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“Solo una guerra può fermare la Cina dal controllo del Pacifico”. Non usa giri di parole l’ammiraglio Philip S. Davidson commentando al Congresso degli Stati Uniti la potenza navale cinese.

Il comandante del  United States Fleet Forces Command è molto sincero. La Cina ha raggiunto un tale livello di radicamento delle proprie basi navali in tutte le aree marittime disputate, che è sostanzialmente impossibile fare in modo che il controllo di quelle aree da parte cinese sia messo a repentaglio. Ed è in particolare il Mar Cinese Meridionale a preoccupare il comandante delle flotte statunitensi.

“Una volta occupato, la Cina sarà in grado di estendere la sua influenza a migliaia di chilometri a sud e proiettare la potenza in profondità fino in Oceania”, ha scritto l’ammiraglio Philip S. Davidson. “Le forze armate cinesi saranno in grado di utilizzare queste basi per sfidare la presenza degli Stati Uniti nella regione, e qualsiasi forza dispiegata dalla Cina nelle isole finirebbe facilmente per sopraffare le forze militari di qualsiasi altro pretendente sul Mar Cinese Meridionale”. Continua poi l’ammiraglio: “In breve, la Cina è ora in grado di controllare il Mar Cinese Meridionale in tutti gli scenari, al netto di una guerra con gli Stati Uniti“.

Le frasi di Davidson non sono da sottovalutare. Finora gli Stati Uniti e gli alleati del pacifico avevano parlato della Cina come superpotenza che metteva a rischio la libertà di navigazione. Il Pentagono ha sempre parlato della minaccia nelle rotte commerciali asiatiche e di pericoli derivanti dalla presenza militare cinese. Adesso l’ammiraglio Davidson dice qualcosa di diverso. In sostanza, ammette la sconfitta strategica degli Stati Uniti nel Pacifico.

Per il sistema di alleanze degli Usa nel Pacifico, questa ammissione significa che è necessario uno sforzo maggiore da parte di tutti. L’obiettivo della nuova amministrazione targata Donald Trump è sempre stato quello di chiudere l’espansione cinese attraverso un maggiore coinvolgimento dei partner Usa in Estremo Oriente. Gli Stati Uniti stanno cercando di formare una sorta di Nato dell’Indo-Pacifico composta da Australia, Giappone e India, in via principale, proprio per avere un supporto in questo contenimento della Cina.

Il monito di Davidson è chiaro: la Cina ha una posizione di netto vantaggio. La militarizzazione delle isole artificiali del Mar cinese meridionale, unita a una politica di espansione della propria influenza, sta scalzando la presenza Usa nel Pacifico. Gli alleati non hanno ancora le capacità militari per fermare l’avanzata cinese. Lo potrebbe fare il Giappone, che però ha una costituzione pacifista che lo frena. L’Australia, dal canto suo, paga un gap militare notevole sia in fatto di uomini che di mezzi, pur avendo tecnologia e soldi adeguati. L’India è un caso a parte. Difficile definirlo alleato degli Stati Uniti: segue una sua linea politica autonoma in cui la Cina è sì un grande nemico, ma anche un partner che può rivelarsi fondamentale.

A questi problemi di natura strategica e diplomatica, gli Stati Uniti poi devono fare i conti anche con la crescita esponenziale della Cina. Una crescita che rende difficilissimo competere in termini strutturali con una potenza in piena fase espansiva. E l’era di Xi Jinping ha dimostrato che adesso Pechino vuole uscire dal suo enorme guscio asiatico per imporsi anche come potenza militarmente riconosciuta.



Il nodo Taiwan.

Un esempio di questa difficoltà per gli Usa di scalfire la volontà cinese di imporsi sul Pacifico è l’isola di Taiwan. Xi Jinping ha già detto che non tollererà volontà di Taiwan di secedere definitivamente dalla Repubblica popolare cinese. Gli Stati Uniti finora avevano riconosciuto formalmente la dottrina di “una sola Cina”, ma i legami militari e politici fra Washington e Taipei non si sono allentati.

Nel caso in cui la Cina decidesse, in tempi più o meno brevi, di occupare l’isola di Taiwan, gli Stati Uniti sarebbero sostanzialmente costretti a osservarli. Non potrebbero intervenire senza scatenare una guerra. Una guerra che, vista l’elevata crescita del comparto militare cinese, sarebbe rischiosissima. Potrebbero sostenere militarmente il governo di Taipei, ma probabilmente con scarsi risultati.

Un editoriale del Global Times dai toni estremamente bellicosi deve far riflettere. “Benché la riunificazione pacifica con Taiwan sia la scelta ottimale, la riunificazione con la forza al continente viene seriamente considerata un’opzione. Spetta al popolo cinese decidere quando e come Taiwan sarà riunificata. Ciò dipende da quanto le autorità di Taiwan percorrano il sentiero dell’indipendenza, non da quanto gli Stati Uniti appoggino Taiwan. Infatti, più Washington sostiene i separatisti di Taiwan, prima vedranno arrivare il loro giorno del giudizio“.

Parole di fuoco, ma che sono un segnale molto chiaro della presa di coscienza da parte della Cina delle sue capacità militari. E l’ammiraglio Davidson, scrivendo al Congresso, lo ha reso evidente.

 

Fonte: http://www.occhidellaguerra.it

 

 

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