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Tra il gennaio e l’aprile del 1945 l’Italia Settentrionale, in particolare il Nord Est, fu interessata dall’impiego da parte dei bombardieri leggeri notturni statunitensi di un nuovo genere di ordigno aereo, già ideato e adottato in precedenza dai tedeschi: la bomba a farfalla.

 



Si trattava di bombe al grappolo di piccole dimensioni, racchiuse nel numero di novanta in apposito contenitore, il quale dopo pochi secondi dallo sgancio si apriva, liberandole. Le M83 (questo il nome tecnico delle bombe a farfalla americane) si sparpagliavano dunque nel cielo, costituendo un compatto grappolo, scendendo lentamente verso il suolo rallentate ciascuna dal proprio involucro esterno, che apertosi, costituiva un paracadute e delle alette rotanti. Giunte al suolo, alcune esplodevano all’impatto, mentre la parte largamente maggioritaria si adagiava sul terreno senza dare luogo ad alcuna detonazione, rimanendo però attiva ed esplodendo dopo un certo ritardo o solo in seguito a sollecitazione, come una mina, ma ancora più sensibile. Bastava una vibrazione, un movimento anche minimo e la farfalla esplodeva, riempiendo il corpo della vittima di innumerevoli schegge e provocandone un terribile dissanguamento, in seguito al quale giungeva infine la morte.

 



Le vittime erano quasi sempre innocenti, in particolare contadini e bambini: i primi si imbattevano nei micidiali ordigni durante i lavori nei campi, spesso senza neanche vederli, perché nascosti dall’erba o, peggio, sotterrati a poche decine di centimetri di profondità; i bambini, come è facile immaginare, erano spesso incuriositi dalla vista dell’ordigno, che tutto poteva assomigliare se non a una bomba fatale. Con fantasia immaginavano si trattasse di una bambola, un giocattolo, o comunque di un oggetto interessante e curioso a cui valeva la pena prestare attenzione. Inutile dire quante tragedie sono capitate in questa maniera, bimbi morti o rimasti mutilati per tutta la vita.

 


La vicenda, rimasta nell’oblio per ben sette decenni, è raccontata per la prima volta nel mio libro “Le micidiali bombe a farfalla sull’Italia”, che, in occasione del settantesimo anniversario degli avvenimenti raccontati, terrà sabato 21 febbraio 2015 alle ore 16.00 una presentazione a Milano presso l’Associazione Nazionale Volontari di Guerra di via Duccio di Boninsegna 21/21. Nell’evento, presenziato dal dott. Andrea Benzi, l’autore illustrerà l’intera vicenda, ampiamente e dettagliatamente esposta nel volume, che è frutto di approfondite ricerche in archivi italiani e americani, avvalorate inoltre da numerose testimonianze. Ma perché gli americani impiegarono questi ordigni? La bomba a farfalla aveva una funzione militare e morale. L’obiettivo era di saturare con le M83 alcune zone importanti dal punto di vista tattico delle comunicazioni: ponti, snodi ferroviari, attraversamenti fluviali. Tali bersagli, già colpiti pesantemente con ordigni da demolizione, erano quindi infestati dalle farfalle. In tal modo, i civili italiani addetti alle riparazioni si trovavano impossibilitati a svolgere il loro lavoro perchè dovevano muoversi in veri campi minati: il loro morale e la volontà di collaborare subivano un calo importante, mentre il ripristino delle comunicazioni ritardava moltissimo in quanto bisognava prima che i militari rendessero sicura l’area, facendo esplodere una alla volta le centinaia di bombe sparse. Il fenomeno non si limitò certo agli obiettivi tattici, ma riguardò innanzitutto la popolazione residente presso questi bersagli, che si trovavano sempre all’interno o nelle immediate vicinanze di centri abitati, in quanto non sempre gli ordigni giungevano con accuratezza solo ed esclusivamente nella “target area”. Poi, assai spesso, gli obiettivi non erano individuati, solitamente a causa del cattivo tempo e quindi gli equipaggi procedevano alla scelta di bersagli d’opportunità: luci, strade, ponti, città, ferrovie. Tutto a quel punto diveniva un possibile “target”. E’ chiaro come in tal modo sia stato possibile che il fenomeno della semina delle farfalle abbia interessato zone svariate e prive spesso di obiettivi militari, creando quindi vere e proprie aree minate un po’ ovunque nel Nord Est, anche nella più remota contrada rurale. Dei pesantissimi “danni collaterali” verso la popolazione civile i vertici militari Alleati erano senz’altro a conoscenza, avendo già studiato il fenomeno quando si verificava in Gran Bretagna, ad opera della Luftwaffe.

 



La bonifica fu dunque lunga, anche a causa della sproporzione tra l’esiguo numero di artificieri della Repubblica Sociale e la mole elevatissima di farfalle sganciate, che fu nell’ordine di alcune centinaia di migliaia. Capitava che un paio di uomini dovessero ripulire zone infestate da centinaia di M83, che comunque venivano lanciate senza sosta in gran quantità ogni notte, rendendo spesso nulli i risultati raggiunti dagli artificieri. La bonifica non terminò ovviamente con la fine della guerra, ma interessò anche gli anni immediatamente successivi, nonché, a più tratti, l’intero periodo del dopoguerra, fino ai giorni nostri. Non è raro che, specie nelle immediatezze delle zone più colpite, ancora oggi siano ritrovati i relitti di questi ordigni, o persino bombe a farfalla ancora inesplose. Conoscere questa storia è assai importante, specie in vista del sempre massiccio impiego delle moderne cluster bombs in ogni teatro bellico; sarà per molti una sorpresa scoprire che tra i primi a subire questa terribile insidia ci furono proprio gli italiani.

 

 

("Le micidiali bombe a farfalla sull’Italia. Un oscuro capitolo della seconda guerra mondiale", Sebastiano Parisi, Macchione Pietro Editore, ottobre 2014, p. 338, euro 25, ISBN 978-88-6570-227-7)

Link al libro: https://www.ibs.it

Fonte: http://www.stampalibera.com

 

 

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