La campagna delle Isole Aleutine vide scontrarsi le forze statunitensi contro l'Impero giapponese, nelle uniche azioni di guerra anche terrestri che coinvolsero un'area insulare degli Stati Uniti. Le Isole Aleutine, un arcipelago proteso nel mare che collega grosso modo l'Alaska con la Kamčatka, durante la seconda guerra mondiale rappresentarono delle posizioni di importanza strategica contese da entrambi gli schieramenti nell'ambito della lotta nell'Oceano Pacifico.

Le ostilità in questo settore si accesero quando il 3 giugno 1942 una piccola forza giapponese occupò le isole di Attu e Kiska, ma la lontananza geografica delle isole e le difficoltà dovute al clima e all'orografia fecero in modo che solo un anno dopo le forze statunitensi, con grande sforzo, riuscirono a riconquistare le isole e cacciare gli invasori. Già nel 1935 il generale Billy Mitchell indicò l'Alaska e le Isole Aleutine come importanti posizioni strategiche per il dominio che potevano garantire sull'Oceano Pacifico, e appunto questa importanza tra il 1942 e il 1943 rese queste isole un insolito teatro di scontro tra americani e giapponesi. A causa della contemporaneità della campagna delle Aleutine con battaglie molto importanti, quali Guadalcanal e Midway, questo conflitto "periferico" passò alla storia come la "battaglia dimenticata", considerata per molto tempo, erroneamente, un'azione diversiva giapponese.

L'attacco giapponese.
Il 3 giugno 1942, bombardieri giapponesi attaccarono Dutch Harbor nell'Isola di Unalaska con l'impiego dei Nakajima B5N partiti dalle portaerei leggere Jun'yō e Ryūjō. Solo la metà degli aerei, a causa del maltempo e della fitta nebbia, colpirono le abitazioni sull'isola, causando però lievi danni. Successivamente i giapponesi invasero le isole di Kiska (6 giugno 1942), e Attu (7 giugno), incontrando pochissima resistenza dalla popolazione aleutina, che in gran parte era già stata evacuata nei campi nel sud-est dell'Alaska.

La risposta statunitense.
Appena gli Stati Uniti videro in pericolo il proprio suolo, nell'agosto dello stesso anno, venne realizzata una base aerea sull'isola di Adak, all'estremo ovest della cintura di isole, da dove partire per le azioni di bombardamento delle posizioni giapponesi di Kiska.

Battaglia delle Isole del Commodoro.
Le isole del Commodoro sono delle isole sotto il dominio sovietico, facenti parte della cintura all'estremo est delle Aleutine. Vicino a queste zone, passavano i convogli di rifornimenti nipponici destinati ad Attu e Kiska. Proprio per interdire questo passaggio di rinforzi, una forza navale statunitense, il 27 marzo, comandata dall'ammiraglio Charles "Soc" McMorris ingaggiò una battaglia con delle navi giapponesi dirette ad Attu. Da allora i rifornimenti giapponesi avvennero solo tramite sommergibili.

Stasi invernale.
Dopo le prime incursioni aeree statunitensi, che non ebbero alcun effetto, il fronte si imbatté in una fase di stasi nelle operazioni, dovuta alle condizioni atmosferiche riscontrabili a latitudini così elevate. In questo periodo furono poche le azioni di entrambi gli schieramenti:
il 16 ottobre venne affondato un cacciatorpediniere giapponese.
il 29 ottobre i giapponesi rioccuparono Attu, temporaneamente sgombrata nel settembre per rinforzare Kiska.
il 12 gennaio un piccolo contingente americano al comando del generale Lloyd E.Jones occupò senza incontrare resistenza l'isola di Kamchitka, perdendo però un cacciatorpediniere finito contro gli scogli.
Di tutta risposta il 16 febbraio i giapponesi attaccarono l'isola di Kamchitka, dove gli americani costruirono in breve tempo una pista di decollo per i caccia.
Il 18 febbraio due incrociatori e 4 cacciatorpediniere americani, al comando del contrammiraglio Mc Morris, bombardarono le installazioni nipponiche sull'isola di Attu.

Ripresa delle ostilità.
Nell'aprile 1943 i comandi americani nel pacifico, pianificarono una serie di attacchi per la conquista delle isole di Attu e Kiska, occupate dai nipponici, impiegando massicciamente forze navali e terrestri.

Isola di Attu.
Il 4 maggio con un giorno di ritardo sul previsto per il maltempo, salpò da Cold Harbor il convoglio statunitense destinato all'invasione dell'isola di Attu. A causa di forti venti contrari, durante la navigazione il giorno dello sbarco fu spostato di altri 3 giorni, cioè all'11 maggio. L'11 maggio 1943, dopo una stasi invernale quasi assoluta dovuta al maltempo, gli americani iniziarono il primo passo dell'offensiva, ossia la riconquista dell'isola di Attu. Mentre il giorno precedente la guarnigione nipponica dell'isola, posta in allarme una settimana prima contro il pericolo di un'invasione statunitense in seguito a segnalazioni del servizio informazioni nipponico, abbandona lo stato d'allarme nella convinzione che gli statunitensi avrebbero rinunciato all'operazione, date anche le proibitive condizioni del mare. La forza d'invasione era composta dalla 7ª divisione di fanteria statunitense, dalla forza navale Task Force 16 e da un gruppo di reclute dell'Alaska, note come Castner's Cutthroats (tagliagola di Castner) guidate appunto dal colonnello Lawrence V. Castner. I preparativi furono molto difficili: il clima burrascoso e le temperature polari fecero sì che molti soldati soffrissero di problemi dovuti al freddo intenso, inoltre le forniture arrivavano in modo irregolare e le evacuazioni e gli sbarchi degli uomini erano intermittenti. I difensori giapponesi comandati dal colonnello Yasuyo Yamasaki offrirono poi una resistenza accanita non sulle spiagge, bensì nell'entroterra dell'isola, su un terreno montano, con difese naturali e da posizioni elevate, provocando numerose perdite agli invasori: 579 morti, 1.148 feriti, 1.200 colpiti da lesioni dovute al freddo, 614 ammalati, oltre a 318 morti per varie cause, tra le quali trappole esplosive e fuoco amico. Il 29 maggio avvenne l'ultimo, suicida, contrattacco giapponese, vicino a Massacre Bay (Baia del Massacro) in uno dei maggiori attacchi Banzai della campagna del Pacifico. L'attacco, guidato dal colonnello Yamasaki, penetrò nelle linee americane ma dopo un furioso e brutale combattimento a distanza ravvicinata, spesso corpo a corpo, la forza giapponese fu praticamente annientata: solo 28 prigionieri giapponesi si salvarono, tra di loro nessun ufficiale. I giorni immediatamente successivi, gli statunitensi contarono 2.351 morti giapponesi, senza contare i possibili morti dispersi dovuti ai bombardamenti americani.

Isola di Kiska.
Il 15 agosto 1943, una forza d'invasione composta da 34.426 uomini, sbarcò ad intervalli, sull'isola di Kiska, di cui faceva parte la brigata di Castner, la 13ª Brigata di fanteria canadese della 6ª divisione di fanteria, oltre che la 7a USA. Nelle forze canadesi era inclusa anche la First Special Service Force, conosciuta anche come la "brigata del Diavolo". L'imponente forza da sbarco scoprì però l'isola abbandonata: sotto la copertura della nebbia, i giapponesi avevano evacuato con successo le loro truppe il 28 luglio, senza che gli Alleati se ne accorgessero. Nonostante tutto però gli invasori persero 313 uomini, a causa del fuoco amico, delle trappole giapponesi, di malattie e congelamento.

Esito.
Anche se i piani erano stati elaborati per attaccare da nord il Giappone, questi non furono comunque attuati, ci furono però dalle Aleutine, oltre 1.500 sortite contro le Isole Kurili prima della fine della guerra, anche contro la base giapponese di Paramushir, che causò l'evacuazione di 500 aerei e 41.000 uomini dalla base. Per la prima volta, nelle Aleutine, ci fu la partecipazione di coscritti canadesi e il primo dispiegamento della forza speciale First Special Service Force, anche se non prese parte a combattimenti. Durante la campagna due cimiteri furono creati ad Attu per seppellire i morti in azione: il Little Fall Cemetery situato ai piedi di Gilbert Ridge, e l'Holtz Bay Cemetery situato nella Baia di Holtz, con le salme dei caduti delle forze sbarcate a nord. Dopo la guerra però, la tundra ghiacciata cominciò a rovinare i cimiteri così, nel 1946, le salme furono spostate a Fort Richardson vicino Anchorage, in Alaska, come indicato dalle famiglie dei caduti.

La campagna nei media.
Nel 2006 venne realizzato un documentario dal titolo "Red White Black & Blue" che parla della battaglia di Attu, con la partecipazione di due veterani della battaglia, Bill Jones e Andy Petrus. Diretto da Tom Putnam, il documentario ha debuttato al Festival di Locarno il 4 agosto 2006. Il sergente Dashiell Hammett trascorse la maggior parte della seconda guerra mondiale nelle Isole Aleutine, dove curò il giornale dell'esercito, colpito da enfisema che lo fece dimettere dall'esercito, è coautore del libro "La battaglia delle Isole Aleutine" con il caporale Robert Colodny.

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Truppe americane esaminano uno Zero giapponese abbattuto presso l'Isola di Akutan.

 

Lo sbarco americano ad Amchitka.

 

Il cadavere di Tadayoshi Koga, pilota di un Mitsubishi Zero, abbattuto il 4 giugno 1942 presso l'Isola di Akutan.

 

Immagine presa da un bombardiere americano mentre attacca l'incrociatore Trieste, nella Baia di Mezzoschifo (Palau SS), l'isola di fronte è La Maddalena, 10 aprile 1943.

 

Sbarco alleato a Kiska.


La battaglia di Dutch Harbor fu un attacco aeronavale giapponese alla base operativa americana presso Fort Mears a Dutch Harbor, un piccolo porto sull'isola di Unalaska, facente parte delle Isole Aleutine. Tra i giorni 3 e 4 giugno del 1942, una forza giapponese sotto il comando di Kakuji Kakuta, attaccò ripetutamente la base di Fort Mears, nell'ambito di un'azione diversiva con lo scopo di distogliere l'attenzione delle forze statunitensi nella zona di Midway, e dagli attacchi anfibi di truppe giapponesi verso le Isole di Kiska e Attu. L'attacco aereo non causò molti danni alle installazioni americane, ma fece crescere l'attenzione dei comandi americani del Pacifico nella zona delle Aleutine, che per più di un anno saranno al centro di azioni belliche tra i due contendenti.

Preparativi.
Il 3 giugno, una forza d'attacco giapponese, sotto il comando del contrammiraglio Kakuji Kakuta, composta dalle portaerei leggere Ryujo e Junyo, e altre navi di scorta, si avvicinò nella notte a meno di 180 miglia a sudovest di Dutch Harbor, per lanciare ripetuti attacchi aerei verso le basi americane di Unalaska e supportare l'offensiva giapponese nelle Aleutine. In questo modo i giapponesi prevedevano di estendere il loro perimetro difensivo nel nord dell'Oceano Pacifico, e togliere agli americani delle basi utili per attaccare i possedimenti nipponici a nord. Dutch Harbor era circondata da numerose batterie costiere del 206º gruppo di artiglieria costiera antiaerea dell'Arkansas National Guard, dislocate in Alaska nel mese di agosto del 1941.

Battaglia.
Alle 2:58 del 3 giugno, l'ammiraglio Kakuta ordinò alle sue portaerei per lanciare il loro primo attacco composto da 12 caccia, 10 bombardieri e 12 bombardieri in picchiata, che decollarono dalle due portaerei, per arrivare sull'obbiettivo alle 4:07. Il primo obbiettivo furono la stazione radio della città e i serbatoi di stoccaggio del carburante, che non subirono gravi danni. Molti membri del 206º gruppo d'artiglieria si svegliarono per il rumore delle bombe, le notizie dei giorni precedenti non prevedevano un attacco giapponese a breve, quindi i serventi delle batterie non erano stati messi completamente in allerta. I serventi delle batterie spararono con i loro cannoni da 3 pollici, da 37 millimetri e con le mitragliatrici calibro.50. Il più grave incidente del primo giorno si registrò quando alcune bombe colpirono le baracche 864 e 866 di Fort Mears, uccidendo diciassette uomini del 37º reggimento di fanteria, e otto uomini della 151ª genieri. Durante i combattimenti, quattro aerei giapponesi da ricognizione Type-95 lanciati dagli incrociatori Takao e Maya, ingaggiarono una lotta con dei caccia statunitensi, due dei quattro aerei nipponici furono abbattuti, e gli altri seriamente danneggiati, ma in grado di ritornare alla base. I raid del primo giorno non causarono gravi danni, e non riuscirono nell'intento di togliere forze americane dalle Isole Midway, in vista del prossimo massicci attacco giapponese. Durante il raid del 4 giugno, uno Zero giapponese fu danneggiato dal fuoco di contraerea, per schiantarsi successivamente sull'isola di Akutan, a circa 20 miglia a nord-est di Dutch Harbor. Il pilota rimase ucciso, ma l'aereo non rimase seriamente danneggiato. Questo caccia Zero (noto come il Akutan Zero), fu recuperato e riparato dagli americani, i quali acquisirono notevoli informazioni tecniche che resero i caccia americani in grado di competere con i caccia nipponici. Il secondo giorno, la portaerei giapponesi si portarono a meno di 100 miglia a sud di Dutch Harbor per lanciare un secondo attacco. La guarnigione americana di Unalaska, si preparò per controbattere una possibile azione anfibia di invasione dell'isola, furono scavate numerose trincee, anche con l'aiuto della popolazione civile, e rinforzate le postazioni sulle spiagge. Alle 4:00 del 4 giugno, una flotta aerea di 9 caccia, 11 bombardieri in picchiata, e 6 bombardieri leggeri, attaccò le strutture americane a Dutch Harbor, dove vennero distrutti alcuni aerei a terra, una caserma, alcuni serbatoi di stoccaggio del petrolio, hangar aerei e un paio di navi mercantili attraccate nel porto. I giapponesi si concentrarono sulle postazioni antiaeree, e sulle navi nel porto, la Fillmore e la Gillis, inizialmente l'offensiva contro le navi fu fermata con un intenso fuoco delle batterie, ma successivamente i caccia nipponici riuscirono a distruggere la nave cargo Northwestern che, a causa delle sue grandi dimensioni fu erroneamente presa per una nave da guerra. Due bombardieri in picchiata e un caccia non riuscirono a tornare alle loro navi, colpiti dalla contraerea, e sulla via del ritorno, gli aerei giapponesi incontrato una pattuglia di sei aerei Curtiss P-40 dopo Otter Point. La battaglia aerea causò l'ulteriore perdita di un caccia e due bombardieri giapponesi, e da parte americana, la perdita di sei caccia.

Esito.
Il giorno seguente, l'ammiraglio Kakuta ricevette l'ordine di interrompere gli attacchi, e la sua flotta fu dirottata verso il Pacifico centrale a sostegno della flotta sconfitta a Midway. Due giorni dopo, una piccola forza di invasione giapponesi sbarcò e occupò le isole di Attu e Kiska senza incontrare resistenza. Fondamentalmente l'attacco al porto di Unalaska non fu un successo giapponese né una sconfitta americana, ma fece capire ai due contendenti l'importanza del fronte nelle aleutine, che per più di un anno fu occupato dai giapponesi, che però a causa del clima mutevole e aspro delle isole non furono mai in grado, fino all'estate dopo, di compiere la benché minima azione significativa verso le basi nemiche. D'altro canto gli americani per tutto l'inverno si guardarono bene da un attacco verso le isole occupate, che avvenne solo nel maggio del 1943, al costo di gravi perdite, rapportate all'importanza minore che in realtà le isole avevano nel teatro del Pacifico.

Fonte ed altri dati: http://it.wikipedia.org

 

La prima pagina dell'Anchorage Daily Times il giorno dopo l'attacco.

 

Locali in fiamme durante l'attacco.

 

Una guarnigione americana trincerata sulle spiagge.

 

Personale americano esamina l'Akutan Zero.



La battaglia delle isole Komandorski, assai meno nota come battaglia delle isole del Commodoro, fu uno scontro navale avvenuto tra la Marina imperiale giapponese e la United States Navy il 26 marzo 1943 nell'estremo settentrione dell'Oceano Pacifico, a sud delle sovietiche isole del Commodoro. Dopo l'invasione nipponica delle isole Attu e Kiska nelle Aleutine occidentali, gli Stati Uniti venuti a conoscenza di un convoglio di rifornimenti giapponesi diretti ad Attu, inviarono una squadra di navi da guerra comandata dal contrammiraglio Charles McMorris per intercettare il convoglio. La squadra statunitense consisteva dell'incrociatore pesante USS Salt Lake City, il vecchio incrociatore leggero USS Richmond che svolgeva il ruolo di ammiraglia del Task Group 16.6 costituito il 3 febbraio 1943 per contrastare le forze giapponesi che avevano occupato le isole, e i cacciatorpediniere Coghlan, Bailey, Dale e Monaghan. L'ammiraglio McMorris era a bordo del Richmond e l'equipaggio del Salt Lake City era per il 70% formato da personale alla prima uscita in mare e la revisione dopo i danni subiti nella Battaglia di Capo Speranza. I giapponesi, pur senza conoscere la squadra americana diretta verso di loro, inviarono insieme al convoglio delle navi da guerra come scorta, due incrociatori pesanti, Nachi e Maya, due incrociatori leggeri, Tama e Abukuma, e otto cacciatorpediniere che componevano la squadra comandata dal vice ammiraglio Boshirō Hosogaya.

Svolgimento della battaglia.
La mattina del 27 marzo, il convoglio giapponese fu intercettato dalla piccola squadra navale americana nelle acque a sud dell'arcipelago sovietico delle Isole del Commodoro, a circa 290 km a ovest di Attu e a 160 km a sud delle Isole del Commodoro; le navi del task group 16.6 (denominato Mike) erano disposte a distanza di sei miglia per sfruttare al meglio le capacità dei radar, in base agli ordini operativi dell'ammiraglio Kinkaid, e in rotta 40°;ad effettuare la scoperta furono il cacciatorpediniere Coghlan e il Richmond disposti come picchetto radar, che rilevarono le navi nipponiche; a loro volta ufficiali giapponesi sui trasporti avvistarono l'alberatura delle navi statunitensi e diedero l'allarme un minuto dopo. I giapponesi fecero allontanare i trasporti scortati dal cacciatorpediniere Usugumo e lo scontro cominciò con gli statunitensi disposti in linea di fila singola diretti per 330°, e i giapponesi inizialmente di controbordo su due file, con gli incrociatori pesanti ed uno leggero più vicini agli avversari a circa 9000 m ed i cacciatorpediniere e l'altro incrociatore leggero su un'altra linea parallela ed arretrata. Alle 8.40 un proiettile del Richmond centrò il Nachi provocando un incendio seguiti verso le 9.00 da altri che lo danneggiarono gravemente. I giapponesi lanciarono due aerei per controllare il tiro degli incrociatori e a questo punto entrambe le formazioni facevano rotta a nord-est, con i giapponesi passati a sud degli statunitensi ed entrambe le formazioni aumentavano la velocità a oltre 25 nodi. Un aereo venne colpito dal tiro contraereo di Salt Lake City, Bailey e Coghlan e sparì lasciando una scia di fumo. Tuttavia la nave ammiraglia della flotta giapponese tornò presto in condizioni di combattere e mezz'ora dopo concentrò il suo fuoco contro l'incrociatore pesante Salt Lake City, che manovrò per evitare i colpi. Dapprima colpito al timone che rimase bloccato mentre la nave andava a 28 nodi. Contemporaneamente i cacciatorpediniere Bailey e Coghlan emettevano una cortina fumogena per proteggere l'incrociatore che dirigeva per 240°. Subito dopo i cacciatorpediniere Dale e Monaghan stesero un'altra cortina fumogena, ed insieme agli altri due caccia attaccò un incrociatore leggero giapponese che si era distaccato dal gruppo. Il Salt Lake City incassò dapprima un colpo da 203 mm che distrusse la catapulta di destra e incendiò l'aereo, che venne buttato in mare. Il gruppo fece rotta per 180° e l'incrociatore incassò un altro colpo da 203 mm dal Maya che non penetrò ma causò vari danni indiretti, scendendo a 20 nodi di velocità a causa di un'avaria alle tubature di vapore di un motore, mentre i due caccia Coghlan e Bailey attaccavano il Nachi e il Maya senza esito, riunendosi poi alla formazione. Alle 10.10 il Salt Lake City fu ancora colpito da un proiettile di grosso calibro che provocò un grosso incendio a bordo e l'arresto della nave. Mentre gli incrociatori giapponesi si lanciavano verso la nave statunitense per darle il colpo di grazia, con un'azione ardita i cacciatorpediniere statunitensi Bailey, Coghlan e Monaghan si lanciarono a loro volta sulla formazione nipponica inducendola a desistere dall'azione mentre il Dale rimase a protezione dell'incrociatore danneggiato e fermo, che si preparò ad una estrema difesa. Il Bailey lanciò senza esito cinque siluri e venne inquadrato da varie salve che colorarono l'acqua di verde e blu (i giapponesi usavano proiettili con vernici a colori diversi per poter attribuire i colpi tra navi diverse) ed infine colpito gravemente da vari colpi compreso uno da 203 mm che provocò quattro morti ed altrettanti feriti gravi, mentre gli altri due non riuscivano a portarsi in posizione di lancio. Il Salt Lake City nel frattempo era riuscito a ripartire anche se solo a 15 nodi sparando l'ultima salva della battaglia ed i caccia si erano riuniti alla formazione mentre il Richmond rimaneva pronto a schermare le altre navi. Il Coghlan alle 12:45 si fermò per prendere a rimorchio il Bailey ma questo riuscì a proseguire a velocità ridotta con i giroscopi parzialmente funzionanti. Alle 13:03 il Coghlan aprì il fuoco contro un idrovolante comparso all'orizzonte, che però non venne colpito e rimase a distanza a controllare il gruppo. Preoccupato dal consumo di nafta e dal timore che consistenti forze nemiche, (anche aeree considerando la vicinanza dell'isola di Amchitka occupata dagli statunitensi) potessero arrivare a sostegno della formazione di McMorris, il viceammiraglio Hosogaya interruppe lo scontro e si ritirò. Intanto le navi cargo giapponesi avevano già invertito la rotta al principio della battaglia: era l'ultimo convoglio di superficie che si era avventurato in quelle acque. Da allora in poi i convogli nipponici furono unicamente composti da sommergibili. Per contro la formazione statunitense si ritirava col Salt Lake City e il Bailey pesantemente danneggiati; il secondo aveva radio e giroscopi danneggiati, così come i cannoni antiaerei Bofors da 40 mm ed una sala motori fuori uso con le pompe che a mala pena riuscivano a contrastare le numerose falle ed il timone a comando manuale per mancanza di energia elettrica; il primo invece aveva sparato 806 proiettili perforanti esaurendone la scorta e poi 26 di esplosivo ad alto potenziale, aveva la sala motori posteriore allagata e i giroscopi fuori uso per cui poteva solo seguire la rotta del resto della formazione, ma aveva sostenuto il confronto con due incrociatori pesanti obbligandoli a mantenersi a distanza, mentre il Richmond aveva sparato solo 271 proiettili da 150 mm. Anche il Coghlan aveva sparato ben 750 proiettili da 127 mm. Il comportamento dei giapponesi venne attribuito da alcuni ufficiali statunitensi alla possibilità che i cacciatorpediniere giapponesi trasportassero truppe e materiali, come spesso avevano fatto nelle Isole Salomone, e quindi il peso dello scontro venne a gravare sui soli incrociatori. Il ritmo relativamente ridotto dei colpi messi a segno dalle unità giapponesi fece pensare alla scarsa qualità dei rilevamenti sul tiro da parte degli aerei, mentre la dispersione delle salve era relativamente ridotta. La necessità di proteggere le navi danneggiate costrinse gli statunitensi a non tentare di inseguire le navi trasporto nipponiche, sebbene alcuni comandanti di cacciatorpediniere avessero chiesto a McMorris di poter portare l'attacco, ma a tenere le navi giapponesi a distanza. L'ultima grande battaglia di artiglierie navali nell'Oceano Pacifico durante il 1943 si concluse con un bilancio sostanzialmente pari dal punto di vista delle perdite, ma con una vittoria strategica per gli americani, il cui blocco navale delle Isole Aleutine non sarebbe più stato forzato da flotte di superficie. A seguito dell'analisi della battaglia le alte sfere della Marina imperiale giudicarono il comportamento tenuto dal viceammiraglio Hosogaya come incerto e pavido e pertanto venne esonerato dal comando.

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La Salt Lake City in azione.

 

Mappa della battaglia.

 

La dislocazione delle navi intorno alle 08:40.

 

La dislocazione delle navi intorno alle 11:55.

 

La USS Salt Lake City.

 

La USS Bailey.

 

L'incrociatore pesante Nachi.

 

Il cacciatorpediniere Inazuma.



La battaglia di Attu ebbe luogo tra l'11 e il 30 maggio 1943 sull'isola di Attu in Alaska come parte della campagna delle Isole Aleutine durante la guerra nel Pacifico nella seconda guerra mondiale. Combattuta interamente tra l'Impero giapponese e gli Stati Uniti d'America, fu l'unica battaglia terrestre del fronte Pacifico ad essere combattuta in un territorio che era parte delle aree insulari degli Stati Uniti.

Premesse e antefatti.
Le Isole Aleutine costituivano una specie di strada che metteva in comunicazione il continente nord-americano e l'estremo oriente, lungo la più breve direttrice di collegamento tra San Francisco e Tokio, e il loro valore strategico apparve evidente ad entrambi i contendenti. D'altra parte quella cintura di isole era una delle più inospitali zone del pianeta, dove le variabili e tempestose condizioni meteorologiche e la conformazione geologica avrebbero comunque rappresentato un notevole problema nel costituire basi permanenti, soprattutto aeree, sulle isole. Il Mare di Bering, dove le isole sono situate, fu addirittura definito una "fabbrica di tempeste", perché durante i mesi invernali si formano lassù una o due tempeste alla settimana, che poi viaggiano in direzione est e sud-est. Nel maggio 1942, prima dello svolgimento della battaglia delle Midway, i comandi statunitensi considerarono Dutch Harbor e le Isole Aleutine come possibile obiettivo nemico; di conseguenza iniziarono ad organizzare un complesso di forze, comandate dal contrammiraglio Robert A. Theobald, destinate al Pacifico settentrionale. Ma anticipando gli statunitensi, i giapponesi il 3 giugno 1942 lanciarono l'attacco contro le isole Aleutine: nelle prime ore della giornata, da alcune portaerei leggere inviarono su Dutch Harbour 23 bombardieri scortati da 12 caccia. La formazione, a causa della nebbia e comunque troppo esigua, provocò solo danni leggeri e l'attacco fu ritentato il giorno dopo con condizioni meteo più favorevoli Anche il giorno seguente il risultato fu tutt'altro che decisivo e il 5 giugno le due portaerei furono richiamate a sud per partecipare all'operazione principale nelle Midway. Il 7 giugno, comunque, una piccola forza di invasione giapponese sbarcò 1.800 uomini su due delle tre isole che rappresentavano il loro obbiettivo, ossia Kiska e Attu, e le occuparono senza incontrare resistenza. L'avvenimento fu molto propagandato in Giappone dove, anche per distogliere l'attenzione dal fallimento nelle isole Midway, l'azione venne presentata come un successo, nonostante in realtà la brulla natura rocciosa di queste isole tormentate dal maltempo non le rendesse adatte in ogni caso a ospitare basi aeree o navali per un'avanzata attraverso il Pacifico.

Azioni estive e stallo.
La situazione entrò in stallo a causa del maltempo e dello sforzo americano incentrato su altri fronti; per quasi un anno la situazione alle Isole Aleutine non cambiò, e i giapponesi continuarono ad occupare le isole. La prima reazione statunitense fu un bombardamento navale all'isola di Kiska, dove una task force di cacciatorpediniere e incrociatori al comando del contrammiraglio W. W. Smith danneggiarono le installazioni giapponesi sull'isola. Nel frattempo partirono le operazioni per dotare l'isola di Adak di una pista di decollo, terminata l'11 settembre, che consentì agli americani alcune incursioni aeree sull'isola di Kiska distante solo 400 km, e costringendo i giapponesi a trasferire la guarnigione di Attu a Kiska. Il 30 settembre iniziò il contrattacco giapponese, quando partì la prima fase di una serie di azioni aeree di disturbo sull'isola di Adak; per il resto dell'anno, fino al maggio del 1943, fu un susseguirsi sporadico di piccole azioni di disturbo, senza particolari effetti.

Preparazione e attacco.
I comandi americani del Pacifico, preoccupati dalla possibilità di attacchi dalle basi nemiche nelle Aleutine, il 1º aprile diramano una direttiva per l'invasione dell'isola di Attu, l'operazione avrà luogo il 7 maggio e sarà diretta dall'ammiraglio Thomas C. Kinkaid, comandante della Task Force 16 del Pacifico settentrionale. Da lui dipendevano il contrammiraglio Rockwell (al comando delle forze anfibie da sbarco), e il generale Albert E. Brown alla testa della 7ª divisione fanteria. Il 15 aprile, alcuni reparti di fanteria della 7ª divisione incominciarono quindi le prime operazioni di imbarco verso l'isola di Attu, prima vennero trasferiti ad Adak e a Dutch Harbour, base di partenza imbarco per le fasi finali delle operazioni. Quindi il 24 aprile dal porto della città statunitense di San Francisco, il grosso della 7ª divisione destinata alla conquista di Attu si imbarcò verso Cold Harbor in Alaska dove gli uomini furono sbarcati il 30 aprile. Come azioni preliminari, una squadra statunitense di tre incrociatori e sei cacciatorpediniere, al comando del contrammiraglio Charles H. McMorris, bombardò le basi nipponiche sull'isola di Attu, bersagliando particolarmente Chicagof Harbor e la baia di Holtz. Il 4 maggio, con un giorno di ritardo per il maltempo, da Cold Harbor partì il convoglio destinato all'invasione, che sempre a causa delle pessime condizioni atmosferiche arrivò tre giorni in ritardo all'ora X, quindi solo l'11 maggio il convoglio fu in vista dell'isola.

Lo sbarco.
L'11 maggio gli statunitensi sbarcarono sulle spiagge di Attu, protetti dalla nebbia e dal fuoco di tre corazzate di appoggio, anche se la Task Force 16 di Kinkaid fu fortemente limitata appunto dalla presenza della nebbia, che però causò un favorevole fattore sorpresa. I reparti che sbarcarono nel pomeriggio presero terra nella "Baia del Massacro" e a Punta Alexai, a ovest della Baia di Holtz, mentre altri sbarchi avvennero la notte del giorno dopo. Le truppe americane, pur non trovando resistenza sulle spiagge, furono subito impegnate appena si inoltrarono verso il Passo Jarmin, dove furono bloccate dal fuoco dei nipponici appostati sui rilievi intorno al passo. Il generale Brown, dovendo affrontare anche gli inattesi problemi logistici dovuti al fango che bloccava gli autocarri da rifornimento, predispose un attacco per il 12 maggio. Con l'appoggio dell'artiglieria navale, la 7ª divisione converse da due punti verso il Passo Jarmin ma l'attacco frontale alla Baia del Massacro non dette alcun risultato: i comandi statunitensi presto compresero che nonostante superassero i giapponesi di un rapporto di 4 a 1, la guarnigione nipponica avrebbe dato luogo a una caparbia resistenza. Per alcuni giorni il maltempo limitò l'azione dell'artiglieria navale e i nipponici offriorono una tenace opposizione, cercando subito violenti contrattacchi e inchiodando gli statunitensi sulle spiagge per diversi giorni, mentre le avanguardie della 7ª divisione sul Passo Jarmin non riuscirono a progredire. Gli assalti statunitensi dalla Baia del Massacro a sud e dalla Baia di Hotz a nord-est continuarono nei giorni successivi; alla fine i giapponesi, per evitare di essere accerchiati, si ritirarono durante la notte del 17 maggio attestandosi su Chicagof Harbor, dove avrebbero tentato un'ultima resistenza. Avvantaggiati da una schiacciante superiorità numerica (gli Stati Uniti avevano oramai sbarcato più di 11.000 uomini, mentre ai giapponesi rimanevano circa 2.380 effettivi) e dal supporto aeronavale incontrastato, gli statunitensi occuparono le posizioni abbandonate nelle due baie e le teste di ponte si ricongiunsero al Passo Jarmin

L'accanita resistenza giapponese.
Le forze americane provenienti da nord e da sud, intanto si congiunsero, e approfittando degli eventi, vengono sbarcati nuovi reparti e rifornimenti per le truppe, intanto vennero iniziati rapidamente i preparativi per l'attacco a Chicagof Harbor dove si erano attestati i nipponici. L'attacco iniziò prima dell'alba, per conquistare un passo per aprirsi una strada verso la valle di Sarana, ma i combattimenti si protrassero fino al tramonto senza portare a nessun risultato. Le truppe statunitensi dopo duri combattimenti però riuscirono a penetrare nella valle il giorno successivo, e il 21 maggio riuscirono ad eliminare l'ultimo caposaldo giapponese sui picchi sovrastanti il passo, prima di avanzare verso la prossima cresta e ad un altro passo che li condurrà a Chicagof Harbor. Il 22 maggio le truppe americane riuscirono a penetrare nella valle che conduce al Chigacof, mentre le truppe a nord, rimasero rallentate dalla difficoltà dell'ambiente montano, quel giorno poi le migliorate condizioni atmosferiche, consentirono all'artiglieria navale di portare maggior contributo di fuoco. Il 23 maggio gli americani attaccarono la cresta Fish Hook ma vennero respinte dall'intenso fuoco nemico, a fine giornata venne deciso dai comandi dell'isola che la cresta verrà conquistata il giorno seguente con un'azione congiunta tra le truppe a nord e a sud; ma il giorno seguente una fanatica resistenza nipponica impedì avanzamenti alle truppe americane. Intanto i capi di Stato Maggiore, si riunirono per approvare il piano di invasione della vicina isola di Kiska. Solo dopo scontri corpo a corpo gli americani, il 25 maggio riuscirono a metter piede alle pendici della cresta Fish Hook, che verrà conquistata definitivamente il 27 maggio. L'ultimo disperato tentativo dei giapponesi, ormai chiusi in una morsa, e costretti nella zona di Chicagof, si rifugiano nelle montagne tutt'intorno, in attesa di sferrare l'ultimo attacco. Infatti il 29 maggio un violentissimo contrattacco nipponico quasi sfalda le linee americane che resistono, combattendo tutto il giorno e la notte successiva; fu un attacco praticamente suicida, e al 30 maggio tutte le forze giapponesi sull'isola furono praticamente annientate dalle forze statunitensi, più numerose, meglio armate e meglio posizionate. Lo stesso giorno gli americani occupano l'isola di Shemya.

Esito.
La conquista dell'isola costò molto cara agli americani, che lasciarono sul campo 549 morti e 1140 feriti solo il 29 maggio, mentre da parte giapponese la situazione era ben peggiore, tutta la guarnigione a difesa dell'isola, 2.380 uomini, si sacrificò, con 2352 morti, 500 dei quali morti suicidi, solo 28 feriti sopravvissero perché prigionieri.

Fonte ed altri dati: http://it.wikipedia.org

 

Truppe americane della 7ª divisione di fanteria, ad Attu durante la battaglia.

 

Artiglieri nipponici sull'isola di Attu.

 

Piano di invasione dell'isola di Attu.

 

Truppe americane prendono piede sulle spiagge di Attu.

 

Soldati americani preparano un mortaio.

 

Soldati giapponesi morti dopo l'attacco "banzai" del 30 maggio.



L'occupazione giapponese delle isole di Kiska e Attu avvenne il 6 giugno 1942, e si protrasse per poco più di un anno fino al 28 luglio 1943, quando, durante le operazioni americane nelle Aleutine, truppe americane sbarcarono sulle due isole per riconquistarle. L'invasione nipponica, iniziò il 6 giugno con lo sbarco di una guarnigione iniziale di 1.800 uomini con lo scopo di proteggere il fianco settentrionale delle loro zone di occupazione, evitando quindi di lasciare al nemico statunitense delle possibili basi aereo-navali da cui attaccare il Giappone. Con l'attacco di Pearl Harbor e l'inizio degli scontri nel Pacifico tra i due schieramenti, la minaccia giapponese nel 1942 era ancora molto seria, e l'occupazione di isole nelle aree insulari degli Stati Uniti, provocò apprensione tra i comandi americani nel Pacifico; la vicinanza delle isole al territorio americano, e la posizione strategica delle Aleutine, che consentiva di controllare l'intero Oceano, furono i motivi per cui lo sforzo americano nella riconquista fu tanto intenso.

La reazione americana.
La prima reazione americana e canadese, all'occupazione giapponese, fu una serie di attacchi aerei di bombardamento contro le installazioni nemiche insediatesi sulle isole. Anche la marina statunitense si diede da fare, bombardando le isole con le artiglierie navali, e operando un continuo pattugliamento delle acque circostanti, che il 27 marzo 1943 sfociarono in uno scontro con una flotta giapponese antistante le acque delle isole del Commodoro. Nel maggio del 1943, le forze americane sbarcarono e distrussero l'intero presidio di Attu, e successivamente rivolsero le loro forze su Kiska, il 26 giugno aerei americani sganciarono sulle posizioni nemiche di Kiska 104 tonnellate di bombe. Ma alle 18:40, tre incrociatori leggeri, otto cacciatorpediniere e alcuni sommergibili, della Marina giapponese, con un'azione di grande successo coperta dalla fitta nebbia, ritirò segretamente in circa un'ora la quasi totalità della guarnigione composta da 6,100 uomini, senza essere notata dal nemico. Nella notte 28 luglio 1943 gli ultimi reparti nipponici lasciano l'isola, anche questa volta nella totale segretezza, il 3 agosto due grosse formazioni navali americane formate da 2 corazzate, 5 incrociatori e 9 cacciatorpediniere, bombardano l'Isola di Kiska, martellata per tutto il giorno anche dal cielo. Fra il 2 e il 15 agosto, girono dello sbarco, verranno effettuate altre dieci azioni di bombardamento aereo-navale, nonostante i giapponesi già da giorni non fossero più presenti sull'isola.

Lo sbarco: Operazione Cottage.
Il 4 agosto le azioni di "ammorbidimento" pre-invasione, raggiungono l'apice, ben 152 tonnellate di bombe vennero sganciate durante tutta la giornata sulla deserta isola. Il 12 agosto una flotta di 5 incrociatori e 5 cacciatorpediniere effettuano l'ultima azione di bombardamento sull'isola di Kiska, lanciando circa 60 t di proiettili. Finalmente il 15 agosto ben 29.000 soldati americani della 7ª divisione di fanteria statunitense e 5.300 canadesi della 13ª brigata di fanteria, salpati dall'Isola di Adak il giorno 13 su un centinaio di LST (Landing Ship Tanks), LCI (Landing Craft Infantry) e LCT (Landing Craft Tanks), e con la scorta di ingenti forze navali, sbarcano all'alba sulle spiagge occidentali dell'isola. Ma solo dopo questa imponente azione, si scopre che i giapponesi non c'erano, e tutto ciò che era presente sull'isola era stato completamente distrutto prima e soprattutto durante i bombardamenti americani. Nelle operazioni gli americani persero circa 24 uomini a causa del fuoco amico, 4 a causa di trappole giapponesi disposte all'interno dell' isola e 71 marinai, a bordo della USS Abner Read, a causa di una mina giapponese che dilaniò la poppa della nave. Altri 47 soldati americani risultano ufficialmente dispersi.

Fonte ed altri dati: http://it.wikipedia.org

 

Truppe giapponesi issano la bandiera da battaglia della Marina giapponese sull'Isola di Kiska.

 

La forza di invasione americana assembrata ad Adak.

 

La USS Saint Louis bombarda Kiska.

 

Truppe americane appena sbarcate a Kiska.

 


 

Categoria: Storia
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