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Come ci si  riscaldava a Vigevano quando non esistevano i termosifoni? Ossia: la Povertà Energetica… Quando non ti puoi permettere di essere “green”, ma il problema ricade su tutti. La riduzione delle emissioni passa anche per il risparmio energetico e la riduzione dei costi, emerge così il problema dei “poveri energetici”... Un po’ di storia per inquadrare il problema di cui vogliamo discutere noi di Ogigia.

 



Erano i giorni della COP25 di Madrid 2019. All’inaugurazione della conferenza in cui si tornò a discutere il problema dei cambiamenti climatici e cosa fare concretamente per ridurre le emissioni, la presidente della Commissione europea Ursula Von Der Leyen annunciò un «Green New Deal entro 10 giorni», mentre il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres parla di un «punto di non ritorno che sfreccia verso di noi». Non tutti però siamo abbastanza forti da contribuire. Alcuni addirittura non possono proprio permettersi di ridurre i loro sprechi e questo comporta anche un aumento della loro spesa energetica: un circolo vizioso che li porta a non godere nemmeno dei sufficienti servizi energetici primari. Di chi parliamo?



Ogigia parlerà della «povertà energetica».
Fonte da: https://www.open.online .
È come se andassimo a fare il pieno di benzina senza accorgerci che il serbatoio è forato, dunque non solo non avremo mai tutta la benzina che ci serve, ma spenderemo un tanto in più per il carburante che lasciamo finire per terra. Secondo l’Osservatorio europeo sulla povertà energetica, nel 2018 il 14% degli italiani si trovava in una situazione di «incapacità di mantenere la casa adeguatamente calda». Non solo, ma anche di cucinare e usare acqua calda per lavarsi.



Tra i più esposti: gli anziani.
Secondo un’indagine condotta da Serena Rugiero della Fdv (Fondazione Giuseppe di Vittorio). Fonte: https://www.canaleenergia.com .

Su un campione di 962 anziani sottoposti a questionari in diverse regioni italiane, il 34% di loro si è rivelato essere «povero» o «vulnerabile» per quanto riguarda la copertura del fabbisogno energetico. Così anche nella città dove ha sede Ogigia, Vigevano, abbiamo verificato con l’Uffico di Statistica demografica dell’Amministrazione Comunale che su 63.000 abitanti, 1.853 di loro soffrono di povertà energetica. È un aspetto della realtà cittadina su cui viene operato un vero e proprio cover-up, un silenzio. L’indagine di Serena Rugiero mette in luce fattori strutturali e individuali di cui si dovrebbe tener conto nella gestione del problema. I primi riguardano il mercato energetico, i prezzi energetici, la regione e la struttura dell’edificio; i secondi riguardano lo stato sociale, il reddito e l’educazione ai problemi ambientali. «Alla condizione di povertà energetica – riporta l’indagine – si associano maggiormente rispetto agli altri gruppi: l’assenza della casa di proprietà; il vivere in abitazioni monofamiliari o bifamiliari; il vivere in abitazioni di dimensioni ridotte. Il 18% dei poveri energetici  della città di Vigevano beneficia di una casa di proprietà del comune o di altri enti. L’aver effettuato lavori di ristrutturazione è un fatto meno frequente tra i poveri (26,1%) che tra i vulnerabili (44,5%) e gli altri intervistati (57,3%)».
Fonte: https://oipeosservatorio.it

Poveri e vulnerabili hanno comportamenti destinati a ridurre il consumo, accendendo i riscaldamenti solo quando strettamente necessario; tutti gli «altri» non cambiano le loro abitudini ma cercano di ridurre il fabbisogno: «acquistano elettrodomestici che consumano meno anziché limitarne l’utilizzo». Questa è la realtà. La carenza di una effettiva efficienza energetica dell’abitazione fa sì che i poveri riducano il consumo, mentre i vulnerabili risentono delle carenze di efficienza energetica dell’abitazione, quindi spendono di più per soddisfare il loro fabbisogno. Al via il piano del governo: riscaldamenti a 19 gradi e 15 giorni in meno. Come funzionerà dai condomini agli ospedali. Tra le misure previste dal Governo Draghi c’è una riduzione di 1 grado per il riscaldamento degli edifici, da 17 con più o meno 2 gradi di tolleranza per gli edifici adibiti ad attività industriali, artigianali e assimilabili, da 19 con più o meno 2 gradi di tolleranza per tutti gli altri edifici. Non è prevista l’ipotesi di ridurre il riscaldamento negli ospedali.
Fonte: https://www.open.online



Considerando che il 40% dell’energia prodotta in Europa viene assorbito dalle abitazioni e il 67% riguardano il riscaldamento, stando al Dossier Uni sulla certificazione energetica degli edifici del maggio 2016, prevedeva con l’adeguamento degli edifici per una maggiore efficienza energetica, di ottenere un risparmio di 220 miliardi entro il 2020. Combattere la povertà energetica significa quindi attingere a un’altra risorsa, che unità all’economia circolare e ad una riduzione delle emissioni, contribuirebbe non poco a raggiungere quegli obiettivi che ci prefiggiamo oggi a Madrid. Una volta che il prodotto ha terminato la sua funzione, i materiali di cui è composto vengono infatti reintrodotti, laddove possibile, nel ciclo economico. Così si possono continuamente riutilizzare all’interno del ciclo produttivo generando ulteriore valore. L’Unione europea si è posta degli obiettivi ben precisi da assolvere entro i prossimi 10 anni. Non si tratta solo delle evidenze scientifiche sulla nostra responsabilità nel Riscaldamento globale attraverso le emissioni di gas serra. Molte delle nostre emissioni sono dovute agli sprechi, non agli effettivi consumi. Tra i più esposti gli anziani. Secondo un’indagine condotta da Serena Rugiero della Fdv (Fondazione Giuseppe di Vittorio), su un campione di 962 anziani sottoposti a questionari in diverse regioni italiane, il 34% di loro si è rivelato essere «povero» o «vulnerabile» per quanto riguarda la copertura del fabbisogno energetico. L’indagine mette in luce fattori strutturali e individuali di cui si dovrebbe tener conto nella gestione del problema. I primi riguardano il mercato energetico, i prezzi energetici, la regione e la struttura dell’edificio; i secondi riguardano lo stato sociale, il reddito e l’educazione ai problemi ambientali. «Alla condizione di povertà energetica – riporta l’indagine – si associano maggiormente rispetto agli altri gruppi: l’assenza della casa di proprietà; il vivere in abitazioni monofamiliari o bifamiliari; il vivere in abitazioni di dimensioni ridotte.
Fonte: https://www.open.online



La carenza di una effettiva efficienza energetica dell’abitazione fa sì che i poveri riducano il consumo, mentre i vulnerabili risentono delle carenze di efficienza energetica dell’abitazione, quindi spendono di più per soddisfare il loro fabbisogno. Considerando che il 40% dell’energia prodotta in Europa viene assorbito dalle abitazioni e due terzi riguardano il riscaldamento, stando al Dossier Uni sulla certificazione energetica degli edifici del maggio 2016, prevedeva con l’adeguamento degli edifici per una maggiore efficienza energetica, di ottenere un risparmio di 220 miliardi entro il 2020!  Non capiamo se l’obiettivo è stato raggiunto: la visione degi documenti europei è un incubo burocratico... Combattere la povertà energetica significa attingere a un’altra risorsa, che unita all’economia circolare e ad una riduzione delle emissioni, contribuirebbe non poco a raggiungere quegli obiettivi che si erano prefissi a Madrid.



Esiste una soluzione alla povertà energetica?
Vorremmo parlare adesso di una soluzione da suggerire ai Poveri Energetici, non solo di Vigevano, ma di tutta l’Italia. E per farlo, dobbiamo rivolgerci, come suggerito dal nostro webmaster Daniele Dellerba, al passato. Ne parleremo come se si trattasse di una favola: salterà fuori una cosa che vi stupirà: favorire e far rivivere i legami familiari, cosa che si è persa col passare degli anni. La “favola” inizia così: C’erano una volta il camino, la stufa a legna... Il braciere, lo scaldaletto.

 

 

 



…Erano nelle nostre case fino a mezzo secolo fa. Poi lentamente, ma inesorabilmente sparirono... Dove sono adesso? Chi le ha rubate? In questi giorni di settembre 2022 molti hanno scritto ad Ogigia: ”Come si può riscaldare la casa, lavarsi con acqua calda e cucinare con metodi a basso livello tecnologico, a basso costo, come quelli di una volta? E’ conveniente? Oppure è meglio la moderna tecnologia?”. La favola continua… Un po’ di storia bisogna raccontarla in onore di chi ha inventato tutti questi attrezzi che hanno permesso ai nostri nonni di saldarsi, cucinare e lavarsi. Partiamo un po’ da lontano. Il calorifero è nato nel 1855 in Italia, lo sapevate? Sì, è nato a metà dell'Ottocento per opera di Franz Karlovich San Galli, un geniale imprenditore di origini italiane, divenuto un eroe nazionale nella freddissima Russia. Forte di una mente creativa, di abilità tecniche e di viaggi in Europa per apprendere i segreti della lavorazione della ghisa, nel 1855 realizzò il primo calorifero funzionante ad acqua, inizialmente utilizzato per riscaldare le serre delle case reali ed in seguito installato nelle abitazioni dello zar e della nobiltà russa. In breve tempo l'invenzione che assicurava il giusto tepore nelle serre venne, infatti, installata nelle case dei più abbienti di San Pirtroburgo per poi diffondersi nelle regali dimore tutta Europa. Un'idea così geniale da meritare un monumento, come quello a realizzato per la città di Samara celebra il termosifone di San Galli.

 



Quindi in quegli anni  a cui faccio riferimento io, che sono nato nel 1952, cioè gli anni 1930-1960, i termosifoni erano già stati inventati e d'inverno ci si scaldava con questi meccanismi che, secondo me,  tra l’altro, favorivano i legami famigliari.
Fonte: https://it.wikipedia.org



La favola continua: la stufa a legna.
In campagna c'era il camino e per fortuna ce ne sono ancora, anche se talvolta puramente decorativi. In città invece la regina era la stufa a legna. Quella verniciata bianca come le stoviglie smaltate; con i 3 sportelli piccoli, il braciere la presa d'aria e la raccolta cenere; e quei 2 grandi, il forno e l'asciugalegna sotto. Sopra, quella bella piastra di ghisa scura, con tanti cerchi concentrici che si toglievano. uno per uno per adattare il foro al diametro della pentola. Da un lato, c'era un serbatoio per l'acqua calda. Tutt'ora mia madre che ha 92 anni, rimpiange quella stufa che, per lei, praticamente era come una casalinga. I primi gesti di nostra madre la mattina erano: svuotare la cenere e accendere la legna nel primo sportello. Io ero ancora a letto coi miei fratelli, all'ultimo sonno, e sentivoamo quei rumori lontano, dalla cucina. I legnetti piccoli che venivano spezzati e messi saggiamente a tendina su un foglio di giornale per attivare il primo fuoco, poi il rovistare nel mucchio della legna per cercare i pezzi più secchi. Qualche minuto dopo i primi schiocchi della fiamma che partiva e lo sportello che si chiudeva. Nel serbatoio c'era ancora acqua tiepida della sera prima, e così le mamme la portavano in bagno per lavarci. Quando ci alzavamo si andava subito in cucina dove prima di tutto sentivi l'odore leggero del fumo di legna e quello ferroso della piastra che si stava scaldando. Sulla piastra c'era già il pentolinoo il bricco con il latte a bollire, e sul tavolo, in fila, tazze quasi sempre spaiate con grosse fette di pane da spezzare nel latte. Mentre già cominciavano a rassettare, la mamme, mentre accudiva ai fratellini più piccoli, ti urlavano: attenti al latte, che bolle e viene fuori.. E noi preoccupati della responsabilità stavamo attenti a non farlo versare sugli anelli di ghisa... A pranzo, quando si rientrava da scuola, la cucina era una fornace. Sulla piastra 2 o 3 pentole, e nel forno quasi sempre qualcosa da sgranocchiare; specialmente le patate a spicchi grossi, mezzo bruciacchiati, immersi in abbondante olio e pieni di rosmarino. Il pomeriggio sulla piastra ci si mettevano le castagne ad arrostire, e anche i ceci e le fave. Proprio perchè c'era sempre il forno disponibile, si facevano spesso i dolci in casa. Per dare un profumo alla cucina, sulla piastra mettevamo le bucce delle arance e dei mandarini. Ma la favola continua...

 





Il bracere.
Oltre alla stufa, diciamo nella zona giorno, c'era il braciere. Era una pedana circolare in legno, con un grosso foro al centro dove si infilava il braciere di rame. Attorno si mettevano le sedie e si stava lì assieme, a raccontare storielle o a giocare a carte. Accendere il braciere era tutt'altra cosa che la stufa. Qui occorre citare un personaggio oscuro, non di fama, che era il carbonaio. Mi riferisco a quello che aveva il magazzino, una specie di antro di Polifemo tutto nero e fuligginoso, a Vigevano: il signor Satollini. Era un uomo forte e robusto, che tutte le mattine delle stagioni fredde, girava sul presto tirando il suo carretto e gridando (non l'ho mai dimenticato) "la carbonella a 3 e cinquantaaaaa", e ogni tanto suonava una trombetta d'ottone. Era un po' la sveglia del quartiere. Era una persona di gran cuore; mia nonna diceva che non l'aveva mai sentito bestemmiare e ne aveva di motivi perché il suo lavoro era pesante. Le donne scendevano con vecchie pentole e ordinavano la carbonella; questa era di due tipi. Uno fatto di stecchetti piccoli e l'altro sottile come fosse macinato. Gli stecchetti servivano a fare il cuore della brace, mentre quella sottile doveva fare da copertura, come lo zucchero a velo sui dolci. Il braciere partiva di pomeriggio e non vi dico quale divertimento con quella brace. Sul tarallo di legno c'era un vecchio cucchiaio che serviva appunto a sbraciare, ma l'operazione doveva essere eseguita da mani abili altrimenti la brace si consumava subito e bisognava rifornire di carbone: operazione non consigliabile per gli inesperti. Verso sera c'era chi sotto la cenere metteva una patata intera oppure, avvolto nella carta oleata, un pezzo di fegatazzo. Devo dirvi io quello che si sentiva come odore? Dopo cena ci si poteva mettere anche a scaldare il caffè o l'orzo, direttamente nella cioccolatiera. C'era però un piccolo problema per le donne, specialmente le ragazze. Stare troppo a lungo vicino al braciere faceva uscire macchie rosse sulle gambe.  Erano veramente antiestetiche e noi maschietti prendevamo in giro quelle che le avevano. Anche gli uomini erano soggetti, ma i pantaloni coprivano tutto. Assieme al braciere da soggiorno, si fa per dire, si accendevano uno o due assi di coppe, quante le stanze da letto. Vere opere d'arte, in coccio o ceramica a forma appunto dell'asso di coppe del tressette. Ora, chi ancora li possiede, li adopera per fioriera. I tempi sono cambiati, ma sarebbe bello  poter rivivere quei momenti. Per finire questo ricordo, vorrei ricordare lo scaldaletto: un trespolo che mi ha fatto sempre pensare ad una slitta con le renne. Il suo nome era Il Prete. Era fatto di quattro assi di legno proprio come una slitta da neve ma con quattro sci. Al centro si metteva un piccolo braciere, attivato ma senza brace a vista, poi si infilava nel letto un'oretta prima di coricarsi. Quando mi capitava di entrare nella camera dei nonni la sera, mi sembrava che nel lettone dormisse un uomo con un pancione enorme. Me ne sono ricordato anche da studente e così mi sono avventurato a cercare di capire come facesse la brace a covare così a lungo senza ricambio di ossigeno. E' rimasto un mistero. Aveva qualosa di magico scaldare le case di una volta. Chi se lo ricorda? C’è il problema dell’”uomo nero” della favola del riscaldamento che stiamo raccontando.
Fonte: https://noivastesi.blogspot.com



In alcuni casi i contributi della combustione della legna ai cambiamenti climatici non sono nulli perché possono derivare da meccanismi che coinvolgono inquinanti diversi dal biossido di carbonio; tali contributi derivano principalmente dall’emissione di composti gassosi e particolati, che hanno un effetto riscaldante. Ecco l’uomo nero: In condizione di cattiva combustione la legna da ardere emette metano - uno dei sei gas considerati dal Protocollo di Kyoto - e soprattutto notevoli quantità di fuliggine, chiamata anche “black carbon” o “fumo nero” o anche Carbonio elementare. Il black carbon è un fortissimo agente climalterante: sul medio termine (100 anni) il suo effetto medio riscaldante è circa 500 volte quello della CO2 mentre sul breve termine (20 anni) è valutato oltre 2000 volte quello della CO2. Ultimamente la comunità scientifica pone grande attenzione anche a un altro “uomo nero” al “brown carbon”, un aerosol organico che si origina da sostanze organiche volatili (VOC). L’effetto del brown carbon sul clima è ancora incerto e controverso: da un lato esso è in grado di assorbire la radiazione ultravioletta e quindi avere un effetto riscaldante per l’atmosfera, seppure nettamente minore del black carbon; dall’altro non assorbe la radiazione infrarossa e quindi porta a un raffreddamento della superficie. Solo se brucia bene la legna è una fonte energetica che contrasta i cambiamenti climatici! La combustione di 1 t. di legna permette di evitare l’emissione di circa 80 kg di CO2 se bruciata in un camino aperto, e di circa 900 kg di CO2 se bruciata con una stufa efficiente. Se si considerano le emissioni di black carbon e di metano di un camino aperto (o di una stufa poco efficiente) la combustione della legna ha un effetto negativo anche dal punto di vista delle emissioni climalteranti. In altre parole, una cattiva combustione della legna può far perdere il vantaggio ambientale di non utilizzare carbonio fossile. Per le stufe a pellet - o per le stufe a legna che bruciano in condizioni ottimali - il bilancio della CO2 è invece largamente favorevole, in misura maggiore tanto più la distanza di approvvigionamento della biomassa legnosa è ridotta.

Fonti: https://portali.arpalombardia.it
https://www.green.it



Cosa c’è di meglio dello stare chiusi in casa durante una fredda giornata invernale, magari con una cioccolata calda e, soprattutto, con un bel camino acceso? E ancora, non è bello risparmiare un po’ sul riscaldamento della casa accendendo di tanto in tanto la stufa? E che dire della pizza cotta a legna, come da tradizione? E di per sé si potrebbe pensare che bruciare la legna in stufe, caminetti o camini sia di per sé ecologico. Parliamo infatti di un materiale naturale, rinnovabile e per di più a bassissima emissione di carbonio. Il problema, però, è che la combustione della legna – pur non producendo carbonio in quote preoccupanti – emette comunque inquinanti molto pericolosi. Uno studio italo-irlandese pubblicato su Nature Sustainability, per esempio, si era impegnato a individuare le diverse forme fonti di PM10 presenti nell’aria di una zona periferica di Dublino. Si era così scoperto, come aveva spiegato al Corriere Maria Cristina Facchini, direttrice l’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima del CNR di Bologna, che «la componente dovuta all’uso di legna e torba come combustibile è di gran lunga prevalente rispetto agli altri combustibili, come carbone, olio e benzina: il 70% dei primi contro il 30% dei secondi». Vediamo quindi più nel dettaglio quanto inquinano le stufe a legna.



Quanto inquinano le stufe a legna? I dati Arpa.
Combustione delle biomassePer vedere quanto inquinano le stufe a legna possiamo guardare ai dati dell’Arpa, ovvero dell’Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente. Come pietra di paragone guardiamo alle emissioni di PM10 generate dagli impianti alimentati a metano: si parla di 49 tonnellate di polveri sottili PM10 ogni anno. Nel caso del gasolio si parla invece di 62 tonnellate. E per quanto riguarda la combustione delle lagna? Ebbene, qui i numeri si alzano tantissimo: i camini aperti, tradizionali, producono 3.679 tonnellate di PM10 all’anno, mentre quelli chiusi ne producono 2.401. Le stufe a legna, invece, scaricano 2.651 tonnellate di PM10. Camini, stufe a legna, stufe a pellet: quali inquinano di più? Affidiamoci ora ai dati Arpa Emilia Romagna, relativi a uno studi del 2017. Qui si scopre che, per ogni Giga Joule bruciato, un caminetto aperto rilascia nell’atmosfera 860 grammi di PM10. Una normale stufa a legna inquina poco più della metà, ovvero 480 grammi, mentre fa un po’ meno peggio il caminetto chiuso, a 380 grammi. Sono nettamente migliori le performance di una stufa a pellet, che emette 76 grammi per ogni Giga Joule, mole che però è sempre di gran lunga maggiore a quelle relative a gasolio (5 grammi) e a metano (0,2), sostanze che però, ovviamente, rilasciano anche carbonio. Anche il tipo di legna bruciata influisce sull’inquinamento. Va detto che a determinare la quantità di polveri sottili liberate nell’aria non è unicamente il tipo di stufa utilizzata. Anche le diverse tipologie di legna devono essere prese in considerazione. Chi brucia legno recuperato da cassette per la frutta o scarti di falegnameria infatti inquina decisamente di più, andando a introdurre nella stufa del legno verniciato o comunque trattato. Anche le semplici cassette della frutta, per esempio, portano spesso delle scritte con inchiostro. Le stufe a pellet, in generale, inquinano, meno, anche se andrebbe tenuta in considerazione la qualità del pellet utilizzato. La legna che brucia bene inquina meno. Abbiamo dunque visto che la combustione della legna inquina, e lo fa sempre. È possibile ridurre le emissioni di polveri sottili usando la stufa giusta e la legna giusta, ma non è tutto qui. È bene assicurarsi anche che la legna bruci bene, garantendo un buon apporto di ossigeno alla camera di fuoco, per consumare i pezzi di legno in modo omogeneo e completo. Questo è già un progresso rispetto alle valutazioni apocalitiche della commissione ambientale della UE circa l’emissione nell’ambiente esterno dei fumi della combustione della legna comune. Un punto a favore dei poveri energetici.

Fonti: https://www.green.it
https://portali.arpalombardia.it



E l’acqua calda? Cucinare cibo? Una volta si poteva. La soluzione c’era: si chiamava cucina economica, quella di cui abbiamo parlato sopra. Dove trovarla? Un suggerimento: https://www.lanordica-extraflame.com Oppure cercate nel mondo dell’usato. Uno dei centri migliori è a questo indirizzo URL: https://www.in-vendita.it/cucina-economica i prezzi sono economici e potrete risolvere i vostri problemi da nuovo povero energetico.

The Grey ha scritto contro la

 

 

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