La genesi del complesso di inferiorità.
Forse avete sentito fino alla nausea la frase : ”Se tu non ti ami, chi mai potrà amarti?”.
Anche se questo concetto contiene un fondo di verità, nella vita avviene spesso l’ esatto contrario: molte persone imparano a credere in se stesse soltanto quando trovano qualcun altro che crede in loro.
La nostra autostima dipende moltissimo dalle esperienze che abbiamo avuto nei primi anni di vita: se le relazioni con le persone che si occupavano di noi (genitori, nonni, insegnanti, ecc) sono state positive e gratificanti avremmo sviluppato probabilmente un immagine positiva di noi stessi.
Se invece, i rapporti con chi ci stava vicino sono stati improntati all’ insegna della freddezza e delle critiche, quasi sicuramente avremmo sviluppato un opinione negativa di noi stessi e faremmo fatica ad accettarci e a credere nelle nostre potenzialità.
Il bambino che non si sente accettato per quello che è veramente nella totalità del suo essere, tende ad incolparsi e a pensare: "Se i miei genitori mi criticano/ mi paragonano agli altri / non mi vogliono abbastanza bene , allora deve esserci qualcosa che non va in me”.
Questo bambino comincerà a credere che i suoi genitori non lo apprezzano abbastanza perché lui è stupido, cattivo, sbagliato, non si merita l’amore e comincerà a sviluppare un immagine negativa di se stesso.
Fortunatamente, anche se si ha avuto un infanzia poco felice, è possibile imparare a volersi bene ma soprattutto imparare a guardarsi con occhi più benevoli.



Come cambiare l’immagine negativa di sé.
Nelle librerie e su internet si sprecano i suggerimenti per imparare a stimarsi di più: di solito questi suggerimenti comprendono il pensiero positivo, l’elenco dei propri successi, la visualizzazione positiva e persino... Il camminare sui carboni ardenti!
Ma per quanto queste indicazioni possano avere una parziale utilità, non affrontano il problema della mancanza di autostima alle radici.
Se io mi sento un completo fallito non riuscirò mai ad autoconvincermi di essere un vincente ma anche se ci riuscissi, negare le mie difficoltà e le mie insicurezze, costruendomi una falsa immagine di persona di successo, non farà altro che rafforzarle.
Per migliorare l’autostima aiuta molto di più confrontarsi con l’immagine negativa che si ha di se stessi, chiedendosi quanto questa immagine sia realistica e se i propri difetti siano realmente cosi gravi e immodificabili.
Infatti, il mezzo più efficace per superare un radicato senso di inferiorità è rendersi conto che la percezione negativa che abbiamo di noi stessi è solo un idea che deriva dalla ferite della nostra storia personale e non rappresenta la verità ultima sui noi stessi.
In altre parole sentirsi insignificanti, stupidi o incapaci non equivale a esserlo veramente e non equivale neppure al modo in cui gli altri ci vedono.



Indicazioni psicologiche per migliorare l’autostima.
Il primo passo per migliorare l’autostima è cominciare a mettere in dubbio l’opinione negativa che si ha su se stessi, ripensando in modo critico alla propria storia personale.
Forse nel vostro passato ci sono state delle esperienze che vi hanno convinto di valere poco, esperienze che sono talmente parte di voi da non essere più messe in discussione.
Ma queste esperienze, viste con l’occhio di un adulto, possono essere interpretate in modo diverso e portare a conclusioni radicalmente diverse.
Un esempio chiarirà quello che intendo: prendiamo il caso di un ragazzo chiamato Simone.
Simone ha 23 anni, è timido e introverso, soprattutto con le donne, infatti non ha mai avuto una ragazza.
L’immagine di sé di Simone è quella di uno “sfigato” e nella situazioni della vita si rapporta come tutte le persone che hanno una bassa autostima: non rischia mai nulla, non prende iniziative, all’università non rende secondo le sue capacità, nel gruppo di amici è sempre ai margini.
Ma guardiamo meglio i suoi problemi per capire quando si è formata questa immagine negativa di sé.
Da piccolo, Simone era un bambino esile e gracile che soffriva di una leggera forma di impaccio motorio che avrebbe potuto essere facilmente corretta con un po’ di psicomotricità.
La madre di Simone è stata una mamma iperprotettiva e ansiosa, che terrorizzata all’idea che il figlio si ammalasse, proibiva al bambino di giocare in cortile e di andare a casa degli altri bambini, limitando cosi le occasioni di socializzazione.
Il padre di Simone, invece, su questo figlio unico rivestiva grandi aspettative e desiderava che il figlio brillasse ed eccellesse in tutto nei rapporti sociali, come a scuola e nello sport (soprattutto nello sport).
Il padre di Simone da giovane era una promessa del calcio ed obbliga il figlio a fare calcio, nonostante il bambino non fosse portato per questa attività sportiva.
Le lezioni di calcio si sono rivelate per Simone un incubo: l’ambiente è competitivo, il mister lo sgrida e lo fa stare sempre in panchina e presto gli altri bambini cominciano a prenderlo in giro.
In particolare, il bullo della classe che è un ripetente ma che è bravissimo a giocare a calcio, invidioso dei brillanti risultati scolastici di Simone, lo prende di mira e gli fa passare un inferno.
Simone vorrebbe difendersi ma è fisicamente più piccolo dei suoi coetanei e quindi è costretto a subire delle esperienze di umiliazione che certo non giovano alla sua autostima.
A questo punto se non intervengono altre esperienze correttive, si sono gettate le basi del senso di inferiorità.
Simone sentendosi trattato da incapace dalle persone che lo circondano, si convincerà veramente di esserlo e si comincerà a comportarsi da incapace, non riuscendo a tirare fuori le sue qualità e rassegnandosi a vivere un esistenza incolore.
Che cosa potrebbe fare Simone, ormai adulto, ripensando alla sua storia?
Potrebbe rendersi conto che nella genesi del suo senso di inferiorità ha giocato un ruolo fondamentale l’essere fisicamente più piccolo e debole (e quindi “inferiore”) degli altri bambini ma che questo suo senso di inferiorità che un tempo era basato su un problema reale ma risolvibile, da grande non ha più ragion d’essere.
Riflettendo potrebbe capire che una parte consistente del sua sensazione di inadeguatezza è derivata dall’ essere poco prestante fisicamente ma che questo aspetto non è fondamentale per riuscire nella vita.
Potrebbe realizzare di non essere stato un disastro totale ma di aver anche dei talenti ( per esempio uno spiccato senso estetico) che non sono stati mai valorizzati perché in famiglia non li si considerava importanti.
Potrebbe comprendere che il suo impaccio nelle relazioni con gli altri non deriva da una forma patologica di timidezza ma dal fatto di non aver potuto sviluppare adeguatamente le abilità sociali perchè non gli veniva consentito di stare con gli altri bambini.
Più Simone ripensa in modo critico alla sua storia, più riuscirà a distaccarsi dall’immagine di incapace che altri gli hanno proiettato addosso e in cui lui si è poi identificato.



Guardate con obiettività i vostri difetti.
Chi soffre di senso di inferiorità guarda con implacabile severità i propri difetti, cosi bastano un paio di chili in più per sentirsi grassi, un naso importante per sentirsi brutti, una bocciatura ad un esame per sentirsi dei falliti nella vita.
Per superare questo senso di inadeguatezza occorre imparare a contestualizzare il difetto e a chiedersi : "Inadeguati rispetto a chi ? a cosa?”.
Capita, infatti, che chi si percepisce come inadeguato, si senta tale perchè aspira ad uno standard di perfezione o cerca di adeguarsi a delle aspettative eccessive di un genitore.
Un esempio banale di questo meccanismo riguarda l’ossessione che molte donne hanno per la linea e per l’ aspetto fisico. Ragazze con un peso normale si sentono grasse perché si confrontano con le immagini ritoccate dei corpi delle modelle oppure con gli ideali fisico di donna sottopeso ma con dei seni enormi ( rifatti) proposti dai media.
Se pensate al vostro peggior difetto, quello che meno accettate di voi stessi, vi renderete probabilmente conto che non siete un disastro assoluto: ci sono persone che hanno fatto meglio di voi ma anche persone che hanno fatto peggio.
Per esempio, certi si sentono dei falliti perché non sono riusciti a laurearsi, ma ci sono persone che non sono riuscite neppure a diplomarsi e laureati che sono disoccupati.
Per avere una visione realistica dei propri difetti, a volte occorre saperli ridimensionare: a volte quelli che si considerano dei gravi difetti sono semplicemente delle caratteristiche.
In altri casi, certi difetti, specialmente caratteriali, possono essere tali in certe situazioni e per certe persone ma in altri contesti possono non essere cosi rilevanti o addirittura rivelarsi quasi dei pregi.



Riscrivete la vostra storia.
Chi ha una bassa autostima tende ad attribuire i propri insuccessi a delle gravi carenze personali, cosi la rottura di una relazione diventa la prova della propria mancanza di fascino, un errore sul lavoro la dimostrazione della propria stupidità e incompetenza, un amicizia che finisce la prova che si ha un brutto carattere.
Per ritrovare l’autostima occorre imparare a darsi una spiegazione alternativa (e più realistica): per esempio, una relazione che finisce, spesso termina perché le due persone non sono compatibili oppure chi lascia non è pronto a legarsi in quel particolare momento della vita.
Molte volte, quando si ha una senso di inferiorità, si tende ad attribuire erroneamente la causa di un insuccesso ad un problema generico e irrisolvibile ( per esempio la stupidità) invece che ad un problema specifico e risolvibile.
Ad esempio, un percorso scolastico accidentato può essere dovuto ad un dislessia non diagnosticata e non curata o ad una difficoltà di concentrazione dovuta alla tensione emotiva di vivere in un ambiente familiare conflittuale.



”Psicotrucchi” per migliorare l’autostima.

Guardate l’aspetto positivo dei vostri difetti.
Molti difetti sono l’espressione in eccesso di una qualità. Per esempio, se siete timidi, sarete anche persone sensibili, avrete tatto e difficilmente irriterete gli altri con atteggiamenti arroganti, invadenti o aggressivi.
Nessuno può migliorare se si critica aspramente: invece la chiave del miglioramento sta nel accettazione di noi stessi e delle nostra parti fragili.
I nostri difetti in certe circostanze possono avere un ruolo positivo (per tornare all’esempio di prima: il timido è più difficile che litighi con i colleghi o risponda scortesemente ad un cliente con un carattere impossibile).
Riconoscere gli aspetti positivi dei vostri tratti caratteriali negativi è importante per migliorare l’autostima.

Accettate quello che non potete cambiare ma migliorate quello che si può migliorare.
Più si è schiacciati dall’opinione negativa di se stessi meno si trova la forza per migliorare ma quando si impara a distaccarsi dall’immagine di incapace totale si cominciano a vedere le proprie difficoltà in modo più realistico.
Meno ci identifichiamo con il ruolo di incapace/ debole/ mediocre ecc, più possiamo capire che molti dei nostri limiti non sono dovuti ad un’incapacità congenita ma ad una mancanza di abilità che possono essere acquisite.
Spesso quando ci impegniamo nel correggere i nostri difetti, sperimentiamo la piacevole sensazione di essere più bravi di quanto pensassimo e la nostra autostima si rafforza.
Correggere una tendenza caratteriale radicata da tempo non è facile e all’inizio ci si può riuscire solo in un modo molto limitato: è importante non scoraggiarsi per le ricadute o per la lentezza dei progressi ma imparare a riconoscere e a festeggiare ogni piccolo passo (per quanto imperfetto) sulla via del cambiamento.

Sviluppate le vostre qualità.
Molte persone con una bassa autostima non riescono a far fruttare le loro qualità semplicemente perchè sono convinte di non averne: si vedono troppo mediocri per poter fare qualcosa di buono e non ci provano nemmeno.
Spesso la ragione per cui non riescono a vedere il buono che c’è in loro è che sono talmente concentrate su quello che manca loro fisicamente, caratterialmente e materialmente da non riconoscere le loro doti e le loro possibilità.
Per migliorare l’autostima bisogna invertire lo sguardo: smettere di concentrarsi su quello che manca e concentrarsi sulle proprie qualità per quanto possano sembrare ( in apparenza) piccole e misere rispetto a quelle che si vorrebbe avere.
Quando si comincia a mettere a frutto le proprie doti, facendo del meglio con il poco che si ha, quel poco si moltiplica e si scopre di avere delle risorse inaspettate.

Anna Zanon

Fonte: http://www.ilmiopsicologo.it

 


 

Categoria: Psicologia
Visite: 5816