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Quasi tutti credono che il parafulmine sia un'invenzione dell'americano Benjamin Franklin, e stranamente le informazioni che smentiscono questa affermazione non sono molto diffuse... A dispetto di questa inesattezza e' bene ribadire che il parafulmine si usava in Italia gia' secoli prima della "scoperta" di Franklin. Anche le pagode asiatiche avevano da secoli dei loro parafulmini sulla loro sommita' (chiamati so-rin), anche perche' altrimenti quelle alte strutture di legno non sarebbero mai arrivate fino a noi, essendo molto infiammabili.

 

 

Generalmente si attribuisce a Beniamino Franklyn la scoperta della elettricità atmosferica e l’invenzione del parafulmine. Ma oggi molti antichi fatti interessantissimi vengono a nostra conoscenza; tanto da farci spesse volte cambiare il nostro giudizio. E così avviene appunto per il parafulmine. Già al tempo dei romani troviamo racconti di fenomeni di elettricità atmosferica e pare che Numa Pompilio e Tullo Ostilio conoscessero il modo di rendere inoffensivo il fulmine: appunto durante una di tali pratiche Tullo Ostilio sarebbe stato colpito e ucciso dalla folgore. Ma una affermazione importante, molto posteriore, si trova in un libro stampato a Parigi nel 1766, «origine delle scoperte» di Ludovico Dutens. Parlando della teoria di Franklyn, afferma egli che, in quell’epoca, persona degna di fede avrebbe trovato in certi scavi una medaglia latina antichissima, raffigurante da un verso Giove con i fulmini in mano e, sotto, un uomo che regola un certo volante; e aggiunge: «… la qual cosa è la maniera con cui si può tirare il fuoco dalle nubi». Possiamo quindi arguire che i romani probabilmente già conoscevano l’elettricità atmosferica e sapevano attrarre il fulmine con lo stesso mezzo escogitato da Franklyn.

Ma, lasciando da parte i romani antichi, a provare la priorità italiana abbiamo un documento persuasivo nelle «lettere di Giovanni Fortunato Bianchini, dottore in medicina, intorno al un nuovo fenomeno elettrico, dirette all’Accademia delle Scienze di Parigi nel 1758». Riporta il chiarissimo fisico che sui bastioni del Castello di Duino presso Trieste, ai confini dell’Adriatico, esisteva da tempo immemorabile (pare dal 13º secolo) un’asta metallica, altissima, con la punta rivolta in alto. Durante la stagione estiva, quando i pescatori si allontanarono molto, un armigero veniva posto al lato dell’asta con l’incarico di avvicinare ogni tanto alla base di essa la picca. Quando l’asta all’avvicinarsi del brandistocco emetteva un’aureula luminosa o faceva scoccare una scintilla, il soldato doveva dare l’allarme. Immediatamente dal castello, per mezzo di una campana, si avvisava tanto il contadino, quanto il marinaio, di rientrare al più presto, che la burrasca non doveva essere lontana. Tale pratica dei Castellani di Duino viene anche confermata dalla tradizione del paese e da una lettera del Padre Imperati, del 1602, che dice:«Usano il fuoco e un’asta per presagire le piogge, le grandini e le procelle, soprattutto d’estate». Anche in una Memoria all’Accademia delle Scienze di Parigi del fisico abate Nollet, nel 1794, il fatto è confermato. Non c’è dunque dubbio dell’esistenza del parafulmine prima della scoperta di Beniamino Franklin. E, senza togliere all’eminente scienziato il vanto di aver introdotto il parafulmine nella vita pratica, dobbiamo confermare che tale espediente ora già in uso in Italia da parecchi secoli.

"La Domenica del Corriere", domenica 10 gennaio 1932.

Fonte: http://cinquantamila.corriere.it

Altre conferme presso: http://quitrieste.it

 

 

Infine, proprio come le pagode coreane e cinesi, anche quella giapponese è sormontata da un alto pinnacolo (so-rin) che, essendo un prolungamento della colonna posta al centro della pagoda, conferisce spinta ascensionale e stabilità all'intera struttura, fungendo inoltre da utile parafulmine.

Fonte: https://it.wikipedia.org

 

La pagoda del tempio di Horyu-ji a Nara è in assoluto la più vecchia pagoda in legno del Giappone.


Il tempio buddista di Horyu-ji si trova nella città di Ikaruga, nella prefettura di Nara, ed è conosciuto per ospitare la più antica struttura in legno del mondo, ancora oggi perfettamente conservata. La storia di Horyu-ji inizia nel 587 d.C., quando l’imperatore Yomei ordinò la costruzione di un tempio buddista, probabilmente per curare la malattia che lo affliggeva, tutto questo poco dopo che il buddismo era stato introdotto in Giappone dalla Cina attraverso la penisola coreana. Dopo la morte di Yomei, l’imperatrice Suiko e il suo reggente, il principe Shotoku, si occuparono di continuarne la realizzazione, portando il tempio a compimento nel 607. Il complesso andò poi bruciato in un rogo nel 670, tanto che ancora oggi gli studiosi dibattono sulla data di origine del templio attuale, da collocare con probabilità all’inizio dell’VIII secolo. Gli edifici ancora oggi esistenti nel complesso principale del tempio, ossia Sai-in (Tempio Ovest), pare siano stati completati intorno all’anno 711, mentre la parte orientale, A-in, si fa risalire all’anno 739.

Fonte: http://www.marcotogni.it

 


 

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