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Il colonialismo austriaco consistette in una serie di tentativi, fatti tra il XVII e il XIX secolo, da parte dell'Impero austriaco prima e da parte dell'Impero austro-ungarico poi, volti ad ottenere profitti dal commercio coloniale e di fondare delle proprie colonie oltremare; a causa della competizione con le altre potenze coloniali e di un governo poco propenso a portare avanti una tale politica, i tentativi coloniali austriaci fallirono.

 

 

La Compagnia di Ostenda.
La Compagnia di Ostenda, che aveva base nell'omonima città dell'attuale Belgio, fu una compagnia commerciale privata che commerciò con le Indie grazie a patenti concesse nel 1722 dai Paesi Bassi Austriaci. Le pressioni politiche internazionali sul governo austriaco, portarono al ritiro delle patenti già nel 1727 ed interruppero di conseguenza la crescita della compagnia, che si sciolse nel giro di pochi anni.

Le isole Nicobare.
La colonizzazione delle Isole Nicobare (poste tra la Birmania, l'India e l'Indonesia) fu un breve tentativo di occupare queste isole dell'Oceano Indiano da parte degli Austriaci. Furono inizialmente colonizzate dai Danesi nel 1756, ma il loro tentativo fallì e perciò la colonia austriaca venne stabilita nel 1778 sul sito di un precedente insediamento danese. Nel 1783 però, a causa della mancanza di un valido supporto da parte del governo, gli ultimi colonizzatori abbandonarono l'arcipelago. Nel 1785 il governo danese rinunciò al possesso. Nuovamente occupate dai Danesi nel 1848, i diritti coloniali furono poi ceduti alla Gran Bretagna che nel 1869 che le aggregò alle Andamane.

Esplorazioni artiche nel XIX secolo.
Nel 1873, una spedizione austriaca venne inviata al Polo nord e scoprì un arcipelago, ribattezzato "Terra di Francesco Giuseppe" in onore dell'imperatore dell'epoca. Questi territori non vennero mai né rivendicati, né colonizzati, tuttavia fu solo nel 1926 che l'Unione Sovietica prese possesso di queste isole.

Il Borneo Settentrionale.
Una compagnia commerciale internazionale (i cui principali azionisti erano Statunitensi, Britannici e Cinesi), con sede ad Hong Kong vendette nel 1875 i suoi diritti sul Borneo settentrionale (l'attuale stato di Sabah nella Malesia), al console austro-ungarico a Hong Kong, il barone Von Overbeck. Questi riuscì intorno al 1878 ad ottenere un rinnovo di 10 anni del contratto di locazione di questi territori dal Temenggong del Brunei, a cui aggiunse anche quelli della costa orientale, stipulando un trattato analogo con il Sultano di Sulu. Per finanziare i suoi piani per il Nord Borneo, Von Overbeck trovò sostegno finanziario dai fratelli Edward e Alfred Dent. Tuttavia non ricevette aiuti dal governo di Vienna che si disinteressò delle sue trattative; il barone Von Overbeck si rivolse quindi al governo italiano per vendere le concessioni e formare una colonia penale, ma anche l'Italia a sua volta rifiutò di intervenire, perciò il Barone, nel 1880 rinunciò ai suoi diritti, lasciandoli ai fratelli Dent, finché il Borneo Settentrionale fu infine occupato dai Britannici.

Il Congresso di Berlino e la spartizione dell'Africa.
Nel 1885, nonostante non fosse una potenza coloniale, l'Austria-Ungheria partecipò assieme alle altre Grandi Potenze, alla Conferenza di Berlino, volta a disciplinare la politica coloniale tra le nazioni d'Europa.

La rivolta dei Boxer in Cina e la concessione di Tientsin.
In seguito alla rivolta dei Boxer, l'Impero Austro-Ungarico inviò un corpo militare in Cina, così come le altre grandi potenze dell'epoca. Come contropartita ottenne una concessione nella città di Tientsin, che dopo la Prima Guerra Mondiale venne aggregata alla preesistente Concessione Italiana.

Fonte: https://it.wikipedia.org

 

 

La moneta commemorativa che mostra la spedizione polare della nave "The Admiral Tegetthoff".



La Compagnia di Ostenda.
La Compagnia di Ostenda (olandese: Oostendse Compagnie) era una compagnia commerciale privata istituita nel 1717 per commerciare con le Indie. Il successo delle Compagnie delle Indie orientali olandese, britannica e francese condusse i mercanti e gli armatori di Ostenda nei Paesi Bassi austriaci a desiderare di stabilire relazioni commerciali dirette con le Indie. Il commercio da Ostenda a Mokha (nello Yemen), all'India, al Bengala e alla Cina iniziò nel 1715. Ad alcuni mercanti privati di Anversa, Gand e Ostenda furono concesse patenti per il commercio nelle Indie Orientali dal governo austriaco che aveva recentemente assunto il potere nei Paesi Bassi Meridionali. Tra il 1715 e il 1723, 34 navi salparono da Ostenda per la Cina, per la Costa del Malabar o la Costa del Coromandel, per Surat, per il Bengala o per Mokha. Quelle spedizioni erano finanziate da diversi consorzi internazionali, composti da mercanti e banchieri fiamminghi, inglesi, olandesi e francesi. La reciproca rivalità fra di essi, tuttavia, condizionò pesantemente i profitti e ciò portò alla fondazione della Compagnia delle Indie Orientali di Ostenda, autorizzata con patente dall'imperatore austriaco nel dicembre 1722. Il capitale della compagnia venne fissato a 6 milioni di fiorini olandesi, composto di 6.000 azioni di 1.000 fiorini ciascuna. Esso venne fornito principalmente dai danarosi abitanti di Anversa e Gand. I dirigenti furono scelti tra i ricchi ed abili mercanti o banchieri che erano stati coinvolti nelle spedizioni private. La compagnia possedeva anche due filiali commerciali: Cabelon sulla Costa del Coromandel e Banquibazar nel Bengala. Tra il 1724 e il 1732, furono inviati all'estero 21 vascelli della compagnia, principalmente a Canton in Cina e nel Bengala. Grazie alla crescita dei prezzi, alti profitti furono realizzati nel commercio con la Cina. Questo rappresentava una spina nel fianco per le più antiche compagnie rivali, come la VOC olandese, la EIC inglese e la CFT francese. Esse rifiutavano di riconoscere il diritto dell'imperatore austriaco di fondare una compagnia delle Indie Orientali nei Paesi Bassi Meridionali e consideravano gli Ostendesi degli intrusi. Furono dunque esercitate pressioni politiche internazionali sull'imperatore d'Austria, che alla fine capitolò. Nel maggio 1727 la patente della compagnia fu sospesa per sette anni e nel marzo 1731 il secondo trattato di Vienna ne ordinò la definitiva abolizione. La fiorente Compagnia di Ostenda era stata sacrificata agli interessi della dinastia austriaca. (La sua chiusura fu la condizione posta dalla Gran Bretagna per l'approvazione delle nuove regole dinastiche, stabilite dalla Prammatica sanzione del 1713, promulgata dall'imperatore Carlo VI) Fra il 1728 e il 1731 un piccolo numero di spedizioni illegali furono organizzate sotto bandiera prese a prestito, ma le ultimissime navi a salpare per la compagnia furono i due "vascelli del permesso" che partirono nel 1732, e che furono così soprannominati in quanto erano un'espressa concessione fatta nel secondo trattato di Vienna.

Fonte: https://it.wikipedia.org

 

Il Palazzo di Yuan per la Concessione austroungarica è stato costruito nel 1918, ma Yuan Shih-kai non ha mai vissuto qui.



La Concessione austroungarica di Tientsin.
La Concessione austroungarica di Tientsin (in cinese: 天津奥租界; in tedesco österreichisch-ungarische Konzession; in ungherese: osztrák–magyar Tiencsini koncesszió) era un territorio nella città cinese di Tientsin occupato colonialmente dall'Austria-Ungheria tra il 1902 e il 1920. Era stata ottenuta dall'Impero asburgico dopo la firma del Protocollo dei Boxer alla conclusione del conflitto tra la Cina e l'Alleanza delle otto nazioni che avevano inviato un corpo di spedizione internazionale per sedare la Ribellione dei Boxer del 1901. Sebbene il corpo d'occupazione austroungarico fosse presente dall'anno precedente, la concessione ebbe formalmente inizio il 27 dicembre 1902. Quella austroungarica, con un'estensione di 60 ettari, fu una delle minori concessioni fatte dal Celeste impero alle potenze vincitrici. Ciò in misura della limitata partecipazione austroungarica al corpo di spedizione internazionale: quattro incrociatori e 296 soldati. Il territorio assegnato all'Austria-Ungheria occupava l'area racchiusa tra il fiume Hǎi Hé, il Gran Canale e il tracciato della ferrovia Tientsin-Pechino. A sud confinava con la Concessione italiana. La zona corrisponde all'odierno distretto meridionale di Hebei. Contrariamente a quanto fatto dalle altre potenze europee, l'Austria-Ungheria concesse la cittadinanza a tutta la popolazione locale. L'amministrazione venne affidata a un consiglio costituito da nobili locali, dal console imperiale e dal comandante della guarnigione militare che comprendeva 40 marinai della k.u.k. Kriegsmarine e 70 poliziotti cinesi detti Shimbo. I due rappresentanti austroungarici avevano il diritto di maggioranza nelle sedute del consiglio. Il diritto giuridico applicato in tribunale era quello austroungarico. Nella concessione vennero edificati teatro, terme, scuola, monte dei pegni, caserma, prigione, ospedale e cimitero. La relativamente breve, 15 anni circa, presenza lasciò tracce di stile asburgico ancora oggi riscontrabili in quella zona della città. Con la prima guerra mondiale, la Cina entrò in guerra al fianco della Triplice intesa contro gli Imperi centrali e occupò immediatamente le concessioni austroungarica e tedesca dichiarandole revocate il 14 agosto 1917. Alla fine del conflitto mondiale, con la dissoluzione dell'Austria-Ungheria, furono necessari due trattati separati per ratificare l'avvenuta revoca. L'Austria rinunciò ai diritti sulla concessione il 10 settembre 1919 con il Trattato di Saint-Germain-en-Laye, l'Ungheria vi rinunciò il 4 giugno 1920 con il Trattato del Trianon. La concessione austroungarica fu quella ad avere vita più breve tra le otto concessioni di Tientsin date dalla Cina a potenze straniere. Nel giugno 1927 la concessione fu inglobata in quella italiana, dopo una serie di scontri tra opposte fazioni cinesi.

 

La posizione di Tientsin dentro la Cina.



Quando la vecchia Austria voleva stabilirsi nelle isole dell’Oceano Indiano

di Francesco Lamendola - 30/09/2010

È decisamente una pagina di storia pressoché dimenticata da tutti, perfino dai discendenti dei diretti interessati. Sono ben pochi, infatti, in Europa e nella stessa Austria, a sapere che, fra XVIII e XIX secolo, la Monarchia danubiana compì alcuni seri sforzi per assicurarsi un possedimento coloniale nell’Oceano Indiano, precisamente nelle Isole Nicobare. Le Nicobare sono un arcipelago formato da 22 isole che si allunga in senso longitudinale, come un festone, tra le Isole Andamane a Nord, da cui distano 150 km., e la costa settentrionale di Sumatra a Sud, da cui distano circa 190 km.; la loro superficie complessiva è di 1.841 kmq.; ai nostri giorni fanno parte del Territorio indiano delle Isole Andamane e Nicobare, dopo essere state britanniche e per un breve periodo, durante la seconda guerra mondiale, giapponesi. L’idea che l’Impero asburgico sia andato a cercarsi delle colonie nei lontani mari tropicali ha qualche cosa di strano, quasi di surreale. Chi ha letto il capolavoro di Jaroslav Hašek «Le avventure del buon soldato Sc’vejk nella guerra mondiale» ricorderà forse, nelle pagine iniziali, il tono di burla con cui il protagonista afferma che anche l’Austria possiede le sue colonie, come tutte le altre maggiori potenze: lassù, verso il Polo Nord, fra orsi bianchi e ghiacci galleggianti, con il nome di Terra di Francesco Giuseppe. E invece l’Austria aveva avuto davvero le sue colonie, non fra orsi e d iceberg, ma nei caldi mari dell’Oriente, a 10 gradi dall’Equatore; anche se per un tempo brevissimo, quasi un batter di ciglia.

Era andata così.
Già nel 1722-23 si era costituita, ad Ostenda, una Compagnia per il commercio con le Indie Orientali, che aveva ottenuto lettere patenti dai Paesi Bassi Austriaci; lettere poi ritirate in seguito alle forti pressioni esercitate dalle altre potenze interessate agli scambi commerciali con l’Estremo Oriente e che non gradivano tale concorrenza, sicché la Compagnia aveva finito per chiudere i battenti. Poi, verso il 1765, l’imperatrice Maria Teresa, che aveva appena associato al trono suo figlio Giuseppe II, incominciò a valutare la possibilità di stabilire un punto d’appoggio commerciale nei mari dell’Asia: erano gli anni in cui l’Austria ambiva a diventare una potenza marittima e Trieste stava diventando un grande emporio, aperto verso l’Oriente. Le cose presero una svolta decisiva con l’arrivo a Vienna, nel 1774, di un singolare personaggio, una sorta di avventuriero: l’olandese William Bolts, già agente della Compagnia inglese delle Indie Orientali e poi cacciato per i suoi loschi traffici a base di oppio. Forse in cerca di rivincite, forse - semplicemente - desideroso di rifarsi una posizione, sfruttando la propria esperienza dei commerci con l’Oriente, egli riuscì a convincere l’inesperta imperatrice ed i suoi consiglieri che sarebbe stata una buona idea se l’Austria avesse preso possesso delle Isole Nicobare, che erano state occupate dalla Danimarca e poi, di fatto, abbandonate. Incorrendo in un grossolano errore diplomatico, a Vienna ci si convinse, più o meno in buona fede, che la partenza dei Danesi equivalesse ad una implicita rinuncia al loro dominio e che, pertanto, l’arcipelago fosse divenuto “res nullius”, terra non sottoposta ad alcuna giurisdizione: tale era la mentalità dei colonialisti europei, anche se la sanzione formale di questa dottrina sarebbe venuta solo molto più tardi, con la Conferenza di Berlino del 1884-85, che diede il via alla rapida spartizione del continente africano. Ad ogni modo vi furono molte tergiversazioni e fu solo nel 1778, ormai verso la fine del regno di Maria Teresa, che una spedizione austriaca, dopo aver superato enormi difficoltà politiche e organizzative, salpata dal porto di Trieste a bordo del vascello «Giuseppe e Maria», sbarcò nell’arcipelago e ne prese possesso, poco dopo che i Danesi l’avevano abbandonato a causa di una epidemia di malaria. Il 12 luglio 1783 gli indigeni, una popolazione molto primitiva di ceppo negritos, firmarono - si fa per dire, perché apposero delle semplici croci sul documento - un trattato, in base al quale cedevano al governo di Vienna quattro isole del loro arcipelago: Nancowry, Kamorta, Trinket e Katchal. È perlomeno dubbio che essi abbiano compreso il significato di quel’atto; in ogni caso, non ne ricevettero alcun danno, a differenza di altri indigeni meno fortunati che sottoscrissero analoghi trattati, perché tutto quel che fecero gli Austriaci fu sbarcare sei persone con alcune capre, armi e pochi schiavi, mentre la bandiera con i colori dell’Impero asburgico veniva innalzata su di una collina; e ciò fu tutto. Ma è impossibile mantenere una colonia ad oltre diecimila chilometri dalla madrepatria (all’epoca la rotta dal Mediterraneo all’Insulindia passava per lo Stretto di Gibilterra ed il Capo di Buona Speranza e richiedeva settimane, se non mesi, di navigazione), senza disporre di un adeguato potenziale marittimo e senza adeguati supporti logistici. Gli Austriaci se ne resero conto ben presto a proprie spese, tanto che nel 1781, stremati dalle difficoltà e a corto persino di acqua potabile, inviarono un disperato appello alla lontana madrepatria per ricevere aiuti. Ma a Vienna la notizia non giunse; oppure, se giunse, nessuno si preoccupò di fare qualcosa per quei disgraziati. Così, appena cinque anni dopo l’inizio dell’impresa, rimasti praticamente abbandonati a se stessi, gli Austriaci videro naufragare miseramente il loro sogno. Con la morte del capo della minuscola colonia, nel 1783, e la partenza degli altri, ebbe termine questo bizzarro tentativo di colonizzazione, con un pieno e irreparabile fallimento. La Danimarca rioccupò le Isole Nicobare solo molto più tardi, nel 1848, ma le cedette definitivamente alla Gran Bretagna nel 1869, che vi mandò una spedizione in piena regola e che da allora le tenne in suo potere, quale antemurale avanzato per una eventuale difesa dell’India, insieme alle Isole Andamane. La pagina della presenza austriaca in quelle acque non era però definitivamente chiusa, perché nel 1857, dunque all’epoca del secondo periodo di occupazione danese, una nave da guerra asburgica ritornò nelle Isole Nicobare. Era la fregata «Novara», inviata colà dall’arciduca Ferdinando Massimiliano d’Austria nel corso del suo viaggio di circumnavigazione; ma si trattava, questa volta, di una spedizione puramente scientifica o, tutt’al più, dal vago significato diplomatico e di prestigio. A bordo, infatti, vi era una équipe dell’Accademia Austriaca di Scienze con l’incarico, fra le altre cose, di individuare il luogo idoneo per lo stabilimento di una colonia penale d’Oltremare. Ricordiamo, fra parentesi, che analoghi passi e proprio in quei mari (oltre che in Argentina) avrebbe fatto, pochi anni dopo, il governo italiano, desideroso di confinare lontano dalla madrepatria i detenuti più pericolosi, specialmente dopo la repressione del Brigantaggio meridionale (1860-64); tentativi che, peraltro, non ebbero esito positivo. La fregata «Novara» toccò le isole di Nancowry e di Kamorta, proprio quelle già occupate al tempo di Maria Teresa, ma non effettuò alcun tentativo di prenderne possesso militarmente. È bensì vero che l’etnologo Karl Ritter von Scherzer (Vienna, 1821 - Gorizia, 1903), il quale faceva parte della spedizione, propose di ristabilire una colonia in quei luoghi; ma la sua perorazione cadde nel vuoto perché il governo di Francesco Giuseppe, in pessimi rapporti con il Piemonte di Cavour e, tra breve, anche con la Francia di Napoleone III, aveva ben altro a cui pensare che non lanciarsi in una romanzesca avventura coloniale nel Sud-est asiatico. A Vienna, pertanto, ci si dovette accontentare delle copiose raccolte etnografiche riportate in patria da von Scherzer e dire addio per sempre a quell’antica colonia, ormai perduta senza rimedio. Un’ultima comparsa della bandiera austriaca nelle acque delle Isole Nicobare ebbe luogo quasi trent’anni dopo, nel 1886, allorché la corvetta «Aurora» gettò le ancore nel porto di Nancowry, diretta in Estremo Oriente. Ma a quell’epoca, e già da più di tre lustri, l’arcipelago era stato formalmente annesso ai dominî di Sua Maestà britannica, la regina Vittoria, per cui non esisteva più un vuoto di potere che potesse giustificare un eventuale interesse austriaco. Da quel momento, e a parte le esplorazioni artiche di Payer e Weyprecht i quali, nel 1873, scoprirono ed esplorarono la Terra di Francesco Giuseppe (che non venne però mai rivendicata dall’Austria, perché la spedizione era stata organizzata privatamente e non dal governo austriaco) e a parte un curioso tentativo del console austro-ungarico ad Hong Kong, barone von Overbeck, di colonizzare la costa settentrionale del Borneo intorno al 1878, l’Austria scomparve dalla scena della politica coloniale. Essa non partecipò al Congresso di Berlino del 1884 e alla relativa spartizione dell’Africa; soltanto, nel 1901 ottenne dal governo cinese la concessione di un quartiere di Tientsin, dopo aver partecipato alla spedizione internazionale, sotto comando germanico, per la repressione del movimento dei Boxer. La concessione venne poi occupata, durante la prima guerra mondiale, nel 1917, dal governo cinese; che, a sua volta, dovette cederla nel 1927 all’Italia, la quale ultima la annetté alla propria concessione nella medesima città. I due quartieri vennero poi occupati dai Giapponesi nel 1943, quando il generale Badoglio firmò l’armistizio con gli Alleati, e tornarono formalmente alla Cina con la pace di Parigi del 1947. In realtà, ci sarebbe un’appendice a questa insolita vicenda della colonizzazione austriaca delle Isole Nicobare; ma si tratta di una storia ancora più strana, quasi ai limiti del romanzesco, e che evoca altri scenari e situazioni totalmente diversi, per cui non ne daremo che qualche breve cenno, riservandoci di riprendere l’argomento in una sede specifica. In breve, si tratta di questo: allo scoppio della prima guerra mondiale, quando si ingaggiò un gigantesco - ed impari - duello fra la Marina britannica e quella germanica, la cui posta in gioco era non solo il dominio dei mari europei, ma anche degli oceani e, pertanto, del commercio mondiale, qualcuno presso l’Ammiragliato di Berlino dovette ricordarsi della presenza austriaca nelle Isole Nicobare, con la relativa cartografia; qualcuno che seppe anche apprezzare al suo giusto valore la posizione strategica dell’arcipelago. La guerra che si scatenò nell’agosto 1914 fra i due sistemi di alleanze fu una guerra convenzionale, anche se su scala mai vista, in Europa; mentre a livello planetario fu anche una lotta di intelligence e di comunicazioni radio fra i due maggiori belligeranti, appunto l’Impero britannico ed il Reich tedesco. I Tedeschi, pur disponendo di un impero coloniale immensamente più piccolo ed anche assai recente (2,5 milioni di kmq., con una popolazione di appena 15 milioni di abitanti), si erano premurati di installarvi una rete di potentissime stazioni radio, capace di coprire gran parte della superficie terrestre. Essa faceva capo alle due stazioni metropolitane di Hannover e di Nauen, entrambe nel nord della Germania, e comprendeva le stazioni africane di Kamina, nel Togo; di Windhoek, nell’Africa Sud-occidentale (pacificata solo da pochi anni, dopo la crudele guerra di sterminio del 1904-05 contro gli indigeni); di Mwanza e di Tabora, nell’Africa Orientale Tedesca; e quelle oceaniche di Yap, nell’arcipelago delle Caroline, di Samoa e infine di Tsingtao, sulla costa cinese. Ciascuna di esse aveva un raggio d’azione di circa 1.000 km., per cui tutte le stazioni radio del continente africano erano in contatto fra loro. Inoltre alcune di esse, mediante cavi sottomarini, erano collegate a regioni ancora più lontane: ad esempio, la stazione di Yap era allacciata alle Indie via Shanghai, e al Nord America grazie al cavo dell’isola di Guam. Vi erano poi alcune stazioni radio minori, come quella di Dar-es-Salaam, nell’Africa Orientale Tedesca. Ebbene, una delle poche zone extraeuropee “scoperte” era proprio quella dell’Oceano Indiano orientale. A ciò provvidero audacemente i Tedeschi, istallando appunto nelle isole Nicobare, proprio sotto il naso dei loro teorici “proprietari” inglesi, una moderna ed efficiente stazione radio, precisamente a Pulo Wey, che causò non pochi disturbi alla navigazione dell’avversario; e ciò proprio mentre l’incrociatore corsaro «Emden» compiva, in quelle acque, le sue leggendarie gesta.

Fonte: http://www.ariannaeditrice.it

 

 

 

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