Durante la Guerra delle Falkland, le truppe SAS intrapresero una missione suicida per colpire la base dei missili Exocet di Galtieri. Questa è la loro storia, raccontata per la prima volta. Ai soldati SAS fu ordinato di attaccare una base missilistica in Argentina. L’operazione Plum Duff doveva infiltrare la base aerea chiamata Rio Grande. Un plotone di otto elementi si perse per oltre una settimana nelle pianure argentine, con attrezzature inadeguate, poche informazioni e mappe inutili.



Era buio, gelido alle 08:00 GMT. O, più significativamente, “le cinque in punto, di quel maledetto mattino“. Dietro il loro capitano, i soldati delle SAS trascinavano le loro attrezzature sull’erba fangosa della Patagonia. Il penultimo passo del lungo approccio alla battaglia del 6.to Plotone era finito. Ora dipendeva da loro. Mentre il caratteristico rumore dell’elicottero Sea King svaniva verso ovest-nord-ovest, il comandante, capitano Andrew Lawrence, si concesse qualche momento per riflettere. Aveva la sensazione qualcosa gli affondasse nello stomaco. La missione era raggiungere Rio Grande, una base aerea molto difesa a 70 miglia di distanza. Una volta lì, avrebbero attaccato un distaccamento di aerei d’attacco Super Etendard argentini e il loro carico mortale di missili Exocet, che avevano già distrutto una nave e ora minacciavano l’intera Task Force inglese nelle Isole Falkland. L’obiettivo era chiaro, ma pericoloso fino al suicidio. Ma poco altro aveva senso. Erano otto unità, troppi per un lungo approccio clandestino attraverso un paesaggio “brullo”. Quattro sarebbero andati bene, altri due forse. Ed erano nel Paese sbagliato. Erano in Cile, non in Argentina. Il confine era distante ancora 40 miglia ad est. Dato l’inizio dell’inverno, il tempo peggiorava e con abiti ed equipaggiamenti non ancora asciutti dopo il lancio in mare, Lawrence (pseudonimo) poteva solo fare smorfie di disperazione. La pattuglia aveva provviste per soli quattro giorni. La Luna calante non era più visibile e la nebbia si alzava, venendo rimpiazzata da un nevischio che già portava umidità. Era completamente buio. A parte il vento che frusciava inquietante attraverso la ruvida erba della pampa, non c’era rumore, solo la totale desolazione geografica e fisica della loro posizione. “È ora“, pensò Lawrence, “di dare ai ragazzi le cattive notizie“. Nella riunione ad Hereford solo quattro giorni prima, finalmente, la verità fu confermata. Il brigadier-generale Peter de la Billiere, direttore del servizio aereo speciale, si guardò attorno intento ad attrarre gli sguardi e parlò. “Senza dubbio sapete tutti della fragilità della posizione della Task Force e di ciò che potrebbe accadere se una delle nostre portaerei venisse persa“, disse. “La vostra missione è identificare la posizione degli aerei nemici e, se possibile, distruggerli“. Questi ordini furono emessi il 14 maggio 1982, dieci giorni dopo che gli argentini avevano lanciato due dei loro cinque Exocet distruggendo l’HMS Sheffield. Quindi tre missili di fabbricazione francese erano ancora a Rio Grande… Alle 5 del mattino seguente, 6 soldati sarebbero partiti. Con ogni sforzo dell’immaginazione, l’operazione Plum Duff fu un ordine dall’alto, ancor più dall’altro per la mancanza d’intelligence, mappe coerenti ed opportuni briefing. Era chiaro a tutti della pattuglia che gli era stato chiesto di “condurre un pieno attacco frontale all’ignoto“. L’esatta posizione della base aerea di Rio Grande rimaneva un mistero, così come le difese. C’erano recinzioni perimetrali? C’erano mine o tiro di copertura? C’erano pattuglie, cani, riflettori?

Il programma era il seguente: Il 15 maggio, la squadra volò sull’Isola dell’Ascensione nell’Atlantico meridionale. Da lì furono trasportati su un aereo-cargo C-130 Hercules alle Falkland. Quindi, dopo un lancio col paracadute, la Royal Navy li prelevò dall’oceano portandoli a bordo di una portaerei. Infine, avrebbero volato, probabilmente in elicottero, verso la missione. Plum Duff dimostrò di essere l’unica incursione sul continente sudamericano della campagna delle Falkland. C’era chiaramente fretta nel distruggere gli Exocet prima che causassero ulteriori danni, a meno che non si trattasse semplicemente di dimostrare volontà politica. “Forse è meglio lasciar fare ai politici“, pensò il capitano Lawrence. “Nel frattempo siamo qui ora e dobbiamo dargli un bel colpo’.” Sul terreno fradicio della Terra del Fuoco, il 6.to Plotone giaceva immobile. Scomodi per tanto tempo a bordo di un pesante elicottero Sea King senza sedili, desideravano allungare gli arti infreddoliti. Dopo dieci minuti, il comandante si alzò in piedi e spiegò a visi appena visibili e anneriti che il primo sito di elisbarco, vicino al confine argentino, a 26 miglia dal bersaglio, era compromesso. Invece, temendo di essere rintracciati dalle difese argentine, furono costretti a volare in Cile. L’unica opzione era iniziare a spostarsi verso est fino alle prime luci. C’erano ancora tre ore. Le dolci colline basse e coperte da vaste zone di palude ed erba rendevano difficile muoversi rapidamente. C’era neve e la pioggia quasi gelata soffiava orizzontalmente sulla schiena. La segretezza era essenziale: l’esercito argentino fu allertato dal rumoroso Sea King, mentre i cileni, sebbene amichevoli in privato, erano ufficialmente neutrali nel conflitto. I progressi furono lenti: il plotone copriva meno di 1 miglio e mezzo all’ora. A quel ritmo ci volevano razioni per due giorni e mezzo solo per raggiungere il confine. Ogni uomo portava quasi 35kg, tra cui esplosivi e timer, l’arma standard Armalite M15  e una pistola Browning da 9mm. Confezionati in ogni bergen [zaino] c’erano una rete mimetica e un sacco a pelo “sacco verde”. La pattuglia non era equipaggiata per una ricognizione a lungo termine, ma solo per un’operazione diretta, rapida ed efficace. Incredibilmente, nessuno portava attrezzature per la visione notturna. E gli esplosivi furono presi a scapito di cibo ed abbigliamento adeguato. Ma al centro della preoccupazione del comandante della pattuglia c’erano le due mappe. Una era un foglio fragile che sembrava essere stato tolto da un atlante scolastico degli anni ’30. La seconda era del 1943, una mappa dell’Argentina stampata dalla “Cambridge University Library 1967“. Erano il miglior “sistema” per uscirsene. Ma non mostravano la base aerea Rio Grande e molte caratteristiche salienti oltre a coste, fiumi e laghi. Lawrence aveva ipotizzato che mappe adeguate potessero trovarle nell’Isola dell’Ascensione o a bordo dell’HMS Invincible, loro punto di partenza finale. Si sbagliava.

 



Mentre il nevischio filtrava tra spalle, schiena e bergen, la pattuglia alla fine si fermò e due uomini furono mandati a cercare un rifugio. Quando la luce del giorno apparve il 18 maggio, non portò sollievo, solo disagio. Il soldato Taff non stava bene, indebolendosi con l’aumento della temperatura. Era ora di chiamare Hereford. La radio, grazie al tuffo nell’Oceano Antartico, si rifiutava di cooperare. Ora si rianimava, ma ci fu scontento al comando. Le autorità furono informate, controvoglia, che l’infiltrazione su terraferma non era andata come previsto e le mappe erano più che inutili. Eppure, da 8000 miglia di distanza, arrivò l’ordine diretto e inequivocabile che Lawrence continuasse. Sosteneva che avrebbero aspettato 24 ore prima che il soldato Taff si riprendesse. Ciò che desiderava dire, ma non lo fece, era che secondo l’opinione della squadra, Hereford era “pronta a cancellarci fin dall’inizio“. Di giorno, il 19 maggio e 20 maggio, gli uomini giacquero nelle tende coperte di nevischio, senza elettricità, risparmiando energia. In ogni direzione non c’era nulla se non ondeggianti pianure di erba della pampa coperta di neve o ghiaccio. La realtà si affermava. Veloce. Dopo il buio delle 20, ripresero il viaggio sempre più inutile. Con solo razioni per due giorni rimaste, erano ancora a più di dieci miglia dal confine, e da lì l’obiettivo era ad altre 30 miglia nel territorio nemico. Il giorno seguente, il gioco finì. Lawrence disse a Hereford che il rifornimento di cibo, se necessario aerolanciato, era imperativo prima di entrare in Argentina. La risposta fu rapida e inaspettata. La pattuglia doveva tornare nel punto d’incontro d’emergenza presidiato dal capitano Pete Hogg delle SAS. Hogg era originariamente volato in Cile per interrogare i Royal Marines catturati ad aprile mentre difendevano la Georgia del Sud, e poi rilasciati. Lawrence non sapeva che tale piano di emergenza avrebbe potuto essere attivato. Fu concordato un punto d’incontro, un ponte, scelto da una mappa senza delimitazioni né griglia. Hogg li avrebbe incontrati la sera seguente quando l’appuntamento sarebbe stato possibile solo per un’ora dopo il tramonto. Dopo la conversazione finale, il sistema di comunicazioni della pattuglia si spense, finalmente e in modo irreversibile. Nel tardo pomeriggio del 22 maggio, il 6.to Plotone ritenne di essere nella posizione corretta. Si diresse verso il sottobosco fradicio aspettando il crepuscolo. Non successe nulla quella sera né nelle successive tre. La mattina del 26 maggio, Lawrence e un altro soldato misero i loro abiti da campeggio civili sulle giacche mimetiche, intascarono le pistole Browning e si avvicinarono alla città più vicina, Porvenir, a più di 50 miglia di distanza. Si aggrapparono a un camion, sperando di poter fare una telefonata al console inglese. A Porvenir, si diressero verso una capanna di legno, dove l’unico radiotelefono comunale era gestito da un uomo. Il console rispose. Lawrence ricorda: “Gli parlai e lui era inorridito perché non era stato informato. Era terrorizzato. Dissi, ‘Ho questi ragazzi sul campo senza cibo e devo fare qualcosa per loro’, ma tutto ciò che disse fu, ‘Il mio consiglio è che li abbandoni’.” Mancanza di comprensione ed aiuto da un funzionario del Foreign Office inglese fu una profonda ed inaspettata delusione. Quella sera, passeggiando per Porvenir, Lawrence fu sorpreso incontrando gli uomini delle SAS che avrebbero dovuto salvare i suoi soldati. Dice: “Che ci crediate o no, mentre passavamo davanti alla porta aperta di una mensa, guardammo dentro e vidi non solo Pete Hogg, ma (i colleghi delle SAS) Brummie Stokes e Bronco Lane“. Era ovvio a Lawrence che, per ragioni finora mai chiarite, la squadra di salvataggio non aveva fatto alcun tentativo di organizzare l’incontro d’emergenza nella notte decisa o una successiva. Ma il 30 maggio, gli otto uomini, ora vestiti in borghese e nella più stretta segretezza, salirono a bordo di un aereo leggero per Santiago. L’8 giugno gli fu ordinato di tornare a casa.

Sin dall’inizio, Plum Duff sollevò domande inquietanti. Un membro del gruppo delle operazioni speciali formato a Londra a sostegno della Task Force dichiarò: “Tale operazione fu opera degli “hooligans di Hereford” che chiesero un’operazione per cercare di “mantenere il mito”. C’era un team di pianificazione molto forte a Hereford che moriva dalla voglia di fare qualcosa“. Col fallimento di Plum Duff, Lawrence affrontò la commissione d’inchiesta e scoprì che la sua carriera militare era finita, affondata dalla convinzione che il punto di lancio originario era pericoloso, e dalla decisione di sbarcare in Cile. Dice: “Non volevo essere nell’esercito se non potevo essere nelle SAS, quindi me ne andai. Ci sono rischi associati a ciò che facciamo, e l’accettiamo, ci va bene partire per ciò che riteniamo ragionevolmente sensato e con una ragionevole possibilità di un risultato positivo. ‘Plum Duff sembrò andare diversamente’“. È vero che la posta in gioco era alta. Gli Exocet lanciati dalla base di Rio Grande distrussero HMS Sheffield e MV Atlantic Conveyor e quasi riuscirono a fare di assai peggio. La paura degli Exocet modellò l’intero piano di battaglia della Task Force, portando discutibilmente alla perdita di molte altre vite. La storia mostra, tuttavia, che il capitano Lawrence e i suoi uomini della Squadra B del 22.mo Reggimento SAS, fecero tutto ciò che gli fu chiesto, volontariamente, professionalmente e senza esitazione. Nonostante le spaventose circostanze in cui furono lanciati, con attrezzature e cibo inadeguati, assenza di qualsiasi forma d’intelligence, mappe inutili e l’inevitabile consapevolezza che sarebbero stati ignorati, e “non aspettandosi di sopravvivere”, agirono al meglio delle tradizioni del reggimento. In effetti, potevano capire che, attraverso una stoica e poco comprensiva fortuna, poterono “mantenere il mito”.

Traduzione di Alessandro Lattanzio

Fonte originale: https://www.dailymail.co.uk

Fonte: http://aurorasito.altervista.org

 

Categoria: Storia
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