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Nelle relazioni internazionali, spesso il sopraggiungere delle stagioni più miti è coinciso con rivolgimenti significativi che, più che finire la storia, ne hanno scritto ulteriori pagine spesso di rara violenza, sconfessando sistematicamente gli apparentemente buoni propositi dei conflitti appena conclusi. Le dinamiche sottese ai vari avvenimenti sono state sempre connotate da caratteri comuni, a prescindere dalle latitudini, all’insegna di una globalizzazione ante litteram. Quel che non può essere mai dimenticato, a pena di incorrere in marchiani errori di valutazione, è che la storia, tessuto vivente, non procede mai per cesure, ma per processi continui, in qualche modo collegati gli uni agli altri. Al di là delle motivazioni ideologiche, che fanno di frequente parte di una sovrastruttura utile ad una prima (ma non esaustiva) comprensione, esiste sempre e comunque un filo conduttore che, in modo trasversale ma incisivo, incuba i germi del futuro. Non esiste un limite geografico, esiste piuttosto una sottile linea rossa che ha dato vita a quelli che poi, spesso, si sono rivelati drammi proiettati nel tempo. Cambiano gli attori, le ambientazioni, ma spesso i copioni rimangono gli stessi. Gli esercizi di potere rimangono sullo sfondo, ma sono sempre gli stessi giochi quelli che spingono le masse a cercare di prendere nelle proprie mani dei destini già segnati. È la massa che scende nelle piazze, come è sempre lo stesso anelito di libertà che va a scontrarsi violentemente con la realtà; c’è spesso un tentativo disperato di mediazione accompagnato da un colpo di coda mosso per non far tracollare uno status quo consolidato; ci sono sempre dei martiri che sacrificano la loro stessa vita, in un sacrificio sovente vano; ci sono dei pronunciamenti che, nella loro subitanea durezza, tentano di limitare danni che potrebbero riverberarsi per generazioni. Si tratta di storia; si tratta di realtà, ambedue legate da quella incancellabile sottile linea rossa. Per Pavese, l’estate non può che essere bella; per chi studia la contemporaneità, e per chi l’ha vissuta sulla propria pelle, bruciandosi, la stagione del sole rovente è paragonabile al toro iberico della Ortese, che “in Spagna e in altri paesi caldi e cattolici, muore credo ogni giorno d'estate, straziato dalle banderillas di fuoco e alla fine soffocato dal proprio sangue”.

 



Non esistono cesure, solo continuità.
La Storia è come un romanzo che dipana i suoi capitoli nel tempo, spesso tra la primavera e l’estate. Francisco Franco il 18 luglio del 1936 emana il suo Proclama di Las Palmas di Gran Canaria e, di fatto, accende la scintilla della Guerra Civile Spagnola; il 22 luglio del 1969 indica in Juan Carlos I di Borbone il proprio successore, restaurando la monarchia. In Egitto, Nasser si presenta sul proscenio internazionale nel luglio del 1952, contribuendo alla caduta della monarchia di Re Faruk; nel luglio del 1956, ormai padrone della scena politica egiziana, nazionalizza il Canale di Suez, ma paga, nell’estate del 1967 la sua impreparazione militare con l’esito della Guerra dei 6 giorni, combattuta preventivamente da Israele. Rimaniamo in MO: l’estenuante conflitto arabo israeliano vede uno dei suoi epiloghi nel settembre del 1970, con l’inevitabile repressione dell’insorgenza eversiva palestinese, operata da Re Husayn di Giordania all’interno dei confini del suo regno. Torniamo in Europa; Praga porta intessuta nella trama del proprio manto imperiale la tragedia di Budapest del 1956: in Ungheria, di fatto, era stato aperto un pericoloso vaso di pandora da cui si erano diffusi ideali e speranze destinati a scontrarsi ovunque con la realtà. Nel 1968 in Cecoslovacchia la primavera muore definitivamente il 21 agosto del 1968, con l’entrata dei corazzati sovietici che sanciscono la sconfitta del tentativo riformatore di Dubcek, del suo socialismo dal volto umano. Emblematiche le immagini dei praghesi che tentano di parlare con i soldati russi, ma che non considerano la necessaria prevalenza della Dottrina Breznev; incancellabile il ricordo della torcia umana di Jan Palach, il martire simbolo di una Primavera così tragica. Non sarà l’unico: Storia e Realtà esigono sempre il loro tributo normalizzatore di sangue; e con loro l’economia, non così palesemente cruenta, ma sempre suggeritrice sottile e presente. Quante chances avrebbe avuto Dubcek nel suo intento di realizzare uno stato socialista e democratico? Poche; dopo tutto Gorbacev 20 anni dopo ha fallito nel suo intento di preservare la forza delle idee marxiste e leniniste, in difficoltà alla prova dell’evoluzione storica. Nel luglio del 1974 la Turchia invade l’isola di Cipro, a seguito di un colpo di stato militare che aveva deposto il Vescovo Makarios, e lancia segnali, forse troppo distrattamente considerati, di un revanchismo ottomano che, con Erdogan, ha trovato più di 30 anni dopo un epigono forse non completamente cosciente delle possibili conseguenze di una spregiudicata politica di potenza proiettata nel tempo. La Cina, nel 1989, vive a sua volta una tragica primavera che, tra l’aprile ed il giugno, porta in piazza Tien an Men masse impensabili di popolo: intellettuali, giovani ed operai; rimane ancora oggi viva l’immagine del Rivoltoso Sconosciuto, uno studente disarmato di fronte ad una colonna di corazzati, interprete follemente coraggioso delle idee di migliaia di ragazzi volti a decidere “la vita o la morte della Nazione”: siamo onesti, non sembra di essere tornati a Praga, a Piazza San Venceslao? L’epilogo è come al solito tragico, segnato da accuse controrivoluzionarie, ma contribuisce a dare slancio ad un’azione politica che, nel 1989, porterà in Europa alla caduta del Muro di Berlino. Xi Jinping non si presenta certo con l’avventurismo turco, ma nel gioco della continuità storica, nel 2019 si trova a dover dipanare l’intricata matassa di Hong Kong, proprio in questi giorni scossa da proteste e manifestazioni. In Polonia, l’estate del 1981 conduce ufficialmente al potere il generale Jaruzelski, teso a contrastare l’azione di Lech Walesa e del suo sindacato Solidarnosc, forse al fine di prevenire (quale male minore) lo stesso epilogo magiaro – slovacco; solo l’arrivo della perestrojka avrebbe costretto ad una profonda revisione della linea politica, ma comunque ad un prezzo decisamente alto. Continuità storica ed assenza di cesure continuano a battere il ritmo degli avvenimenti, e vedono l’Iraq dell’agosto del 1990, pur prostrato dalla Guerra combattuta contro l’Iran, proteso alla conquista della sua 19^ Provincia, il Kuwait. il 1991 è un anno di faglia: il 26 giugno inizia, sulle ceneri di una Repubblica federale unita dal carisma del suo fondatore ma divisa da sentimenti etnico storici in perenne contrasto, il conflitto balcanico, segnato nel tempo da atrocità e da atti di vigliaccheria, come a Srebrenica; il 19 agosto prende forma un colpo di stato che esautora Gorbacev e consegna l’Unione Sovietica ad un Comitato di salute pubblica che non esita a schierare i mezzi corazzati. In un momento di nemesi storica, il Cremlino rivive sulla Piazza Rossa e sulla sua pelle gli attimi immediatamente precedenti le violenze che hanno insanguinato Praga e Budapest; la storia passa per il megafono che Boris Eltsin, il corvo bianco, usa dallo scafo di un tank per incitare alla disobbedienza civile ed allo sciopero generale, con i soldati con la stella rossa che si uniscono alle sue richieste. La Storia, tuttavia, non è finita come auspica Fukuyama, ed esige un prezzo da pagare: è la fine della Russia Sovietica, e l’inizio di un nuovo capitolo, ancora in via di scrittura. Impossibile dimenticare la tranche più recente, quella delle cosiddette Primavere Arabe, una delle più eclatanti dimostrazioni di quella trasversalità geopolitica e geoeconomica del nostro tempo; anche qui troviamo masse figlie di una genesi storica complessa, povere, in cerca ancora di un’identità nazionale sostituita, spesso, da un radicalismo incontrollabile e sfuggente alle logiche occidentali. L’immagine così delicata dei gelsomini di Tunisia fa da contraltare all’ennesimo martire, l’ambulante Mohamed Bouazizi, novello Jan Palach; le fiamme che lo avvolgono si propagano per gran parte del MO, fino a quando, in un’ennesima dimostrazione di trasversalità e proattività mal gestite, l’Occidente si ritrae di fronte ad esiti elettorali non graditi, come in Egitto, o interviene per suscitare contrasti ed instabilità, animato solo da interessi di cortile.

 



La Storia siamo noi?
La carrellata estiva non vuole certo essere esaustiva, ma solo dare un’immagine di ciò che è la continuità storica, del significato di trasversalità, della colpevole consapevolezza di molti decisori, e della non meno irresponsabile ignoranza che felicemente alligna in ogni stagione del nostro tempo. Perché, bene o male, magari dietro le quinte, ci siamo anche noi. La nostra Storia estiva più recente spesso non ci ha consegnato episodi di cui poter andare fieri, a cominciare dall’attentato di Bologna il 2 agosto 1980. Per trovare dei gelsomini, non c’è bisogno di andare in Tunisia, i nostri martiri sono qui, purtroppo troppo spesso degni di una considerazione emotiva, dunque fugace, solo post mortem, benché il loro sangue sia stato versato in ogni momento, nel caldo estivo e soffocante di Capaci o di Via d’Amelio, o nel freddo più invernale ed umido di Milano. Abbiamo anche noi una Storia, dovrebbe stare a noi capirne il senso, dovrebbe stare a noi uscire da un cortile sempre più angusto ed asfittico, dovrebbe stare a noi, studiando, comprendere.

Fonte: http://www.difesaonline.it

 

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