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I Rohingya sono una minoranza etnica musulmana che da secoli vive in Birmania, l’attuale Myanmar.

Oggi, più di un milione di loro vivono nel paese, la maggior parte nello stato costiero occidentale di Rakhine, dove costituiscono circa un terzo della popolazione. Il Myanmar rifiuta di riconoscere i Rohingya come cittadini, sostenendo che sono di fatto originari del Bangladesh o del Bengala.

Molti arrivarono come lavoratori durante il periodo coloniale britannico, tra il 1824 e il 1948, quando il Myanmar era considerato una provincia dell’India britannica.

Molti Rohingya, tuttavia, sostengono di essere discendenti di commercianti musulmani le cui origini risalgono al IX secolo.

Quando il Myanmar ottenne l’indipendenza nel 1948, ai Rohingya fu permesso di richiedere dei documenti d’identità e l’accesso ad alcuni diritti e seggi in Parlamento.

Ma dopo un colpo di stato militare nel 1962, i Rohingya persero questo status e furono considerati stranieri.

 



Nel 1982 gli fu concesso nuovamente di richiedere la cittadinanza birmana a patto che fossero in grado di parlare una lingua ufficialmente riconosciuta dallo stato e possedere delle prove riguardo alla presenza della loro famiglia nel paese prima dell’indipendenza dall’impero britannico.

Alla maggior parte dei Rohingya non sono mai stati concessi documenti per dimostrare le proprie radici, rendendoli di fatto apolidi.

Fin dagli anni ’70, ma più intensamente dal 2011, quando il governo birmano da militare è tornato ad essere civile, i Rohingya subiscono repressioni e violenze. La giunta militare che ha governato la Birmania per mezzo secolo ha fatto affidamento su un mix di nazionalismo birmano e buddismo theravada per rafforzare il suo dominio, e, a parere di esperti governativi degli Stati Uniti, discriminando le minoranze come i Rohingya. Attualmente non hanno accesso alle stesse risorse e servizi che i cittadini buddisti hanno in Myanmar. Non gli è permesso di lasciare i loro insediamenti nella regione del Rakhine senza approvazione del governo e molti vivono in condizioni di povertà estrema. Tra l’altro non gli è concesso possedere terreni. Altri Rohingya vivono da sfollati in altri stati dopo esser scappati dalle violenze perpetrate dalle forze di sicurezza del paese, ma anche da altri gruppi etnici della regione, in particolar modo i buddisti. L’Onu e diverse Ong hanno accusato a lungo il governo birmano di pulizia etnica attraverso politiche repressive. Delle comunità di rifugiati Rohingya vivono anche in Bangladesh e in Malesia, dove lavorano illegalmente. Nell’estate del 2017 la violenza è tornata a divampare nella regione. Dopo attacchi a stazioni di polizia effettuati dall’Arakan Rohingya Salvation Army l’esercito birmano ha reagìto con violenti rastrellamenti che hanno spinto circa 300mila Rohingya a cercare rifugio in Bangladesh.Sono almeno 214 i villaggi bruciati in Birmania da fine agosto.

A cura di Ugo Leo

Fonte: http://www.lastampa.it

 

 

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