La Cina guidata da Deng Xiaoping, stava cominciando ad intraprendere quel lungo cammino di riforme politiche ed economiche che nel giro di trent'anni avrebbero cambiato drasticamente il paese. Allo stesso tempo però il sentimento anti sovietico crebbe di pari passo. Il 3 novembre del 1978, l'Unione Sovietica e il Vietnam, firmarono un trattato di mutua difesa della durata di 25 anni, che trasformava il Vietnam nella chiave di volta dell'URSS nei suoi progetti di contenimento della Cina.

 

 

Il primo gennaio del 1979, Deng si recò in visita negli Stati Uniti dove incontrò il Presidente americano Jimmy Carter, al quale dichiarò:"è tempo di sculacciare il sederino dei bambini indisciplinati!". Il 15 febbraio, il giorno successivo alla termine dei Trattati di Cooperazione Sino-Sovietici di Amicizia e Alleanza, Deng Xiaoping dichiarò che la Cina aveva intenzione di condurre una serie di operazioni militari in funzione anti-vietnamita. Il casus belli fu il supposto maltrattamento ai danni delle minoranze Han da parte dei vietnamiti nelle isole Spratly, la cui sovranità era reclamata dalla Cina. Al fine di prevenire un intervento russo, Deng avvisò Mosca che la Cina aveva preparato un intervento di grandi dimensioni contro l'Unione Sovietica; i cinesi schierarono così le loro truppe lungo il confine sovietico e rimasero in stato di attesa; il governo instaurò un nuovo comando militare nel Xinjiang, ed evacuò 300.000 civili dal confine. In risposta alle minaccie cinesi, l'URSS inviò numerose flotte da guerra nella regione e cominciò un ponte aereo con il Vietnam. Ad ogni modo l'URSS non andò oltre un mero supporto tattico, non potendo permettersi un conflitto armato contro la Cina. Le distanze erano troppo grandi, e qualunque tipo di rinforzo militare avrebbe dovuto passare attraverso un territorio ostile, controllato dalla Cina o dagli alleati degli americani. L'unica opzione realistica rimaneva nel confrontare lentamente le truppe cinesi a nord. Il Vietnam giocava un ruolo importante per la politica sovietica, ma non abbastanza da rischiare una guerra. Una volta garantitisi il non intervento sovietico, Pechino dichiarò pubblicamente come la Russia non avesse mantenuto fede ai patti con il Vietnam.

 

 

L'invasione del Vietnam.
Due giorni dopo la dichiarazione di guerra, il 17 febbraio, un esercito composto da circa 200.000 uomini, supportati da oltre 200 carri armati entrò nel Vietnam del Nord. Le forze consistevano di truppe provenienti dai distaccamenti di Kunming, di Chengdu, di Wuhan e di Canton, comandati dai quartieri generali di Kunming, per quanto riguarda il fronte occidentale, e da quelli di Canton per quelli orientali. Alcune di queste unità, specialmente quelle del genio, quelle logistiche e quelle antiaeree, anni prima erano state assegnate ai Vietnamiti contro gli americani. Oltre ai 200.000 soldati schierati, altri 400.000 e altri 200 carri armati, rimasero nei confini cinesi, in seconda linea. Lo schieramento delle truppe cinesi fu osservato dai satelliti spia americani. Nel frattempo, molte delle migliori truppe vietnamite erano ancora schierate in Cambogia. Il governo vietnamita, dichiarò che nel Vietnam settentrionale, al momento dell'invasione vi erano soltanto 70.000 soldati, di cui molti facevano parte del Public Security Army, ovvero la polizia di frontiera. I cinesi invece in seguito dichiarono di averne incontrati almeno il doppio. Il concetto di utilizzare milizie locali per combattere il nemico è stata una costante delle strategie vietnamite sin dall'antichità. Durante la guerra, i vietnamiti spesso utilizzarono il materiale bellico lasciato sul campo dalle forze americane. I cinesi una volta penetrato il confine settentrionale del Vietnam, immediatamente incontrarono una forte resistenza. Secondo i vietnamiti la resistenza fu offerta da un miscuglio di milizie locali e divisioni dell'esercito per un totale di circa 70.000 uomini. I cinesi furono in grado di avanzare per circa 25 chilometri nel territorio vietnamita. La maggior parte degli scontri avvenne nelle province di Cao Bang, Lao Cai e Lang Son. Il 6 marzo, i cinesi occuparono la cittadina di Lang Son. I cinesi si ritirano con il successo della spedizione punitiva. Fino al giorno d'oggi, ambedue le nazioni si sono descritte come vincitrici del conflitto. Il numero delle vittime è incerto, alcune fonti occidentali riportano oltre 25.000 vittime tra le forze cinesi. Ad ogni modo, secondo l'attivista democratico Wei Jingsheng questi numeri sono ampiamente esagerati: i morti da parte cinesi non andrebbero oltre i 9000 e i feriti 10.000. Secondo i vietnamiti, i cinesi avrebbero ucciso oltre 100.000 civili, oltre a ingenti danni subiti da impianti industriali e appezzamenti agricoli. Ad ogni modo, l'incursione cinese fu molto lontana dall'essere un successo. La Cina era indebolita dalla disastrose politiche perseguite durante la Rivoluzione Culturale, che avevano messo in ginocchio il sistema industriale del paese. Le forze cinesi erano male equipaggiate (venivano ancora utilizzati armamenti provenienti dalla Lunga Marcia ...), mancavano di comunicazione e non erano supportate adeguatamente dalle forze navali e da quelle aeree. Inoltre le truppe cinesi lasciarono una lunga scia di danni nel territorio occupato: villaggi bruciati, strade e ferrovie distrutte, etc. Il vero scopo dell'invasione cinese, attirare fuori dal territorio cambogiano gli oltre 150.000 soldati vietnamiti, l'elite dell'esercito, non ebbe alcun riscontro e la Cambogia divenne difatto uno stato fantoccio nelle mani dei vietnamiti. Scaramucce lungo il confine continuarono per tutti gli anni '80, comprese una battaglia nell'aprile del 1984 e un conflitto navale al largo delle Spratly Islands nel 1988. Nel 1999, dopo molti anni di negoziazione, la Cina e il Vietnam firmarono un patto di pace. Nell'agosto del 2001, il confine tra Cina e Vietnam è stato leggermente modificato in favore cinese. Solo nel gennaio di quest'anno il confine tra le due nazioni può considerarsi definitivo. Le isole Spratly ad ogni rimangono materia di un contenzioso fra i sue stati.

Fonte: http://www.cinaoggi.it

 

 

 

 

Il confine tra Cina e Vietnam.

 

Chi immaginava che la cacciata degli americani dall’Indocina avrebbe portato la pace da quelle parti, fu rapidamente deluso. La nascita alle sue frontiere meridionali di un Vietnam forte e riunificato, geloso della sua indipendenza e potenzialmente in grado di ricoprire un ruolo egemone nella penisola indocinese, destava nella Cina riflessi nazionalistici e preoccupazioni di tipo strategico. Era stata proprio la "dottrina Nixon" di disimpegno dal Vietnam, enunciata nel luglio 1969, a suscitare nei dirigenti cinesi il timore di un allargamento della sfera d'influenza sovietica nel Sud-Est asiatico. Isolata diplomaticamente e debole militarmente, la Cina aveva scelto di avvicinarsi agli Stati Uniti, superpotenza percepita come "declinante", nel timore che l'URSS, superpotenza in ascesa, potesse risultare in breve tempo l'unica potenza "egemone". La "dottrina Brezhnev" ventilava un mese prima (nel giugno 1969) l'ipotesi della formazione di un sistema di sicurezza collettivo in Asia patrocinato dai Sovietici, tanto da far paventare a Pechino una minaccia militare sovietica che dalle frontiere nord e nord-occidentali (nel Marzo ed Agosto 1969 vi erano stati gli incidenti militari sull'Ussuri e alla frontiera del Sinkiang) avrebbe potuto facilmente estendersi a quelle meridionali. Il processo di apertura al campo occidentale, avviato per iniziativa di Mao Tse-tung, portava alla Cina il riconoscimento da parte degli Stati Uniti nel 1971 e la rottura dell'isolamento internazionale con l'ingresso nelle Nazioni Unite. Dopo la visita del presidente Nixon a Pechino, nel Febbraio 1972, il fossato che separava Cina ed Unione Sovietica veniva allargato in modo decisivo dal Decimo Congresso del PCC, dove Chu En-lai, nell'Agosto 1973, condannava il "social-imperialismo" sovietico e definiva l'URSS il nemico principale della pace mondiale. La conquista nord-vietnamita di Saigon nell’Aprile 1975 non suscitava dunque entusiasmo a Pechino. L'esercito rivoluzionario, forte di uomini, entrava in possesso del ricco arsenale sud-vietnamita, disponendo in questo modo di un notevole potenziale bellico. Il sospetto che da parte sovietica si volesse fare del Vietnam l'avamposto sud-orientale del proprio dispositivo strategico veniva suffragato dall'arrivo ad Hanoi, in Maggio, di una delegazione militare sovietica. Da parte cinese veniva denunciato immediatamente il tentativo di Mosca di ottenere dai vietnamiti la disponibilità delle basi navali ed aeree di Tan Son Nut, Cam Ranh e Da Nang, abbandonate dagli americani. Se pressioni ci furono, va ugualmente sottolineato come Hanoi vi abbia resistito per quattro anni, prima di cedervi sotto l'accresciuta minaccia militare cinese. Sottoposto alle richieste di un maggior coinvolgimento nel sistema sovietico, il Vietnam riceveva nel contempo da Pechino sollecitazioni sempre più forti a raggiungere il campo opposto. Pur mantenendo un atteggiamento equidistante, i dirigenti vietnamiti non facevano mistero di non condividere la linea filo-statunitense intrapresa da Pechino, mentre riconoscevano all'URSS il merito di aver sostenuto la lotta del Vietnam per l'indipendenza dall'imperialismo americano. Un fattore decisivo nelle scelte politiche di Hanoi fu determinato dalla cessazione degli aiuti economici che precedentemente la Cina aveva assicurato al Vietnam in guerra. In assenza di aiuti provenienti dai Paesi occidentali o filo-americani, il Vietnam si volse necessariamente verso l'Unione Sovietica.

 

 

 

Le relazioni cino-vietnamite subirono dunque un processo di deterioramento sotto la spinta di fattori politici e strategici che avevano dimensioni mondiali. Contestualmente, il rapporto fra cinesi e vietnamiti poggiava su un terreno storicamente accidentato. Il costituirsi nella penisola indocinese di uno Stato vietnamita unitario e diretto da una leadership che si rafforzava all'interno rappresentava un pericolo che la Cina nel corso dei secoli aveva costantemente avvertito. Le relazioni fra i due Paesi deteriorarono rapidamente a causa dell’adesione di Hanoi al Comecon: l’Agenzia Nuova Cina accusò Hanoi di aver imboccato la strada che l’avrebbe portata a diventare la “Cuba asiatica”; nel frattempo, le tensioni sfociarono in frequenti incidenti di frontiera. A sud, benché comunisti vietnamiti e cambogiani avessero cooperato strettamente negli anni della guerra contro gli americani e i loro alleati, le relazioni fra Hanoi e Phnom Penh guastarono quasi altrettanto rapidamente a causa della pretesa di Pol Pot, di aver restituite parti del territorio cambogiano arbitrariamente assegnate dai francesi al Vietnam, al momento di tracciare i confini coloniali.

 

Truppe cinesi attraversano il confine col Vietnam.



Hanoi ovviamente rifiutò, e Pol Pot rispose scatenando feroci pogrom contro la minoranza vietnamita che viveva in Cambogia (pescatori e piccoli commercianti, più che altro); più tardi, iniziò a fornire armi e assistenza ad alcuni movimenti di guerriglia che, su base etnica e tribale, si opponevano al regime di Hanoi. Il Vietnam, in un primo momento, mosse coi piedi di piombo, preoccupato dal potente alleato dei cambogiani, la Cina, dove il dopo Mao non era ancora ben delineato. Ma vi era anche chi vedeva nelle tensioni una possibile opportunità per emergere come maggiore potenza regionale grazie alla salda posizione già acquisita nel Laos, posizione che sarebbe sicuramente uscita rinforzata dall’annessione della Cambogia, facendo di Hanoi il pivot politico e militare della regione.

 

Soldati vietnamiti.



Nel gioco si inserirono i sovietici, ansiosi di spazzare via l’unico alleato della Cina nella regione e di dimostrare i benefici di un allineamento al Cremlino. Il ministro degli esteri sovietico, Andrej Gromiko, si recò in visita ad Hanoi nel bel mezzo di una violenta battaglia nel cosiddetto “amo da pesca”, una regione dove si era già combattuto aspramente nel 1970 contro gli americani, e annunciò pubblicamente l’appoggio del Cremlino “al fratello e alleato popolo vietnamita contro i banditi cambogiani”. Alcune navi da guerra sovietiche visitarono nelle settimane seguenti i porti del Vietnam, rinforzando la sensazione che Mosca fosse pronta a scendere in campo militarmente a fianco dell’alleato asiatico in caso di attacco cinese.

 

Carro armato cinese.



Alla fine del 1978, il Vietnam invase la Cambogia. Come prevedibile, le ben equipaggiate truppe di Hanoi sbaragliarono in poche ore le raccogliticce forze dei Khmer Rouges, e, il 7 Gennaio 1979, entrarono a Phnom Penh, mettendo fine al regime di Pol Pot. Pechino accusò immediatamente il regime fantoccio instaurato dai vietnamiti di perseguitare la ricca minoranza cinese, accuse rapidamente estese al vicino Vietnam, dove i cinesi etnici, Hoa, a causa delle persistenti tensioni con la Repubblica Popolare, subivano effettivamente pesanti vessazioni, al punto che chi viveva nei pressi del confine, lo aveva riattraversato, facendo ritorno in madrepatria. La persistente tensione fra i due Paesi moltiplicò gli incidenti di frontiera, che passarono dalle fucilate scambiate fra le opposte pattuglie all’affondamento di pescherecci soprattutto nell’area delle isole Spratly, sulle quali entrambi i governi reclamavano (e reclamano) la sovranità, in un’escalation che portò infine a cruenti duelli di artiglieria il cui numero di vittime non è mai stato reso noto, ma che dovettero essere alte se trapelarono notizie di disordini fra i contadini cinesi dei villaggi nei pressi della frontiera che accusavano il governo di Pechino di non proteggerli dai vietnamiti. 

 

Truppe cinesi entrano il capoluogo provinciale di Cao Bang, 27 Febbraio 1979.



Il 15 Febbraio 1979, la Repubblica Popolare Cinese annunciò ufficialmente l’intenzione di “cacciare i lacchè imperial-revisionisti al servizio della controrivoluzione neo borghese e anti proletaria bolscevica” dalla Cambogia, ma l’unico che diede peso alla cosa fu Henry Kissinger, al quale non era sfuggito che in quei giorni scadeva il trattato di Amicizia ed Alleanza Cino-Sovietico, fatto questo che permetteva a Pechino di attaccare un alleato di Mosca senza violare alcun accordo; la confusionaria amministrazione Carter, tutta occupata a contemplarsi l’ombelico della salvaguardia dei diritti civili (e degli intrallazzi del fratello del Presidente in carica, Billy Carter), ignorò gli avvertimenti dell’ex-Segretario di Stato, e gli altri Paesi occidentali non capirono cosa stava succedendo, o non diedero peso o importanza alla cosa. Nelle ore seguenti, gli incidenti di frontiera si moltiplicarono con l’entrata in azione di cecchini cinesi che uccisero diversi civili e militari vietnamiti sparando attraverso il confine.

 

Un carro Type 59 cinese distrutto dai vietnamiti.



Due giorni più tardi, il 17 Febbraio 1979, l’Esercito di Liberazione del Popolo (People’s Liberation Army, PLA), attraversò la frontiera con una forza stimata in un primo tempo a 200 mila uomini (cifra poi corretta a 85 mila) della Regione Militare di Kunming, accompagnati da almeno 200 MBTs (1000, nelle prime stime) forniti dalla Regione di Guangzhou (Canton): altri 600 mila uomini con circa 1000 MBTs stazionavano di rincalzo oltre il confine e furono impiegati per avvicendare le unità di prima linea e ripianare le perdite. Erano truppe che conoscevano molto bene il terreno, perché negli anni della guerra contro gli americani avevano fornito supporto di vario genere agli allora alleati, operando spesso nella parte settentrionale dell’allora Vietnam del Nord. Pechino confidava sicuramente nel fatto che il meglio dell’esercito nemico era in quel momento occupato in Cambogia, e che le forze di Hanoi, stimate dall’intelligence in 70 mila uomini per la maggior parte guardie di confine, sarebbero state spazzate via in poche ore.

 

Un soldato vietnamita catturato dai cinesi.



Così non fu: i cinesi si trovarono di fronte oltre 100 mila regolari, senza contare le truppe di confine e la milizia locale immediatamente mobilitata dal governo di Hanoi che pure pare essere stato colto di sorpresa dall’attacco. I cinesi avanzarono di otto chilometri in poche ore per doversi poi arrestare a causa di difficoltà logistiche (i carri armati avevano finito la benzina, pare, e le colonne di rifornimento non erano ancora state organizzate). Quando tentarono di ripartire, la forte resistenza nemica li inchiodò sul posto per tre giorni, fino a che il 21, riuscirono a riprendere l’avanzata verso Cao Bang e l’importante nodo stradale di Lang Son. Il PLA entrò a Cao Bang il 27, ma la non fu possibile mettere in sicurezza la città prima del 2 Marzo. Lang Son cadde due giorni dopo, assieme a Lao Cai. Il 5 Marzo, Nuova Cina dichiarò che la strada per Hanoi era libera e che il PLA avrebbe potuto raggiungerla in poche ore, quindi la sua missione era conclusa; entro il 16, Pechino ritirò le truppe. Il risultato strategico di forzare i vietnamiti a lasciare la Cambogia per fronteggiare la minaccia di invasione dal Nord non era stato minimamente raggiunto.

 

Soldato vietnamita in azione contro i cinesi.



Entrambi i belligeranti si dichiararono vincitori, minimizzando le proprie perdite ed enfatizzando quelle avversarie. Le stesse stime occidentali sono piuttosto discordi: i cinesi ammettono 6900 morti e 15000 feriti, i vietnamiti, per le sole forze regolari (escluse le guardie di frontiera e la milizia territoriale) 5000 morti e 22000 feriti, ma accusano i cinesi di avere ucciso oltre 100 mila civili con bombardamenti di artiglieria indiscriminati. Secondo il Sipri, i cinesi avrebbero avuto 26 mila morti, i vietnamiti 50 mila comprese le milizie locali. Cifre più alte per Henry J. Kenny, che, in “Shadow of the Dragon, Vietnam’s continuing struggle with China and the Implications for U.S. Foreign policy”, p. 98, parla di 100 mila fra morti e feriti tra gli attaccanti cinesi, e 150-200 mila per i vietnamiti. Se queste cifre fossero confermate, si tratterebbe di un prezzo altissimo, per una guerra limitata, durata, fra l’altro, 27 giorni. Non vi sono dati sulle perdite di materiali, anche se diversi MIG nordvietnamiti furono abbattuti dalla tripla A cinese.

 

Soldati vietnamti durante una pausa dei combattimenti.



Dal punto di vista tattico, la guerra fu per i cinesi un autentico disastro, al di là delle perdite effettive, dichiarate o stimate.

1) Il PLA andò in battaglia usando tattiche ed equipaggiamenti della guerra di Corea, se non proprio della Lunga Marcia. Per fare un esempio, solo gli ufficiali e pochi sottufficiali portavano fucili d’assalto, le truppe erano ancora dotate di antiquati fucili della Seconda Guerra Mondiale (i regolari nordvietnamiti avevano come arma standard l’AK47); i cinesi inoltre rinunciarono a impiegare le loro forze aeree e navali sia per il supporto tattico che per quello logistico. Le ragioni di questa rinuncia non sono chiare, ma pesarono pesantemente sulle operazioni.

2) Altro grosso problema furono i trasporti e la logistica, assolutamente inadeguata: si dice (ma non è mai stato confermato) che i ricognitori americani, nel corso della guerra, abbiano ripreso file interminabili di coolies impiegati a portare i rifornimenti alle truppe di prima linea. Qualunque sia la verità, rimane il fatto che le colonne motocorazzate cinesi ebbero continui problemi di approvvigionamento di carburante e munizioni, che solo parzialmente poté essere risolto col saccheggio delle risorse nelle aree conquistate. I vietnamiti, per contro, dimostrarono di avere messo a segno la lezione imparata combattendo gli americani, e arrivarono perfino a utilizzare proficuamente gli elicotteri catturati al Sud nel 1975 per rifornire le proprie truppe in prima linea oltre che per evacuare i feriti, e, pare, per il supporto a fuoco.

3) Le trasmissioni, sia a livello tattico che di comando divisionale, furono assolutamente inadeguate: i sistemi di trasmissione erano pochi, mal distribuiti e spesso risultarono non funzionanti per problemi di manutenzione. Si ricorse così a portaordini che, spesso, viaggiavano in bicicletta.

4) La catena di comando risultò essere troppo complessa e burocratizzata; in più, la tipica struttura comunista scoraggiava qualsiasi iniziativa personale sul campo, occorrevano ore per avere l’appoggio dell’artiglieria nel settore e nel modo desiderato. Da notare che, all’epoca, la Cina era, assieme all’Albania, l’unico Paese al mondo nelle cui forze armate non esistevano gradi.

5) Le mappe distribuite alle truppe erano vecchie, in alcuni casi pare risalissero all’inizio del secolo, piene di imprecisioni, non era disponibile ricognizione aerea e nemmeno FACs.

6) Il materiale in dotazione, prodotto da industrie cinesi, risultò di scarsissima qualità.

7) Infine, i cinesi si trovarono a fronteggiare un nemico bene armato, bene addestrato, con una catena di comando solida e provata, e, soprattutto, fiducioso nelle proprie capacità avendo combattuto con successo tre guerre in altrettante decadi.

 

Un MIG21 abbattuto dai cinesi. Nella foto piccola, in basso a destra, il pilota, catturato.



Dal punto di vista strategico la guerra può invece considerarsi vinta dalla Cina: essa impartì a Mosca ed Hanoi l’amara e sanguinosa lezione che Pechino era disposta a ricorrere anche a mezzi estremi per difendere i suoi interessi nell’area; il permanere di truppe cinesi, il rafforzamento del dispositivo militare che arrivò a contare nove armate ammassate lungo i confini del Vietnam, oltre alla trasformazione dell’isola di Hainan in una autentica fortezza piena di soldati, navi ed aerei da combattimento, costrinse il governo di Hanoi a dislocare una grossa parte delle sue forze armate nel settore minacciato, sottraendole al fronte cambogiano dove sarebbero state utili alla lotta contro la guerriglia, ponendo in ultima analisi una seria ipoteca sulla sconfitta dei vietnamiti.

 

Un CH47 vietnamita carica rifornimenti per le truppe al fronte.



La Guerra ha lasciato un’eredità pesante, non solo distruggendo l’alone romantico che avvolgeva i Paesi comunisti agli occhi dei rivoluzionari da salotto europei, ma ebbe conseguenze geo-politiche ancora non molto ben delineate a distanza di trent’anni. Sicuramente, la constatazione di avere forze armate assolutamente inadatte a condurre operazioni militari contro un esercito moderno e determinato spinse Pechino a moderare i toni e l’aggressività nei confronti di Taiwan. In Vietnam oltre alle perdite umane, si dovette lamentare la terra bruciata fatta dai cinesi in ritirata: il PLA distrusse sistematicamente i villaggi, le strade, i ponti, le infrastrutture di ogni genere, perfino le risaie e gli altri campi coltivati, prima di riattraversare il confine.

 

Le distruzioni della guerra.



I vietnamiti aumentarono le pressioni sui cinesi etnici, che alla fine migrarono in massa dando luogo al fenomeno dei “boat people”: oggi, la maggior parte di quei profughi vive, generalmente bene integrata, in Australia, Stati Uniti, Canada e nei Paesi dell’Europa settentrionale. Pochi scelsero di andare in Cina, anche se, in anni recenti, alcuni hanno fatto ritorno attratti dalle possibilità economiche.

 

Scambio di prigionieri.



Hanoi chiese scuse ufficiali alla Cina per anni, senza mai ricevere risposta. Dopo la normalizzazione delle relazioni fra i due Paesi, avvenuta in seguito alla repressione cinese di Tian An-men (fortemente appoggiata dal governo vietnamita), la richiesta è stata lasciata cadere nel dimenticatoio. Nel Dicembre 2007, l’annuncio della costruzione di un’autostrada e di una ferrovia per unire Hanoi a Kumming e la creazione di una zona economica comune, sembra avere messo fine alla rivalità.

 

Il monumento vietnamita ai caduti della guerra con la Cina.



E l’URSS? Mosca non uscì bene dalla guerra, nonostante le sue roboanti dichiarazioni di appoggio al fratello e amico popolo vietnamita barbaramente aggredito dall’imperialismo cinese, tutto quello che fece il Cremlino nei giorni dei combattimenti, fu di attivare un ponte aereo coi grossi An-22 Antei del 566° Reggimento di Trasporto Aereo (Солнечногорск, dal nome della città vicino Mosca sede del reparto), gli unici in grado di volare senza scalo e senza rifornimento aereo attraverso la tortuosa rotta che li costringeva ad evitare lo spazio aereo cinese, per rifornire gli alleati. Si disse la prudenza sovietica fosse stata dettata dalla consapevolezza di avere un certo numero di ICBMs cinesi puntati sulle proprie città, ma è forse più probabile che abbia prevalso anche in seno alla sciagurata dirigenza degli ultimi anni di Brezhnev la volontà di non provocare un conflitto mondiale dalle conseguenze, oltre che dai risultati, imponderabili.

Fonte: http://avvenimentimilitariestorici.over-blog.it

 


 

Categoria: Storia
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