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Song Yongyi, ex Guardia Rossa, due volte incarcerato dal regime, ricorda la Rivoluzione Culturale a 50 anni dal suo inizio. «Il partito comunista ha spinto la gente a vivere come animali per 10 anni».

 

 

Xi Zhongxun: reazionario. Mesto, occhi bassi, al collo un enorme cartello con sopra scritta l’infamante accusa a caratteri cubitali e una folla inferocita di persone che grida, sputa, lo umilia e tortura pubblicamente. Neanche il padre dell’attuale presidente della Cina e segretario del partito comunista, Xi Jinping, è sfuggito negli anni Sessanta alla sorte toccata ad altre decine di milioni di cinesi. Sono passati esattamente 50 anni dall’inizio della Rivoluzione Culturale (16 maggio 1966-1976), una delle applicazioni più lucide della lotta di classe e della dittatura del proletariato. In una Cina appena uscita dal Grande Balzo In Avanti, politica scellerata che causò insieme a una grande carestia almeno 30 milioni di morti tra il 1958 e il 1962, Mao lanciò la Rivoluzione Culturale per epurare i suoi oppositori. «I rappresentanti della borghesia infiltrati nel partito, nell’esercito e nelle diverse sfere della cultura» furono criticati, torturati e uccisi dai giovani, le famose Guardie rosse, che colpirono i funzionari al potere a ogni livello, i nemici di classe che «si oppongono alla bandiera rossa sventolando la bandiera rossa».

Con il Libretto Rosso delle massime di Mao come guida, e grandi “Dazibao” appesi dappertutto per accusare i controrivoluzionari, il partito comunista ha spinto un popolo intero a ribellarsi contro se stesso, autodistruggendosi. In 10 anni sono state uccise tre milioni di persone e il 90 per cento dei reperti storici e culturali della Cina sono andati distrutti nella lotta ai quattro vecchiumi: “Vecchie idee, vecchia cultura, vecchie abitudini e vecchi comportamenti”. Solo a Pechino, in due mesi sono stati rasi al suolo 4.922 luoghi di interesse storico e culturale su un totale di 6.843. Non c’è persona migliore per capire questo «enorme disastro dell’umanità» di Song Yongyi, 67 anni, ex Guardia Rossa, incarcerato due volte dal regime comunista. Autore di moltissimi libri, docente presso l’università della California, è uno dei massimi esperti al mondo di quel periodo, avendo pubblicato dopo un enorme lavoro di ricerca un “Database sulla Rivoluzione Culturale cinese”, contenente decine di migliaia di documenti e prove originali dell’epoca, spesso redatte dallo stesso partito comunista.

 

 

Professor Song, lei è nato a Shanghai nel 1949, l’anno in cui la Cina è diventata comunista. Nel 1966 aveva dunque 16 anni, l’età perfetta per ascoltare il grido: «Ribellarsi è giusto».
Sì, frequentavo la scuola secondaria in un istituto di élite, insieme ai figli degli alti ufficiali del partito comunista. Io però non ero uno di loro, mio padre lavorava come direttore di un grande magazzino.

Apparteneva alla classe media?
Proprio così e sotto Mao era pericoloso. La mia famiglia era quasi capitalista, ma ho appoggiato con entusiasmo Mao.

Perché voleva diventare un rivoluzionario?
Perché per tutta la mia vita, dall’asilo fino alla scuola secondaria, ho ricevuto un’educazione incentrata su due concetti: Mao è il leader più grande e il socialismo cinese è la cosa più bella. Io veneravo Mao. Poi c’era anche un altro motivo.

Quale?
Durante la Rivoluzione Culturale, Mao stilò un piano per il futuro della Cina. Disse chiaramente che ogni ufficiale sarebbe stato eletto dal popolo. Questo c’era scritto nei documenti redatti dal presidente e dalla commissione centrale del partito comunista. È per le proposte fatte che milioni di cinesi sostenevano Mao e tutti volevano che in futuro la Cina fosse una società più giusta. Io avevo solo 16 anni e come disse un filosofo francese, «chi non è comunista a 20 anni è senza cuore. Ma chi è ancora comunista a 30 è un idiota». Anche nella mia vita è andata così: sono passato da sostenitore a nemico di Mao.

Perché è diventato un nemico?
Io sono entrato nelle Guardie Rosse in ritardo. Mi hanno permesso di farlo solo alla fine del 1966. Dopo sei mesi ho cominciato ad avere dei dubbi. Era chiaro che Mao non aveva risolto i problemi della Cina. L’ingiustizia della società non era scomparsa, anzi, era iniziata una guerra civile.

Secondo le sue ricerche, il popolo aveva tra le mani 18,77 milioni di pistole e mitragliatrici, 14.828 cannoni, quasi tre milioni di granate, carri armati e navi. Dove hanno trovato i cinesi tutte queste armi?
Le hanno ricevute dall’esercito. Nel febbraio del 1967 Mao temeva di non poter controllare la Rivoluzione, così diede istruzioni all’esercito di prendervi parte attivamente e cominciò la “guerra civile generale”.

Ma il Grande Timoniere aveva incitato alle sessioni di lotta “verbale”, non “fisica”.
Effettivamente all’inizio disse così, poi la situazione gli sfuggì di mano. Ci sono due motivi per cui si è scatenata la guerra civile. Primo: Mao e il partito hanno perso il controllo. Se la gente si combatteva è perché c’erano due fazioni politiche e militari in lotta tra loro, che usavano il popolo. Secondo: Mao cambiava idea molto rapidamente. A un congresso diceva che il popolo non doveva imbracciare le armi. Ma il giorno successivo dichiarava: «Le brave persone hanno il diritto di picchiare le cattive persone».

La lotta era davvero tra “buoni” e “cattivi”?
No. Eravamo tutti rivoluzionari. A Wuhan, ad esempio, Mao disse all’esercito di sostenere i rivoluzionari di sinistra contro quelli di destra. Ma non specificò chi era di sinistra e chi di destra. Così, i soldati di Wuhan hanno sostenuto la fazione a loro più vicina, accusando gli altri di essere controrivoluzionari. Ma la verità è che tutti volevamo sostenere Mao.

Anche a Shanghai?
Certo. Io ero uno studente entusiasta ma quando ho visto scoppiare la guerra civile, iniziai a dubitare della politica di Mao. Aveva promesso che avrebbe dato a tutti il diritto di eleggere gli ufficiali, ma poi fu lui che nel gennaio del 1967 scelse i Comitati rivoluzionari che presero il posto dei vecchi responsabili del partito epurati. Improvvisamente il voto era diventato un istituto occidentale e capitalista. Noi giovani però ci interrogammo.

Ne parlavate a scuola?
La scuola non esisteva più. Tutti i professori sono stati criticati, picchiati e umiliati dagli studenti. Durante la Rivoluzione Culturale l’educazione si è fermata per 10 anni, le scuole hanno chiuso, l’autorità è morta. Noi non avevamo molto da fare, eravamo rivoluzionari di professione, e siccome anche i responsabili delle biblioteche erano stati cacciati…

Anche loro facevano parte dei “mostri e demoni”, delle “cinque categorie nere” da criticare: proprietari, ricchi agricoltori, controrivoluzionari, cattivi elementi e gruppi di destra?
Sicuro. Senza controlli, per noi era facile rompere le finestre ed entrare di nascosto nelle biblioteche. Abbiamo preso alcuni libri, cercando le risposte alle nostre domande nei classici del comunismo. Non trovandole, siamo passati ai testi proibiti. In particolare quelli di Victor Hugo e di un giornalista americano, William Shirer, che ha scritto un libro sulla Germania nazista ("The Rise and the Fall of the Third Reich"). L’abbiamo letto e abbiamo scoperto la verità: c’erano così tanti punti in comune tra Hitler e Mao!

Perché è stato incarcerato?
Per aver fondato un “movimento clandestino di lettura”. Ero ormai un “controrivoluzionario”. Nel 1971 mi hanno condannato e non mi hanno liberato prima del 1976.

Dove l’hanno rinchiusa?
Nella prigione di una milizia rivoluzionaria. In un buco piccolissimo di circa sei metri quadrati. Ero in isolamento. La cella non aveva finestre, solo una porta con un buco attraverso il quale mi passavano il cibo. Ho vissuto così 5 anni. La mia unica colpa era avere un pensiero diverso, perché non ho mai agito contro la rivoluzione. Ma in quegli anni, pensare era sufficiente per diventare un nemico del popolo.

Secondo le sue ricerche, i “nemici del popolo” senza processo sono stati fucilati, decapitati, torturati, affogati, legati insieme e fatti saltare in aria, gettati in un pozzo e lasciati morire di fame, seppelliti vivi, lapidati a morte, impiccati, strangolati e bruciati. Come si spiega tanta violenza?
Se è per questo, venivano anche mangiati.

In che senso?
Nell’unico senso che si conosca. Nella contea di Pubei un ricco proprietario terriero è stato ucciso con i suoi due figli di 11 e 14 anni. E poi gli organi di tutti e tre sono stati cucinati e mangiati. Nella provincia di Guangxi a centinaia sono stati divorati. E non c’è da stupirsi.

Perché?
Mao ha lanciato la lotta di classe e diffuso l’odio tra le persone. Se una persona veniva dichiarata nemico di classe, poteva essere ucciso legalmente. Non c’erano regole, poteva anche essere mangiato. È il partito che ha promosso esecuzioni di massa e cannibalismo. Tutti i limiti erano caduti. La Rivoluzione Culturale ha autorizzato le persone a diventare animali. Gli ufficiali lo facevano e il popolo li ha seguiti.

 

 

Oggi però è diverso. La Rivoluzione Culturale è finita da 40 anni e persino il partito comunista l’ha rinnegata.
Di chi è il ritratto gigante affisso sulla Porta Della Pace Celeste (Tienanmen) a Pechino?

Di Mao Zedong.
Ecco, questo significa che la Rivoluzione Culturale continua ancora oggi. È vero che nel 1981, il successore Deng Xiaoping ha fatto una risoluzione per dire che quei 10 anni sono stati un grande errore di Mao. Ma perché Mao ha sbagliato? Per il partito non è stata colpa sua, ma di coloro che l’hanno ingannato: sua moglie Jiang Qing e Lin Biao. Questo però non ha alcun senso ed è anche divertente.

Cosa c’è di divertente?
Alcuni ufficiali dell’esercito, membri della cosiddetta “cricca di Lin Biao”, hanno pubblicato le loro memorie a Hong Kong. In un paragrafo scrivono: "se Mao è stato un politico così grande, così intelligente, così abile, come ha potuto farsi usare da noi?" È piuttosto il contrario: lui ha ingannato noi. È divertente perché il partito continua a sostenere che Mao era un genio, ma per scusarlo dei suoi errori dice anche che era facile manipolarlo. È un’enorme contraddizione.

Cui prodest?
Al partito comunista, che vuole mantenere il regime. Poiché la Rivoluzione Culturale è stata un disastro, Deng Xiaoping ha dovuto riformare qualcosa e ha scelto l’economia. Oggi la Cina è di gran lunga più capitalista di Stati Uniti ed Europa.

Allora la Cina potrebbe commemorare il 50esimo anniversario?
No, perché l’unico modo per mantenere la dittatura è portare avanti l’eredità di Mao. Ma solo Xi Jinping ci sta davvero riuscendo.

Perché?
Durante la Rivoluzione Culturale, Mao ha incrementato nel popolo il culto della personalità. Se negli anni Cinquanta e Sessanta il regime cinese era guidato da un gruppo di persone, con la Rivoluzione Culturale si è passati alla guida unica del Grande Timoniere. Questo è stato l’unico vero successo di Mao: è diventato un Dio per tutta la società cinese. Dopo la Rivoluzione Culturale si è tornati in parte alla leadership collegiale, ma Xi Jinping non vuole la collegialità.

È per questo che ha lanciato la campagna anti-corruzione?
Lui vuole tornare a Mao e siccome non ha il suo stesso carisma, non può che ripetere le cose fatte da lui. La campagna anti-corruzione, così come la Rivoluzione Culturale, ha un solo obiettivo: l’epurazione delle fazioni interne al partito. Ieri se non eri d’accordo con Mao, eri capitalista. Oggi se non sei d’accordo con Xi, sei corrotto.

La lotta alla corruzione non è una cosa positiva?
Si può dire senza sbagliare che in Cina almeno il 99 per cento degli ufficiali del partito sono corrotti. Ma il problema è il sistema. Se Xi vuole colpire i corrotti, cominci da sua sorella e suo cognato, che sono molto attivi a giudicare dai Panama Papers.

Così, però, almeno qualcuno viene arrestato.
Nessuno è favorevole alla corruzione, ma questa campagna è solo una lotta di potere. La maggior parte dei cinesi capisce che questa campagna anti-corruzione è solo un gioco politico.

Perché Xi dovrebbe riproporre una simile ideologia? Lui stesso ha sofferto durante la Rivoluzione Culturale: ha dovuto rinnegare tre volte suo padre, Xi Zhongxun (foto sopra), e andare in campagna a “rettificarsi” pascolando maiali.
Xi ha sofferto molto, ma non conta se puoi diventare come Mao. Io e Xi siamo della stessa generazione, entrambi abbiamo subìto il lavaggio del cervello ed entrambi possiamo dire che “Mao è il nostro padre comune”. Per avere il potere, Xi deve esaltare Mao. Non conta quanto l’abbia fatto soffrire.

Torniamo alla sua storia. Perché ha cominciato a studiare la Rivoluzione Culturale?
Uscito di prigione, ho frequentato l’università. Nel 1989 l’Università del Colorado mi ha offerto una collaborazione e io mi sono stabilito negli Stati Uniti. Nel 1995 a Pittsburgh ho iniziato a lavorare come ricercatore e bibliotecario. Sono diventato esperto di scienza bibliotecaria e ho cercato di costruire un grande database sulla Rivoluzione Culturale.

Qual è il valore del suo database?
Se la gente legge un libro americano sulla Rivoluzione Culturale, il partito comunista potrà sempre dire: sono i soliti occidentali che parlano male di noi. Ma io ho raccolto documenti scritti dai membri del partito, giornali delle Guardie Rosse, testi ufficiali. È il partito comunista che ha documentato il cannibalismo, non io. Non è una teoria occidentale, è oggettivo.

Com’è riuscito a raccogliere oltre 32 mila documenti, per un totale di 107 milioni di caratteri cinesi?
Li ho ricevuti da tutto il mondo, da tutte le biblioteche, e il partito comunista mi ha aiutato.

Il partito?
Sì. Per anni sono tornato in Cina per raccogliere materiale. Nel 1999 mi hanno arrestato per “furto di segreti di Stato”. Il mio caso ha fatto scalpore, c’è stata una mobilitazione internazionale e dopo 6 mesi sono stato rilasciato. Intanto però ero diventato famoso. Le biblioteche mi hanno aperto i loro archivi segreti e centinaia di alti ufficiali comunisti cinesi mi hanno donato le loro collezioni. Sapevano che non avrebbero mai potuto pubblicare quei documenti in Cina, ma potevano visitare l’America. E così me li hanno portati. Il materiale viene dal popolo cinese.

Quanto tempo ha impiegato per raccogliere questi documenti?
Circa 18 anni. Ma c’è ancora tanto da fare.

Pensa che il suo lavoro possa cambiare la coscienza del popolo cinese?
Io sono uno studioso molto comune, non ho il potere di Obama o Putin. Però ho una certa responsabilità verso la storia. Il partito comunista vuole che la gente dimentichi la Rivoluzione Culturale e invece non deve succedere. Bisogna esplorare con insistenza la verità storica. Che impatto posso avere con la mia ricerca? Davvero non lo so. Penso che sarà molto piccolo, ma se tutte le persone sapessero che hanno una responsabilità, allora le cose cambierebbero.

Oggi come definirebbe la Rivoluzione Culturale?
È stata un enorme disastro dell’umanità. Il partito comunista insiste sempre che ha distrutto l’economia, l’industria e l’educazione cinese. Questo è vero, ma c’è una cosa peggiore. La Rivoluzione Culturale ha ucciso tre milioni di persone. Nella grande carestia di pochi anni prima ne erano morte almeno 30 milioni, ma quei tre milioni erano l’élite: i professori universitari, gli studiosi, gli artisti, gli ingegneri. Tutte le vite hanno lo stesso valore, ma non tutte costituiscono il fondamento della società. E c’è una cosa ancora peggiore.

Quale?
La Rivoluzione Culturale ha danneggiato enormemente gli standard morali del popolo cinese. Ha distrutto la civilizzazione della Cina. Dal 1949 al 1966, il partito comunista non ha mai chiesto ai cinesi di uccidere le persone o diventare cannibali. Tra il 1966 e il 1976 invece ha pubblicamente promosso queste pratiche. Ha spinto la gente a vivere come animali per 10 anni e i danni di questa politica si vedranno almeno per altri 50.

In questo lasso di tempo la Cina cambierà?
Sì. Tutti mi dicono che sono troppo ottimista, ma io ho davvero speranza. Il partito comunista non lascerà il potere facilmente, ma niente potrà fermare il cambiamento della Cina.

@LeoneGrotti

Fonte: http://www.tempi.it

 

 

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