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Nel biennio 1938-39 l'attenzione dell'Europa e del mondo occidentale erano puntati, ovviamente, principalmente su Germania ed Italia e sul pericolo sempre maggiore che esse rappresentavano. Anche il Giappone era impegnato in una guerra imperialista contro la Cina, e il pericolo non era certo sottovalutato da parte degli Stati Uniti. Tuttavia esisteva in estremo oriente un teatro di tensione secondario abbastanza oscuro, di cui ancora oggi pochi conoscono anche solo l'esistenza: sto parlando del confine nippo-sovietico nella Manciuria del nord; qui, appunto tra il 1938 e il 1939, si svolse uno strisciante conflitto armato noto come Guerra di Confine Nippo-Sovietica, culminato in una vera e propria battaglia sul fiume Halka (chiamato dai sovietici Khalkhin Gol) che vide coinvolto uno dei protagonisti principali degli anni seguenti, il comandante sovietico Georgi Zhukov (che vedete nella foto).

 

 

 

La rivalità tra Tokyo e Mosca (o San Pietroburgo) era di lunga data; come abbiamo già visto in precedenza, il primo importante conflitto tra le due potenze, la Guerra Russo-Giapponese del 1904-5, si era conclusa con il clamoroso successo del Giappone, che aveva così posto le basi del suo impero coloniale in oriente. La Rivoluzione d'Ottobre aveva portato ad un cambio di governo in Russia, ma la rivalità non era certo diminuita, e si era anzi acuita quando il Giappone aveva invaso ed occupato la Manciuria, installandovi lo stato fantoccio del Manchukuo; il risultato era che ora i due contendenti condividevano un lungo tratto di confine, perdipiù definito in termini non chiari.
Fu proprio una disputa di confine ad aprire il conflitto nel 1938: il territorio conteso si trovava presso il lago Khasan o Chasan, e in particolare erano oggetto delle mire sovietiche le alture di Changkufeng, una serie di colline che dominavano il porto coreano di Najin. L'ordine di occupare le alture, inviato via radio, fu intercettato dalle forze giapponesi e l'Armata del Kwantung ordinò alla sottoposta Armata di Corea di sloggiare i sovietici dalle nuove posizioni, che erano state nel frattempo fortificate.
Il primo scontro di quella che divenne nota come Battaglia del lago Khasan in Unione Sovietica e Incidente di Changkufeng in Giappone fu combattuto il 29 luglio del 1938, quando un primo assalto giapponese fu respinto; due giorni dopo però un nuovo attacco fu compiuto dalla 19° divisione giapponese, e questa volta i sovietici furono costretti a ritirarsi; in particolare il Colonnello Kotoku Sato, con il suo 75° reggimento, intraprese una sortita notturna da manuale contro una posizione fortificata, e le tattiche da lui utilizzate divennero materia di insegnamento nelle accademie militari giapponesi. Alla fine i sovietici inviarono forze aggiuntive, e riuscirono a respingere i giapponesi arrivando ad una situazione di stallo, in seguito alla quale entrambe le forze concordarono una tregua; il comandante sovietico, Vasily Blücher, fu incolpato della cattiva prestazione delle proprie forze e in seguito arrestato e giustiziato. Ma questo era stato soltanto un primo scontro, che aveva anzi invogliato i giapponesi a tentare nuovi attacchi sul confine.
Dopo una serie di innumerevoli piccoli incidenti, nel 1939 si verificò lo scontro decisivo. Questa volta oggetto della disputa era il confine occidentale del Manchukuo con la Repubblica Popolare di Mongolia (allora un satellite dell'Unione Sovietica), che i giapponesi ritenevano essere il fiume Halka o Khalkhin; i sovietici lo consideravano invece spostato di alcuni chilometri a est, presso il villaggio di Nomonhan. Questa situazione era destinata ovviamente a provocare incidenti, tanto più che l'armata giapponese del Kwantung, responsabile del settore, godeva di una autonomia pressoché totale dal governo giapponese ed era ben disposta a reagire aggressivamente a qualsiasi provocazione.
L'incidente che diede inizio all'escalation avvenne l'11 maggio 1939, quando una pattuglia di cavalleria mongola penetrò nella zona contesa per recuperare alcuni cavalli; la cavalleria del Manchukuo la respinse, ma due giorni dopo i mongoli ritornarono in forze. Il 14 il colonnello Azuma intervenne con due reggimenti, costringendo i mongoli a ritirarsi nuovamente, ma quando il 28 Azuma tentò di scacciare nuovamente gli avversari, nel frattempo tornati, si trovò ad essere circondato e dovette ritirarsi con tremende perdite. A questo punto entrambe le parti erano decise ad uno scontro di grande portata, e cominciarono ad ammassare le proprie forze; da parte sovietica, in particolare, fece il suo ingresso in campo il Comcor (Comandante di Corpo d'armata) Zhukov, che condusse con se il I Corpo con truppe motorizzate e corazzate.
Le ostilità ripresero il 17 giugno, quando i giapponesi lanciarono una serie di attacchi aerei con l'intento di neutralizzare l'aviazione sovietica nell'area; questi attacchi ebbero notevole successo e dimostrarono la sostanziale superiorità giapponese, quanto a mezzi e addestramento dei piloti. Ma a terra la questione era alquanto differente: quando, alla fine del mese, il Tenente Generale Komatsubara sferrò un attacco avvolgente, con l'intento di circondare i sovietici, Zhukov lanciò un contrattacco con più di 400 tra carri e autoblindo; i giapponesi, poco equipaggiati nei combattimenti controcarro, si trovarono in grave difficoltà e corsero il rischio di essere circondati ad ovest del fiume Halka. I nipponici fallirono completamente il loro attacco e quando riuscirono a ritornare alle loro posizioni ad est del fiume, avevano subito serie perdite. Un nuovo attacco sferrato il 23 luglio fallì ancora una volta miseramente, nonostante un intenso supporto di artiglieria.
Falliti gli sforzi nipponici, l'iniziativa passava ai sovietici. Zhukov si preparò a sferrare un offensiva che mettesse fine una volta per tutte allo scontro, e per farlo dovette innanzitutto migliorare la sua situazione logistica: la base più vicina era infatti a più di 650 km di distanza e durante il protrarsi degli attacchi avversari il comandante sovietico raccolse migliaia di autocarri con il compito di fare la spola tra la base di operazioni e le sue forze. Oltre ai mezzi di trasporto erano anche giunte in grande quantità le forze corazzate sovietiche, in forma di cinque brigate, delle quali tre corazzate e due meccanizzate, che Zhukov schierò sui suoi fianchi con l'intento di sferrare un doppio accerchiamento; questa imponente massa corazzata, quasi 500 carri, non era stata assolutamente notata dall'intelligence nipponica, e i giapponesi non si aspettavano minimamente una simile mossa nemica.
L'attacco sovietico fu sferrato il 20 agosto; mentre le truppe sovietiche al centro, con il supporto dell'aviazione, tenevano inchiodato il grosso delle forze giapponesi, le ali attraversarono il fiume e aggirarono gli avversari, ricadendo sulle retrovie nemiche e ricongiungendosi presso Nomonhan, circondando così la 23° divisione giapponese (nella seguente foto potete vedere un carro sovietico che attraversa il fiume).

 

 

 

A nulla valsero i disperati tentativi di rompere il cordone, e il 31 agosto le truppe nipponiche nella sacca erano state completamente annientate; i sovietici occuparono il territorio conteso fino al confine da loro rivendicato, quindi le due parti negoziarono il cessate il fuoco il 15 settembre, culminato poi nella firma di un patto di non aggressione.
Questa grave sconfitta giapponese passò quasi inosservata, visti gli avvenimenti ben più sensazionali che stavano avvenendo in Europa, ma ebbe conseguenze di fondamentale importanza per il futuro corso del conflitto: decise infatti definitivamente la lotta in seno allo stato maggiore giapponese tra i sostenitori di un'espansione verso l'Unione Sovietica e quelli di un'avanzata nel Pacifico in favore di questi ultimi. Il risultato fu quindi che l'unione Sovietica, nel 1941, potè considerare sicuro il proprio fianco orientale, concentrando tutte le proprie risorse sul fronte con la Germania; e in effetti durante la cruciale battaglia di Mosca i sovietici furono salvati anche dall'intervento tempestivo delle forze dell'estremo oriente, mandate in tutta fretta a contenere la Wehrmacht; a guidare la difesa della capitale era proprio quel Georgi Zhukov che due anni prima aveva conseguito la sua vittoria al confine con la Mongolia.

Fonte: http://lapiccolaaccademia.blogspot.it

 

I possedimenti dell'impero nipponico in Cina e nel Pacifico nei tardi anni '30: è ben visibile l'enorme frontiera in comune con l'URSS.



L'incidente di Nomonhan (in giapponese: ノモンハン事件 "Nomonhan jiken") fu uno scontro sanguinoso, seppur poco noto, avvenuto tra l'Impero giapponese e l'URSS tra il maggio ed il settembre 1939. Fu combattuto presso Nomonhan (nome giapponese - in cinese: Nomenkan, 諾蒙坎(諾門坎: "nuòméngkǎn" - "nuòménkǎn"), un piccolo centro sito su un pianoro semidesertico a 900 km nord–est di Pechino, e poco a sud della città di Manzhouli, vicino il confine tra la provincia cinese della Mongolia Interna, al tempo occupata dall'esercito imperiale, e la Repubblica di Mongolia, stato formalmente indipendente, ma all'epoca retto da una dittatura comunista e di fatto satellite dell'Unione Sovietica, che vi aveva dislocato diverse unità dell'Armata Rossa. La battaglia si risolse in una completa disfatta dell'esercito nipponico, del tutto privo di mezzi corazzati all'altezza di quelli avversari. Il Giappone subì un'analoga debacle nella contemporanea battaglia di Khalkhin Gol sempre ad opera dei sovietici, che misero in campo il maggior quantitativo di mezzi corazzati fino allora utilizzati; prodromo questo delle battaglie che videro i corazzati russi arrestare prima e ricacciare poi (a Stalingrado e presso Kursk) l'invasione nazista. Al contempo venne evidenziata la drammatica deficienza di artiglierie semoventi e carri armati efficienti in seno all'esercito nipponico, la carenza di tattiche adeguate al loro impiego e la limitatezza del livello produttivo dell'industria giapponese.

Antefatti.
Tra il Giappone e la Russia zarista (futura Unione Sovietica), le relazioni furono sempre molto tese per le mire che entrambe le nazioni avevano in Corea e Cina nordorientale, tanto che l'impero nipponico attaccò nel 1904 senza dichiarazione di guerra lo stato moscovita, infliggendogli inaspettate sconfitte sia a terra (battaglia di Mukden, Assedio di Port Arthur) sia in mare (battaglia di Tsushima). Durante la Rivoluzione d'ottobre e anche negli anni della guerra civile tra bolscevichi e menscevichi appoggiati dall'Intesa, il Giappone approfittò della convulsa situazione arrivando a occupare militarmente la regione compresa tra il Lago Bajkal e l'Oceano Pacifico. Il Giappone appoggiò comunque i secessionisti della Repubblica dell'Estremo Oriente (Dal'ne Vostokčnaia Respublika) reazionari e fedeli allo Csar fino a che non cadde nelle mani dell'Armata Rossa il 25 ottobre 1922 e divenne parte integrante della Federazione Russa il 15 novembre. Tentò inoltre di annettere ai possedimenti coreani l'area dell'Amur Krai e sostenne il Governo provvisorio di Priamur, l'ultima zona franca delle forze bianche nel Distretto di Ayano-Maysky sul litorale del Pacifico, dove il generale Anatoly Pepelyayev resistette le sue truppe fino alla capitolazione del 17 giugno 1923: simili interventi impedirono l'instaurazione di rapporti diplomatici tra i due paesi. Alla Conferenza navale di Washington del 1922 il Giappone, ormai una delle principali potenze assieme a Gran Bretagna, Italia, Francia e Stati Uniti, acconsentì a ridurre il tonnellaggio complessivo della propria marina militare, a ritirarsi dalla Cina e dalla Siberia, ottenendo così clausole commerciali favorevoli da parte degli Stati Uniti. La vera svolta nella politica estera giapponese negli anni interbellici si era avuta con il cosiddetto "Memorandum Tanaka", redatto dal generale che era stato primo ministro dal 1927 al 1929. Ma la crisi economica iniziata nel 1929 spazzò via i governi liberali nipponici e diede forza agli estremisti militaristi ultranazionalisti. In seguito agli incidenti del 15 maggio 1932, culminati con l'omicidio del Primo Ministro Inukai Tsuyoshi, costoro raggiunsero la maggioranza dei seggi in Parlamento: poterono quindi vietare il diritto di sciopero e mettere fuori legge il Partito Comunista Giapponese assieme ai sindacati. Nel febbraio 1936 venne addirittura sospesa la costituzione ed instaurata una dittatura o reggenza militare; tutta la vita civile dei giapponesi, fin dall'infanzia, venne letteralmente militarizzata.

I contrasti tra Giappone ed Unione Sovietica in Cina.
Le premesse per l'inevitabilità di un confronto armato tra i due contendenti erano evidenti vista l'evoluzione politica del Giappone, che aveva messo in atto una vasta politica imperialista ai danni della Cina postbellica, frammentata e scossa dalla seconda metà degli anni '20 dalla guerra civile tra i nazionalisti di Chiang Kai-Shek e i comunisti guidati, tra gli altri, da Mao Tse-Tung. L'esercito nipponico aveva intrapreso entusiasticamente tale modo di operare, provocando ad arte una serie di "incidenti" di confine, così da avere il pretesto per violare la sovranità degli Stati vicini: il più famoso avvenne a a Mukden nel settembre 1931 e comportò l'occupazione della Manciuria; l'avvenimento destò preoccupazione in Unione sovietica, che iniziò ad armare e sostenere economicamente i comunisti cinesi, attivi nella guerriglia contro l'invasore nipponico grazie anche all'ubicazione di alcune loro aree (Mongolia Interna, la stessa Manciuria, diverse regioni della Cina centrale) ma poco sostenuti dalle altre forze del continente. Intanto una serie di attentati contro le personalità giapponesi giudicate troppo liberali eliminò dall'apparato politico e burocratico la corrente nipponica propensa a un atteggiamento meno aggressivo, facendo pesare tutta l'influenza dei militari sul governo di Tokyo per costringerlo a impegnarsi a fondo in Cina. Il brusco voltafaccia autoritario del Giappone lo poneva in rotta di collisione anche con gli Stati Uniti (detentori di importanti interessi economici in Cina), la Francia, la Gran Bretagna (confinando indirettamente con le loro colonie in Estremo Oriente) e l'Unione sovietica, con la quale esisteva una lunga frontiera in corrispondenza della Manciuria.

Le tensioni in ambito politico.
In contemporanea all'avventura bellicista giapponese sul suolo cinese, i vertici sovietici erano preoccupati dal mutare dello scenario politico nipponico e internazionale.
* Nel 1932 il partito comunista in Giappone era stato messo al bando, allarmando Mosca circa un'involuzione in senso autoritario e filofascista della politica interna nipponica.
* L'anno successivo i rapporti con gli Stati Uniti erano rimasti ad uno stato di sviluppo embrionale perché l'Unione Sovietica non vedeva di buon occhio le relazioni tra questi e l'impero nipponico, proprio quando il Giappone (prima nazione a farlo) era uscito dalla Società delle Nazioni in seguito alla pubblicazione del Rapporto Lytton che denunciava l'illegalità dell'azione nipponica in Manciuria, sia pure in ritardo. La diffidenza verso gli statunitensi si accentuò tra il 1935 e il 1936 a causa della denuncia giapponese delle decisioni prese alla conferenza di Washington sia in ambito navale (limiti al tonnellagio della marina imperiale) sia nei confronti della Cina (principio della "porta aperta"). Ciò significava che il Giappone si accingeva a varare una grande flotta da guerra, destando non poche preoccupazioni negli ambienti politico-militari di Washington e Londra, e che era pronto a regolare la partita con la Cina una volta per tutte, andando a ledere gli interessi di quelle potenze che volevano salvaguardare la libertà di commercio e il mantenimento dell'equilibrio geopolitico in Asia, Unione Sovietica in primis.
* Nel febbraio 1936 si verificarono un colpo di Stato e un nuovo putsch militare, al quale sfuggì miracolosamente il primo ministro Keisuke Okada (1934-1936), mentre il precedente primo ministro Shishaku Saitō Makoto (1932-1934) fu ucciso.
* Il governo del primo ministro Fumimaro Konoe rimasto in carica dal giugno 1937 al 1939 non fu capace di frenare l'alto comando delle forze armate, sempre più dominato da elementi estremisti, pur non condividendo pienamente gli ambiziosi e arrischiati piani della casta militare. La deriva autoritaria, la sterzata apertamente militarista del Giappone, la sua intromissione negli affari interni della Mongolia (il secondo paese comunista di allora e da un ventennio giacente nell'orbita sovietica) acuirono le ostilità con Stalin.
* Nel novembre del 1936, il governo di Tokyo aveva aderito al patto Anticomintern con la Germania e l'Italia, schierandosi apertamente in senso antisovietico; nel settembre 1940 il Giappone giungerà a stipulare con le potenze dell'Asse Roma-Berlino il cosiddetto Patto Tripartito. L'adesione dell'impero nipponico a un'alleanza militare con esplicita funzione anticomunista ed antisovietica, non poteva non preludere, presto o tardi, a un'entrata nel conflitto a fianco di Hitler e Mussolini.
* Nello stesso periodo era stata inoltrata la richiesta di basi militari in Indocina che fu forzosamente accettata dal governo collaborazionista francese di Vichy, formatosi dopo la sconfitta patita dalla Francia ad opera del Terzo Reich.
* In questa prospettiva il ministro degli esteri Yōsuke Matsuoka s'illuse di potere assicurare la neutralità dell'URSS firmando, il 13 aprile 1941, un trattato con il ministro sovietico Vjačeslav Michajlovič Molotov ("patto nippo-sovietico di non aggressione"). L'accordo con l'URSS era anche frutto della disillusione patita dal Giappone nei confronti dell'analogo accordo stipulato dalla Germania, il patto Molotov-Ribbentrop, ma anche a Stalin poteva tornar comodo trattare con i giapponesi: la sua intuizione si rivelerà azzeccata nel dicembre 1941, quando le armate siberiane verranno inviate sul fronte europeo proprio contro i nazisti alle porte di Mosca.

 

Soldati giapponesi nella zona del fiume Khalkhin Gol; da notare l'equipaggiamento anti-gas e la DP 28 catturata (in basso a sinistra).



Prime schermaglie.
Nomonhan è un piccolo villaggio appena ad occidente del fiume Holsten che nasce dal lago Abutara e scorre in direzione nord-ovest vicino la Manciuria per poi attraversare il confine mongolo dopo pochi chilometri appena. Il fiume percorre poi solo un piccolo tratto in territorio cinese in direzione nordovest-sudest in quanto ritorna in territorio mongolo, dove confluisce quale immissario nel fiume Halha, noto anche come Khalkhin Gol. Lo sconfinamento delle truppe nipponiche di stanza in Manciuria all'interno della parte orientale della Mongolia fu del tutto intenzionale, anche a seguito degli scontri non conclusivi che nel 1938 avevano visto i giapponesi guerreggiare coi sovietici nella battaglia del Lago Chasan, nella battaglia del Fiume Tumen–Ula e nella Battaglia delle colline del Changkufeng: i combattimenti si erano svolti al confine tra la colonia giapponese della Corea del Nord e la "Provincia marittima dei fiumi Amur ed Ussuri" in territorio sovietico, circa 110 km a sud dell'importante porto militare di Vladivostok. La battaglia propriamente detta fu combattuta in due fasi:
* la prima fase, detta "battaglia di Nomonhan" si svolse ai confini tra la Mongolia e la Mongolia Interna cinese tra l'11 maggio ed il 25 luglio 1939, e vide i giapponesi lanciare una serie di sterili attacchi alle posizioni sovietiche, prontamente respinti;
* la seconda fase, o "battaglia del fiume Khalkhin Gol" si svolse in territorio della Mongolia, lungo le rive dell'omonimo fiume, dal 24 agosto al 16 settembre 1939: dopo un'iniziale avanzata nipponica in territorio mongolo, i sovietici contrattaccarono con artiglieria e mezzi corazzati in quantità facendo a pezzi le linee avversarie. In quest'occasione, le retrovie nipponiche vennero letteralmente martellate dai razzi lanciati dalle Katjuša, che erano al loro battesimo del fuoco.

 

Membri della cavalleria mongola con armi sovietiche.



Le fasi dello scontro.
Al fine di poter impegnare in battaglia i mongoli e l'URSS, i giapponesi presero a pretesto l'indeterminazione dei confini tra la Manciuria cinese e la Mongolia. Secondo i cartografi nipponici, la frontiera internazionale coincideva con il corso del fiume Khalkhin Gol, mentre, per i sovietici, essa correva diversi chilometri più ad est, tra il corso d'acqua ed il villaggio di Nomonhan. Già nei mesi di gennaio e febbraio 1939 l'esercito aveva condotto fugaci incursioni atte a sondare l'entità delle truppe russo-mongole, oltre a verificare la fattibilità di un contrattacco. Si ebbero diversi morti, feriti e prigionieri tra le file sovietiche, tanto che Stalin in persona, a marzo, parlando all'Ottavo Congresso del PCUS aveva affermato che ogni altra successiva penetrazione sarebbe stata energicamente respinta. Ai primi di maggio iniziarono le scaramucce tra le truppe confinarie dei due contendenti.

Fase della battaglia di Nomonhan.
L'11 maggio reparti nippo-mancesi, per un totale di 300 uomini circa, attraversarono il confine reclamato dall'URSS con l'appoggio di una cinquantina di aerei e assaltarono i presidi di frontiera sovietici di stanza a Nomonhan-Burda Obo, circa 13-15 chilometri a est del Khalkhin Gol; un distaccamento di cavalleria mongolo-sovietico accorso in aiuto fu respinto oltre il corso del fiume. Data la momentanea superiorità numerica, l'attacco giapponese ebbe buon esito. Il Ministro degli Esteri sovietico Molotov informò l'ambasciatore giapponese a Mosca che "...la pazienza era giunta al limite", ammonimento ripetuto il 31 maggio sempre da Molotov davanti al Soviet Supremo. Nel contempo da Tamsyk Bulak erano affluite riserve equipaggiate di artiglieria leggera e pesante, autoblinde, carri armati leggeri e medi; inoltre venne dispiegata una formazione di circa 100 velivoli. Dopo una settimana di accaniti combattimenti quotidiani, la superiorità tattica dei sovietici iniziò a farsi sentire e i giapponesi furono costretti ad indietreggiare.

 

Carri armati BT mimetizzati sul fronte mongolo.



Forze e disposizioni dei due schieramenti.
L'area coinvolta nelle operazioni era costituita approssimativamente da un quadrilatero: a est era limitato dalla frontiera mongolo-mancese (caratterizzata da profonde gole, declivi di 15-30° o addirittura di 45°). Ad ovest era delimitato dal fiume Khalkhin Gol, largo 130 metri, profondo 3.50 metri e con una corrente di 8 metri al secondo; le sue rive erano caratterizzate da pantani che si stendevano a perdita d'occhio. L'Armata Rossa si era concentrata tra i fiumi Khalkhin Gol e Chailastyn Gol, quasi perpendicolari tra loro. Le truppe mongolo-sovietiche erano disposte sull'argine orientale del Khalkhin-Gol e su entrambe le rive dell'altro fiume, distribuite su una lunghezza di circa 20 chilometri. Erano comandante dal generale Yakov Smushkevich e contavano 700 soldati di fanteria, 260 di cavalleria, 58 mitragliatrici, 14 cannoni da 76 mm, 6 cannoni anticarro e 39 autoblinde. Il 22 maggio anche l'esercito del Kwantung, preso in contropiede, inviò altre truppe nel settore, pari a due divisioni di fanteria motorizzata e a due reggimenti di cavalleria. In totale i comandanti nipponici Michitarō Komatsubara e Yasuoka Masaomi potevano allineare 2.576 soldati supportati da 75 mitragliatrici, 8 cannoni da campagna, 10 pezzi anticarro, un carro armato e 68 autoblinde.

 

Resti di un velivolo giapponese abbattuto durante la battaglia.



Combattimenti iniziali.
A partire dal 22 maggio la battaglia si trascinò in una logorante guerra di posizione, fino a che i giapponesi lanciarono un'offensiva nelle prime ore del 28 maggio, introdotta dal bombardamento delle linee avversarie operato da 40 apparecchi. I sovietici, dal canto loro, si trovavano in una situazione difficile a causa della morfologia del territorio, ricco di paludi, acquitrini e sabbie mobili, che impediva di utilizzare in massa i carri armati dei quali possedevano un gran numero. All'alba l'assalto della fanteria motorizzata fu contenuto dal fuoco dei cannoni da 76 mm, rapidamente ridislocati sull'argine orientale del fiume; al centro, invece, i giapponesi riuscirono a respingere i sovietici grazie anche al costante appoggio dell'aviazione. A pomeriggio inoltrato, un contrattacco lanciato dai russi ottenne scarsi risultati poiché la cooperazione delle autoblinde con le artiglierie disponibili era stata assai difettosa. La battaglia raggiunse il culmine tra il 28 e il 29 maggio, quando le truppe mongolo-sovietiche, precedute da un intenso fuoco d'artiglieria pesante, si gettarono di nuovo all'offensiva, riuscendo a respingere i giapponesi di circa 800 metri nel settore nord-orientale. Il saliente che venne a crearsi era però sviluppato su un fronte troppo allungato, poco profondo, e soprattutto scarsamente coperto ai fianchi, ma i soldati dell'Armata Rossa ressero in quanto i contrattacchi giapponesi avvenivano sul medesimo territorio paludoso che bloccava i corazzati sovietici. Durante il mese di giugno, entrambi i contenedenti guerreggiarono a distanza mediante incursioni aeree continuando ad ammassare uomini e mezzi. All'inizio di luglio i giapponesi schieravano altre due divisioni di fanteria motorizzata ed diversi reparti di cavalleria per un totale di 24.700 soldati, 170 cannoni, 130 carri armati leggeri e circa 250 aerei. I comandanti Komatsubara e Masaomi pianificarono di accerchiare e distruggere le truppe avversarie sull'argine orientale del Khalkhin Gol, mettendo definitivamente fuori uso la temibile artiglieria pesante sovietica. L'ala destra del maggior generale Kobayashi fu dunque dotata di tutti i carri armati e le autoblindo presenti, oltre a reparti di fanteria motorizzata: lo spiegamento di forze doveva scendere da nord-est e attraversare il Khalkhin Gol, impadronirsi dell'altura chiamata Bain-Tsagan sulla riva ovest e mutare la direttrice d'avanzata volgendo a sud, in modo da tagliare la ritirata alle truppe mongolo-sovietiche. Oltre al vantaggio di avere linee di comunicazione più corte, i giapponesi potevano anche valersi di ferrovie efficienti e di due buone strade che andavano da Hailar alluogo dello scontro, mentre per i sovietici la logistica era molto problematica; il rifornimento era poi complicato dalle deficienze del sistema ferroviario: la più vicina stazione si trovava a Borziya, a circa 600 chilometri dalla zona di operazioni. Nonostante ciò, lo schieramento sovietico ammontava a 11.000 uomini, con 186 carri armati pesanti e 266 autoblinde. Venne accorciato anche il fronte, lungo 20 km: Smushkevich optò per mantenere solo una testa di ponte ben difesa sulla riva orientale del Khalkhin Gol, contro la quale si sarebbe inevitabilmente riversato l'assalto.

 

Truppe del Sol Levante attraversano il Khalkhin Gol su piccole imbarcazioni.



L'offensiva nipponica.
Durante il mese di tregua, gli alti comandi sovietici furono capaci di individuare le manchevolezze del proprio dispositivo bellico a Nomonhan. Benché infatti fossero riusciti a difendere il fronte con una vittoria tattica in inferiorità numerica, molti indizi avevano rivelato la scarsa competenza del comando e una certa mancanza di coordinazione tra artiglierie, fanteria e corazzati. Si procedette dunque a un rapido cambio di comando, nominando capo dell'armata impegnata il generale Georgij Žukov, che aveva già fermato i giapponesi negli scontri del 1938; al contempo furono inviati sostanziosi rinforzi in modo da soverchiare le forze avversarie con rapporto di 2:1. Il nuovo comandante fece affluire ininterrottamente nuovi reparti e mezzi, in previsione delle piogge autunnali che trasformano le piste del luogo in impraticabili pantani di fango, poi dispiegò le sue numerose truppe accerchiando e annientando l'armata giapponese.

Fonte: http://it.wikipedia.org

 

L'offensiva delle forze corrazzate sovietiche.



Battaglia di Khalkhin Gol.
La Battaglia di Khalkhin Gol fu il punto di svolta del conflitto russo-giapponese in estremo oriente nel 1939. Nel 1938 il grande generale russo Georgij Konstantinovič Žukov fu spedito in Estremo Oriente, al comando del Primo Gruppo d'Armate Sovietiche in Mongolia per organizzare e comandare la guerra di frontiera contro i giapponesi (esplosa il 10 maggio 1939, con la violazione del confine giapponese da parte di truppe mongole), impegnati nella zona con l'Armata Kwantung. Dopo un periodo di scontri di frontiera combattuti senza che venisse dichiarata la guerra, le scaramucce si estesero in un conflitto vero e proprio, che si protrasse per 129 giorni, con l'impiego da parte dei giapponesi di circa 80.000 uomini, 180 carri armati e 450 aerei. Žukov, dopo aver ottenuto rinforzi il 15 agosto 1939 passò all'offensiva con 57.000 uomini, 550 carri armati e 450 autoblindo, ordinando quello che a prima vista sembrò un convenzionale attacco frontale. Invece di lanciare tutte le sue forze all'assalto tenne di riserva due brigate di carri armati, che successivamente riuscirono ad accerchiare le forze nemiche (inizialmente forti di 38.000 uomini, poi cresciuti fino a 75.000) avanzando ai lati dello scontro principale. L'intera Sesta Armata giapponese (che poteva contare su 34 carri medi Tipo 89 da 10 tonnellate, 4 Tipo 97 Chi-Ha con cannone da 47 mm, 35 carri leggeri Tipo 95 Ha-Go da 7,7 tonnellate e con cannone da 37 mm, 10 tankette Tipo 94, 4 tankette Tipo 97 Te-Ke con cannone da 37 mm ed altri 50 blindati), circondata e senza più rifornimenti, catturati anch'essi dalle forze corazzate sovietiche, si vide costretta ad arrendersi dopo pochi giorni. I sovietici lamentarono 7.974 morti e 15.251 feriti. Più incerte le perdite giapponesi. Secondo le fonti nipponiche i caduti furono 8.440 e i feriti 8.766, mentre stime sovietiche parlano di 60.000 tra morti e feriti e 3.000 prigionieri. Per questa operazione Žukov ottenne il titolo di Eroe dell'Unione Sovietica. Questa battaglia rimase poco conosciuta al di fuori dell'Unione Sovietica, visto che il 1 settembre seguente era iniziata in Europa la Seconda guerra mondiale. Anche l'uso innovativo dei carri armati non venne studiato in Occidente, lasciando il campo libero alla Blitzkrieg tedesca, utilizzata con il massimo dell'effetto sorpresa contro Polonia e Francia. Tra i principali scontri fra corazzati del conflitto va ricordata l'azione del 2 luglio 1939, quando i giapponesi attaccarono la 9ª Brigata motocorazzata sovietica, perdendo 42 dei loro 73 carri, falcidiati soprattutto dai cannoni anti-carro sovietici da 45 mm. Anche i sovietici persero comunque diversi mezzi, in particolare 32 carri BT e 35 autoblindo.

Fonte: http://it.wikipedia.org

 

 

 L’Unione sovietica era in ginocchio nelle prime fasi dell’invasione tedesca, eppure i nipponici, grandi alleati di Berlino, non se la sentirono di sferrare il colpo. Secondo gli storici, pesò la bruciante sconfitta subita dall’Armata Rossa nel 1939 a Khalkhyn Gol, nelle steppe mongole. “Ogni giorno era lo stesso: i giapponesi iniziavano ad attaccare all’alba e si fermavano solo quando faceva buio”, ha ricordato Ivan Karpenko, che comandava una squadra di mitraglieri durante le battaglie di Khalkhyn Gol (11 maggio-16 settembre 1939) tra Urss e Giappone. “Non ricordo di aver catturato prigionieri. Non ne facevamo. Ma ogni giorno, per un’ora, lasciavamo che i giapponesi raccogliessero i loro morti, e così facevano”. Le battaglie di Khalkhyn Gol furono strane. Da un lato, per cinque mesi, nel 1939, ci furono in Estremo Oriente feroci combattimenti, anche con l’impiego di carri armati e dell’aeronautica militare, che provocarono migliaia di vittime. Dall’altro, nessuno dei due Paesi aveva ufficialmente dichiarato guerra, né combatteva sul proprio territorio (le battaglie si tennero in una zona oggi al confine tra Mongolia e Cina). Tuttavia, questo strano conflitto fu fatale e determinò in larga misura il corso della Seconda guerra mondiale, perché convinse il Giappone a non attaccare l’Urss da est nel 1941, quando sul suo confine occidentale il Paese fu invaso dalla Wehrmacht. Inoltre, fu a Khalkhyn Gol che Georgij Zhukov, l’uomo che poi avrebbe guidato l’Armata Rossa fino a sconfiggere i tedeschi, fece apprezzare per la prima volta le sue doti brillante leader militare.

L’espansionismo giapponese.
Nel 1939, i giapponesi avevano ormai espanso il loro Impero e la loro sfera di influenza ben oltre le isole di origine. Avevano annesso la Corea nel 1910 e creato lo Stato fantoccio di Manciukuò nella Cina settentrionale (Manciuria) nel 1932. Ciò significava che il Giappone doveva barcamenarsi con attenzione sull’orlo di uno scontro diretto con l’Unione Sovietica e il suo alleato, la Mongolia comunista. Inoltre, nel 1936, il Giappone si era schierato dalla parte della Germania nazista, firmando il Patto anti-Comintern, diretto contro l’Urss. Ciò significava che le relazioni sovietico-giapponesi andavano di male in peggio. Nel 1938, le due parti si scontrarono in battaglia in campo aperto per la prima volta, vicino al Lago Khasan, al confine tra Unione Sovietica e Manciuria. L’Urss ebbe la meglio. Un anno dopo, l’Armata del Kwantung fece un altro tentativo, questa volta attaccando la Mongolia.

Incomprensione o provocazione?
Khalkhyn Gol è un fiume in Mongolia che, secondo i giapponesi, avrebbe dovuto essere il confine tra Mongolia e Manciukuò, mentre la Mongolia (e il suo potente alleato, l’Urss) insisteva sul fatto che il confine fosse diversi chilometri più a est. “Nel 1938, i giapponesi avevano inviato un ufficiale nell’area della contesa che aveva riferito… Che il confine si trovava a Khalkhyn Gol”, ha detto lo storico giapponese Koto Kasakhara a Lenta.ru , aggiungendo che l’intero incidente potrebbe essere stato un grande fraintendimento. Nel frattempo, gli storici sovietici e russi sono sicuri che il conflitto non avesse nulla a che fare con la cartografia, e che il “malinteso” fosse solo un pretesto per una maggiore espansione giapponese. “Tokyo era irritata con l’Urss per i suoi aiuti alla Cina [che combatteva contro il Giappone]. Pertanto, decise di lanciare una provocazione contro l’Urss per mostrare i denti e far sì che i sovietici la smettessero di aiutare la Cina”, si legge nel libro “La Storia delle relazioni internazionali” (a cura di Anatolij Torkunov, rettore dell’Istituto statale di Relazioni internazionali di Mosca).

Una battaglia in mezzo al nulla.
I soldati giapponesi, agendo insieme all’esercito della Manciuria, avanzarono nel territorio mongolo nel maggio del 1939, senza praticamente trovare resistenza. I mongoli e, cosa ancora più importante, i sovietici, avevano bisogno di tempo per concentrare le loro forze e contrattaccare. Il luogo in cui le due potenze si sarebbero scontrate era lontano dalle basi militari sovietiche, quindi inizialmente ci furono problemi di logistica e di trasporto. Inizialmente, le battaglie non furono un grande successo per il 57° Corpo d’armata dell’Urss schierato in Mongolia. Quando scoppiò il conflitto (maggio-giugno), l’aeronautica giapponese dominava il cielo e le forze sovietiche erano mal organizzate per respingere questi attacchi. “Khalkhyn Gol evidenziò molte debolezze dell’Armata Rossa. I soldati non erano preparati alla battaglia: mancavano d’esperienza nel combattimento ravvicinato e, di conseguenza, fu facile mandarli in confusione”, afferma lo storico Valerij Vartanov. I sovietici avevano poi difficoltà a coordinare i loro movimenti, anche perché molte decisioni venivano prese a Mosca, che era a 6.000 km di distanza.

L’intervento risolutivo di Zhukov.
Per cambiare le carte in tavola, Stalin incaricò gli uomini giusti: il generale Grigorij Stern, che fornì tutte le infrastrutture necessarie per far arrivare rifornimenti e rinforzi in prima linea (richiedendo 4.000 veicoli che dovevano percorrere 800 chilometri fino alle basi sovietiche più vicine); il comandante delle forze aeree sovietiche Jakov Smushkevich, che, insieme a piloti esperti, insegnò rapidamente ai nuovi piloti del 57° Corpo d’armata come combattere i giapponesi in aria; e il generale Georgij Zhukov, che assunse il comando generale delle operazioni. Anche dopo essere diventato un eroe nazionale per aver sconfitto i nazisti nella Seconda guerra mondiale, Zhukov in seguito ricordò sempre l’importanza di Khalkhyn Gol: “Adoro ancora quell’operazione”. Il suo approccio era rischioso e controverso. Ad esempio, quando i giapponesi attraversarono il fiume il 2 luglio e i sovietici rischiavano di essere circondati, Zhukov ordinò un attacco rapido dell’undicesima brigata di carri armati, senza alcuna ritirata. Il 70% dei carri armati sovietici vennero distrutti, ma adempirono al loro compito, respingendo il nemico dall’altra parte del fiume. Ad agosto, i sovietici passarono alla controffensiva. A quel momento, c’erano 57.000 soldati sovietici e 75.000 giapponesi coinvolti nella battaglia, secondo lo storico di guerra Aleksandr Shishov. Le battaglie furono aspre e spietate: i giapponesi combatterono coraggiosamente e non si arresero quasi mai, preferendo suicidarsi. Ma la tattica di Zhukov, così come la supremazia sia nei carri armati che negli aerei, aiutarono i sovietici a prevalere. Il 4 settembre, la sesta armata giapponese fu completamente sconfitta e costretta a ritornare entro i confini originali.

Le conseguenze delle battaglie.
Il 15 settembre 1939, l’Urss e il Giappone firmarono un accordo di armistizio. La successiva volta in cui i due Paesi sarebbero tornati a combattersi arrivò solo nel 1945, dopo la sconfitta della Germania (la dichiarazione di guerra venne fatta il 9 agosto, nel giorno della bomba atomica di Nagasaki). È interessante notare che il Giappone non ha mai provato ad attaccare l’Urss, neanche nei periodi più duri per Mosca della Seconda guerra mondiale. “Gli eventi di Khalkhyn Gol crearono una spada da samurai ben affilata, appesa come quella di Damocle sopra le nostre teste, ma che non cadde mai”, dice Valerij Vartanov. Anche perché quella sconfitta aveva allarmato il governo giapponese, facendolo propendere per obiettivi più facili da conquistare: in Indocina e nell’Oceano Pacifico. Lì, affrontarono poi un’altra superpotenza, gli Stati Uniti, e ne uscirono con le ossa rotte. Ma questa è tutta un’altra storia.

Fonte: https://it.rbth.com

 

 

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