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ROMA. Piccolo vademecum sulle spie italiane. Quante sono, come sono organizzate, quanto costano, cosa fanno. Erano tanti anni che non si vedeva uno scandalo così deflagrante che coinvolgesse l’intelligence nazionale. Un bel salto all’indietro verso i tempi bui del Sifar e del Sid.

 

 

1) Chi li recluta e come?

Non c’è una regola precisa. In genere, al Sisde (servizio segreto civile) vanno i migliori poliziotti. Al Sismi (servizio segreto militare) ufficiali delle Forze armate e sottufficiali dei Carabinieri. Ma questa è una prassi superata. Da quando c’è un generale della Guardia di finanza alla direzione del Sismi e un generale dei Carabinieri alla guida del Sisde, i nostri servizi segreti hanno praticamente espulso dai quadri dirigenti gli ufficiali dell’Esercito e della Marina e si sono innervati con ottimi investigatori di polizia. Si veda il caso di Nicola Calipari, un vicequestore entrato al Sismi. Oppure di Marco Mancini, ex maresciallo dell’Arma. Oltre al travaso dai corpi armati dello Stato, c’è poi la terza via: quella familiare. Tra Sisde, Sismi e Cesis (il terzo servizio segreto, nato per coordinare gli altri due, nel tempo lievitato in numeri e funzioni) è pieno di figli subentrati ai padri. Comunque è bene precisare: non si entra nei servizi segreti per concorso, ma per chiamata. E’ chiaro che una buona raccomandazione aiuta.



2) Quanti sono e quanto guadagnano?

In teoria la materia è coperta da segreto. Da quanto si sa, gli 007 italiani dovrebbero essere circa diecimila: cinquemila al Sismi, duemila al Sisde, un po’ meno di mille al Cesis, tremila al Ris (il Reparto Informazione e Sicurezza, incardinato nello Stato maggiore della Difesa, raccoglie i vecchi Sios, servizi segreti di forza armata). Ognuno di questi agenti segreti ha una sua rete di informatori, più o meno organizzata, più o meno consapevoli di fornire notizie ai servizi segreti della Repubblica. Anche la retribuzione varia: allo stipendio base di due-tremila euro (che non si perde: nei servizi si entra e si esce con molta facilità) va aggiunta la cosiddetta «indennità di cravatta», nata in origine come rimborso per l’acquisto di vestiti al posto delle divise, che può far quadruplicare la busta paga. Ci sono i «bonus» a discrezione del direttore. E per gli informatori, i fondi riservati non hanno limite. In Iraq le spese per l’intelligence sono state spaventose: in tre anni, circa 30 milioni di euro.



3) Che caratteristiche fisiche e psichiche devono avere?

James Bond è uno stereotipo da cinema. Lo 007 reale è bassetto, stempiato, magari con un filo di pancia. Ma molto sveglio.


4) Chi li addestra?

C’è ovviamente una scuola per spie. Sia il Sismi che il Sisde hanno i loro corsi di preparazione. Il direttore della Scuola di Addestramento del Sisde spesso scrive anche sulla rivista del servizio, «Gnosis», ma non è dato conoscere il suo nome. Anche il discorso che il ministro dell’Interno tiene alle aspiranti spie viene reso pubblico. Ma sempre a cose fatte.



5) Sono come 007? Hanno licenza d’uccidere?

Nessuna licenza: è il paradosso dello spionaggio italiano. La legge stabilisce che le spie devono fare il loro lavoro, ma si devono guardare le spalle dalla magistratura perché non gli è concesso infrangere il codice penale. Molto si è parlato di una nuova legge che stabilisse le cosiddette «garanzie funzionali», cioè la possibilità di commettere piccoli reati, quali l’intercettazione telefonica o l’effrazione di un domicilio, avendo una speciale autorizzazione dall’alto. Ma siccome in Parlamento non si sono mai messi d’accordo su chi avrebbe dovuto autorizzare e poi vigilare, vige ancora il paradosso delle spie che non possono spiare.



6) Da chi dipendono?

Quella dei servizi segreti è una piccola piramide. In cima c’è il Presidente Del Consiglio che in genere delega a un sottosegretario i rapporti con l’intelligence. Sotto di lui c’è il segretario generale del Cesis, a cui spetta il coordinamento tra i servizi segreti. Il direttore del Sisde risponde anche al ministro dell’Interno; quello del Sismi al titolare della Difesa.



7) Chi ne determina le strategie?

Il Presidente Del Consiglio emette delle direttive. I due ministri (Interno e Difesa) danno le loro indicazioni. Il resto del governo, di fatto, non ha alcun ruolo.



8) Si conoscono tra di loro?

In ogni paese esiste la cosiddetta Comunità dell’intelligence. Sono tutti quelli che hanno a che fare con questo strano mondo delle spie (i diretti interessati, gli ex, i militari, i poliziotti, i prefetti, i diplomatici, più alcuni ricercatori, politici e giornalisti) e che in un modo o nell’altro ne conoscono qualche pezzo.



9) Sono armati, hanno più identità, li truccano, li trasfigurano. E chi lo fa?

Niente di tutto questo. Le armi sarebbero del tutto vietate, ma pare che ne abbiano in gran quantità. Al Cesis, poi, sono entrati gli agenti di scorta per premier e vicepremier: ovviamente armati. Gli operativi, comunque, hanno in genere un’identità di riserva con patenti, carte d’identità, passaporti generati ad hoc. Spesso vivono in appartamenti affittati da società di copertura. Avviano imprese con fondi del servizio. Il gioco semmai è sottile: farsi passare per chi non si è.



10) Chi stabilisce cosa sia la sicurezza nazionale? Noi, gli americani, l’Europa, Dio?

La risposta politicamente corretta è semplicissima: il governo legittimo. È Palazzo Chigi che stabilisce che cosa sia la sicurezza nazionale, e infatti il presidente del Consiglio ha il potere di coprire alcuni atti con il Segreto di Stato. La realtà è più complicata: è evidente che gli americani hanno sempre influenzato molto, per usare un eufemismo, le scelte dei nostri servizi. Già nella scelta degli uomini. Nei fatti i direttori dei servizi segreti sono stati i sacerdoti supremi di certo atlantismo. C’è stato un caso famoso, nei primi Anni Settanta, quando il generale Vito Miceli, direttore del Sisde, non voleva dare ad Andreotti il Nulla Osta di Sicurezza, cercando di bloccargli la nomina a ministro. Andreotti si offese moltissimo.



11) Quando cambiano i governi, le consegne devono essere passate in toto ai nuovi o ci sono delle zone d’ombra?

Naturale che le zone d’ombra ci siano. Non per nulla la storia d’Italia è intessuta di trame: potenti dc che fanno le scarpe ai loro concorrenti interni, democristiani contro socialisti, ora l’alternanza tra destra e sinistra. E volete che un governo uscente vada a raccontare i suoi segreti più reconditi a chi lo scaccia? Li scoprano da soli, se sono bravi.



12) È possibile che ci siano dei doppiogiochisti. E in genere per chi lavorano, per i palestinesi, per il Mossad, per gli americani, per i russi, per chi?

Doppiogiochisti ci sono nei migliori servizi segreti, figurarsi in quelli italiani. Dentro il Sismi da un decennio c’è in corso una caccia al doppiogiochista di cui si conosce solo il nomignolo, il Verme, che lavorava per i sovietici e oggi probabilmente è passato ai russi. Di Pazienza s’è detto che fosse troppo intimo con i servizi segreti francesi. Nel vespaio mediorientale, poi, si può essere amici e nemici allo stesso tempo.



13) Se li prendono, i doppiogiochisti, che ne fanno?

Non finiscono mai in galera. Li utilizzano. Ossia diventano canali privilegiati per scoprire quanto sanno gli avversari. E per disinformarli. Vengono trasmesse informazioni false per vedere l’effetto che fa. Si cerca di stimolare il dialogo. Poi, quando il gioco si è esaurito, viene caldeggiata una lunga vacanza all’estero.



14) Ci sono dei generali, dei politici, dei tecnici che si siedono attorno a un tavolo e ne stabiliscono le strategie?

I servizi segreti sono spesso afflitti da una mania di pianificazione che li porta a preparare piani fantasmagorici. Qualche volta troppo fantasmagorici. Grande spazio hanno le operazioni psicologiche: la «disinformazione» della propria opinione pubblica come di quella nemica è considerata importantissima. Si faceva già durante la seconda guerra mondiale. Figurarsi oggi che viviamo nella società della comunicazione.



15) Ci sono cellule dormienti?

Gladio era una rete di cellule dormienti, che si sarebbero risvegliate in caso di invasione da parte del Patto di Varsavia. Nulla vieta di pensare che ce ne siano altre, di strutture simili.



16) Chi sono i nostri alleati?

Tutti e nessuno. Il mondo delle spie è un gioco di specchi. E quindi l’amico di oggi può diventare il nemico di domani e viceversa. I nostri servizi hanno sempre avuto ottimi rapporti con Teheran anche quando l’Iran era nella lista nera degli americani. Stesso discorso per la Libia. E solo di recente s’è scoperto che flirtiamo con la Siria.



17) Quali sono le spie più cattive del mondo?

Se andiamo con il pensiero alla guerra fredda, i bulgari erano i più freddi esecutori di ordini altrui. Oggi chissà.



18) Qual è stata la spia mitica?

L’elenco è lungo. All’estero i nomi sono famosissimi: Mata Hari che spiava per i tedeschi nel 1915; Richard Sorge che in Giappone lavorava per i sovietici nel 1939; la Banda dei Quattro infiltrati nei servizi segreti inglesi. Il mito italiano, oggi dimenticato, e molto controverso, è stato il colonnello Giovannone, capocentro a Beirut negli Anni Settanta.



19) Che cosa succede quando c’è un episodio clamoroso (un attentato, una strage, un aereo che cade)? Si forma un’unità di crisi? Da chi è diretta, chi è informato di quello che fa?

I servizi segreti vengono subito allertati. Anzi, a rigore dovrebbero essere loro ad allertare il governo e tutti gli altri. Sia a Forte Braschi (dove ha sede il Sismi), sia a via Lanza (sede centrale del Sisde), esistono sale operative supertecnologiche, dotate di computer, reti criptate di comunicazione, mappe satellitari e quant’altro che aiuta i dirigenti a prendere le decisioni più difficili. Ma la moltiplicazione delle sale operative (ce ne sono anche al ministero dell’Interno, della Difesa, degli Esteri e allo stato maggiore Difesa, al Dipartimento Ps, al comando generale dell’Arma, e così via) non significa molto. Le decisioni che contano poi vengono regolarmente prese in un salottino di Palazzo Chigi, alla presenza di chi davvero conta. Ai tempi della crisi di Sigonella, l’allora direttore del Sismi, il compianto Fulvio Martini, s’installò a Palazzo Chigi per giorni e non ne uscì finché non fu tutto finito.

Fonte: http://www.lastampa.it

 


 

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