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Introduzione.
Per decenni e più Stati Uniti ed Europa fecero conferenze e incoraggiarono i Paesi di America Latina, Africa ed Asia ad accogliere e accettare gli investimenti stranieri come via virtuosa per la modernizzazione, la crescita e la prosperità. Con poche eccezioni degne di nota, capi e accademici occidentali promossero flussi illimitati di capitali (e deflussi di profitti). Nessuna sezione delle economie prese di mira era off-limits: agricoltura, miniere, produzione, servizi pubblici, trasporti e comunicazioni dovevano essere “modernizzati” attraverso proprietà e controllo di Stati Uniti ed Europa. I leader del Terzo Mondo, generali, banchieri o proprietari terrieri che si attenevano alla dottrina del “mercato aperto” ed “invitavano” le proprietà straniere, furono elogiati, fossero dittatori o eletti coi brogli. Nazionalismo e nazionalisti furono condannati per voler limitare il progresso e bloccare la marcia della storia. Ad essere onesti, i regimi occidentali incoraggiarono tutti i Paesi ad aprirsi ai flussi di capitale, ma naturalmente solo i Paesi imperialisti avevano capitale, tecnologia e potere politico per farlo. Gli economisti predicavano la dottrina della specializzazione nel “vantaggio comparato”: l’Occidente investe, guadagna e domina i mercati e il Sud accetta salari bassi, collaborazionismo e industrie dipendenti. Questo sistema funzionò molto bene per l’Occidente purché fosse la potenza dominante a modellare mercati, flussi di capitali e condizioni di scambio. I leader nazionalisti furono condannati, sanzionati, estromessi e demonizzati durante l’ascesa anglo-statunitense. Col tempo e gli sforzi, i Paesi del Terzo Mondo seguirono un altro percorso: attraverso rivoluzioni o riforme, direzione statale ed imprenditori nazionali, investirono, innovarono, mutuarono e trasformarono le proprie economie. Col tempo, alcuni come la Cina, iniziarono a competere con successo con le potenze occidentali su mercati, minerali e tecnologia.

Inversione di ruolo: Washington imperialista denuncia la Cina di aver colonizzato l’economia.
Poiché l’impero degli Stati Uniti non è riuscito a superare la Cina, non solo nei mercati esteri, ma in settori dell’economia nazionale, i produttori locali passarono in Cina e Messico o fallirono o si fusero o furono acquisiti da capitali stranieri, in particolare della Cina. Il nazionalismo sostituì il neoliberismo e il globalismo tra settori della classe dominante, specialmente nelle ideologie politiche raggruppate dal presidente Trump. I nazionalisti forgiarono un’alleanza nazionale pluto-populista collegando Wall Street, settori arretrati della classe capitalista con lavoratori sfollati, sottoccupati e disoccupati sotto l’ombrello della “retorica protezionistica”: massicci tagli alle imposte sulle imprese e dazi, quote ed imposte sui concorrenti europei, asiatici e nordamericani. Sono finite le conferenze di Washington sui mercati liberi e le virtù della globalizzazione e degli accordi commerciali multilaterali. Il nuovo protezionismo riecheggia la retorica degli USA del XVIII e XIX secolo e dei dazi Smoot-Hawley dell’epoca della Grande Depressione. In precedenza gli Stati Uniti richiesero necessari i dazi per proteggere e promuovere le cosiddette industrie “infantili”; Il protezionismo del ventunesimo secolo afferma che protegge la “sicurezza nazionale” dai rivali d’oltreoceano (Cina) e di olttrefrontiera (Canada, Messico), mortali minacce militari… Il presidente Trump adottò l’ideologia dei governi di liberazione nazionale del Terzo mondo per minare i concorrenti imperialisti. I costruttori dell’impero “nazionalista” di Washington furono appoggiati dagli alleati mediatici che versarono tonnellate di inchiostro per attaccare gli investimenti “cinesi imperialisti” che “saccheggiano” Africa, America Latina e Asia. Washington proiettò un’immagine degli Stati Uniti circondata da nemici ovunque che “sfruttano” la loro posizione privilegiata a danni di una “debole America”. Il presidente Trump ribaltò gli slogan nazionalisti di liberazione del Terzo Mondo in pretese imperialiste per “rendere l’impero statunitense più forte”. Il nazionalismo del Terzo Mondo è un’ideologia per creare mercati e industrie nazionali in gran parte delle economie agro-minerarie con investimenti pubblico-privati e proprietà, supervisione, regolamentazione e sussidi statali. Il nazionalismo degli imperi in declino è l’ideologia dei militaristi autoritari e dei regimi fascisti che non possono più competere sul mercato. I paesi imperialisti in declino hanno diverse opzioni. Possono adattarsi alle nuove realtà aggiornando le proprie economie, riducendo gli impegni militari all’estero, riallocando i budget e gli investimenti e educando la forza lavoro ad attività produttive. Possono formare partnership con concorrenti emergenti tramite condivisione del potere, innovazioni, joint venture e accordi commerciali multilaterali. Possono impegnarsi in guerre commerciali, conquiste militari all’estero o accerchiare i rivali emergenti con sanzioni, tariffe e valenze protezionistiche. La nostalgia per la “gloria” del passato dell’unipolarismo, della supremazia economica e della superiorità ideologica indiscussa, è la formula per perdere le guerre e per un mondo hobbesiano di tutti contro il predatore.

Conclusione.
All’inizio la rinascita nazionalista-populista può stimolare la crescita mentre i rivali placano l’aggressore; le classi imperialiste prospereranno con tasse più basse; i “deplorabili” possono gloriarsi della retorica del nazionalismo e aspettarsi “grandi cose in arrivo”. Ma i guadagni fiscali significano maggiori debiti; le nazioni che accettano la perdita permanenti di esportazioni vitali reagiranno… E soccomberanno al contagio protezionista. I globalisti imperialisti diverranno nazionalisti imperialisti. Il nazionalista sostituirà gli impotenti socialdemocratici neo-liberali. I lavoratori si rivolgeranno ai nazionalisti per recuperare il posto di lavoro perduto e la solidarietà del vicinato; i nazionalisti sfrutteranno la mobilità verso il basso e faranno appello ad immagini sulla prosperità passata. I plutocrati nazionali si rivolgeranno agli autoritari che parlano delle lamentele popolari deviando l’antagonismo di classe. I nazionalisti otterranno popolarità di fronte a una sinistra che evita, respinge o rifiuta i valori condivisi delle comunità locali. Il sostegno liberale e progressista alle guerre estere che aumentano il flusso di immigrati, aliena i contribuenti della classe lavoratrice e borghese. L’impero in declino non morirà presto. La rinascita nazionalista può rianimare l’ultimo saluto imperiale! Paura ed orrore d’essere colonizzati è la forza trainante del nuovo risveglio imperiale. Menzogne ed ipocrisie che accompagnano le vecchie affermazioni imperialiste sulla conquista in nome della “difesa dei valori occidentali” non funzioneranno a lungo. Un’opposizione consequenziale può emergere solo se collega appelli di classe e nazionalisti ai valori della comunità e alla solidarietà sociale.

Traduzione di Alessandro Lattanzio

Fonte estera: https://www.globalresearch.ca

Fonte italiana: http://aurorasito.altervista.org

 

 

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