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La fantascienza si è sforzata, in innumerevoli libri, film e fumetti, di tracciare il ritratto di possibili extraterrestri ed ora Facebook pullula di gruppi che credono che gli extraterrestri siano tra noi, o che l’umanità sia il frutto di un esperimento genetico di una civiltà extraterrestre superiore.

 

 

Ma la realtà, come accade molto spesso, rischia di superare le fantasie e le convinzioni fideistiche: come ricorda oggi l’agenzia russa Ria Novosti, «All’inizio degli anni 2000, durante una verifica di routine del quarto reattore della centrale nucleare di Chernobyl da parte di un robot, gli ispettori hanno scoperto sulle pareti interne del sarcofago la comparsa di uno strano deposito nero. I campioni di questo deposito prelevati dal robot sono stati inviati al laboratorio, che ha ottenuto dei risultati sorprendenti: guardando più da vicino, questo deposito si è rivelato vivo. Più precisamente si tratta della muffa Cladosporium Sphaerospermum. Il suo colore radicalmente nero è dovuto al pigmento della melanina, lo stesso che scurisce la pelle degli uomini. I ricercatori hanno supposto che il fungo potrebbe essersi “abbronzato” per la stessa ragione degli esseri umani: per proteggersi dalle radiazioni».

Da ormai 15 anni i ricercatori dell’Istituto di microbiologia e virologia Zabolotny di Kiev stanno studiando colonie di funghi e muffe che presentano un aumento di melanina, nel suolo intorno al sarcofago di cemento ormai quasi disintegrato che circonda il più grande disastro della storia del nucleare civile, e le loro scoperte hanno rivelato cose piuttosto insolite.

Nel 2007 un team di ricercatori dell’Albert Einstein College della Yeshiva University di New York ha pubblicato su Plos One lo studio “Ionizing Radiation Changes the Electronic Properties of Melanin and Enhances the Growth of Melanized Fungi” che arrivava a conclusion sensazionali: dopo aver effettuato dei test sui funghi Wangiella dermatitidis, Cryptococcus Neoformans e la muffa Cladosporium Sphaerospermum di Chernobyl contenenti melanina, hanno scoperto che non solo resistono a radiazioni letali, ma crescono più rapidamente sotto l’impatto della radiazione. I due funghi sono stati esposti a livelli di radiazioni ionizzanti circa 500 volte superiore a livelli di fondo ed entrambe le specie sono cresciute significativamente più velocemente di quelli che vivono in ambienti non irradiati, mentre la Cladosporium Sphaerospermum di Chernobyl ha mostrato effetti ancora più interessanti: le radiazioni accelerano la sua crescita anche se hanno poca materia nutritiva, quindi “mangiano” le radiazioni. Questa muffa avrebbe imparato ad utilizzare i raggi gamma proprio come le piante utilizzano la luce per la fotosintesi.

Diversi laboratori hanno subito cominciato a studiare la muffa mutante di Chernobyl e i biotecnologi statunitensi del Savannah River National Laboratory nel 2011 hanno pubblicato su Bioelectrochemistry lo studio “Gamma radiation interacts with melanin to alter its oxidation-reduction potential and results in electric current production”, nel quale spiegano che «L’irraggiamento gamma interagisce con la melanina modificandone il suo potenziale ossido-rigeneratore e produce elettricità». Quindi i funghi che vivono intorno a Chernobyl possono utilizzare l’energia delle radiazioni, anche se nessuno sa ancora attraverso quali processi molecolari ci riescano.

Secondo Ria Novosti, «Se queste conclusioni fossero confermate, potrebbero avere delle conseguenze molto importanti , tanto per la ricerca fondamentale che applicata. Soprattutto, questo potrebbe completamente cambiare la nostra visione in settori come i viaggi spaziali». La scoperta della muffa mangia-radiazioni mette in dubbio anche quella pensavamo fossero le caratteristiche di un’area nella quale si possa sviluppare una forma di vita. E Ria Novosti ricorda che «da tempo, queste affermazioni suscitano seri dubbi», in particolare dopo la scoperta di ecosistemi intorno a delle bocche idrotermali nelle profondità marine, in ambienti dove la fotosintesi è impossibile ed invece esistono comunità di esseri viventi che si basano di batteri che ottengono energia ossidando sostanze chimiche come l’idrogeno e lo zolfo emesse dalle bocche idrotermali. Secondo l’agenzia russa, «Sarebbe quindi ragionevole cercare tali ecosistemi negli oceani di Europa, il satellite di Giove».

Però i limiti della chemiosintesi sono evidenti: «Il combustibile chimico ha la proprietà di esaurirsi molto velocemente, perfino più velocemente di quanto gli abitanti riescano ad evolvere e produrre l’elettrificazione o dei razzi per involarsi prima che sia troppo tardi – scrive ancora Ria Novosti – Senza dimenticare che le sorgenti idrotermali necessitano di un’attività vulcanica che non è sempre presente: su Europa è molto probabile, ma non su Marte. Mentre la radiazione non richiede affatto la presenza di un pianeta!"

L’agenzia di stampa ufficiale russa evoca il concetto fantascientifico di “astronavi viventi” come quello dei film Lexx, in grado di rigenerarsi e riprodursi, e sottolinea: «Come si vede, la natura è già andata avanti nella direzione giusta. Le muffe sono ricoperte di un eccellente materiale strutturale, la chitina, utilizzato anche da crostacei, insetti ed aracnidi. Gli astronauti del futuro potrebbero quindi avere a disposizione un materiale in grado di autoripararsi, di moltiplicarsi attraverso le spore, di costruire nuove sezioni con materiale e rifiuti spaziali raccolti in volo ed anche nutrire l’equipaggio, se i funghi e le muffe fossero commestibili. Inoltre potrebbero avere a disposizione antibiotici naturali." Ma il visionario articolo di Ria Novosti si conclude con una domanda inquietante: «Chi comanderà a bordo: gli uomini… O delle muffe sviluppatesi da un micelio nel quale dormono ancora gli istinti di un conquistatore spaziale?».

Fonte: http://www.greenreport.it

 


 

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