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In questi giorni è trapelata la notizia, poco diffusa dai media nazionali, di un gruppo di docenti del liceo Marco Polo di Venezia che, in nome di un fantomatico pacifismo, ha fatto blocco comune per impedire al preside di invitare un gruppo di militari (due graduati di Marina e due finanzieri) per parlare agli studenti, in vista delle celebrazioni del 4 novembre. La motivazione data è che la Costituzione italiana, con l’articolo 11, vieta la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli.

Ovviamente il ministro dell’Istruzione non ha commentato la vicenda anzi, probabilmente, viste le precedenti esternazioni (vedesi articolo), l’ha avallata silentemente.

Il 4 novembre è una data simbolica per la nostra Patria, con l’armistizio di Villa Giusti viene sancita la vittoria sull’Impero Austro-Ungarico, dopo tre anni di sanguinose battaglie.

Proprio gli ultimi giorni di guerra vede protagonisti due ufficiali della Regia Marina nel forzamento della base navale di Pola, fino allora rimasta inviolata dagli attacchi portati dai MAS.

La base austriaca di Pola era dotata di estesi sistemi passivi di difesa all’imbocco delle rade e degli ancoraggi, nonché attorno alle singole unità navali. Le ostruzioni retali tenute bloccate da galleggianti metallici, gli ostacoli galleggianti e immersi di varia tipologia, le imbarcazioni di sorveglianza alle varie ostruzioni, i proiettori che illuminavano la rada e le postazioni di artiglieria lungo le rotte d’accesso avevano bloccato i precedenti tentativi di forzamento.

L’esperienza dei MAS e dei barchini saltatori (il grillo) per violare i porti nemici e attaccare le navi all’ancora, aveva suggerito la necessità, per ottenere risultati migliori, di adottare mezzi navali più efficaci, nel caso specifico di Pola serviva un mezzo che si potesse avvicinare furtivamente agli obiettivi senza incappare nei sistemi difensivi e mettere quindi in allarme il personale di sorveglianza.

 



Il capitano del Genio Navale Raffaele Rossetti e il tenente medico Raffaele Paolucci realizzarono un’apparecchiatura per l’assalto navale che operasse poco sotto la superficie dell’acqua.

Sotto la guida del capitano di vascello Dante Bucci, direttore di artiglieria e armamenti all’arsenale di Venezia, i due ufficiali portarono a compimento la realizzazione della mignatta.

La mignatta può essere definita un siluro modificato e pilotato. Era lungo 8 metri e il corpo cilindrico aveva un diametro di 600 mm. Era propulso da una macchina ad aria fredda di un siluro Schneider tipo A-115/450, cui erano state calettate due eliche quadripale. L’aria compressa contenuta nel serbatoio, collocato al centro dell’arma, consentiva un’autonomia di circa 10 miglia, alla velocità di 2 nodi. Trasportava due cariche ad alto esplosivo contenenti ciascuna 175 kg di tritolo e dotate di spolette a tempo con una regolazione massima di 6 ore. Le due cariche erano sistemate una dopo l’altra a proravia del corpo centrale, mentre quella anteriore era provvista di una specie di ogiva troncoconica per agevolare l’avanzamento in acqua dell’arma.

Gli operatori sedevano a cavalcioni del semovente, uno dietro l’altro tuttavia, in tale configurazione, quando in movimento, l’apparecchio assumeva un assetto troppo appoppato e il secondo operatore si trovava immerso sin quasi al collo. Quindi gli operatori preferivano farsi trascinare dal semovente stando in acqua su due lati tenendosi ad apposite maniglie fissate al corpo centrale del mezzo. Per applicare le cariche esplosive al bersaglio era previsto un sistema a calamita o elettromagnetico.

Il 30 ottobre 1918, mentre era in corso l’offensiva di Vittorio Veneto, venne emanato l’ordine di operazione per il forzamento della base di Pola e per l’attacco alle principali navi da battaglia della flotta austro-ungarica. Si tratta della prima missione di un mezzo d’assalto, che anticipa le azioni dei futuri mezzi subacquei come gli SLC (Siluri a Lenta Corsa) della Xᵃ Flottiglia MAS.

Il 31 ottobre i due incursori lasciano Venezia con un MAS e, giunti in vista della costa dalmata, si fermano per consentire l’imbarco della mignatta. Giunti all’imboccatura del porto, a circa 400 metri, Rossetti e Paolucci salgono sull’apparecchiatura. Superate varie ostruzioni, i due incursori dovettero spingere a mano l’apparecchiatura per avvicinarsi all’obiettivo della missione: le corazzate classe Viribus Unitis.

 



Alle 4.15 raggiungono la nave ammiraglia della flotta nemica. Partendo da 20 metri di distanza, Rossetti applica la torpedine alla nave (la Viribus Unitis), mentre Paolucci rimane in appoggio sull’apparecchio. Sistemato l’esplosivo, i due operatori cercano di allontanarsi, ma proprio in quel momento vengono scoperti e illuminati da un proiettore. Consapevoli del fatto che stavano per essere presi prigionieri, Rossetti e Paolucci innescano anche la seconda torpedine e lasciano che il mezzo prosegua la sua corsa con le valvole d’affondamento aperte. Il caso vuole che la mignatta affondando vada a finire sotto la carena del Wien, un piroscafo mercantile da 7.500 t, dove da lì a poco sarebbe esplosa provocandone l’affondamento.

Una volta catturati i due ufficiali vengono portati a bordo della Viribus Unitis  (immagine) e, pur non volendo salvare la corazzata, avvertono il comandante dell’imminente deflagrazione. Viene dato l’ordine di abbandonare la nave, anche Paolucci e Rossetti si gettano in acqua.

I minuti passano e, vedendo che non succede nulla, una parte dell’equipaggio decide di tornare a bordo portando con sé anche i due italiani.

Alle 6.30 del 1° novembre la torpedine esplode e la corazzata comincia ad affondare. I due ufficiali italiani riescono a salvarsi ma vengono recuperati e portati a bordo della corazzata Habsburg, dove viene riservato loro un trattamento cavalleresco.

Cinque giorni dopo entra nel porto di Pola la corazzata italiana Saint Bon. La guerra è finita e l’Italia ne esce vittoriosa. Ai due incursori viene concessa la medaglia d’oro al valor militare.

L’affondamento della corazzata austriaca Viribus Unitis sigilla la vittoria italiana nella Prima Guerra Mondiale.

Purtroppo queste gesta non vengono insegnate nelle scuole italiane: fulgidi esempi di ingegno e audacia, tutte qualità che servirebbero ai nostri giovani anche nella vita quotidiana.

Fonte: http://www.difesaonline.it

 

 

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