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Per riuscire ad immaginare il futuro della Corea del Nord e dei suoi rapporti con il resto del mondo, e l’Italia in particolare, è fondamentale riuscire a districarsi nei meandri della geopolitica contemporanea e della politica della Corea del Sud, una nazione che è diventata autenticamente democratica solo a partire dal 1992. Il futuro eurasiatico è già segnato. È One Belt, One Road (OBOR), oggi ribattezzato Belt and Road (la Nuova Via della Seta), una colossale iniziativa cinese con implicazioni geopolitiche ed economiche di portata storica, che ‘Time‘, nel maggio 2015, ha definito come ‘il più vasto progetto di sviluppo economico della storia‘ (‘New Silk Road Could Change Global Economics Forever‘).

 

 

Una volta che le tre crisi chiave del nostro tempo -Medio Oriente, Ucraina, Corea- saranno appianate con la forza delle armi e dei capitali internazionali, Belt and Road porterà all’interconnessione di tre continenti -dal Marocco a Fukuoka e da Glasgow a Singapore- attraverso una rete di gasdotti, ferrovie ad alta velocità, cavi in fibra ottica, autostrade, porti e accordi commerciali. Un suo tratto, diretto verso Renania, Benelux e Île-de-France, passerà per Venezia e l’Alto Adriatico. L’aspetto promettente di questo attraversamento italiano è che, già nella sua fase di progettazione, OBOR ha contribuito a sospingere in alto le economie dei Paesi che si trovano lungo il suo percorso (con tassi di crescita tra il 2 e il 7%), grazie ai primi accordi di partnership con la Cina.

A livello geopolitico, il progetto ha già persuaso quattro Nazioni di rilevante peso internazionale ad allinearsi economicamente con la Cina e con l’altro sponsor del progetto, la Russia (Iran, Turchia, Egitto e Pakistan). La sua esecuzione potrebbe appianare i dissidi e, moltiplicando investimenti, scambi commerciali e posti di lavoro, placare gli animi e sollecitare interazioni più collaborative tra i popoli e le Nazioni. Immagino sia questa la ragione per cui una delegazione nord-coreana è stata invitata a partecipare al Belt and Road Forum per la cooperazione internazionale lungo la Nuova Via della Seta, che si terrà il 14 e 15 maggio a Pechino. Sarà presente anche il nostro capo del Governo, Paolo Gentiloni, assieme ai leader degli altri Paesi mediterranei ed eurasiatici (29 secondo le anticipazioni) che stanno perseguendo una politica di sganciamento dalle direttive della NATO, come il Primo Ministro spagnolo Mariano Rajoy, il premier greco Alexis Tsipras, Vladimir Putin, Recep Tayyip Erdogan e lo schietto Presidente delle Filippine, Rodrigo Duterte.

Gli Stati Uniti non si metteranno di traverso. Rex Tillerson, Segretario di Stato, ha più volte ribadito che la Casa Bianca non intende perseguire la strada del cambio di regime in Corea del Nord, dell’assassinio di Kim Jong-un o di una riunificazione forzosa e accelerata delle due Coree. Dal canto suo, Pechino si è impegnata a fornire aiuti economici e a fungere da garante per un trattato di pace con Washington in cambio della denuclearizzazione. Nel suo discorso sulla politica estera presso il Center for National Interest (il 27 aprile 2016), da da candidato Donald Trump ha espresso considerazioni, ampiamente condivise negli ambienti delle forze armate statunitensi, sul fallimento dell’interventismo americano: «Tutto è cominciato con l’idea pericolosa che avremmo trasformato in democrazie occidentali dei Paesi che non avevano esperienza o interesse a diventarlo. Abbiamo distrutto le loro istituzioni e poi siamo rimasti sorpresi di ciò che abbiamo scatenato: guerra civile, fanatismo religioso, migliaia di americani uccisi… Vite, vite, vite sprecate».

In questi giorni il nuovo Presidente sudcoreano Moon Jae-in, veterano delle truppe speciali e avvocato per i diritti umani, ha dichiarato: «Farò tutto quello che posso per costruire la pace nella penisola coreana. Se necessario volerò a Washington immediatamente. Andrò anche a Pechino e Tokyo e perfino a Pyongyang, con le giuste circostanze». Un’eco delle parole di Trump di scorsa settimana: «Sarei onorato di incontrare Kim Jong-un. Lo farei di sicuro, se fosse nelle giuste circostanze». La coincidenza linguistica non può essere casuale, a quei livelli, specialmente se sulla scia della manifestazione di interesse da parte del dittatore nordcoreano a chiedere a Putin di mediare in vista di un incontro con Trump. Con grande sollievo dei residenti della conurbazione di Seoul, 20 milioni di abitanti che, in caso di guerra, sarebbero spazzati via da un numero di proiettili di artiglieria non intercettabili, che potrebbe oscillare tra i mille ed i 30mila colpi al minuto, esiste verosimilmente una volontà internazionale di pacificare la penisola coreana per poter procedere al completamento della Nuova Via della Seta. Operazione che, localmente, sarebbe integrata dalla realizzazione di un mercato comune sino–nippo–coreano per il tramite di tunnel sottomarini, ferrovie, gasdotti, logistiche aeree e marittime e una mega-autostrada che dovrebbe congiungere Pechino e Tokyo passando per Seoul.

L’Italia farà quasi certamente la sua parte, ponendosi come interlocutore super partes, e spingendo per una soluzione politico–diplomatica alle tre summenzionate crisi. Questa è sempre stata la sua vocazione nel dopoguerra: la mediazione tra Paesi egemoni e Paesi emergenti, tra Mediterraneo e Nord Europea, tra Est e Ovest. Non è certamente per caso che Gentiloni sia l’unico governante del G7 presente a Pechino. L’Italia è stata mandata in avanscoperta per tenere aperti tutti i canali diplomatico-negoziali senza voler dare l’impressione che il blocco atlantico fosse disposto a rinunciare alla sua egemonia planetaria. Questa nostra disponibilità al dialogo ci assicurerà benefici economici molto concreti e pace sociale.

Le critiche di certi think tank occidentali all’iniziativa cinese non sono da sottovalutare, ma in genere tendono a proiettare la mentalità occidentale su quella orientale. Per secoli la Cina, pur avendo avuto tempo e mezzi per farlo, non ha progressivamente colonizzato il pianeta, perché non ha sentito il bisogno di farlo. Ci sono voluti 1.800 anni all’Impero cinese per colonizzare la contigua Taiwan e ciò avvenne dopo l’arrivo degli europei, quando i cinesi si sentirono minacciati. Un discorso analogo vale per il Giappone, diventato aggressivo solo dopo essere stato umiliato dall’Occidente. La civiltà europea non incarna di per sé lo spirito della civiltà umana. Il suo modello di sviluppo fortemente espansivo incentrato sul paradigma ‘mors tua vita mea‘ (il cosiddetto ‘gioco a somma zero‘ win-lose: qualcuno vince e gli altri debbono per forza perdere) non rappresenta la ‘fine della storia‘. Dobbiamo riconoscere che i conflitti, le tragedie e l’instabilità del nostro presente e del nostro passato sono anche il frutto della nostra incapacità di proporre visioni win-win quando si tratta di orientare la nostra navigazione del futuro. La nostra logica dominante (egotista) è arcaica e controproducente. Un autentico progresso morale e civile della civiltà umana si avrà quando capiremo che è bene che il guadagno di qualcuno sia il guadagno di tutti e vice versa (Unus pro omnibus, omnes pro uno, ‘uno per tutti, tutti per uno’). In un mondo in cui gli interessi dei singoli, delle imprese e dei Paesi sono sempre più intrecciati, la cooperazione win-win, costantemente evocata dalle autorità cinesi nei vertici internazionali, è la garanzia che in un mondo multipolare a nessuna potenza e civiltà sarà mai più permesso di imporre la propria volontà e visione del mondo sugli altri e sul futuro collettivo. Questo è probabilmente il motivo per cui tutti gli alleati degli Stati Uniti (incluso Israele e l’Arabia Saudita), con l’eccezione del Giappone, sono diventati membri fondatori della Banca Asiatica di Investimento per le Infrastrutture (AIIB), sfidando l’ufficiale contrarietà di Barack Obama. È la struttura che si occupa di finanziare l’implementazione della Nuova Via della Seta e, a poco più di un anno dall’inaugurazione delle sue attività, i giudizi sono lusinghieri (vedasi quanto scriveva ‘Forbes‘ il 14 gennaio scorso in ‘How China’s Asian Infrastructure nvestment Bank Fared Its First Year‘). .

Fonte: http://www.lindro.it

 


 

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