalano tantissimi applausi, ma al tempo stesso gli attribuiscono le antipatie di tanti leaders africani vicini all’ Occidente. Sankara comincia ad essere scortato ovunque. Si inizia a temere per la sua incolumità. Ma non è uno dei tanti nemici a porre fine a tutto questo, bensì il suo amico di sempre nel frattempo diventato suo oppositore: Blaise Compaoré. Il 15 ottobre 1987 i due si incontrano. Forse a causa di un litigio, Compaoré ruba la pistola dalla cintura di Sankara e gli spara dritto al petto togliendogli la vita. Altre versioni descrivono la morte di Sankara avvenuta tramite l’agguato di uomini armati su ordine del suo ex amico. Qualcuno sostiene invece che possa essersi trattato di un incidente. Sul certificato di morte viene indicato il decesso per cause naturali e il corpo di Sankara, fatto a pezzi, viene sepolto in una tomba anonima nei pressi di Ouagadougou. Ma non finisce qui. Blaise Compaoré, nel frattempo salito al potere, tenta anche di cancellare il ricordo di Sankara dalla memoria della popolazione con ogni mezzo possibile, arrivando anche a proibire di pronunciare il suo nome in pubblico. Arriva perfino al punto di proclamare una festa nazionale nel giorno della morte dell’ex presidente. Inoltre nel 2007, in occasione dei vent’anni della morte di Sankara, e temendo contestazioni di ogni genere, Blaise Compaoré distribuisce regali e soldi alla popolazione per impedire alle persone di recarsi presso il cimitero di Dagnoen, dove presumibilmente si trovano alcuni resti del compianto Sankara. Ma le persone si recano ugualmente a fare visita al loro leader. Oltretutto, dopo questi fatti, gli uomini di Compaoré, dopo la ricorrenza, danneggiano la tomba di Sankara in seguito ricostruita. Ma dopo anni di tirannia, un’insurrezione popolare nel 2014, pone la parola fine al dominio senza scrupoli di Blaise Compaoré, cacciandolo definitivamente. E finalmente sui muri delle case, sui cartelli e dalle bocche delle persone, il nome e l’immagine di Thomas Sankara prende nuovamente vita. Il Che Guevara africano non morirà mai.

Fonte: https://www.focusonafrica.info

 



«Abbiamo deciso di intraprendere tre lotte. In primo luogo la lotta contro gli incendi nella savana. Verrà d’ora in poi dichiarato criminale l’atto di provocare incendi e sarà punito come tale […] Solo se si procederà in questo modo allora il Burkina Faso sarà verde oggi, e ancora più verde domani per le future generazioni»: così parlava Thomas Sankara e guardava lontano. Come ogni vero leader, al benessere di chi, dopo di lui, avrebbe abitato la sua terra: un Burkina Faso dove non contrastare la desertificazione del terreno avrebbe significato cancellare il futuro di intere generazioni. «La seconda lotta che noi ci impegniamo a proseguire – continua nel Discorso ai forestali del 22 aprile 1985 – sarà contro il vagare delle mandrie […] Colui che lascia il suo bestiame a pascolare in maniera libera, a mangiare tutto ciò che cresce a terra, commette un atto criminale di distruzione della natura e di condanna delle generazioni future». Responsabilità, bene comune: due punti fermi su cui costruire il domani di un intero Paese. «E poi, da ultimo, la terza lotta sarà contro il taglio incontrollato delle foreste per farne legna da ardere […] Il taglio della legna dovrà essere regolamentato […] I grandi centri urbani dovranno procurarsi legna da ardere da venditori autorizzati, riforniti da rappresentanti autorizzati, e, a loro volta, riforniti da grossisti riconosciuti […] Saranno indicate le quote di legna annuali assegnate e le aree autorizzate per il taglio». Indicazioni concrete, regole certe e visione d’insieme. Parole la cui attualità resta intatta oggi, di fronte alla minaccia globale data dai cambiamenti climatici.

L’alba del rivoluzionario.
Quell’uomo, capace di non distogliere mai lo sguardo da un orizzonte in cui vede la sua patria crescere in autonomia e benessere, dopo l’indipendenza da poco raggiunta, nel 1960, fa capire presto di che pasta è fatto. Thomas Sankara, nato il 21 dicembre 1949 e morto il 15 ottobre 1987, ha solo 11 anni quando la sua nazione si proclama indipendente: quel medesimo giorno, mentre si trova a scuola, brucia la bandiera francese e issa quella della sua nazione. Un atto profetico per lui che in seguito sarà l’artefice del cambiamento sia dei colori della bandiera, che del nome della sua terra. Fin da giovanissimo, Thomas capisce che rientra tra i fortunati che hanno avuto il privilegio di studiare, mentre oltre l’80% dei giovani del suo Paese rimane analfabeta. Grazie alla carriera militare, completa la sua formazione, frequentando l’accademia prima in Madagascar e poi a Parigi. Mentre ha il naso sui libri, tiene gli occhi ben aperti su quello che accade fuori.m Nell’isola le contestazioni e i moti studenteschi, appoggiati dai contadini contro il regime filo-francese, lo portano ad una visione di stampo socialista. Quando arriva a Parigi, vedendo lo sconvolgimento apportato dai movimenti studenteschi occidentali, capisce che bisogna liberare le menti degli africani dalla sudditanza culturale e psicologica occidentale: perché l’Occidente, di fatto, continua tranquillamente ad imporre le proprie direttive economiche.

Il coltello affilato.
È durante un corso di perfezionamento a Rabat, in Marocco, che conosce il suo migliore amico, Blaise Compaorè, con il quale in seguito combatte quella che Thomas definirà, «l’inutile guerra dei poveri» con il Mali, scoppiata nel 1974. Insieme deporranno il generale Jean-Baptiste Ouédraogo, iniziando di fatto, il 4 agosto, la rivoluzione che lo porterà alla presidenza della nazione. Thomas riconoscerà in Blaise prima un vero amico, poi un fratello. Blaise non ricambierà mai questo sentimento sincero, anzi. Forse per l’incapacità di stare all’ombra di una montagna troppo alta da scalare, sarà proprio lui a tradirlo e a vendere la vita del grande rivoluzionario ai giochi delle potenze occidentali, cui lui ha venduto l’anima per poter prendere il potere dopo la morte di Thomas e cancellare tutti i progressi che la rivoluzione sankarista aveva prodotto in quattro anni. Un vecchio detto senegalese dice: «Il coltello che ti uccide lo affila il tuo migliore amico».

Il presidente in bicicletta.
Il mondo sta da qualche anno riscoprendo la figura di questo grande leader africano. Thomas Isidore Noel Sankara suona il suo nome per intero. Un personaggio che ancora per molti rimane sconosciuto, soprattutto in Occidente, e che, non a torto, viene accostato ad Ernesto Guevara, tanto da esser definito il «Che Guevara africano». Tom Sank, come veniva chiamato in maniera più confidenziale dal suo popolo, era soprannominato anche il «presidente in bicicletta», per la consuetudine di muoversi con tale mezzo. Abituato a non tenere nulla per sé ma a investire ogni mezzo per il benessere del suo popolo. La penna del giornalista Sennen Andriamirado, del gruppo Jeune Afrique, racconta così «il compagno presidente» nelle pagine di Sankara il ribelle: «Tutte le domeniche mattina Thomas fa colazione nella casa di famiglia […] è lui che porta il necessario: caffè, latte, zucchero e pane». O, almeno, lo porta quando si ricorda di fare la spesa. In quell’attimo, allora, «fruga nelle tasche e si accorge di non avere denaro. Risalendo in cucina scopre che la dispensa di sua moglie Mariam è vuota. Sollecitate, le sue guardie del corpo non possono prestargli nulla. Sono al verde quanto il loro presidente. Thomas fa chiamare uno dei suoi alti funzionari, che gli presta 1000 Frs (4 euro di oggi, ndr)». Un frammento di quotidiano che dà la misura di un uomo normale e di un presidente eccezionale.

I fatti parlano.
Gli è mancato il tempo. È stato, anche se solo per quattro anni, una delle figure più carismatiche del secolo breve, alla stregua di Nelson Mandela, o appunto Ernesto Guevara, per la portata grandiosa e visionaria delle idee. Ha sfidato i potenti della terra mettendo in conto la sua fine. Ha dato tre pasti al giorno e cinque litri d’acqua a ogni abitante del suo Paese. Si è battuto per non pagare il debito alle potenze occidentali; è stato il primo a parlare di Aids in Africa e a prendere i dovuti provvedimenti; ha lanciato campagne di vaccinazione importantissime; ha ridotto il debito pubblico del Burkina Faso in maniera drastica: i ministri del suo governo andavano in giro in Renault 5, abolite le lussuose Mercedes. Si è battuto a tutti i livelli: contro l’infibulazione, i maltrattamenti, la violenza sulle donne. Contro gli sprechi. Tra i suoi più fieri oppositori, gli impiegati pubblici, cui ha decurtato lo stipendio: una minoranza (erano il 10% della popolazione) che assorbiva il 70% di tutte le risorse pubbliche, a fronte di un 85% formato da contadini, che quasi nulla ricevevano. Alla voce di questi ultimi Sankara ha aperto la radio nazionale, inventando un programma del mattino col microfono aperto, senza censure. Ha lottato contro la desertificazione, si è battuto affinché si consumassero prodotti solo del Burkina Faso (nuovo nome del Paese, che sostituisce il coloniale Alto Volta, dal 4 agosto del 1984, quando, in omaggio alle due lingue principali, recupera dal mooré la parola burkina, che significa integrità, e dal diula la parola faso, terra. I cittadini sono quindi i burkinabè, cioè donne e uomini integri.

32 anni dopo.
Sankara è morto con 150 dollari in banca, quattro biciclette e la casa da povero in cui era nato. Lui che è entrato nella storia, ma uscito dalla vita per mano del suo miglior amico, merita oggi di essere ricordato per quello che ha fatto, ma, soprattutto, per quello che poteva essere nei cuori di migliaia di giovani africani.

Stefano Ripert

Fonte: https://www.africarivista.it



Manifesto del partito sankarista, con il leader in primo piano.



Thomas Isidore Noël Sankara (1949 - 1987) è stato il Presidente del Burkina Faso. Rivoluzionario iconico e leader carismatico, nel 1983 cambiò i destini dell'Alto Volta. Ufficiale dell'esercito, prese il potere nel 1983 e a 34 anni si ritrovò a capo di un paese dilaniato dalla povertà. Un pezzo di terra con un solo corso fluviale e nessuno sbocco sul mare, in cui il deserto avanzava di sette chilometri all'anno mangiandosi i campi coltivati. Sankara rimase Presidente fino 1987, anno in cui fu trucidato. I mandanti? Verosimilmente Francia e Stati Uniti con la complicità del suo migliore amico nonché compagno d'armi, Blaise Campaoré, che prese poi il timone del paese.

Politica interna.
In un paese in cui ogni cinque bambini nati, uno non arrivava a compiere un anno, un tasso di alfabetizzazione del 2%, una speranza di vita limitata a 44 anni e un medico ogni 50.000 abitanti, Sankara compì un'impresa grandiosa: fece vaccinare contro il morbillo, la meningite e la febbre gialla il 60% dei bambini burkinabé, costruì nuove scuole, nuovi ospedali, promosse la formazione sanitaria dei capi villaggio obbligandoli a seguire corsi di pronto soccorso e fornì d'ufficio due pasti al giorno e dieci litri d'acqua a ciascun cittadino del suo paese. Attuò una riforma agraria attraverso la quale soppresse le imposte agricole, re-distribuì la terra ai contadini, formulò la riorganizzazione del lavoro nei campi unitamente a un programma di riforestazione. Creò un Ministero dell'acqua - risorsa quanto mai preziosa nel suo paese. «Il deserto ti insegnerà una verità» disse una volta un mercante del Sahara al giornalista Ryszard Kapuscinski «E cioè che esiste qualcosa che si può desiderare e amare più di una donna: l'acqua.» Sankara si batté per il miglioramento delle condizioni delle donne, le invitò a ribellarsi al maschilismo imperante, cercò di eradicare la prostituzione, abolì la poligamia, vietò l'infibulazione e fu tra i primi a denunciare la piaga dell'AIDS. Combatté la corruzione e ridusse i privilegi di politici e militari (sostituendo ad esempio le Mercedes in dotazione ai ministri, con le più economiche Renault 5). Inoltre, si decurtò lo stipendio per non gravare sulle casse dello Stato. Fu il Presidente più povero del mondo, proprietario di una Renault 5, una bicicletta, una moto, qualche libro, due chitarre e un appartamento gravato da un mutuo che non finì mai di pagare.

Politica estera.
Sostenitore del Panafricanismo e idealista convinto, nel 1984 cambiò il nome del suo paese da Alto Volta in Burkina Faso ("paese degli uomini integri"). Ispirò la sua politica a Che Guevara e promosse una rivoluzione in nome dell'ideologia antimperialista, nell'ottica della quale cercò di convincere (senza successo) gli altri Capi di Stato africani a rifiutarsi di saldare il debito nei confronti di Stati Uniti e  potenze europee. «Siete voi ad avere ancora debiti nei nostri confronti, tutto il sangue preso all'Africa!» sentenziò durante un accalorato discorso rivolgendosi ai paesi occidentali. Sankara propose l'espulsione del Sudafrica dalle Nazioni Unite a causa della detenzione in carcere di Nelson Mandela, nonché la sospensione di Israele. Costruì la Ferrovia del Sahel, che collega a tutt'oggi il Burkina Faso e il Niger. Rifiutò polemicamente gli aiuti internazionali e le proposte avanzate dal Fondo Monetario Internazionale. L'autosufficienza alimentare del suo paese fu uno dei suoi progetti più ambiziosi che cercò di attuare attraverso politiche protezionistiche. Fu dall'integrità morale che Sankara cominciò per tagliare i ponti con un passato di soprusi e un presente avvilente. A dimostrazione di quell'integrità, rifiutò in dono un aereo presidenziale. Incorruttibile fino al midollo, non si accattivò ovviamente la simpatia dei paesi occidentali (in particolare degli Stati Uniti - i signori dell'imperialismo - e della Francia che dopo lo decolonizzazione dell'Alto Volta non volle cessare di spremerne i frutti), né tantomeno di alcuni gruppi di potere come i sindacati e i proprietari terrieri burkinabé. Che facevano in quegli anni gli altri Presidenti africani? Ebbene, si godevano l'indipendenza, trincerati in lussuose ville, lontani dai bisogni del loro popolo. Il Burkina Faso rappresentava un esempio scomodo per le altre nazioni del continente, governate da élite corrotte prostrate ai dictat delle banche internazionali. Sankara, con la sua indisciplina, non poteva essere tollerato perché era la voce dell'Africa che urlava e denunciava.

All'incontro dell'Organizzazione dell'Unione Africana, nel luglio 1987, fece traboccare il vaso con una goccia instillata in modo plateale, un discorso memorabile che resterà nella storia, pronunciato dinnanzi agli altri Presidenti africani:
«Il debito si analizza dapprima in base alla sua origine. Le origini del debito rimontano alle origini del colonialismo. Quelli che ci hanno prestato dei soldi, sono loro che ci hanno colonizzato. Sono gli stessi che hanno dato origine ai nostri Stati e alle nostre economie. Il debito è ancora neo-colonialismo, dove i colonialisti si sono trasformati in assistenti tecnici (in pratica, dovremmo dire «assassini tecnici»). E sono loro che ci hanno proposto delle fonti di finanziamento. Ci hanno presentato dei dossier e dei prospetti finanziari allettanti. Noi ci siamo indebitati per cinquanta, sessanta anni e anche di più. Vale a dire che ci hanno portato a danneggiare i nostri popoli per cinquanta e più anni. Il debito, nella sua forma attuale, è una riconquista, sapientemente organizzata, dell'Africa, affinché la sua crescita e il suo sviluppo obbedissero a dei paletti, a delle norme che ci sono totalmente straniere. Facendo in modo che ciascuno di noi diventi lo schiavo finanziario, vale a dire lo schiavo tout court, di quelli che hanno avuto l'opportunità, la capacità di ingannare, la furberia di piazzare dei fondi da noi con l'obbligo di rimborsarli. Noi non possiamo rimborsare il debito, perché non abbiamo con che pagare. Non possiamo pagare il debito, perché, al contrario, gli altri che ci devono le più grandi ricchezze non potranno mai ripagarle, sto parlando del debito del sangue. Quando diciamo che il debito non sarà pagato, non è affatto che  noi siamo contro la morale, la dignità, il rispetto della parola. È perché riteniamo che non abbiamo la stessa morale degli altri. Tra il ricco e il povero, non c'è la stessa morale. La Bibbia e il Corano non possono servire allo stesso modo chi sfrutta il popolo e chi è sfruttato: ci vorrebbero due edizioni della Bibbia e due del Corano. Vorrei che la nostra conferenza evidenziasse la necessità di dire chiaramente che non possiamo pagare il debito. Dobbiamo dirlo tutti assieme, per evitare che dicendolo individualmente, finiremmo per farci assassinare. Se il Burkina Faso rifiuta da solo di pagare il suo debito, io non sarò qui alla prossima conferenza. Ed evitando di pagare potremo utilizzare le nostre scarse risorse per il nostro sviluppo. Quello che sarà risparmiato andrà allo sviluppo: In particolare eviteremo di indebitarci per poi acquistare armi, perché ogni volta che un paese africano acquista armi, non può non farlo che contro un altro paese africano. E potremo ugualmente utilizzare le nostre immense potenzialità per sviluppare l'Africa, perché il nostro suolo e il nostro sottosuolo sono ricchi. Abbiamo abbastanza braccia, abbiamo un mercato immenso da nord a sud e da est a ovest. Abbiamo sufficienti capacità intellettuali per creare e prendere la tecnologia e la scienza ovunque possiamo trovarle. Facciamo sì inoltre che il mercato africano sia davvero il mercato degli africani. Produrre in Africa, trasformare in Africa, consumare in Africa. Produciamo ciò di cui abbiamo bisogno e consumiamo quel che produciamo invece di importarlo. La mia delegazione e io stesso, siamo vestiti dai nostri tessitori, dai nostri contadini. Non c'è un solo filo che venga dall'Europa o dall'America.».

Nel contesto del suo intervento, Sankara profetizzò: «Se il Burkina Faso si rifiuta da solo di pagare il debito, io non sarò presente al prossimo congresso». E infatti poco dopo fu ucciso. Qualche settimana fa, il nuovo Presidente del Burkina Faso ha concesso l'autorizzazione affinché la salma del "Che Guevara d'Africa" venga riesumata. Con la deposizione di Blaise Compaoré sarà finalmente possibile far luce sulla sua morte misteriosa, che l'autopsia effettuata nel 1987 imputò ignobilmente a cause naturali. L'esito dei riscontri forse chiarirà la dinamica del decesso ma non incastrerà certo i colpevoli. Ora facciamo un passo indietro. Torniamo a quello che dei discorsi di Sankara è rimasto profondamente inciso nella memoria collettiva, quello che - devo ammettere - mi ha strappato qualche lacrima di commozione. Parole forti, fortissime, taglienti, ancora attuali. Le parole di un'Africa "pulita", di uomini, donne e bambini che si rifiutano di morire di ignoranza, di fame e si sete.

Un estratto.
New York, 4 ottobre 1984, 39a sessione dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite:
«Presidente, Segretario generale, onorevoli rappresentanti della comunità internazionale. Vi porto i saluti fraterni di un paese di 274.000 chilometri quadrati in cui sette milioni di bambini, donne e uomini si rifiutano di morire di ignoranza, di fame e di sete, non riuscendo più a vivere nonostante abbiano alle spalle un quarto di secolo di esistenza come stato sovrano rappresentato alle Nazioni Unite. Sono davanti a voi in nome di un popolo che ha deciso, sul suolo dei propri antenati, di affermare, d'ora in avanti, se stesso e farsi carico della propria storia - negli aspetti positivi quanto in quelli negativi - senza la minima esitazione. Sono qui, infine, su mandato del Consiglio nazionale della rivoluzione (Cnr) del Burkina Faso, per esprimere il suo punto di vista sui problemi iscritti all'ordine del giorno, che costituiscono una tragica ragnatela di eventi che scuotono dolorosamente le fondamenta del nostro mondo alla fine di questo millennio. Un mondo dove l'umanità è trasformata in circo, lacerata da lotte fra i grandi e i meno grandi, attaccata da bande armate e sottoposta a violenze e saccheggi. Un mondo dove le nazioni agiscono sottraendosi alla giurisdizione internazionale, armando gruppi di banditi che vivono di ruberie e di altri sordidi traffici. Non pretendo qui di affermare dottrine. Non sono un messia né un profeta; non posseggo verità. I miei obiettivi sono due: in primo luogo, parlare in nome del mio popolo, il popolo del Burkina Faso, con parole semplici, con il linguaggio dei fatti e della chiarezza; e poi, arrivare ad esprimere, a modo mio, la parola del "grande popolo dei diseredati", di coloro che appartengono a quel mondo che viene sprezzantemente chiamato Terzo mondo. E dire, anche se non riesco a farle comprendere, le ragioni della nostra rivolta. È chiaro il nostro interesse per le Nazioni Unite, ed è nostro diritto essere qui con il vigore e il rigore derivanti dalla chiara consapevolezza dei nostri compiti. Nessuno sarà sorpreso di vederci associare l'ex Alto Volta - oggi Burkina Faso - con questo insieme così denigrato che viene chiamato Terzo mondo, una parola inventata dal resto del mondo al momento dell'indipendenza formale per assicurarsi meglio l'alienazione sulla nostra vita intellettuale, culturale, economica e politica. Noi vogliamo inserirci nel mondo senza giustificare comunque questo inganno della storia, né accettiamo lo status di "entroterra del sazio Occidente". Affermiamo la nostra consapevolezza di appartenere a un insieme tricontinentale, ci riconosciamo come paese non allineato e siamo profondamente convinti che una solidarietà speciale unisca i tre continenti, Asia, America Latina ed Africa in una lotta contro gli stessi banditi politici e gli stessi sfruttatori economici. Riconoscendoci parte del Terzo mondo vuol dire, parafrasando José Martí, "affermare che sentiamo sulla nostra guancia ogni schiaffo inflitto contro ciascun essere umano ovunque nel mondo". Finora abbiamo porto l'altra guancia, gli schiaffi sono stati raddoppiati. Ma il cuore del cattivo non si è ammorbidito. Hanno calpestato le verità del giusto. Hanno tradito la parola di Cristo e trasformato la sua croce in mazza. Si sono rivestiti della sua tunica e poi hanno fatto a pezzi i nostri corpi e le nostre anime. Hanno oscurato il suo messaggio. L'hanno occidentalizzato, mentre per noi aveva un significato di liberazione universale. Ebbene, i nostri occhi si sono aperti alla lotta di classe, non riceveremo più schiaffi. Non c'è salvezza per il nostro popolo se non voltiamo completamente le spalle a tutti i modelli che ciarlatani di tutti i tipi hanno cercato di venderci per vent'anni. Non ci sarà salvezza per noi al di fuori da questo rifiuto, né sviluppo fuori da una tale rottura. Tutti quei nuovi "intellettuali" emersi dal loro sonno - risvegliati dalla sollevazione di miliardi di uomini coperti di stracci, atterriti dalla minaccia di questa moltitudine guidata dalla fame che pesa sulla loro digestione - iniziano a riscrivere i propri discorsi, e ancora una volta ansiosamente cercano concetti miracolosi e nuove forme di sviluppo per i nostri paesi. Basta leggere i numerosi atti di innumerevoli forum e seminari per rendersene conto. Non voglio certo ridicolizzare i pazienti sforzi di intellettuali onesti che, avendo gli occhi per vedere, scoprono le terribili conseguenze delle devastazioni che ci hanno imposto i cosiddetti "specialisti" dello sviluppo del Terzo mondo. Il mio timore è che i frutti di tanta energia siano confiscati dai Prospero di tutti i tipi che - con un giro della loro bacchetta magica - ci rimandano in un mondo di schiavitù in abiti moderni. Questo mio timore è tanto più giustificato in quanto l'istruita piccola borghesia africana - se non quella di tutto il Terzo mondo - non è pronta a lasciare i propri privilegi, per pigrizia intellettuale o semplicemente perché ha assaggiato lo stile di vita occidentale. Così, questi nostri piccolo borghesi dimenticano che ogni vera lotta politica richiede un rigoroso dibattito, e rifiutano lo sforzo intellettuale per inventare concetti nuovi che siano all'altezza degli assalti assassini che ci attendono. Consumatori passivi e patetici, essi sguazzano nella terminologia che l'Occidente ha reso un feticcio, proprio come sguazzano nel whisky e nello champagne occidentali in salotti dalle luci soffuse. ...».

Il postcolonialismo.
Il postcolonialismo ha costituito un'eredità pesante per l'Africa. Da una parte, la cerchia ristretta della borghesia africana non volle abbandonare i suoi privilegi (e questo andò a discapito di un processo di democratizzazione del continente). Dall'altra, l'Africa si trovò divisa in nazioni le cui classi politiche, per incapacità o per interesse, non riuscirono a governare (se non in qualche caso). Non ultimo, in seguito alle varie indipendenze, molti conflitti etnici si esacerbarono impedendo di fatto una coesione nazionale e un sentimento di unità. Le nuove nazioni postcoloniali ("una cinquantina rispetto a più di 10.000 staterelli, regni, gruppi etnici e federazioni del periodo precoloniale", The African Experience - Roland Oliver), che si formarono intorno agli anni sessanta, si ressero su basi deboli che pregiudicarono le più basilari funzioni di governo negando uno sviluppo quanto mai necessario e potenzialmente possibile (considerate le risorse del continente e gli aiuti ricevuti). Taluni Stati si dimostrarono incapaci e impreparati nella gestione dei loro governi. In parallelo, le élite africane si occuparono di consolidare potere e ricchezza con ogni mezzo, inclusa la complicità con i poteri occidentali. Un altro elemento all'ostacolo allo sviluppo fu il fattore umano ovvero la perdita di autostima che il colonialismo instillò nei neri. Certamente nell'Africa post-coloniale vi furono Presidenti "buoni" e Presidenti "cattivi". Premettendo che la distinzione è del tutto personale, e qualcuno potrebbe non trovarsi d'accordo, tra i primi, a parte Thomas Sankara, si potrebbe annoverare Barthélémy Boganda, il padre della Repubblica Centrafricana (assassinato per le sue idee panafricaniste); Patrice Lumumba (assassinato con la complicità di Belgio e Stati Uniti perché considerato una minaccia in grado di coinvolgere Mosca nella sua politica); Sekou Touré della Guinea (che morì nella cella di una prigione); Nyerere, il primo Presidente del Tanganica (che abbandonò democraticamente la sua carica alla scadenza del mandato). Tra i secondi, Robert Mugabe, a capo dell'attuale Zimbabwe (che si trasformò da padre a padrone per il suo paese); Kenyatta, Presidente del Kenya, che instaurò un autoritarismo politico responsabile di vari assassinii e favorì al potere i Kikuyu, la sua gente; Houphouet-Boigny, a capo della Costa d'Avorio, il dittatore delle contraddizioni che avrebbe preferito all'indipendenza del suo paese, l'emancipazione sotto la tutela della Francia colonizzatrice; Mobutu (che rovesciò con il sostegno di Washington il successore di Lumumba), divenuto famoso per corruzione, nepotismo, violazione dei diritti umani e l'accumulo di una enorme ricchezza sottratta al suo popolo; Bokassa, il secondo Presidente della Repubblica Centrafricana, sostenuto dalla Francia, processato poi per alto tradimento, assassinio, appropriazione indebita e cannibalismo (unico reato dal quale fu scagionato, malgrado prove e testimonianze); Idi Amin Dada, il secondo presidente dell'Uganda, paragonabile per la sua brutalità soltanto a Bokassa, che condusse il paese perseguendo una politica a dir poco criminale.

Fonte: https://www.letturefantastiche.com



Il simbolismo dello stemma del Burkina Faso ai tempi di Sankara esprime bene due delle sue finalità principali: rivoluzione e autosufficienza alimentare.



A volte arriva. Ci mette tempo, compie giri tortuosi, rischiando di perdersi o di esser bloccata. Ma alla fine, a volte, la giustizia arriva. Magari parziale, zoppa, ma arriva. È del 13 aprile la notizia che un tribunale militare burkinabè processerà l’ex presidente Blaise Compaoré per l’assassinio del suo predecessore, Thomas Sankara, il “Che Guevara africano”. Il caso è stato deferito al tribunale militare di Ouagadougou dopo la conferma delle accuse contro Compaoré e altri tredici imputati, trentaquattro anni dopo la morte del “padre” della rivoluzione burkinabé. Compaoré è accusato di attacco alla sicurezza dello Stato, complicità in omicidio e complicità in occultamento di cadavere. Tra gli accusati, anche il generale Gilbert Diendéré, che durante il colpo di Stato del 1987 che costò la vita a Sankara era uno dei principali capi dell’esercito e che divenne poi capo di Stato maggiore con la presidenza Compaoré. Se Diendéré sta già scontando una condanna a vent’anni di prigione per il tentato colpo di Stato del 2015, Blaise Compaoré si trova invece in esilio in Costa d’Avorio da quando, nel 2014, fu costretto a lasciare il potere, dopo giorni di oceaniche manifestazioni di piazza contro il suo tentativo di modificare la Costituzione per estendere il suo dominio. Ovviamente è presto per cantare vittoria, non c’è nemmeno ancora una data per il processo, ma questo è uno di quei casi in cui già arrivare a un dibattimento è un successo: è stato impensabile per ventisette anni. Gli anni della presidenza di Compaoré, braccio destro di Sankara durante la sua rivoluzionaria presidenza, che prese parte attiva nel golpe che portò alla morte di Sankara, ne prese il posto e “normalizzò” in breve tempo l’anomalia burkinabé. Cercò in tutti i modi di cancellare la memoria e l’eredità del suo predecessore. Senza riuscirci. Erano bastati quattro anni al “Che africano” per imprimere nelle coscienze dei burkinabé e degli africani tutti la consapevolezza che se si vuole, si può. Si può cambiare, si può dire dei no, si può parlare con parresia, si può produrre in loco, si può garantire istruzione gratuita, si può combattere la corruzione, si può vivere – anche da presidente – in una casetta umile, si può viaggiare in seconda classe… Si può sognare di lasciare ai propri figli un mondo migliore. Un sogno miseramente infranto dalla meschinità di un compagno di viaggio rivelatosi un traditore. E un venduto: dietro Compaoré, l’ombra di interessi occidentali, francesi e statunitensi. Il modello Sankara era sovversivo, faceva paura. Lo raccontava bene Silvestro Montanaro in una delle puntate del suo C’era una volta: nel 2013 andò in Burkina Faso e Liberia, incontrò le persone coinvolte direttamente nell’uccisione di Sankara e ne trasse il documentario “E quel giorno uccisero la felicità”. Con il suo linguaggio un pochino ridondante, Montanaro era però riuscito a costruire un quadro netto delle complicità occidentali dietro l’assassinio dell’uomo che aveva osato opporsi al predominio della finanza occidentale in Africa, che aveva osato invitare tutti i paesi a ribellarsi al pagamento del debito, da lui ritenuto non solo ingiusto, ma addirittura uno strumento diabolico neocoloniale per strozzare i neo-indipendenti paesi del continente, in cerca di identità e indipendenza dopo secoli di sfruttamento. Secondo i testimoni diretti di quel giorno, incontrati da Montanaro, sarebbe stato Compaoré in persona a sparare a Sankara. Ora, a distanza di 34 anni, Compaoré andrà a processo. E speriamo che durante il dibattimento non ci si fermi alle sue già gravissime responsabilità, ma si risalga tutta la catena di comando, fino ai mandanti occulti. Lo si deve a Sankara. Al suo popolo. All’Africa tutta, che ha perso un grande leader e lo slancio a rialzare la testa. E lo si auspica anche come monito per tutti: verità e giustizia, prima o poi, arrivano.

Fonte: https://www.ilfattoquotidiano.it

 



“Vogliamo essere gli eredi di tutte le  rivoluzioni del mondo e di tutte le lotte di liberazione dei popoli del Terzo Mondo”.

Quella che mi accingo a raccontarvi è, prima di tutto, la storia di un uomo, ma è anche la storia di un sogno. Il sogno di una nazione libera, di un popolo libero, ma libero davvero e non solo sulla carta. “Un popolo che ha fame e sete non sarà mai un popolo libero!” diceva Sankara per esemplificare il concetto.

Premetto, inoltre, che questa sarà una trattazione di parte. Non tenterò di essere distaccato e fintamente obiettivo. Thomas Sankara mi ha affascinato sin dal primo momento che ho sentito parlare di lui. Sappiate che le parole che seguono sono mediate da questa ammirazione per l’uomo, il politico e la sua storia. Le parti evidenziate in grassetto sono citazioni tratte da discorsi o interviste di Sankara. Spero che la lettura di queste righe vi stimoli la voglia di approfondire la conoscenza di quest’uomo. A questo scopo alle fine dello scritto troverete qualche suggerimento.

La storia di Thomas Sankara potrebbe essere liquidata in modo superficiale con poche, vaghe parole: “Nel 1983 in Burkina Faso Thomas Sankara, un giovane capitano dell’esercito, sale al potere dopo l’ennesimo di una lunga serie di colpi di stato. Vi rimarrà sino al 1987, anno del suo assassinio da parte di alcuni suoi compagni di governo”.

Parole queste che, pur contenendo qualche grossolana imprecisione, risultano pressoché corrette, ma che non bastano a restituirci la storia di un testimone così importante per l’Africa contemporanea.

Il percorso umano ed ideale di Thomas Sankara è complesso e sfaccettato come lo è quello di ciascun essere umano; mentre quello politico è, a mio parere, di difficile comprensione per chiunque cerchi di interpretarlo attraverso strumenti culturali tipicamente europei.

Vale la pena sottolinearlo: il pensiero politico-culturale europeo non è l’unico esistente al mondo e non è detto che sia applicabile per la comprensione di ogni accadimento mondiale.

Vale dunque la pena leggere in maniera più approfondita le parole sopra scritte. Si incomincia con la seguente macroscopica imprecisione: “Nel 1983 in Burkina Faso...” Se, nel 1983, avessimo aperto un qualsiasi atlante geografico non vi avremmo trovato traccia del Burkina Faso. Nessun errore: il Burkina Faso, nel 1983, non esisteva! Avreste trovato, sopra la Costa d’Avorio, lo stesso territorio ma un’altro nome: Alto Volta, un’ex-colonia francese indipendente dal 1960, il cui nome coloniale rimanda all’alto corso del fiume Volta.

Il 4 agosto 1984 Sankara, ed il governo da lui presieduto, ribattezzeranno il Paese Burkina Faso, nome che, nell’intreccio delle due lingue più parlate del Paese, potremmo tradurre come Paese degli uomini integri (nel senso morale del termine).

“...dopo l’ennesimo di una lunga serie di colpi di stato...”

Come già scritto l’Alto Volta raggiunge l’indipendenza dalla Francia nel 1960 (il 5 agosto). Ne diviene primo presidente Maurice Yaméogo, il leader dell’Unione Democratica Voltaica. Rimarrà alla guida del Paese per poco più di cinque anni. Nei primi giorni del 1966 un colpo di stato militare porta al potere il tenente colonnello Sangoulé Lamizana (ex-generale delle truppe coloniali francesi). Rimarrà al potere fino al 1980, deposto anch’egli da un colpo di stato militare guidato dal colonnello Saye Zerbo.

“Colpo di stato” non suona bene alle nostre orecchie europee. “Colpo di stato militare” ancora meno. Personalmente mi fa pensare ai vari golpe che hanno portato a sanguinarie dittature militari in America Latina negli anni ’60 e ’70; alla marcia su Roma; a Francisco Franco in Spagna; alla rivolta militare contro Gorbaciov nel ’91; al tentativo di imprigionare Chavez e di sostituirlo alla presidenza del Venezuela nel 2002.

Alle nostre orecchie europee non può suonare bene “Colpo di stato” anche in caso di situazioni meno fascisteggianti di quelle sopra elencate. Non può suonare bene perché "Colpo di stato" significa rimozione di un governo (qualunque esso sia) con l’utilizzo di vie di forza, violente o meno, ma comunque non democratiche e la sua sostituzione con un nuovo governo nominato, e spesso e volentieri formato, da chi ha guidato l’azione di forza.

Qualche volta ad azioni di questo genere diamo un nome differente: rivoluzione. Parola con un suono solitamente più dolce alle nostre orecchie poiché sottende, almeno idealmente, una lotta contro forme di oppressione e disuguaglianza.

La fine, almeno formale, della colonizzazione in Alto Volta, come altrove in Africa, lascia un Paese privo di classe dirigente e dalla struttura socio-politica tutta da costruire seguendo – credo sia giusto sottolinearlo – strumenti tipicamente europei: dall’idea stessa di democrazia nelle sue varie declinazioni alla struttura del governo, ai diritti e doveri delle persone all’interno della società, all’esistenza di strutture che ben poco hanno a che spartire con l’organizzazione africana della vita comune. Fra queste ultime, una ricoprirà tuttavia un ruolo di primo piano nelle vicende del paese: il Sindacato, rimasto unico tipo di opposizione dopo che Yaméogo, subito dopo l’indipendenza, aveva messo fuori legge i partiti d’opposizione.

Val la pena ricordare che l’Alto Volta era uno dei Paesi più poveri del mondo sia sulla carta, a guardare le statistiche internazionali, sia nella realtà. “Un Paese di sette milioni di abitanti, più di sei milioni dei quali sono contadini; un tasso di mortalità infantile stimato al 180 per mille e un tasso di analfabetismo del 98%, se definiamo alfabetizzato chi sa leggere, scrivere e parlare una lingua; un’aspettativa di vita media di soli 40 anni; un medico ogni 50.000 abitanti; un tasso di frequenza scolastica del 16%”.

La povertà estrema delle zone rurali, l’impoverimento dei dipendenti pubblici (parte minimalissima della popolazione, ma vero perno delle organizzazioni sindacali), l’economia in mano ai poteri neocoloniali, la corruzione dilagante, le lotte per accaparrarsi scampoli di potere e altre concause determinarono l’instabile situazione politico-istituzionale dei primi anni ottanta.

Nel 1981 Saye Zerbo nomina segretario di stato per l’informazione Thomas Sankara. E’ un giovane Capitano dell’esercito (32 anni all’epoca). Eroe suo malgrado per essere stato comandante vittorioso in alcune battaglie della guerra che Alto Volta e Mali combatterono, nel 1974, per il controllo di un pezzo di terra di confine, la Striscia di Agocher. “Io contesto la necessità politica ed umana di questa guerra”; “Se dobbiamo combattere, facciamolo, coscientemente e per volontà comune, per sopprimere le frontiere tra due popoli uniti da tutto e non per rafforzarle”.

Alla prima riunione del consiglio dei ministri cui partecipa, Sankara si presenta in bicicletta. E’ uno dei tanti, piccoli gesti quotidianamente eclatanti che spiegheranno più di mille parole la sua Politica e che lo renderanno famoso anche fuori dal Paese di cui, un paio d’anni dopo, diverrà presidente.

Nel maggio 1982 si dimette dall’incarico, in disaccordo con la politica del governo. Fra le cause delle dimissioni: lo scioglimento del principale sindacato del Paese e l’arresto del suo segretario, la sparizione del denaro che la cooperazione olandese aveva versato per la costruzione della diga di Korsimoro e la distribuzione fra i ministri, i funzionari di governo ed i loro parenti di un convoglio di aiuti umanitari desinati alla popolazione.

“Non posso contribuire a servire gli interessi di una minoranza” disse in televisione per motivare le sue dimissioni.

Si dimettono con lui dal governo altri due giovani sottufficiali Herni Zongo e Blaise Compaoré, amici di Sankara da lungo tempo. Tutti e tre sono arrestati e chiusi in prigione.

Ma chi sono questi giovani sottufficiali?

Sankara, Zongo e Compaoré sono i leader carismatici di una parte dell’esercito. Esercito piccolo (6000 uomini) ma influente, come abbiamo visto, sulla vita politica del Paese.

Thomas Sankara nasce quando ancora l’Alto Volta è una colonia francese, il 21 dicembre 1949, terzo di dieci fratelli. La madre Marguerite è di stirpe Mossi, il padre Joseph, di etnia Puel, era stato soldato dell’esercito coloniale francese. “Metà dei bambini nati nel mio stesso anno sono morti entro i primi tre mesi di vita. Io ho avuto la fortuna di sfuggire alla morte e di non cadere vittima di nessuna di quelle malattie che quell’anno fecero più vittime di quanti fossero i nati. Sono stato poi uno dei sedici bambini su cento che hanno potuto andare a scuola, altro enorme colpo di fortuna.”

Il giorno dell’Indipendenza del Paese, nella scuola frequentata da Sankara nasce uno scontro fra gli studenti voltaici e quelli francesi dopo che alcuni di questi ultimi hanno bruciato la bandiera voltaica che aveva sostituito quella francese, solitamente esposta nel cortile. La polizia coloniale individua nel giovane Thomas (11 anni) l’ispiratore della risposta all’offesa subita (anche se probabilmente la polizia la definì rivolta, o sommossa, o chissà come). Il padre di Sankara finisce in galera per espiare le “colpe” del figlio. Non era la prima volta né sarà l’ultima viso che la vita di Sankara bambino è costellata di altre piccole storie di ribellione contro ogni genere di sfruttamento e prevaricazione.

Nei primi anni dell’indipendenza l’ex-colonia francese, ora stato sovrano, ha bisogno di formare ufficiali per il suo nuovo esercito. A 17 anni Sankara entra alla scuola militare preparatoria, anche perché chi, come lui, è figlio di una famiglia povera non ha altro modo di proseguire gli studi. Completerà la sua preparazione militare in giro per l’Africa e poi in Francia. Ed in questo spostarsi da una caserma all’altra viene a contatto con alcuni movimenti di miliari nazionalisti che stanno, in quegli anni, nascendo in alcuni Paesi africani.

“Militare” è un’altra parola che per il nostro orecchio europeo ha un suono contrastante. Per alcuni è una parola che evoca profondi aspetti positivi, per altri meno. Comunque “Militare” richiama l’utilizzo delle armi e della violenza, qualcosa dunque di potenzialmente non democratico (ed anche su quest’ultimo aggettivo ci sarebbe da discutere un bel po’). Per quel che riguarda la formazione dei militari ed il loro ruolo nella società Sankara, che militare era, disse che “Un militare senza formazione politica non è che un potenziale criminale”.

Sarà una rivolta dei sottufficiali dell’esercito (la prima ad aver successo nella storia africana) a rovesciare il governo di Saye Zerbo, a liberare Sankara, Zongo e Compaoré ed a nominare Jean Baptiste Ouédraogo (sottufficiale anch’esso ma anche dottore pediatra) presidente e lo stesso Sankara capo del governo.

“Forza di carattere, coraggio, dedizione al lavoro, probità e onestà” dovranno essere le caratteristiche dei suoi ministri, annuncia nel discorso d’insediamento.

Elenco qui di seguito alcune delle decisioni prese dal nuovo governo. Decisioni che forse faranno sorridere (o preoccupare) chi le leggerà quassù oltre il Mediterraneo, ma che a mio parere riassumono l’idea che si governa anche attraverso l’esempio degli stessi governanti.

Riduzione dello stipendio dei militari e dei funzionari pubblici. Denuncie pubbliche (via radio) dei funzionari statali scoperti a far altro durante l’orario di lavoro. Ministri e dirigenti che rispondono (sempre via radio) alle domande dei cittadini. Adesione, per quel che riguarda la politica internazionale, al gruppo dei Paesi non allineati.

Ma anche questo governo non durerà: dall’insediamento di Sankara come primo ministro (1/2/83) al colpo di stato (anch’esso, sempre, militare) che lo destituisce (17/5/83) passano poco più di tre mesi.

Sankara è di nuovo in prigione, con lui Zongo e Lingani, altro giovane sottufficiale che aveva guidato la rivolta precedente. Compaoré riesce, invece, a fuggire ed a rifugiarsi a Pô, cittadina in cui si trova la caserma dei paracadutisti. Compaoré ne è il comandante da quando ha sostituito in quel ruolo lo stesso Sankara al tempo del suo primo incarico nel governo di Saye Zerbo, due anni prima.

Ci si potrebbe sbizzarrire studiando questo ultimo colpo di stato (il terzo in quattro anni, il quarto in 23 anni di indipendenza). Non lo faremo. Ci soffermeremo solamente a ricordare alcuni fatti dalla cronaca di quei giorni e a porci qualche domanda.

Fatto uno. Due settimane prima del colpo di stato il presidente libico Gheddafi atterra ad Ouagadougou (la capitale dell’Alto Volta) per una visita a sorpresa al primo ministro Sankara

Fatto due. Il governo Sankara aveva da subito stretto rapporti diplomatici con la Libia e ne aveva ricavato, fra l’altro, 30.000 tonnellate di cemento e la promessa di un prestito di 3 miliardi e mezzo di franchi cfa.

Fatto tre. Nei giorni precedenti il colpo di stato, ai confini meridionali dell’Alto Volta si erano svolte manovre militari congiunte dell’esercito del Togo e di truppe francesi di stanza nella regione.

Fatto quattro. Il giorno del colpo di stato è presente a Ouagadougou Guy Penne, consigliere per gli affari africani dell’allora presidente francese Francoise Mitterandt. Si tratta di uno degli uomini più influenti per quel che riguarda lo scacchiere geopolitico africano di quegli anni, tanto da meritarsi l’appellativo di Monsieur Afrique.

Domanda uno. E’ possibile che avvenga un colpo di stato sotto gli occhi di una tale autorità, senza che questi ne sappia nulla anticipatamente?

Fatto cinque. La Francia sta combattendo in Ciad una dura guerra che la vede, al fianco delle truppe ciadiane, contrapposta alla Libia

Fatto sei. I governi precedenti quello di Sankara avevano sempre appoggiato la Francia ed i suoi alleati nella regione.

Fatto sette. Pochi giorni dopo il colpo di stato il governo francese concorda col nuovo governo dell’Alto Volta, presieduto dal capo di stato maggiore dell’esercito il colonnello Yorian Gabriel Somé, un prestito di 21 miliardi di franchi cfa.

Domanda due. Cosa mai avrebbe avuto da guadagnarci la Francia dalla rimozione del governo Sankara?

E qui dovrei domandarmi io: cosa dico quando dico Francia? Quali erano e di chi erano gli interessi che potevano essere messi a repentaglio dal neonato governo di un piccolo e poverissimo Paese dell’Africa nera?

E chi, in Alto Volta, aveva tornaconto a che il governo ed il progetto politico del giovane capitano Sankara e dei suoi fosse definitivamente accantonato?

Mi piace pensare, con un esercizio che non ha niente di storico ed è tutto legato alla mia fantasia, che lo stesso Sankara avrebbe risposto che questo interesse, in Alto Volta come nel resto del mondo, sta in tutti coloro che sono privilegiati. In quelli che vivono per il proprio tornaconto parassitando il bene comune, costringendo alla miseria, e dunque alla morte, altri esseri umani.

“Crediamo che il mondo sia diviso in due classi antagoniste: gli sfruttati e gli sfruttatori”; “Non possiamo esimerci dalla ricerca ad oltranza della giustizia sociale”.

Confronta le parole di Sankara con quelle di don Milani.

Sankara non rimarrà per molto in carcere. Ouédraogo – rimasto presidente – lo rimette in libertà dopo grandi manifestazioni di piazza animate soprattutto dai più poveri, i diseredati che hanno eletto quel giovane capitano dall’aria onesta e dal parlare diretto loro speranza per una vita più degna.

Che cosa sarà passato per la testa di Sankara nelle settimane che seguirono la sua scarcerazione? Forse è solo un esercizio romanzesco chiederselo, ma mi piace farlo. Avrà pensato, anche solo per un momento, di poter diventare presidente dell’Alto Volta? Avrà pensato, anche solo per un momento, di poter mettere in pratica le sue idee di rivoluzione trasformandole in leggi e disegni politici? O avrà, forse, pensato che tutto sarebbe finito di lì a poco? Che lì sarebbero finiti i suoi sogni, i desideri di riscatto un popolo e forse anche la sua vita, dato che l’omicidio di avversari politici non è pratica rara in momenti concitati della storia delle nazioni.

Noi sappiamo come continuò questa storia. Sappiamo che Compaoré tornò ad Ouagadougou alla testa dei paracadutisti di Pô e mise a segno “l’ennesimo” colpo di stato portando al potere il gruppo di sottufficiali capeggiato da Sankara, che fu nominato presidente.

Era il 4 agosto 1983: iniziava la rivoluzione burkinabé.

“Noi siamo quello che siamo, cioè un regime che si consacra anima e corpo al benessere del proprio popolo. Chiamate ciò come volete, ma sappiate che non abbiamo bisogno di etichette. La nostra è una rivoluzione autentica, diversa dagli schemi classici”.

Sankara ed i suoi si definirono rivoluzionari in quanto miravano ad un cambiamento radicale della società. Una società che non avrebbe più visto sfruttati e sfruttatori, ma che avrebbe dovuto vedere la felicità per tutti i suoi componenti. Perché la felicità, che è un bene comune, o è di tutti o non è di nessuno. E fu nell’attuazione politica di quest’idea che Sankara diede, probabilmente, il meglio di sé, dimostrandosi politico capace e ricco di idee.

Quando dice felicità Sankara intende qualcosa di molto concreto. Intende poter mangiare almeno due volte al giorno tutti i giorni ed avere a disposizione almeno dieci litri d’acqua pura tutti i giorni. E due pasti al giorno e dieci litri d’acqua furono assicurati, investendo nello scavo di pozzi, nella costruzione di piccole dighe, nell’aiuto economico e tecnico a quel 90% della popolazione che viveva nelle zone rurali. E tutto questo in pochissimo tempo.

Ma felicità significa anche potersi curare quando si sta male senza veder morire i propri figli per malattie facilmente curabili, andare a scuola, potersi dedicare alle proprie passioni, non essere schiavizzati da leggi e regole tradizionali, non dover vivere in un ambiente distrutto dall’incuria e dall’incedere del deserto. “La nostra rivoluzione è e deve essere l’azione collettiva di rivoluzionari per trasformare la realtà e migliorare concretamente la situazione delle masse del nostro Paese. La nostra rivoluzione avrà avuto successo solo se, guardando indietro, attorno e davanti a noi, potremmo dire che la gente è, grazie alla rivoluzione, un po’ più felice perché ha acqua potabile, un’alimentazione sufficiente, accesso ad un sistema sanitario ed educativo, perché vive in alloggi decenti, perché è vestita meglio, perché ha diritto al tempo libero, perché può godere di più libertà, più democrazia, più dignità”.

Confronta con la situazione dell'Africa 20 anni dopo (2005).

E questa rincorsa verso la felicità avrebbe avuto al suo centro i contadini, e cioè la stragrande maggioranza degli abitanti del Paese. Un Paese che avrebbe dovuto cercare di essere autosufficiente e non più vittima delle più disparate forme di neo-colonialismo. Un cambiamento rappresentato simbolicamente nel cambio del nome della nazione, anch’esso eredità coloniale. Il 5 agosto 1984, primo anniversario della rivoluzione, nasceva il Burkina Faso.

L’idea che sta alla base del governo di Sankara è semplice e credo che tutti noi saremmo pronti, seduta stante, a sostenerla: non è giusto che qualcuno muoia di fame e privazioni mentre qualcun altro può permettersi di sprecare o gozzovigliare.

Saremmo pronti, però, ad accettare le ovvie conseguenze di questo ragionamento? Saremmo pronti, cioè, a rinunciare ad una parte di ciò che noi consideriamo nostro per condividerla con chi ha meno? Saremmo pronti ad essere un po’ più poveri perché qualcuno sia meno misero?

(Leggi nel sito lo speciale sulla Globalizzazione e Nuovi stili di Vita)

Queste sono alcune delle domande che Sankara pone a noi oggi, a più di vent’anni dagli avvenimenti in questione. (E temo che le mie risposte sarebbero titubanti e piene di “ma”, “se”, “però”.)

Ma sono anche alcune delle domande che Sankara poneva ai suoi concittadini ed a se stesso. Le risposte che riuscì a darsi, ed a dare al suo popolo, sono quelle politiche che trasformarono un Paese miserabile nella splendida anomalia del Burkina Faso della rivoluzione.

La rivoluzione proseguirà, accelerandole, quelle politiche di austerità intraviste nei pochi mesi in cui Sankara fu primo ministro: stipendi tagliati; viaggi aerei in seconda classe e rimborsi spese molto contenuti per i politici in viaggi diplomatici; ben pochi privilegi per i governanti che dovrebbero essere i servitori del popolo e non i suoi sfruttatori. Sankara stesso si muoveva per Ouagadougou in bicicletta – ed era presidente! – ed i suoi averi ammontavano alla sua casa ed a una piccola automobile. “Non possiamo essere la classe dirigente ricca di un paese povero”.

Questo non piacque (e non credo ci sia da stupirsene) a chi su quella situazione di privilegio aveva costruito la propria vita: ex-governanti e funzionari pubblici, i professori ad esempio che con Sankara sosterranno un lungo scontro. “E’ inammissibile che ci siano uomini politici proprietari di ville che affittano a caro prezzo agli ambasciatori stranieri, quando a quindici chilometri da Ouagadougou la gente non ha il denaro per comprare nemmeno una confezione di nivachina per curare la malaria”.

Sarà presa posizione contro i furti perpetrati dai governi precedenti, giudicati da tribunali popolari istituiti ad hoc. Tribunali che, probabilmente ci farebbero gridare allo scandalo se assistessimo, noi oggi, ad uno di quei processi dove l’imputato era posto dinnanzi alla giuria senza la mediazione di alcun avvocato. E davanti al nostro restar scandalizzati Sankara risponderebbe: “Pensiamo che se un avvocato difende un cliente (si tratta proprio di termini mercantili) questo cliente potrà essere difeso veramente solo se paga lautamente l’avvocato. Il miglior avvocato sarà quindi riservato a chi paga di più. Ciò significa che più si ruba, più denaro si ha per meglio difendersi. Ma se non si hanno i soldi per difendersi?”

Saranno imposti periodi di lavoro comunitario ad alcune fasce della popolazione, ad esempio gli studenti universitari, in alcune importanti campagne sociali: dalla vaccinazione di massa contro le malattie infantili alla costruzione di opere pubbliche.

Uno dei sogni di Sankara, l’abbiamo già detto, è un Paese che ce la possa fare da solo, un paese veramente indipendente in quanto autosufficiente.

Mangiare quel che si produce e vestire con tessuti locali sono due importanti mobilitazioni sociali volte a garantire la sussistenza al popolo del Burkina Faso, a rilanciare alcuni rami dell’economia e ad incominciare così a smarcarsi il più possibile dalle importazioni straniere che incidevano negativamente non solo sul debito pubblico.

“Dobbiamo accettare di vivere all’africana, perché è il solo modo di vivere liberamente, il solo modo di vivere degnamente.”

“Il nostro paese produce cibo sufficiente per nutrire tutti i burkinabè. Ma, a causa della nostra disorganizzazione, siamo obbligati a tendere la mano per ricevere aiuti alimentari, che sono un ostacolo e che introducono nelle nostre menti le abitudini del mendicante. Molta gente chiede dove sia l’imperialismo: guardate nei piatti in cui mangiate. I chicchi di riso importato, il mais, ecco l’imperialismo. Non c’è bisogno di guardare oltre.”

Leggi lo speciale nel sito sulla Cooperazione Internazionale.

Potremmo andare avanti per molte righe, forse pagine, elencando le politiche di Sankara presidente. Sia quelle che portarono ad immediati benefici a quelle che fallirono, per errori del governo o perché bloccate quando ancora non avevano dato frutti consolidati.

Fra le prime sicuramente le già ricordate politiche alimentari e sanitarie. Va registrato che in soli quattro anni la vita media in Burkina Faso passò da 44 a 50 anni. Ancora fra le prime le politiche scolastiche che, con la costruzione di centinaia di scuole pubbliche e l’obbligo scolastico, portarono milioni di persone a scuola. All’inizio degli anni 80 l’analfabetismo raggiungeva più del 90% della popolazione. “Una delle condizioni per lo sviluppo è la fine dell’ignoranza. (...) L’analfabetismo deve essere incluso fra le malattie da eliminare il più presto possibile dalla faccia della Terra”.

Fra le seconde le politiche a favore della donna e contro pratiche e tradizioni che la tenevano (e la tengono!) ai margini della società e che ne umiliano la dignità.

“Se la rivoluzione perde la lotta per la liberazione della donna, avrà perso il diritto ad una trasformazione positiva della società”; “Il peso delle tradizioni secolari della nostra società ha relegato le donne al rango di bestie da soma. Le donne subiscono due volte le conseguenze nefaste della società neo-coloniale: provano le stesse sofferenze degli uomini e, inoltre, sono sottoposte dagli uomini ad ulteriori sofferenze. La nostra rivoluzione si rivolge a tutti gli oppressi e gli sfruttati e quindi si rivolge anche alle donne”.

Va inoltre ricordato che Sankara fu il primo leader africano a scagliarsi contro le mutilazioni genitali femminili, tanto in uso anche in Burkina Faso, condannandole pubblicamente a più riprese.

Approfondisci con il sito delle Missionarie Comboniane interamente dedicato alla Donna

Le politiche di controllo statale della cooperazione internazionale, così da evitare la creazione di squilibri e ingiustizie causate dall’assuefazione agli aiuti umanitari spesso “inutili ed imbevuti di colonialismo”, ricercando solo “l’aiuto che aiuta a far velocemente a meno dell’aiuto” e non quello che “serve alle imprese del Nord e ad esperti pagati in un mese cifre che basterebbero ognuna a costruire una scuola”. “La politica degli aiuti è servita fino ad oggi solo ad asservirci, a distruggere la nostra economia. L’origine di tutti i mali del Paese è politica. E la nostra risposta non può essere che politica”.

Le politiche ambientali di salvaguardia del territorio e di riforestazione, contro l’avanzare del deserto ed a favore di una buona agricoltura di sussistenza. “La distruzione impunita della natura continua. Noi non siamo contro il progresso, semplicemente chiediamo che esso non significhi anarchia e criminale disprezzo per i diritti degli altri Paesi”.

Le politiche per trasformare le forze armate (di cui Sankara stesso fa parte, è bene ricordarlo!) in un corpo sempre meno militare e sempre più al servizio “civile” della popolazione. “Una rivoluzione non si fa per prendere il posto dei vecchi governanti che si depongono”; “Il nuovo soldato deve vivere e soffrire fra la gente cui appartiene”.

Le politiche internazionali per la richiesta della cancellazione del debito estero dei Paesi impoveriti. “Quelli che ci hanno prestato il denaro sono gli stessi che ci hanno colonizzato, sono gli stessi che hanno gestito per tanto tempo i nostri stati e le nostre economie. Loro hanno indebitato l’Africa. Noi siamo estranei alla creazione di questo debito e dunque non dobbiamo pagarlo”.

Quelle contro l’imperialismo e di sostegno alle lotte di liberazione dei popoli.
“L’imperialismo, attraverso le multinazionali, il grande capitale e la potenza economica è un mostro senza pietà, dotato di artigli, corna e denti velenosi. E’ spietato e senza cuore”; “Per l’imperialismo è più importante dominarci culturalmente che militarmente. (...) Il nostro compito consiste nel decolonizzare la nostra mentalità”

Quelle per la rivitalizzazione del fronte dei Paesi non allineati.
“Il Movimento dei non allineati significa rifiutare di essere il terreno dello scontro fra elefanti che calpestano tutto impunemente”.

Le politiche per il disarmo.
“Ogni volta che un paese africano acquista armi lo fa contro gli africani. Dobbiamo trovare una soluzione al problema degli armamenti. Sono un militare e ho con me un’arma. Eppure propongo il disarmo, perché io porto l’unica arma che ho, mentre altri hanno nascosto tutte quelle che hanno” “Abbiamo l’obbligo di considerare la lotta per il disarmo un obiettivo permanente come presupposto essenziale al nostro diritto allo sviluppo”.

Le politiche contro il razzismo all’interno del Burkina Faso e, a livello internazionale, contro l’apartheid in Sudafrica.
“Dobbiamo combattere l’apartheid non perché siamo neri, bensì semplicemente perché siamo uomini e non animali e ci opponiamo alla classificazione degli uomini in base al colore della pelle”.

Come ho già scritto non tutte queste politiche funzionarono o furono efficaci, ma sta di fatto che durante gli anni della rivoluzione il Burkina Faso ha incominciato una via che sembrava andare in una direzione di vera autosufficienza. Il Burkina Faso stava diventando un esempio molto osservato dai popoli dell’Africa di metà anni 80 (non di secoli fa, è sempre bene tenerlo presente).

Questo esempio di Paese ribelle terminò di esistere il 15 ottobre 1987 quando un colpo di stato (!) vi pose fine assassinando il presidente Sankara. “Sarei felice se fossi stato utile, se fossi stato un pioniere: quello che sembra oggi un sacrificio, domani sarà un normale e semplice comportamento. (...) Ho detto a me stesso che trascorrerò la vecchiaia in qualche libreria a leggere, sempre che prima, visto che abbiamo molti nemici, non abbia incontrato una fine violenta. Una volta accettata questa realtà, è solo questione di tempo”.

Da pochi mesi era incominciato il quinto anno della rivoluzione burkinabè. Un anno che sarebbe dovuto essere un anno diverso. Un anno che, in qualche modo, avrebbe dovuto rompere con una certa tradizione rivoluzionaria novecentesca che vuole le avanguardie a guidare e il popolo a seguire. “Abbiamo deciso di prenderci il tempo, il tempo necessario a trarre lezione dalla nostra attività passata”; “Dobbiamo fare del quinto anno di rivoluzione un anno di valutazione critica del nostro lavoro”. Sembra anzi che ci sia un profondo desiderio di portare nuove esperienze all’interno della rivoluzione, così da renderla ancora più proprietà del popolo. “Dovremo considerare l’espressione arricchente, variegata e multiforme di tanti diversi pensieri ed attività. Abbiamo bisogno di pensieri e attività intensi e pieni di sfumature, tutti insieme coraggiosamente e sinceramente nel rispetto della necessità di critica e autocritica e tutti diretti verso uno stesso, luminoso obiettivo, che non può essere altro che la felicità dei burkinabè. Dovremo stare in guardia contro un tipo di unità sterile, monolitica, paralizzante e infeconda.”

A guidare il colpo di stato furono Zongo, Lingani e, soprattutto, il suo “amico fraterno” Blaise Compaoré, che da allora è presidente del Burkina Faso. Dissero che Sankara era stato eliminato perché era pronto a tradire la rivoluzione (?), ma fu qualcun altro a tradire quel sogno.

Gli anni che seguirono furono anni di epurazioni, omicidi e torture nel tentativo di cancellare ogni traccia della rivoluzione. Nel 1989 Lingani e Zongo furono condannati a morte, ed uccisi, con l’accusa di aver tramato per assassinare il presidente. Piccola postilla: Compaoré è stato democraticamente rieletto presidente anche nel 2005 con l’80% circa dei voti. “La democrazia è il popolo. La scheda elettorale e l’apparato per votare non significano automaticamente l’esistenza della democrazia”.

Dal 1987 allora il Burkina Faso è tornato ad essere quello che qualcun altro ha deciso che debba essere: un Paese poverissimo, miserabile in alcuni casi, ultima (o penultima) ruota del carro di un mondo globalizzato dominato dal dio del libero mercato.

“Imperialismo, un sistema di sfruttamento che non si presenta solo nella forma brutale di coloro che con dei cannoni vengono ad occupare un territorio, ma più spesso si manifesta in forme più sottili, un prestito, un aiuto alimentare, un ricatto. Noi stiamo combattendo il sistema che consente ad un pugno di uomini sulla terra di dirigere tutta l’umanità.”

Perché fu ucciso Sankara? E' una domanda alla quale non mi sento di rispondere. Fatelo voi. E’ il compito che lascio a chi avrà avuto la pazienza di arrivare a leggere fino a questa riga. Come lascio a voi il compito di farvi un’idea del come pochi mesi dopo l’assassinio di Sankara il Burkina Faso fosse tornato in condizioni sociali ancora peggiori di quelle antecedenti la rivoluzione (suggerimento, vedi: privatizzazioni, FMI e BM)

“Potete citarmi un solo caso in cui il FMI e il suo aiuto non abbiano prodotti effetti negativi?”; “Abbiamo detto al FMI: quello che chiedete noi l’abbiamo già fatto. Abbiamo ridotto i salari dei funzionari, risanato l’economia. Non avete niente da insegnarci. Ci è sembrato di capire che quello che il FMI cerca va ben al di là di un controllo sulla gestione: è un controllo politico. Certo che abbiamo bisogno di denaro, di capitali freschi, ma non al prezzo di un’abbondanza artificiale, di un consumo improduttivo a cui si abbandonerebbe sicuramente una classe dirigente prigioniera del suo confort e di questo stesso FMI. Abbiamo quindi rifiutato i prestiti della Banca Mondiale per alimentare progetti che non abbiamo scelto.”

Del Burkina Faso della rivoluzione (agosto 83-ottobre 87) cosa rimane oggi?

Della speranza tutta africana suscitata da quell’esperimento tutto africano di governo cosa è rimasto oggi?

Sicuramente la commozione di un mio amico senegalese (immigrato in Italia) che sentendomi fare il nome di Sankara mi racconta le speranze che il suo agire aveva alimentato in lui ed altri, allora, giovani di Dakar.

Oppure le parole di un conoscente congolese (Repubblica Democratica del Congo) che proprio ispirandosi a Sankara, racconta, incominciò ad occuparsi di politica e società (ed oggi è prete e missionario).

E soprattutto le sue idee ed il suo esempio.
“Per ottenere un cambiamento radicale bisogna avere il coraggio d’inventare l’avvenire. Noi dobbiamo osare inventare l’avvenire”.

Fonte: http://www.giovaniemissione.it

 

Thomas Sankara raffigurato in un dipinto.

 

Il Discorso sul debito fu pronunciato il 29 luglio 1987 ad Addis Abeba in occasione del vertice dell’Organizzazione dell'unità africana da Thomas Sankara, Presidente del Burkina Faso e figura carismatica per milioni di africani, comunemente indicato come il "Che Guevara africano".

Contenuti.
Ispirato a Fidel Castro (che incontrò durante una visita di stato), a Che Guevara, a Jerry Rawlings e Karl Marx, Sankara promosse nel suo paese una "Rivoluzione Democratica e Popolare", definendo la sua ideologia anti-imperialista. Nel discorso tenuto ad Addis Abeba, in Etiopia, suggerì l'istituzione di un nuovo fronte economico africano che si potesse contrapporre a quello europeo e statunitense. Inoltre cercò invano di convincere gli altri capi di Stato africani a rifiutarsi di saldare i debiti con gli Stati Uniti e i paesi europei, poiché era convinto che i soldi da restituire agli altri Stati potevano essere reinvestiti in riforme sanitarie e scolastiche.
«Perciò vorrei proporre, signor presidente, che stabilissimo dei livelli di sanzione per i capi di stato che non rispondono all'appello. Facciamo in modo che attraverso un sistema di punti di buona condotta quelli che vengono regolarmente, come noi, per esempio, possano essere sostenuti in alcuni dei loro sforzi. Per esempio: ai progetti che presentiamo alla Banca africana di sviluppo deve essere attribuito un coefficiente di africanità. I meno africani saranno penalizzati. Così tutti verranno alle riunioni qui. Noi pensiamo che il debito si analizza prima di tutto dalla sua origine. Le origini del debito risalgono alle origini del colonialismo. Quelli che ci hanno prestato denaro, sono gli stessi che ci avevano colonizzato. Sono gli stessi che gestivano i nostri Stati e le nostre economie. Sono i colonizzatori che indebitavano l'Africa con i finanziatori internazionali che erano i loro fratelli e cugini. Noi non c'entravamo niente con questo debito. Quindi non possiamo pagarlo. Il debito è ancora il neocolonialismo con i colonizzatori trasformati in assistenti tecnici. Anzi, dovremmo invece dire "assassini tecnici". Sono loro che ci hanno proposto i canali di finanziamento dei finanziatori. Un termine che si impiega ogni giorno come se ci fossero degli uomini che solo sbadigliando possono creare lo sviluppo degli altri. Questi finanziatori ci sono stati consigliati, raccomandati. Ci hanno presentato dei dossier e dei movimenti finanziari allettanti. Noi ci siamo indebitati per 50, 60 anni e più. Cioè siamo stati portati a compromettere i nostri popoli per 50 anni e più. Il debito nella sua forma attuale, controllata e dominata dall'imperialismo, è una riconquista dell'Africa sapientemente organizzata, in modo che la sua crescita e il suo sviluppo obbediscano a delle norme che ci sono completamente estranee. In modo che ognuno di noi diventi schiavo finanziario, cioè schiavo tout court, di quelli che hanno avuto l'opportunità, l'intelligenza, la furbizia, di investire da noi con l'obbligo di rimborso.»
Il discorso contro il debito sovrano pronunciato all'Oua fu una grande prova di coerenza di Sankara con le sue idee, ma contribuì ad attirargli numerose antipatie tra i leader occidentali, in particolare da parte di François Mitterrand.

Eventi successivi.
Dopo numerosi attacchi al presidente francese Mitterrand, reo di appoggiare il governo di Pieter Willem Botha in Sudafrica, e dopo aver rifiutato l'appoggio militare a Charles Taylor, Sankara venne ucciso il 15 ottobre 1987 insieme a dodici ufficiali, in un colpo di Stato organizzato dall'ex-compagno d'armi e collaboratore Blaise Compaoré con l'appoggio di Francia, Stati Uniti d'America e militari liberiani. Venne sepolto in una tomba anonima al cimitero di Dagnoën, alla periferia di Ouagadougou, tuttavia in occasione del ventennale della sua morte la tomba è stata ricostruita e abbellita dai familiari, salvo poi essere danneggiata dai miliziani pro-Compaoré e di nuovo fu ricostruita a seguito della caduta del regime.

Fonte: https://it.wikipedia.org


Statua di Thomas Sankara inaugurata il 3 marzo 2019 a Ouagadougou.

 

 

 

Thomas Isidore Noël Sankara (Yako, 21 dicembre 1949 – Ouagadougou, 15 ottobre 1987) è stato un militare, politico, rivoluzionario e patriota burkinabé. Noto anche come Tom Sank, è stato un leader carismatico per tutta l'Africa occidentale sub-sahariana. Cambiò il nome di Alto Volta in Burkina Faso e si impegnò per eliminare la povertà attraverso il taglio degli sprechi statali e la soppressione dei privilegi delle classi agiate. Finanziò un ampio sistema di riforme sociali incentrato sulla costruzione di scuole, ospedali e case per la popolazione in estrema povertà, oltre a condurre un'importante lotta alla desertificazione con il piantamento di milioni di alberi nel Sahel. Il suo rifiuto di pagare il debito estero di epoca coloniale, insieme al tentativo di rendere il Burkina autosufficiente e libero da importazioni forzate, gli attirò le antipatie di Stati Uniti d'America, Francia e Regno Unito, oltre che di numerosi paesi circostanti. Questo stato di cose sfociò nel colpo di Stato il 15 ottobre 1987, in cui, all'età di 37 anni, il giovane capitano Sankara fu assassinato dal proprio vice, Blaise Compaoré, con la complicità dei suddetti stati. È celebre soprattutto per il suo discorso all'Organizzazione dell'Unità Africana contro imperialismo e neocolonialismo e per essere stato il primo presidente africano a riconoscere l'AIDS come grave piaga sociale, con il lancio di un'efficace campagna di prevenzione. Rinunciò a qualunque beneficio personale come Presidente del Burkina Faso e, al momento della morte, gli unici beni in suo possesso si rivelarono essere un piccolo conto in banca di circa 150 dollari, una chitarra e la casa in cui era cresciuto. Figura carismatica e iconica per milioni di africani, è spesso indicato come "il Che Guevara africano" o "il Presidente ribelle".

Origini e formazione.
Figlio di Marguerite e Sambo Joseph Sankara, ferventi cattolici di etnia Silmi-Mossi, frequentò la scuola elementare a Gaoua e conseguì il diploma nel 1966 a Bobo-Dioulasso. I genitori lo incoraggiarono a farsi prete, ma fallito il tentativo di iscriversi a medicina scelse la carriera militare presso la scuola di Prytanée di Kadiogo e, a 19 anni, si trasferì in Madagascar, dove ricevette una formazione da ufficiale dell'esercito e dove poté assistere alle rivolte del 1971 e del 1972 contro il presidente Philibert Tsiranana. In Madagascar si avvicinò alle teorie marxiste e leniniste di Adama Touré (militante del Partito africano dell'indipendenza), che influenzarono il resto della sua vita. Divenne caporedattore del giornale scolastico, il Club dell'informazione.

La carriera militare.
Ritornò in Alto Volta nel 1972 e partecipò a una guerriglia al confine tra lo Stato natale e il Mali, salvo poi aderire al pacifismo, ritenendo i conflitti "inutili e ingiusti". In seguito divenne noto ad Ouagadougou come chitarrista del gruppo "Tout-à-Coup Jazz". Nel 1976 divenne comandante del centro di addestramento dell'esercito a Pô. In quel periodo, durante la presidenza del colonnello Saye Zerbo, salito al potere dopo un colpo di Stato e con cui Sankara era in aperto contrasto, formò insieme ad altri giovani ufficiali, tra cui Blaise Compaoré, un'organizzazione segreta chiamata Regroupement des Officiers Communistes (ROC), cioè Gruppo degli Ufficiali Comunisti. Per attutire la tensione, Sankara venne nominato Segretario di Stato nel settembre 1981, ma rassegnò le dimissioni il 21 aprile 1982, in disaccordo con il regime, secondo lui troppo lontano dalle esigenze della popolazione. Va inoltre detto che tutte le iniziative da lui proposte durante il suo periodo di Segretario di Stato furono ignorate, e bastarono pochi mesi perché Sankara si rendesse conto dell'incompatibilità del suo modo di vivere e fare politica rispetto a quello degli altri esponenti del governo. Di fronte al lusso esagerato in cui vivevano le alte sfere dell'esercito, Sankara mostrava infatti una semplicità più unica che rara, tanto da presentarsi in bicicletta alla prima riunione di governo subito dopo la nomina. Le successive inevitabili dimissioni e l'arresto del giovane capitano furono accompagnate da una frase, pronunciata alla radio, che lo rese presto celebre: “Guai a prendere in giro il popolo”. Dopo un colpo di Stato nel novembre 1982 che portò al potere Jean-Baptiste Ouédraogo, questi non potendo ignorare la sua popolarità nell'esercito e in parte della popolazione, lo nominò Primo Ministro (Sankara rifiutò l'offerta di presidente). In quest'ultimo periodo il giovane capitano riuscì ad allargare notevolmente le simpatie intorno alla sua persona, in forza di un modo di esprimersi semplice, tagliente ed efficace, e di un carattere che sembrava autenticamente vicino alle richieste delle fasce più deboli della popolazione. A rafforzare queste impressioni c'era anche la già accennata diversità nello stile di vita di Sankara rispetto a quello delle altre figure di governo. Il contrasto tra Ouédraogo e il suo primo ministro in un clima di crescente malcontento popolare e di manifestazioni di piazza portò però di nuovo alla destituzione e agli arresti domiciliari di Sankara e di altri esponenti della sua corrente in seguito alla visita [non è chiaro il nesso tra le due cose] di Jean-Christophe Mitterrand, figlio dell'allora presidente francese François Mitterrand. L'arresto di Sankara e di altri suoi compagni causò una rivolta popolare che alla fine lo liberò. Sankara viaggiò molto in questo periodo: in Nigeria da Seyni Kountché, nella Libia di Gheddafi (di cui già aveva letto e fatto leggere il Libro Verde e dal quale ottenne la promessa di un aiuto finanziario per l'Alto Volta), in Corea del Nord, al forum dei non allineati di Nuova Delhi, da Samora Michel in Mozambico, da Daniel Ortega in Nicaragua, da Mathieu Kérékou in Benin, da Indira Gandhi in India, da Chadli Bendjedid in Algeria, da Julius Nyerere in Tanzania, e da Jerry Rawlings in Ghana.

L'elezione alla presidenza.
«C’è una categoria di antenati più immortale degli altri: le figure profetiche, capaci di incarnare le profonde ispirazioni di uguaglianza, di liberazione e di giustizia del loro popolo. Thomas Sankara è uno di loro. Visionario, Sankara si schierò con i più deboli, predicò le virtù dell’economia locale, respinse i prestiti della Banca mondiale e mise in moto l’autosufficienza alimentare e la produzione tessile. Più autonomia per le donne, le classi lavoratrici e i contadini che vivevano sotto il giogo dei capi villaggio. Abolizione del lavoro obbligatorio che colpiva i piccoli agricoltori, promozione dell’uguaglianza dei sessi, divieto dell’escissione e della poligamia» (Abdourahman Waberi). Nell'agosto del 1983 divenne presidente all'età di 35 anni, in seguito al colpo di Stato contro Jean-Baptiste Ouédraogo guidato dall'amico Compaoré, con l'appoggio della Libia. Esattamente un anno dopo il suo insediamento, nel 1984, cambiò il nome del Paese in Burkina Faso, che in More e Djoula, i due idiomi più diffusi nella nazione, significa "Terra degli uomini integri". Cambiò inoltre la bandiera e lo stemma nazionale e scrisse un nuovo inno, Une Seule Nuit. Nel dicembre 1985 fu organizzato il censimento generale della popolazione burkinabé. Per errore, gli addetti al censimento sconfinarono in Mali, causando l'ira dei vertici di Stato del Paese maliano, che fecero pressione su Sankara. Le ostilità sfociarono in un conflitto, noto come "Guerra di Natale", che durò cinque giorni e che causò 100 morti, perlopiù nella città di Ouahigouya, bersagliata dagli aerei militari maliani. All'ONU il Burkina votò per l'indipendenza della Nuova Caledonia, condannò l'Operazione Urgent Fury degli USA e l'invasione dell'Afghanistan da parte dei sovietici.

L'attentato e la morte.
Dopo numerosi attacchi al presidente francese Mitterrand, reo di appoggiare il governo di Pieter Willem Botha in Sudafrica, e dopo aver rifiutato l'appoggio militare a Charles Taylor, Sankara venne ucciso il 15 ottobre 1987 insieme a dodici ufficiali (Noufou Sawadogo, Amadé Sawadogo, Abdoulaye Guem, Der Somda, Wallilaye Ouédraogo, Emmanuel Bationo, Paténema Soré, Frédéric Kiemdé, Bonaventure Compaoré, Paulin Bamouni, Christophe Saba, Sibiri Zagré), in un colpo di Stato organizzato dall'ex-compagno d'armi e collaboratore Blaise Compaoré con l'appoggio di Francia, Stati Uniti d'America e militari liberiani. Venne sepolto in una tomba anonima a Dagnoën, alla periferia di Ouagadougou, tuttavia in occasione del ventennale della sua morte la tomba è stata ricostruita e abbellita dai familiari, salvo poi essere danneggiata dai miliziani pro-Compaoré e di nuovo fu ricostruita a seguito della caduta del regime.

Indagini e ipotesi sulla morte.
La tesi più accreditata, sostenuta da un testimone oculare, è che Sankara e Compaoré la sera dell'uccisione stessero discutendo animatamente intorno ad un tavolo, con il presidente che accusava il collaboratore di essere un traditore. Improvvisamente, Compaoré avrebbe preso il suo revolver e avrebbe sparato due colpi, mortali, al petto di Sankara, che si sarebbe accasciato senza vita sulla sedia. Compaoré ha sempre negato questa versione dei fatti, affermando inizialmente che quel giorno era a casa sua, malato, e che a uccidere il presidente fosse stata un'altra persona, salvo poi ritrattare, affermando che fu lui ad uccidere Sankara, ma che il colpo partì accidentalmente dalla pistola. Un'altra tesi invece afferma che Sankara si trovasse a bordo di una Renault 5 insieme ai suoi collaboratori Paulin Bamoumi e Frederic Ziembie. Ad un certo punto l'autovettura venne crivellata da colpi di AK-47, con i due collaboratori che morirono su colpo e Sankara che ne uscì illeso. Il presidente venne allora tirato fuori dal mezzo e a sua volta massacrato a colpi di mitraglietta dai miliziani pro-Compaoré. Nell'aprile 2006 il Comitato per i Diritti Umani dell'ONU, a cui si è appellato a nome della famiglia il Collettivo Giuridico della Campagna Internazionale Giustizia per Thomas Sankara (CIJS), diede ragione ai ricorrenti e ordinò allo Stato burkinabé di fare chiarezza sulla morte di Thomas Sankara, di assicurare alla famiglia una giustizia imparziale, di rettificare il suo certificato di morte, di provare il luogo della sua sepoltura, di indennizzare la famiglia per il trauma subito e di divulgare pubblicamente le decisioni del comitato. Tuttavia, il 21 aprile 2008 il Comitato per i Diritti Umani dell'ONU chiuse il fascicolo senza muovere ulteriori inchieste. Dopo la caduta di Compaoré il tribunale militare burkinabé ha emesso, il 4 dicembre 2014, un mandato di cattura internazionale nei suoi confronti accusandolo dell'omicidio, l'assassinio e l'occultamento di Thomas Sankara. Nell'aprile 2016 la Corte di Cassazione di Ouagadougou ha ritirato il mandato, poiché il tribunale avrebbe dovuto rivolgersi al commissario del governo prima di rilasciarlo. Il procuratore generale Ouedraogo ha comunque spiegato che «La cancellazione dei mandati non significa che sia finita. I giudici possono prendere in consegna e correggere le procedure attraverso mezzi validi. Queste sono lacune che possono essere colmate anche domani, se i giudici vogliono». Il fatto ha generato molto malcontento e si è diffusa la voce che Blaise Compaoré sia coperto da interessi internazionali, anche ora che non è più al potere.

Eredità e tentativo di censura di Compaoré.
«È possibile che a causa degli interessi che minaccio, a causa di quelli che certi ambienti chiamano il mio cattivo esempio, con l'aiuto di altri dirigenti pronti a vendersi la rivoluzione, potrei essere ammazzato da un momento all'altro. Ma i semi che abbiamo seminato in Burkina e nel mondo sono qui. Nessuno potrà mai estirparli. Germoglieranno e daranno frutti. Se mi ammazzano arriveranno migliaia di nuovi Sankara!» (Thomas Sankara) Thomas Sankara è oggi un eroe ed esempio per tutta l'Africa, considerato addirittura più popolare di Nelson Mandela. Simbolo di intelligenza, lealtà, umiltà, grande onestà e alta morale, la sua figura è conosciuta in occidente attraverso numerosi giornalisti e autori. Fiorella Mannoia ha dedicato il brano Quando l'angelo vola (dall'album Sud) a Thomas Sankara, promuovendo e raccontando la storia del rivoluzionario burkinabè durante i tour e le comparse in televisione. Numerose commemorazioni in giro per il mondo hanno cercato di presentarlo al pubblico internazionale. Blaise Compaoré ha provato in ogni modo a cancellare il ricordo di Thomas Sankara distruggendo la sua tomba, evitando di menzionarlo, cancellandolo dagli archivi storici e proclamando festa nazionale il 15 ottobre per distrarre la popolazione. Nel 2007 (a vent'anni dalla morte), Compaoré distribuì soldi e premi per allontanare la gente dal cimitero di Dagnoen, luogo in cui riposano il capitano e gli altri dodici collaboratori uccisi durante il colpo di Stato. Ma fallì perché un'enorme folla si recò lo stesso alla tomba di Sankara a rendere omaggio. Il ricordo del giovane presidente rimane vivo nella nuova generazione con il racconto e la diffusa distribuzione di file multimediali contenenti i suoi celebri discorsi. Il 31 ottobre 2014 un'incontenibile rivolta popolare costrinse Blaise Compaoré a rinunciare alla propria carica e a fuggire in direzione della Costa d'Avorio. Manifesti e cartelli inneggianti a Sankara si diffusero ovunque, diventando il simbolo della nuova rivoluzione.

L'attività politica.
«Parlo in nome delle madri che nei nostri Paesi impoveriti vedono i propri figli morire di malaria o di diarrea, senza sapere dei semplici mezzi che la scienza delle multinazionali non offre loro, preferendo investire nei laboratori cosmetici o nella chirurgia plastica a beneficio del capriccio di pochi uomini e donne il cui fascino è minacciato dagli eccessi di assunzione calorica nei loro pasti, così abbondanti e regolari da dare le vertigini a noi del Sahel» (Thomas Sankara). Ispirato a Fidel Castro (che incontrò durante una visita di stato), Che Guevara, Jerry Rawlings e Karl Marx, promosse la "Rivoluzione Democratica e Popolare", definendo la sua ideologia anti-imperialista nel suo Discorso di Orientamento Politico tenuto il 2 ottobre 1983. In un discorso tenuto ad Addis Abeba, in Etiopia, suggerì l'istituzione di un nuovo fronte economico africano che si potesse contrapporre a quello europeo e statunitense. Inoltre, cercò di convincere, invano, gli altri capi di Stato africani a rifiutarsi di saldare i debiti con gli Stati Uniti e i paesi europei, poiché era convinto che i soldi da restituire agli altri Stati dovevano essere reinvestiti in riforme sanitarie e scolastiche. Durante un suo discorso all'ONU il 4 ottobre 1984, avanzò la richiesta di sospensione dalle Nazioni Unite di Israele e di espulsione del Sudafrica, che all'epoca deteneva in prigione Nelson Mandela. Inoltre, fece costruire la ferrovia del Sahel, che tuttora collega Burkina Faso e Niger, che principale arteria di comunicazione del Paese, successivamente ampliata. Garantì due pasti e cinque litri d'acqua al giorno a ciascun cittadino burkinabé, fornendo assistenza sanitaria e una massiccia campagna di vaccinazioni, incentivò la costruzione di scuole e ospedali, promosse una campagna di rimboschimento (10 milioni di alberi vengono piantati per contrastare l'avanzata del deserto nella fascia del Sahel), la ridistribuzione delle terre ai contadini, la soppressione delle imposte agrarie, e creò un Ministero dell'Acqua con funzioni ecologiche.

Riduzione della spesa pubblica.
Con una campagna per la riduzione della spesa pubblica e una drastica lotta alla corruzione, tolse numerosi privilegi a politici e militari, e vendette tutte le Mercedes in dotazione ai ministri, sostituendole con le più economiche Renault 5, mentre i voli fuori dal paese per motivi diplomatici si potevano solo fare in classe turistica. Si decurtò inoltre lo stipendio, arrivando a guadagnare 450$ al mese. Molte volte era costretto a chiedere prestiti ai familiari poiché non aveva denaro. Decise la chiusura dei night club, dove la piccola borghesia faceva una fortuna con la vendita di Coca-Cola, il cui prezzo si aggirava tra i 1.500 e i 2.000 franchi per litro, escludendo così la popolazione. I night club furono sostituiti con piste da ballo diurne aperte a tutti, con musica popolare e prezzi accessibili (il costo medio di un drink non superava i 50 franchi).

La posizione su donne e AIDS.
«Noi dobbiamo fare di tutto per dare a ogni donna un lavoro. Dobbiamo dare a ogni donna i mezzi per realizzare una vita onesta e dignitosa» (Thomas Sankara). Il programma politico di Sankara comprendeva soprattutto il miglioramento delle condizioni delle donne. Sankara assegnò a numerose donne il ruolo di ministro e le cariche militari, cosa rara in Africa. Le incoraggiò a ribellarsi al maschilismo e a rimanere a scuola in caso di gravidanza. Sankara fu il primo presidente africano a mettere in guardia la popolazione dall'AIDS, invitando i compatrioti a usare dei contraccettivi per evitare eventuali sieropositività. Abolì la poligamia e vietò l'infibulazione, pratiche ampiamente diffuse e tollerate in tutta l'Africa. Importante fu l'attenzione dedicata alla prostituzione. Sankara riteneva importante non punire o incarcerare le prostitute come accadeva in molti paesi, ma aiutarle a evadere dalla situazione di schiavitù fisica in cui si trovavano, dando loro un'occupazione vera. Chiarì questo programma nel telex inviato al Congresso mondiale delle prostitute, il 2 dicembre 1986.

La partecipazione dell'esercito nella vita economica.
«È il popolo che decide per la pace, quando non è possibile continuare la guerra, è il popolo che decide costi e funzioni dell'esercito. L'esercito non dev'essere un'aristocrazia al di sotto della quale c'è il popolo. Vogliamo rompere con questo sistema, e desideriamo riformare anche i gradi, perché i militari siano parte del popolo» (Thomas Sankara). Sankara si fece fautore e promotore di una totale rottura con la tradizione, che vedeva i soldati e soprattutto le cariche dell'esercito in posizione di netto vantaggio rispetto al popolo. Una delle sue prime mosse fu quella di coinvolgere le caserme nella produzione agricola e industriale. L'addestramento militare, ridotto da 18 a 12 mesi, fu implementato a funzioni lavorative che occuparono ben 3/4 del tempo totale. Ad esempio, l'ordine prevedeva inizialmente la costruzione di pollai e l'allevamento di galli e galline (un quarto per ogni soldato, come minimo). Il risultato non venne solo raggiunto ma ampiamente superato, con caserme che raggiungevano mezzo pollo per persona a settimana o addirittura uno intero, e chiedevano di poter fare di più. Questo successo economico garantì un miglioramento delle condizioni alimentari, e un rilevante abbassamento dei prezzi nel mercato della carne bianca per la popolazione civile. Ci fu anche un grande incremento della coltivazione di patate, a tal punto da raggiungere la sovrapproduzione.

Valorizzazione delle piccole imprese.
Il Burkina Faso era il paese più povero dell'Africa insieme alle isole di Capo Verde. Sankara intuì l'importanza delle uniche vere risorse: cotone, ortaggi, legumi, agrumi e allevamento (oltre a una buona quantità d'oro, che però verrà scoperta solo durante la dittatura di Blaise Compaoré). Decise di dare slancio alle piccole unità produttive, a metà strada tra l'artigianato e l'industria, come manifatture a atelier, per impiegare manodopera minimamente formata da espandere sul territorio, far nascere vicino alle zone di produzione ed essere facilmente sostenibile. Furono ribattezzate touf-touf e largamente preferite alle macchine elettroniche, per offrire possibilità coniugate con coloro che già altrove si erano lanciati in questo genere d'impresa. Sankara non era un autarchico e voleva dare rilievo all'impresa privata, a patto che questa non si imponesse sulla sovranità popolare. Fu ben aperto a investitori stranieri, come la Svizzera, che volevano associarsi con i privati o il governo del Burkina. Le principali collaborazioni furono per il formaggio (latte) e i pomodori destinati a salse e pelati in scatola, ma ci furono una serie di altre infinite possibilità economiche.

Abbassamento del prezzo della carne e delle materie prime.
Come già accennato, Sankara lavorò molto per abbassare i prezzi e rendere accessibili alla popolazione molti tipi di prodotti solitamente riservati alle élite borghesi. Tra questi, in particolare, la carne. Ouagadougou prosperava di supermercati e salumerie con prosciutto venduto a peso d'oro, poiché importato, nonostante ci fossero tutti i presupposti per produrlo anche in Burkina. Questo lo rendeva un alimento inaccessibile alla stragrande maggioranza. Sankara invertì l'ordine delle cose mettendo a disposizione di produttori esteri, ad esempio per la stagionatura, maiali e montoni con cui creare carne a buon mercato e permettere un'espansione del consumo interno. Per costruire dighe grazie a cui manovrare l'acqua di cui il Burkina aveva un disperato bisogno, i cantieri dovevano importare ferro e cemento dai paesi vicini, i quali però avevano cominciato a bloccarne la vendita per colpire economicamente un governo guardato male per le sue politiche sociali e vicine al popolo. In particolare le griglie, che importate erano sei volte più care rispetto alla produzione nazionale. I cantieri volevano solo la materia prima per poter realizzare poi in Burkina il prodotto finito, ma furono ostacolati. Sankara si concentrò molto in questa direzione mandando in missione informativa funzionari col compito di chiarire la posizione pacifica del paese, ma anche di informare che la persistenza di questi comportamenti sarebbe stata considerata un atto di ostilità.

Sviluppo dell'edilizia.
Lo Stato forniva direttamente l'argilla con cui costruire le case e ingegneri agronomi erano posti a capo delle opere pubbliche per dettare istruzioni agli operai. Sankara, affezionato al gesto simbolico, si recava spesso in zone di lavoro per incoraggiare le squadre mettendosi egli stesso all'opera, parlando con le persone coinvolte, esaminando la realtà e venendo direttamente a conoscenza di eventuali problemi da risolvere.

Lotta alle importazioni inutili.
«Ci sono dei sacrifici necessari nella nostra rivoluzione. Sacrifici che riguardano i nostri privilegi, i nostri agi, i nostri gusti» (Thomas Sankara). Uno dei principali motivi di povertà del Burkina era appunto la dipendenza da importazioni estere. E per la maggior parte si trattava di prodotti inutili o sacrificabili, che aggiungevano solo debiti su debiti. Tra questi, vestiti di marchi come Levi's e accessori estetici (ad esempio il rossetto). Sankara dichiarò pubblicamente che se qualcuno avesse voluto organizzare un colpo di Stato in Burkina Faso non avrebbe dovuto mandare un esercito, perché sarebbe bastato smettere di vendere tutte queste cose al paese per gettare la popolazione nel caos. C'erano alcune eccezioni per cui non si poteva fare a meno di importare, come determinate materie prime, ma il resto andava necessariamente messo da parte o la pressione fiscale non avrebbe allentato la presa. Sankara promosse dunque una campagna anti-materialista per incentivare il popolo a essere orgoglioso di ciò che ha, senza vergognarsi di mostrare al mondo che il Burkina è un paese povero. L'obiettivo era soprattutto danneggiare la potente piccola-media borghesia che deteneva il controllo di questi mercati.

La partecipazione del popolo alla vita giuridica: le Case del popolo.
Il Burkina Faso fu il primo paese africano a indire i tribunali popolari, chiamati Case del popolo, con una corte presieduta da un giudice di carriera, due giudici non professionisti, un militare e quattro membri dei Comitati di difesa della rivoluzione. La gente poteva recarsi ai processi presenziando come pubblico e partecipando al dibattito. Il clima era alleggerito dalla distribuzione di bibite e snack da parte di piccoli commercianti locali. Celebre fu il processo a Saye Zerbo, ex presidente dell'Alto Volta, per appropriazione indebita. L'enorme cifra, 427 milioni di franchi, era stata misteriosamente fatta sparire dai conti statali proprio durante il suo governo. Zerbo verrà condannato a quindici anni di prigione e al rimborso dell'intera cifra mediante confisca di beni e proprietà. Anche un ex ministro del governo, coinvolto in un ingente affare sul vino, sarà condannato. I processi sono perlopiù inerenti a scandali finanziari e sottrazioni alla cosa pubblica. Ogni rappresentante del popolo ha l'obbligo di rendicontare le proprie spese. Il popolo partecipa con interesse. Chi si è intascato denaro a scapito del popolo finisce in tribunale. Non furono attuati provvedimenti contro i membri dei precedenti governi, a meno che non fossero esplicitamente colpevoli di specifici reati. È il caso di Jean-Baptiste Ouédraogo, rovesciato dal colpo di Stato di Sankara, ma lasciato stare in quanto non colpevole di alcun reato.

L'operazione uffici verdi.
«Come può un responsabile comandare un dipartimento ministeriale a favore del popolo se non ne conosce le preoccupazioni?» (Thomas Sankara). Secondo Sankara un lavoro attento era possibile solo in ambienti puliti, ordinati e allegri. Le piante entrarono così in tutti gli uffici a cominciare dal suo, in una campagna di sensibilizzazione dell'ambiente. Ogni due settimane si trascorreva una mattinata a riordinare gli uffici, in particolare l'archivio. A ogni ministero venne assegnato un campo da coltivare. Sankara riteneva importante che in un paese composto per il 98% da contadini e agricoltori, i rappresentanti dovessero provare per primi cosa significasse il lavoro nei campi, in modo da essere più vicini al popolo.

La "radio entrate e parlate".
Lo sforzo di far partecipare tutti i burkinabé alla rivoluzione si concretizzò permettendo loro di entrare la mattina nei locali della radio nazionale per parlare in diretta, criticare e proporre idee. Fu sviluppato un circuito di radio rurali che diffondevano programmi di alfabetizzazione e divulgazione agricola.

La lotta ai prestiti.
«L'aiuto di cui abbiamo bisogno è quello che ci aiuti a fare a meno degli aiuti» (Thomas Sankara). Sankara dava grande importanza alla cooperazione internazionale, ma riteneva fosse da riformare. Criticò gli esperti di economia e i burocrati, unici veri ideatori nonché proponitori di strategie, che in cambio della consulenza agli stati si facevano pagare cifre d'oro. La rivoluzione rifiutava l'aiuto che serviva a far comprare i prodotti dei donatori e ad aprire conti in banca in Occidente, arrivando più volte a scontrarsi con potenze come gli Stati Uniti d'America. Quando l'ambasciatore statunitense "suggerì" a Sankara di non denunciare più le aggressioni in Centroamerica per evitare di inimicarsi Washington, il presidente rispose con un secco no.

Sicurezza personale e attentati.
Il capitano era consapevole di rischiare la vita ogni giorno a causa dei numerosi nemici che si era creato. Per questo motivo veniva protetto da strategie di copertura, come la segretezza dei suoi spostamenti o l'annuncio del luogo delle riunioni solo due ore prima. Teneva sempre con sé tre pistole da usare in caso di pericolo e gli uomini della scorta cambiavano costantemente. I rischi erano concreti. Il 28 maggio 1984 viene sventato un colpo di Stato organizzato da sette cospiratori: il colonnello Didier Tiendrebeogo (ex sindaco di Ouagadougou), due luogotenenti, un uomo d'affari, un maggiore della gendarmeria, un sergente e un pilota. Saranno giustiziati l'11 giugno. La Corte marziale rivoluzionaria condanna ai servizi sociali altri cinque accusati, indicando 14 persone i cui nomi figurano nella lista di un prossimo eventuale governo. Sankara li convoca nel suo ufficio spiegando che ogni tentativo di rovesciare il governo sarebbe stato represso.

I risultati.
In quattro anni di governo di Thomas Sankara, nel Burkina Faso furono:
- Vaccinati 2.500.000 bambini contro morbillo, febbre gialla, rosolia e febbre tifoide. L'Unicef stesso si complimentò con il governo.
- Creati Posti di salute primaria in tutti i villaggi del paese.
- Aumentato il tasso di alfabetizzazione.
- Realizzati 258 bacini d'acqua.
- Scavati 1.000 pozzi e avviate 302 trivellazioni.
- Stoccati 4 milioni di metri cubi contro 8,7 milioni di metri cubi di volume d'acqua.
- Realizzate 334 scuole, 284 dispensari-maternità, 78 farmacie, 25 magazzini di alimentazione e 3.000 alloggi.
- Creati l'Unione delle donne del Burkina (UFB), l'Unione nazionale degli anziani del Burkina (UNAB), l'Unione dei contadini del Burkina (UPB) e ovviamente i Comitati di difesa della rivoluzione (CDR), che seppur inizialmente registrarono alcuni casi di insurrezione divennero ben presto la colonna portante della vita sociale.
- Avviati programmi di trasporto pubblico (autobus).
- Combattuti il taglio abusivo degli alberi, gli incendi del sottobosco e la divagazione degli animali.
- Costruiti campi sportivi in quasi tutti i 7.000 villaggi del Burkina Faso.
- Soppressa la Capitazione e abbassate le tasse scolastiche da 10.000 a 4.000 franchi per la scuola primaria e da 85.000 a 45.000 per quella secondaria.
- Create unità e infrastrutture di trasformazione, stoccaggio e smaltimento di prodotti con una costruzione all'aeroporto per impostare un sistema di vasi comunicanti attraverso l'utilizzo di parte di residui agricoli per l'alimentazione.
Quasi tutte queste riforme, estremamente innovative per un paese africano degli anni ottanta, furono annullate dal regime di Blaise Compaoré.

Critiche.
Il governo di Sankara è stato criticato da Amnesty International e da altre organizzazioni umanitarie internazionali per violazioni dei diritti umani, comprese le esecuzioni e le detenzioni arbitrarie di oppositori politici da parte dei Comitati per la Difesa della Rivoluzione. L'organizzazione britannica Oxfam, dedita alla lotta contro la povertà, ha registrato l'arresto di leader sindacali nel 1987. Nel 1984, sette individui associati al precedente regime furono accusati di tradimento e giustiziati dopo un processo sommario. Lo sciopero degli insegnanti nello stesso anno ha comportato il licenziamento di 2.500 di essi; in seguito, organizzazioni non governative e sindacati furono vessati o posti sotto l'autorità dei Comitati per la Difesa della Rivoluzione che erano ramificati in ogni luogo di lavoro e fungevano da "organi di controllo sociale e politico". I tribunali rivoluzionari popolari, istituiti dal governo in tutto il paese, hanno sottoposoto gli imputati a processi per corruzione, evasione fiscale o attività "controrivoluzionaria". Le procedure in questi processi, in particolare le garanzie legali per gli imputati, non erano conformi agli standard internazionali. Secondo Christian Morrisson e Jean-Paul Azam, dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, il «clima di urgenza e di azione drastica in cui molte punizioni sono state immediatamente applicate contro coloro che hanno avuto la sfortuna di essere giudicati colpevoli di un comportamento rivoluzionario, mostrava una certa somiglianza con ciò che accadeva nei peggiori giorni della Rivoluzione Francese, durante il Regno del Terrore: sebbene poche persone fossero state uccise, la violenza era diffusa». La Freedom House, organizzazione finanziata dal governo degli Stati Uniti, valutò il Burkina Faso del periodo 1984-1987 come stato "non libero", assegnandogli punteggi lievemente peggiori rispetto a quelli degli anni precedenti e degli anni successivi.

Il carisma personale.
Thomas Sankara era un uomo estremamente carismatico, come hanno raccontato molti suoi amici e collaboratori. Non aveva mai soldi con sé e spesso doveva chiedere ai parenti di prestarglieli. Nel poco tempo libero amava andare in bicicletta tra le strade di Ouagadougou per osservare con i suoi occhi la povertà. Sankara sosteneva la collaborazione tra le persone, e detestava la competitività, che innalza uno per abbassare l'altro. Uomo sempre gioioso ma al tempo stesso tenacemente determinato nel conseguimento degli obiettivi, aveva una grande umiltà. La sua casa era ricolma di libri letti e riletti più volte, e ne pagava regolarmente il mutuo. Detestava qualunque forma di ingiustizia sociale e si mosse sempre in questa direzione, esprimendo con estrema franchezza il proprio pensiero in ogni circostanza, senza mai perdere quel tocco di perspicace ironia che lo contraddistingueva e ne caratterizzava la genialità. Durante la visita di François Mitterrand in Burkina Faso, Sankara lo accusò indirettamente ma pubblicamente di aver permesso a un criminale come Pieter Willem Botha di aggirarsi liberamente in Francia. Questo incrinò definitivamente i rapporti, e Mitterrand accentuò la sua già evidente antipatia per il giovane presidente. Il discorso pronunciato all'Organizzazione dell'unità africana contro il debito sovrano fu un'altra grande prova di coerenza, ma contribuì ad attirargli ulteriori antipatie. Per tutte queste caratteristiche, Sankara ha sempre riscontrato il favore delle masse e il rispetto dei conoscenti. Nonostante ciò era contro il culto della personalità e non desiderava, per esempio, essere oggetto di canzoni popolari, considerandosi un presidente "di passaggio", come si definì lui stesso. I regali che riceveva come presidente del Burkina li distribuiva tra i suoi collaboratori ed era solito fare visite a sorpresa nelle istituzioni per monitorarne il corretto funzionamento.

Frasi celebri.
- « La rivoluzione è anche vivere nell'opulenza, vivere nella felicità. Ma opulenza e felicità per tutti, non solo per qualcuno »
- « L'imperialismo è un sistema di sfruttamento che si verifica non solo nella forma brutale di chi viene a conquistare il territorio con le armi. L'imperialismo avviene spesso in modi più sottili. Un prestito, l'aiuto alimentare, il ricatto. Stiamo combattendo questo sistema che permette a un pugno di uomini di governare l'intera specie »
- « Dobbiamo decolonizzare la nostra mentalità e raggiungere la felicità nei limiti del sacrificio che siamo disposti a fare. Dobbiamo ricondizionare la nostra gente ad accettarsi per come è e a non vergognarsi della sua situazione reale »
- « La rivoluzione e la liberazione delle donne vanno di pari passo. Non parliamo di emancipazione delle donne come atto di carità o ondata di compassione umana. Si tratta di una necessità alla base della rivoluzione. Le donne reggono l'altra metà del cielo »
- « I nemici di un popolo sono coloro che lo tengono nell'ignoranza »
- « Mentre i rivoluzionari in quanto individui possono essere uccisi, nessuno può uccidere le idee »
- « Tutto ciò che l'uomo immagina, lo può creare »
- « Ci dicono di rimborsare il debito. Non è un problema morale. Rimborsare o non rimborsare non è un problema d'onore perché se noi pagheremo probabilmente moriremo, se noi non pagheremo loro non moriranno, statene certi »
- « La disuguaglianza può essere sconfitta attraverso la definizione di una nuova società, in cui gli uomini e le donne potranno godere di pari diritti, derivanti da uno sconvolgimento dei mezzi di produzione in tutti i rapporti sociali. Pertanto, la condizione delle donne migliorerà solo con l'eliminazione del sistema che le sfrutta »
- « Lo spirito è soffocato, per così dire, dall'ignoranza. Ma non appena l'ignoranza è distrutta, lo spirito risplende, come il sole privo di nuvole »

Fonte: https://it.wikipedia.org

 

 

 

 

 

 

 

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