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Con la crisi economica, con un costo della corrente elettrica mediamente elevato ed anche un aumento dei black out per via di una manutenzione non sempre eccellente, qualcuno sta' ripensando alle vecchie ghiacciaie. Soprattutto in paesini e case di montagna, dove la neve appare ancora in inverno (consentendo di farne dei blocchi ben pressati per togliere molta aria al loro interno, e quindi bagnandoli per esporli al freddo notturno, cosi' da farne del vero ghiaccio utile). Delle aziende, per abbattere i costi, stanno considerando la possibilita' di riattivare vecchie ghiacciaie montane oppure si ingegnano con altri metodi di refrigerazione senza l'uso massiccio di corrente elettrica. Ecco informazioni utili sulle ghiacciaie, alcune immagini sono tratte dall'interessante pagina di Wikipedia su questo argomento.

Il Webmaster del portale Ogigia.

 

 

Come costruire una ghiacciaia di legno.
Una ghiacciaia di legno è una replica vecchio stile che può ancora essere usata oggi, ed è più interessante guardare oltre le casse di plastica o di metallo di ghiaccio che sono comunemente venduti oggi. È possibile costruirsi la propria ghiacciaia di legno, ma per ridurre la probabilità di una fuoriuscita o screpolatura nel corso del tempo, si dovrà includere la comodità di un dispositivo moderno, pur mantenendo un "classico" aspetto rustico.

1) Delineare un progetto specifico per la nuova cassa di legno. Individuare un vecchio plastico o una ghiacciaia di metallo da riutilizzare come nuova base. Selezionare un modello abbastanza grande in grado di soddisfare le esigenze del torace della nuova costruzione. Svitare la parte superiore del torace fuori dalle cerniere e metterla da parte. Misurare le dimensioni del torace in modo da sapere quanto il legno da comprare. Acquistare il legno (legno uso del tempo-trattata se la ghiacciaia sarà lasciato fuori) e tagliare alla lunghezza desiderata con una sega circolare.

2) Collegare il legno intorno al torace, che racchiude completamente il telaio. Utilizzare una combinazione di colla per legno e viti per fissare il legno sul telaio del petto. Inserire una piccola quantità di colla sulla superficie, e quindi inserire un bordo sulla parte superiore della colla. Fissare le tavole sul petto con un trapano. Posizionare il legno in cima alla sommità distaccata del petto. Utilizzare piccole strisce di legno per collocare intorno al lato della parte superiore.

3) Rimuovere il tappo dal fondo del refrigerante elettrico, e collegare un tubo di gomma nel foro di scarico. Eliminare l'acqua dalla struttura e farla fuoriuscire in caso di necessità. Avvitare l'altra estremità del tubo ad un rubinetto di acqua, e ruotare la manopola del perno e controllare quindi se l'acqua esce dal rubinetto. Lasciare il petto per riempire completamente con acqua. Assicurarsi che non ci siano rotture o perdite nella struttura. Se vengono scoperte crepe chiuderle con resina epossidica. Scaricare l'acqua dalla scatola rimuovendo il tubo.

4) Sostituire la parte superiore della struttura dietro alle cerniere. Stringere i bulloni con la chiave utilizzata per rimuoverli. Montare tutti gli elementi, come ad esempio le maniglie su entrambi i lati per il trasporto, al telaio petto. Si consideri di pitturare il legno, se lo si desidera. Raschiare il legno fino a quando è liscio prima della verniciatura. Dopo che la vernice si è asciugata si può macchiare il petto per evidenziarne l'aspetto di finto legno, soprattutto se la ghiacciaia verrà utilizzata in cortile.

Fonte: http://www.clubsandu.com

 

Una giazera veneta sul Monte Grappa.

 

Ghiacciaia della cascina Favaglie restaurata dai volontari di Italia Nostra.

 

 

La ghiacciaia era una struttura sorta per la conservazione delle derrate alimentari altrimenti deperibili.

Funzione essenziale della struttura doveva essere quello di garantire il mantenimento del freddo il più a lungo possibile. Per ottenere questo risultato lo sviluppo progettuale di questi particolari edifici subì diverse trasformazioni, individuando nella ghiacciaia a sezione verticale tronco conica la forma ideale per ritardare lo sciuoglimento del ghiaccio. Quando però sul finire dell’Ottocento si costruirono grandi strutture, l’inerzia termica della notevole quantità del ghiaccio conservato permise di abbandonare il concetto della ghiacciaia tronco-conica, dove il ghiaccio era a contatto della muratura perimetrale per adottare forme più idonee alla disposizione delle derrate alimentari poste al suo internogiungendo a progettare strutture anche complesse con camere perimetrali e grandi coperture a volta.

Concetti basilari.
Tenendo conto della bibliografia disponibile riferita ad altre ghiacciaie e con l’aiuto diretto dalla esperienza maturata nel restauro della ghiacciaia della cascina Favaglie, andiamo ora ad analizzare i concetti basilari per la costruzione di questi particolari frigoriferi.

1. Forma delle ghiacciaie.
Le prime ghiacciaie ebbero una origine spontanea nelle zone montane, infatti i montanari notarono che nelle buche e in particolari depressioni naturali la neve si manteneva a lungo, anche quando nei prati vicini da tempo la neve si era sciolta al sole. Per le prime ghiacciaie furono utilizzate caverne naturali, dove la neve veniva introdotta da una apertura che poi veniva chiusa e protetta con vegetazione. Poi sorsero le “nevere”, che non erano altro che buche scavate nel terreno a forma circolare a sezione tronco-conica. Tale forma derivava inizialmente da ragioni statiche dovute all’angolo di attrito del terreno, ove era scavata la ghiacciaia. La pianta circolare rappresentava una buona soluzione statica per contenere la spinta del terreno sulle superfici perimetrali delle ghiacciaie. Tale spinta poteva considerarsi bilanciata o trascurabile nei periodi invernali, primaverili ed estivi, in quanto contrastata dalla pressione interna del ghiaccio verso le pareti. Tuttavia nel periodo autunnale, quando la ghiacciaia era vuota, la spinta del terreno esterno, per di più reso pesante dalle piogge, diveniva considerevole e pericolosa per una parete piana. La forma circolare invece scaricava le spinte lungo le direttrici tangenziali alla circonferenza, con un comportamento assimilabile in pianta a quello di una serie di archi circolari disposti orizzontalmente lungo il perimetro. In questo modo era possibile limitare le dimensioni delle murature, che in genere non superavano i 60 centimetri di spessore, anche in casi di ghiacciaie di 10-15 metri di diametro. Nel periodo estivo la massa del ghiaccio, stipata all’interno della ghiacciaia, risentiva della maggiore temperatura dell’aria e della struttura con la tendenza a sciogliersi nelle zone a diretto contatto della parete e del fondo con la conseguente discesa del livello. Con l’abbassamento della massa del ghiaccio, la parete perimetrale inclinata consentiva di mantenere il contatto con il ghiaccio, evitando così di avere intercapedini, dove l’aria per azione convettiva avrebbe accelerato il processo di liquefazione della massa ghiacciata.

2. Drenaggio per lo smaltimento dell’acqua di scioglimento.
Quando si sceglieva la posizione, dove costruire una ghiacciaia, preferibilmente ci si orientava verso un terreno asciutto, riparato dai raggi solari ed in prossimità di un luogo, ove reperire facilmente neve o ghiaccio da stipare all’interno. Per evitare che le acque di scioglimento stagnassero a contatto del ghiaccio medesimo, accelerando il processo di scioglimento, occorreva predisporre un opportuno sistema di drenaggio. Quando non era possibile evacuare le acque per gravità, occorreva provvedere ad un sistema di pompaggio. Questo avveniva nella ghiacciaia della cascina Favaglie, dove un fondo inclinato convergeva verso un pozzetto dove, tramite una pompa a mano, una tubazione in piombo consentiva l’evacuazione delle acque durante il periodo estivo. Importante mantenere separato il condotto di scarico con un diaframma (o collo d’oca) sempre per evitare che l’aria esterna possa innescare moti convettivi al di sotto della massa ghiacciata.

3. Accesso rivolto a Nord con bussola di accesso a doppia porta.
L’orientamento a Nord era importante affinché, durante l’accesso alla ghiacciaia nel periodo estivo, i raggi solari non colpissero la porta e, con l’apertura della porta, non entrassero lungo il cunicolo. L’accesso alla ghiacciaia era sempre munito di doppio sistema di chiusura. Le porte dovevano essere poste a sufficiente distanza in maniera di consentire, durante il deposito od il prelievo del ghiaccio o delle derrate alimentari, di chiudere una porta prima della apertura della seconda. Questa tecnica costruttiva riduceva al minimo il contatto dell’aria esterna con quella interna a temperatura più fredda. L’esempio tipico è quello del nostro frigorifero: se dimentichiamo la porta aperta, costringiamo il motore a produrre altro freddo, mentre nel caso della ghiacciaia rischiamo di perdere il freddo, che non potremo più recuperare.

4. Sfiati per smaltire l’aria umida all’interno della ghiacciaia.
Quando la ghiacciaia non era per lungo tempo utilizzata, la camera d’aria, sovrastante la massa del ghiaccio a contatto con le pareti a temperatura più calda, tendeva a condensare. Questa aria umida a contatto del ghiaccio ne poteva facilitare il suo scioglimento. Ecco allora sorgere la necessità di munire la parte superiore della volta di copertura di appositi sfiati, che favorivano un modesto ricambio d’aria. Nel caso della ghiacciaia Favaglie quattro sfiati del diametro di cm 12 sono disposti sulla volta e tramite condotti sub orizzontali collegano la camera interna all’ambiente esterno.

5. Utilizzo di paglia od altro materiale coibente a contatto del ghiaccio.
Conosciamo il fatto che la temperatura del terreno non scende mai al di sotto di 7-9˚; pertanto era necessario proteggere il contatto del ghiaccio con la struttura, pareti e fondo della ghiacciaia ed a questo scopo venivano usati materiali coibenti più eterogenei quali paglia, pula di riso o foglie secche. Questi materiali, oltre ad essere disposti sul fondo o contro la superficie laterale, venivano anche interposti fra strato e strato del ghiaccio; questo evitava, specialmente nelle grandi ghiacciaie ove il ghiaccio veniva anche prelevato e venduto, di evitare che la massa divenisse un unico blocco di ghiaccio. L’interposizione del materiale coibente consentiva, dove necessario, di mantenere integra la pezzatura delle forme di ghiaccio, ottenute dal prelievo, in apposite pozze adiacenti alla ghiacciaia.

6. Copertura delle ghiacciaie.
La temperatura esterna o direttamente i raggi solari o le acque meteoriche avrebbero posto a grave rischio la conservazione del ghiaccio all’interno delle ghiacciaie. Allo scopo, secondo i luoghi di edificazione, si adottarono vari metodi esecutivi: cupole in muratura, strutture lignee con tetti in paglia e nelle zone montane coperture con grandi lastre di pietra. Per potenziare la coibentazione della copertura, quando la portanza della struttura lo consentiva, era consuetudine coprire la ghiacciaia con uno strato di terreno naturale. Ecco allora le caratteristiche collinette che un tempo era possibile notare in parchi o nelle vicinanze delle case signorili. Nel caso della ghiacciaia Favaglie il terreno di copertura arrivava sulla sommità della calotta ad uno spessore di un metro di terra che veniva mantenuta da un muretto laterale, le cui tracce sono state rilevate durante i lavori di restauro.

7. Ubicazione ghiacciaie e protezione dai raggi solari.
Quando si iniziò a costruire le ghiacciaie al di fuori delle strutture abitate, per la loro ubicazione furono tenuti in debito conto diversi fattori essenziali: la vicinanza al luogo, ove realizzare una pozza per la produzione del ghiaccio, un terreno elevato ed asciutto, la comodità di accesso per riporre e prelevare le derrate alimentari, la prossimità di zone ombreggiate, all’interno di giardini e parchi, al riparo dall’irradiamento solare. Quando i primi fattori condizionavano l’ubicazione della ghiacciaia in zone prive di vegetazione, allora si provvedeva a creare artificialmente la protezione necessaria. La collinetta e l’area della ghiacciaia venivano piantumate con essenze arboree ed arbustive. Nel caso specifico della ghiacciaia della cascina Favaglie si racconta che, oltre a varie specie di alberi, anche la vite venisse coltivata sulla sua sommità. Infatti la presenza di tutte queste specie arboree fu la causa del degrado della cupola e delle pareti perimetrali, perché, oltre alle sollecitazione trasmesse dagli alberi di alto fusto dall’azione del vento, anche l’apparato radicale aveva profondamente intaccato la struttura costituita da una muratura di mattoni.

8. Profondità dal piano di campagna.
Nelle zone montane, o in presenza di dossi naturali la possibilità di scavare una buca con uno scarico dei drenaggi verso valle, non poneva limiti, se non strutturali, alla profondità delle ghiacciaie. Anche in pianura solitamente la ghiacciaia veniva incassata nel terreno, ma era una cosa diversa: il posizionare una ghiacciaia in profondità poteva comportare seri problemi per l’evacuazione delle acque di scioglimento del ghiaccio e inoltre in particolari zone si doveva tenere in debito conto il livello della falda acquifera. Con una ghiacciaia troppo profonda, questa poteva addirittura essere invasa dalle acque con gravi conseguenze per il ghiaccio e per le derrate alimentari, conservate al suo interno. Come già descritto, l’impossibilità di scavare in profondità veniva risolta, creando un rialzo di terreno intorno alla ghiacciaia.

9. La massa del ghiaccio.
La costruzione delle ghiacciaie andò man mano perfezionandosi così da raggiungere dimensioni considerevoli. Con l’aumentare delle dimensioni aumentò anche il volume del ghiaccio stivato al suo interno con un maggior volano termico che facilitava la conservazione del freddo nelle ghiacciaie. Sorsero così al posto delle prime ghiacciaie grandi magazzini di stoccaggio: si pensi che negli Stati Uniti il ghiaccio veniva caricato mediante nastri trasportatori che lo convogliavano all’interno di grandi capannoni coibentati lunghi centinaia di metri. Con le nuove tecnologie di approvvigionamento e stoccaggio saremmo giunti a costruire sistemi per la conservazione del ghiaccio naturale sempre più grandi, se non fosse stato inventato il modo di produrre il ghiaccio artificiale. Con la nascita dell’industria delle fabbriche del ghiaccio, che potevano produrlo secondo il fabbisogno senza la necessità dello stoccaggio, piano piano le ghiacciaie furono messe in disuso. Alcune vennero demolite, altre abbandonate al degrado del tempo. Di recente è rinato l’interesse per queste particolari strutture, provvedendo al loro restauro ed alla conservazione della “mamma di tutti i frigoriferi”.

10. Sistemi antiinquinamento.
Come riscontrato nella rimozione del terreno di copertura della ghiacciaia della cascina Favaglie tutto l'estradosso della volta era rivestito da uno strato spesso 5.6 cm di carbonella di legno. Si ipotizza che questo strato fosse un sistema di filtro a carboni attivi atto ad impedire il percolamento di liquidi inquinanti all'interno della ghiacciaia.

La ghiacciaia, dalla quale sono state dedotte per buona parte le cognizioni costruttive elencate nei punti precedenti è quella della cascina Favaglie a Cornaredo (MI), restaurata dai volontari di Italia Nostra con un lungo lavoro durato più di venti anni. Ora questa struttura, parte integrante del complesso museale collegato al Punto Parco Agricolo Sud di Milano “Cascina Favaglie”, è visitabile e utilizzabile anche per conferenze ed esposizioni museali.

Fonte: http://www.museovaldimagnino.it

 

Ghiaccio pronto all'immagazinamento alla ghiacciaia, nei pressi di Le Piastre, nei primi del Novecento.

 

Ghiacciaia della Madonnina (Le Piastre) nei primi del Novecento.

 

Per ingrandire questo schema di ghiacciaia premere qui .

 

 

 

 

LA GHIACCIAIA – Era la fabbrica del freddo. E’ già segnata nella piantina del Castello e sue adiacenze del 1785, quindi può avere trecento o più anni. Potrebbe risalire pertanto all’epoca del castello residenza dei Simiana. La struttura in muratura – in perfette condizioni -, a tronco di cono come la maggior parti delle ghiacciaie di quell’epoca, ha una profondità di oltre sette metri ed un diametro superiore di circa tre metri, che si riducono ad uno alla base. Il volume totale è di circa 24 metri cubi. È chiusa in alto da una meravigliosa cupola in muratura, coperta all’esterno da uno strato terroso. Vi si accedeva dall’esterno attraverso un breve corridoio che aveva probabilmente due porte che dovevano isolare il più possibile ll’interno sia dagli sbalzi di temperatura che dalla luce. Spesso queste ghiacciaie erano costruite in ambienti ombrosi o nei suoi pressi venivano piantati degli alberi per filtrare il più possibile i raggi del sole. Nel caso della ghiacciaia del castello, esisteva probabilmente una tettoia di copertura, come si può dedurre dalle tracce ancora presenti sul muro. Le ghiacciaie non servivano alla produzione del ghiaccio, ma alla conservazione del ghiaccio e dei cibi (ed in altre regioni sono infatti dette “conserve”). Il ghiaccio veniva prodotto in bassi bacini o raccolto nei bordi dei canali e dei fiumi nei più freddi mesi invernali e, opportunamente squadrato in blocchi, immagazzinato nelle ghiacciaie. Al fondo venivano di solito poste delle fascine per facilitare il drenaggio, mentre lateralmente per evitare il contatto diretto con le pareti di muratura veniva posta della paglia. Anche gli strati di ghiaccio venivano separati da paglia, al fine di favorire il prelievo del ghiaccio stesso ed evitare che si formasse un blocco unico. In alternativa ai blocchi di ghiaccio, si procedeva anche ad immagazzinare la neve che, in seguito a compressione, si tendeva a far trasformare in ghiaccio. Così trattato e protetto, il ghiaccio si manteneva per tutto l’anno ed era preziosissimo principalmente per la conservazione dei cibi, ma anche per la cura delle febbri e per la preparazione di gelati e bevande fresche in estate (questa moda arrivò dalla Francia e la tradizione vuole che il generale La Feuillade, durante l’assedio del 1706, si facesse portare giornalmente il ghiaccio da Pianezza per le sue bevande e sorbetti!). Il blocco di ghiaccio, una volta asportato dalla ghiacciaia, veniva riposto in armadi metallici che fungevano in parte da frigoriferi. Tutti i castelli e le ville dei nobili avevano la loro ghiacciaia ed averne una era un segno di ricchezza e di distinzione. A Torino esistevano le Regie Ghiacciaie, trasformate poi in magazzini refrigerati per i mercati di Porta Palazzo. Il Castello della Venaria Reale aveva la sua ghiacciaia, di cui si prevede il restauro. Questo sistema andò avanti fino all’avvento dei frigoriferi, anche se nei primi decenni del ‘900 già esistevano delle fabbriche che, industrialmente, producevano il ghiaccio. Per alcuni paesi in montagna la produzione, la conservazione ed il commercio del ghiaccio costituiva una importante fonte di reddito. Venendo alla prima metà del ‘900, praticamente ogni macellaio era dotato di una cella refrigerata dal ghiaccio in cui conservava la carne. Altrove esistono “Musei del ghiaccio”, nei quali sono illustrati tutti i procedimenti ed è visitabile la ghiacciaia (ad esempio a Cerro Veronese ed in una località in provincia di Pistoia), Altrove, come ad esempio a Bologna o Cesenatico, le ghiacciaie sono visitabili turisticamente, inserite in tour organizzati alla scoperta degli angoli più nascosti delle città. Quando venne costruita la Villa Lascaris (dotata di una sua ghiacciaia e di un suo “infernot”), probabilmente la ghiacciaia del castello venne abbandonata ma fortunatamente si è conservata fino ai nostri giorni: è un monumento del passato che merita di essere valorizzato e conosciuto maggiormente.

 

 

 

 

(Fotografie di “Mario Foto”, Marchesi Mario, Gili Giovanni).



In un primo tempo si è dovuto liberare l’entrata per poter visionare all’interno lo stato del manufatto poi con le dovute attrezzature i nostri soci si apprestano a liberare l’interno della ghiacciaia dalle innumerevoli macerie. La ghiacciaia si presentava completamente sommersa da detriti e terra che nei tempi si è consolidata. Negli anni ci si è adoperati a far emergere il manufatto.

RICERCA SULLE GHIACCIAIE.
La società attuale, pur orientata verso una maggiore conoscenza della tecnologia futura continua a dimostrare interesse a tutto ciò che riguarda il passato e le nostre origini. L’Associazione Storica Culturale Granatieri Brandeburghesi e il Gruppo Amici del Castello in collaborazione all’ Amministrazione Comunale di Pianezza ha il desiderio di divulgare a tutti i Pianezzesi e non, questo piccolo studio che riguarda la tecnologia e l’economia legata al commercio del ghiaccio. Vi chiederete ma cosa centra Pianezza con tutto questo? Il nostro gruppo facendo attività di pulizia nella parte inferiore del parco di villa Lascaris ha scoperto una ghiacciaia. Questa struttura protagonista di anni passati pur nella sua semplicità ha condizionato il modo di vivere per intere generazioni, ed inoltre chi di voi è a conoscenza di questo manufatto nel nostro territorio? Tutte le attività svolte con passione portano a dei risultati, il nostro gruppo con il lavoro di recupero e di ricerca storica ha voluto dare un piccolo contributo alla conoscenza di questa costruzione lasciata per troppi anni in stato di abbandono ed inoltre speriamo che tutto questo sia di stimolo per ulteriori pubblicazioni sulla nostra storia locale. Il ghiaccio, come il sale ed il fumo, è sempre stato un fattore determinante nella strategia di conservazione degli alimenti, e in primo luogo delle proteine animali. Quando ancora non esistevano i sistemi di refrigerazione industriale, i commercianti di generi alimentari, ma anche privati che intendevano conservare il cibo, dovevano necessariamente ricorrere alle scorte di ghiaccio. I lettori non più giovanissimi ricorderanno senz’altro i tempi in cui, specialmente d’estate qualche garzone che di buon passo, sulla spalla ricoperta da un panno, trasportava lunghe barre di ghiaccio gocciolante destinate a quegli antenati dei frigoriferi che portavano appunto il nome di ghiacciaie. Le tecnologie più moderne hanno cancellato quell’ usanza: il freddo e il ghiaccio vengono assai più comodamente prodotti in casa e delle barre di ghiaccio non si sente più la necessità.

L’ INDUSTRIA DEL FREDDO.
L’aspetto economico è sempre stato di fondamentale importanza poiché coinvolge una miriade di attività lavorative legate ad esso. Oltre che alla produzione si pensi anche al trasporto, lo stoccaggio, il commercio ed il consumo. Le descrizioni delle imprese di Alessandro Magno raccontano come si conservasse il ghiaccio più di 2300 anni fa; in buche profonde, ricoperte d’arbusti e terriccio. Erano enormi blocchi di ghiaccio avvolti in paglia e fieno che gli schiavi trascinavano dalle montagne della Macedonia sino alle pianure dell’Asia Minore. Da tempi così lontani, l’economia legata al ghiaccio arriva fino a circa 50 anni fà, cioè poco dopo la fine della seconda guerra mondiale. Nella nostra regione, lo sfruttamento del ghiaccio trova il suo massimo sviluppo a partire dal XVII secolo. Forse alcuni di voi avranno già sentito parlare delle ghiacciaie reali di Porta Palazzo, uno dei più antichi sistemi sotterranei della nostra città. Agli inizi del 1800 a sollecitare la produzione di ghiaccio fu l’aumentato benessere di larghi ceti della popolazione cittadina con la conseguente apertura di nuove osterie e macellerie. In risposta a queste necessità si cominciarono a costruire nuove ghiacciaie, sia appartenenti alle comunità locali vicino alle più importanti vie di comunicazione con il fondo valle sia nelle corti rustiche di ville e palazzi appartenenti a famiglie nobili. Le famiglie più abbienti ne facevano grande uso, anche per consumi voluttuari (bevande fredde, sorbetti), per la preparazione di medicinali e per la cura di febbri, ascessi, contusioni, ecc. . Grandi consumatori di ghiaccio e neve erano le comunità monastiche (specie per la conservazione di prodotti caseari) di cui la prova è stata il recente ritrovamento di una ghiacciaia nel monastero di S. Ambrogio di Milano. Nel nostro territorio esistono strutture molto simili ma che sono state costruite per fini diversi, quindi per precisione dobbiamo dare la definizione corretta a seconda della loro funzione:
GHIACCIAIA: bacino naturale o artificiale per la formazione del ghiaccio;
NEVIERA: sito naturale o artificiale in cui è collocata la neve perché si trasformi in ghiaccio;
CONSERVA: luogo in cui è immagazzinato il ghiaccio: questo termine sarebbe il più corretto per indicare la “ghiacciaia” di Pianezza.
Fino alla prima metà del secolo scorso, l’estrazione del ghiaccio era ancora un’attività che offriva qualche opportunità economica a piccole comunità di montanari. Il ghiaccio era prevalentemente raccolto per i macellai, poiché fortemente vincolati alla conservazione della loro merce, caratterizzata dal facile deterioramento. Nei paesi a clima temperato come le regioni meridionali era consuetudine conservare la neve, che immagazzinata in buche nel terreno rivestite in pietra o in grotte naturali permettevano far fronte alle carenze idriche delle stagioni asciutte. Il ghiaccio usato per la conservazione degli alimenti veniva prelevato dall’unico luogo in cui non mancava mai in tutti i periodi dell’anno: la montagna. E accanto ai minerali, al legno, agli animali più pregiati ed alle erbe aromatiche, l’uomo imparò anche a sfruttare le eterne scorte di ghiaccio delle alte vette. Conosciamo una cava di ghiaccio in Valle Susa: il ghiacciaio Galambra. Da Salbertrand i cavatori salivano fino al ghiacciaio posto a 3092 metri, armati degli strumenti necessari a tagliare la gelida massa e confezionarla per la spedizione. L’attuale passo del Vallonetto, punto obbligato per il passaggio, allora era soprannominato “al pas dla giasa.” (il passo del ghiaccio) Un altro ghiacciaio della Valle di Susa ampiamente sfruttato come cava, era quello di Bard (3150m), nei pressi della strada che conduce al colle del Moncenisio. Naturalmente il prezioso prodotto, appena estratto doveva essere tagliato in blocchi che fossero così facilmente trasportabili dai muli fino a Susa; ma dovevano anche presentare delle dimensioni tali da garantire la conservazione fino al luogo di destinazione. La rivista del Club Alpino del 1893 ci informa che il ghiaccio estratto in Valle Susa, nel 1884 veniva inviato fino a Massaua. La discesa a valle doveva naturalmente essere rapidissima per permettere alla maggior quantità di prodotto di raggiungere la città. Il ghiaccio tagliato era avvolto in teli di juta bagnati, da cui era poi caricato sui carri fino alla destinazione finale. Il trasporto del ghiaccio spesso avveniva di notte per evitare il calore del sole, con tutti i pericoli che ne derivavano. Il lavoro iniziava a giugno per concludersi a fine agosto, normalmente con l’esaurimento delle scorte.

Esistevano altri sistemi di raccolta del ghiaccio definiti “di pianura” che permettevano di ricavare il prodotto. In fase di costruzione della ghiacciaia si provvedeva a creare nelle vicinanze appositi guazzi, ossia delle fosse piene d’acqua pulita da cui si toglieva poi il ghiaccio tagliandolo in blocchi con le scuri. Le comunità toccate da torrenti o fiumi ricavavano il ghiaccio dalle acque che gelavano nei tratti e negli slarghi dei corsi d’acqua in cui le medesime rallentavano o addirittura stagnavano. Salvo che l’autunno fosse stato sufficientemente piovoso da riempire le pozze, tra dicembre e gennaio si provvedeva al taglio del ghiaccio. Il ghiaccio veniva tagliato in blocchi di larghezza regolare, grazie all’ uso di affilatissime scuri speciali e di arnesi che ne permettevano il dimensionamento corretto. Per costruire dei piccoli invasi o pozze, si utilizzava una parte della terra di riporto dallo scavo della buca (profonda 8-9 metri), la rimanenza veniva utilizzata per coprire la ghiacciaia con uno strato di almeno 1 metro per isolarla dagli agenti atmosferici. Naturalmente il luogo doveva essere in ombra soprattutto nelle ore più calde e se ciò non era possibile, si provvedeva a piantare alberi ad alto fusto e larghe chiome nella zona circostante. Altre condizioni molto importanti erano quelle di costruire la ghiacciaia in terreni drenanti ed in posizione sempre più elevata rispetto al luogo circostante, questo per fare in modo che in caso di pioggia l’acqua poteva scivolare via senza rimanere a contatto delle mura perimetrali esterne, infatti il peggior nemico di una ghiacciaia è quello dell’ umidità perché fa aumentare la temperatura interna e provoca la crescita di muffe dannose per il prodotto conservato. La casistica delle forme riscontrate nel nostro territorio spazia da semplici buche scavate nel terreno fino ad edifici intesi come entità architettoniche complesse, in cui sono articolati i vari elementi costruttivi (fondazioni,struttura, copertura, ecc). La qualità primaria della ghiacciaia doveva essere quella di garantire la conservazione della maggior quantità possibile del prodotto in essa depositato. Per questo motivo la linea di sviluppo di questi edifici doveva tendere all’ individuazione del massimo livello di isolamento termico, quindi in base alle esperienze passate si arrivò abbastanza presto all’ individuazione della tipologia ideale (ghiacciaia a sezione tronco-conica coperta con volta a cupola). Come per le tipologie utilizzate nelle architetture preindustriali, le ghiacciaie più grandi potevano avere pianta rettangolare, grandi coperture in paglia o in cotto, a capanna o a padiglione, sorrette da grandissimi archi, da poderose capriate, da doppie file di alti pilastri che dividevano lo spazio interno in più navate. Le prime ghiacciaie dovevano ricordare molto da vicino le antiche neviere, cioè non erano altro che buche a forma tronco di cono rovesciato scavate nel terreno, ricoperte nella parte esposta all’aria con strati di foglie secche e di fascine drenanti sul fondo che avevano una funzione isolante in modo da non permettere al ghiaccio di posarsi direttamente sul terreno circostante. Questa forma non è casuale e neanche frutto di particolari conoscenze geometriche e statiche, ma deriva da un attenta osservazione del comportamento del terreno ed è perciò il risultato di una ottimizzazione progressiva di tentativi empirici susseguitisi nel tempo. Infatti, ipotizzando di effettuare in un terreno di media coerenza uno scavo a pianta quadrata con pareti perfettamente verticali, dopo un certo periodo di tempo gli agenti esterni comincerebbero ad erodere le pereti dello scavo, provocando distacchi di materiale a partire dalle zone mediane dei lati del quadrato, ed il materiale tenderebbe ad accumularsi alla base della parete. Finchè, dopo un po’, si otterrebbe una forma circolare in pianta e trapezoidale in sezione, con i lati obliqui inclinati secondo l’angolo di attrito del terreno. Si avrebbe, in altre parole, una buca a forma di tronco di cono rovesciato. Questa tipologia fu conservata anche successivamente, quando le pareti laterali ed il fondo furono costituiti da muratura in pietra, introdotta per evitare il contatto diretto del ghiaccio con il terreno permeabile all’acqua e all’aria e, conseguentemente, per limitare gli scambi termici. Scomparivano inoltre i fenomeni di erosione dovuti all’ incoerenza del terreno ed agli agenti atmosferici. Infatti la pianta circolare rappresentava una buona soluzione statica per bilanciare la spinta del terreno sulla superficie laterale delle ghiacciaie. Tale spinta poteva considerarsi trascurabile nei periodi invernali, primaverili ed estivi, in quanto bilanciata dalla pressione interna del ghiaccio verso le pareti. Tuttavia nel periodo autunnale, quando la ghiacciaia era vuota la spinta del terreno esterna, per di più reso pesante dalle ingenti piogge, diveniva considerevole ed in breve avrebbe danneggiato eventuali murature rettilinee, a meno che non avessero avuto uno spessore notevole ma antieconomico. La forma circolare invece scaricava le spinte centripete lungo le direttrici tangenziali alla circonferenza, con un comportamento assimilabile in pianta a quello di una serie di archi circolari disposti orizzontalmente lungo il perimetro. In questo modo era possibile limitare le dimensioni delle murature, che in genere non superavano i 60 centimetri anche in casi di ghiacciaie di 10-15 metri di diametro. Inoltre la forma tronco-conica era quella che, a parità di volume, sviluppava la minore superficie. Questo significa che veniva ridotta al minimo la superficie di contatto della massa ghiacciata con le pareti esterne, sulle quali erano esercitati gli scambi termici da limitare il più possibile. Al momento del passaggio della nevaia scavata nel terreno a quella in muratura sarebbe stato logico verticalizzare i muri di contenimento laterale, ed assumere come nuova tipologia il cilindro anziché il tronco di cono: oltre a semplificare la costruzione si sarebbe aumentata, a parità di diametro superiore, anche la capacità delle ghiacciaie. Il motivo per cui anche successivamente è stata in molti casi mantenuta l’inclinazione delle pareti si può spiegare come segue. La massa del ghiaccio, composta da blocchi di limitata dimensione saldati tra loro per la bassa temperatura, poteva essere assimilata ad un unico blocco congelato con la forma del suo contenitore. Nel periodo primaverile aumentava sensibilmente la temperatura dell’ aria, e anche quella del terreno a partire dai livelli superiori, provocando lo scioglimento di una parte superficiale del ghiaccio. Nelle ghiacciaie tronco-coniche lo scioglimento del ghiaccio sul fondo permetteva un abbassamento della massa tale da riportare la superficie congelata a contatto delle pareti. In un ipotetica ghiacciaia cilindrica, invece, l’abbassamento della massa avrebbe lasciato penetrare l’aria negli interstizi laterali, favorendo la formazione di fornelli di scioglimento, ed accelerando il processo di liquefazione. Il drenaggio dell’acqua di scioglimento avveniva attraverso una massicciata o vespaio costituita da grossi ciottoli di fiume sistemati l’uno accanto all’altro sul fondo della ghiacciaia.

Riportiamo di seguito un brano tratto da:
“LA NUOVA ENCICLOPEDIA ITALIANA” vol.X, TORINO,1880, p.253″

(..) La prima cura da aversi nella costruzione di una ghiacciaia è di evitare che il calore esterno vi penetri: siccome però non si conoscono sostanze che isolino dal calore perfettamente o non abbiano per esso conducibilità alcuna, così riesce impossibile conservar tutto il ghiaccio che si raccoglie, se ne perde sempre una parte, la cui liquefazione coopera alla conservazione del rimanente. L’ ingresso è sempre al norte, della forma di un piccolo corridoio con una porta al principio e al fine. Comunemente la ghiacciaia si costruisce in un boschetto, dovunque circondata da alberi che la difendano dai raggi del sole. Nel collocare il ghiaccio bisogna rivestire il fondo e le pareti di un denso strato di paglia, e coprirne ugualmente la massa quando è compiuta, coll’avvertenza che il ghiaccio sia ben stivato e compresso in modo da formare una massa il più possibile compatta, avvertendo di scegliere per tale operazione una bella giornata possibilmente fredda ed asciutta.

(..)

Fonte: http://granatieri.altervista.org

 


 

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