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Uno degli argomenti che è stato oggetto di disputa durante il recente summit dell’Asean, l’Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico, tenutosi il mese scorso a Singapore, è stata l’annosa questione della costruzione da parte della Cina di un porto in Cambogia che potrebbe anche venire utilizzato per scopi militari. La disputa è in atto da almeno un decennio ma solo ultimamente ha visto aumentare le preoccupazioni da parte degli Stati Uniti a fronte del forte impulso dato dalla Cina alla creazione di infrastrutture, anche militari, un po’ ovunque in Asia nel quadro della Belt and Road Initative, la nuova Via della Seta che metterà Pechino in grado di formare una fitta rete di interscambi commerciali con Europa e Africa attraversando tutto il continente asiatico, sia per via marittima sia per via terrestre. Il vice presidente americano, Mike Pence, presente al summit di Singapore, ha infatti sollevato critiche in merito alla questione a margine del più complesso problema dell’espansione di Pechino nel Mar Cinese Meridionale che ha visto la ormai stabile militarizzazione delle isole Spratly.

Il progetto del porto in Cambogia.
Il porto verrebbe costruito in un appezzamento di terra di 45mila ettari dato in concessione per 99 anni alla cinese Tianjin Union Development Group nella provincia di Koh Kong, nella parte sudoccidentale del Paese. Originariamente la concessione, ottenuta nel 2008 e del valore di 3,8 miliardi di dollari, misurava 36mila ettari – violando peraltro le leggi cambogiane che stabiliscono per tali propositi un’estensione non superiore ai 10mila ettari – e prevedeva solamente la costruzione di infrastrutture di tipo turistico sotto il nome di Dara Sakor Beachside Resort. Ma come spesso accade anche per questioni meno importanti, varianti in corso d’opera ne hanno trasformato la natura in qualcosa di più complesso che prevede un sistema economico praticamente autosufficiente con strutture mediche, condomini, hotel, impianti manifatturieri, un porto profondo di grandi dimensioni e un aeroporto. Sostanzialmente una vera e propria piccola città dotata di tutti i servizi.

Perché gli Usa sono preoccupati?
Quello che genera preoccupazioni a Washington è proprio la natura del futuro porto di Koh Kong. Un porto di grandi dimensioni, soprattutto profondo, potrebbe avere una doppia finalità non solo commerciale. Infatti sarebbe in grado di ospitare facilmente unità navali militari maggiori come fregate e cacciatorpediniere che così avrebbero a disposizione uno scalo importante da dove poter effettuare più agevolmente il pattugliamento di quella parte del Mar Cinese Meridionale più prossima al vitale stretto della Malacca, snodo cruciale della politica strategica della Cina. Quindi un possibile avanzamento di centinaia di miglia della capacità di sea control – ed in prospettiva anche di sea denial – della Marina Militare Cinese che già ha stabilito una base importante proprio nelle isole Spratly in grado, se necessario, di interdire il passaggio al naviglio avversario in quel importante tratto di mare. La preoccupazione americana è più che fondata stante il rapporto privilegiato che lega la Cambogia alla Cina. A margine di ingenti investimenti nel quadro della Belt and Road, e al fatto che Pechino detiene circa 6 miliardi di dollari di debito pubblico cambogiano, i due Paesi hanno stretti rapporti anche di tipo militare. Non è infatti un segreto che la Cina abbia fornito supporto nel rafforzamento delle capacità navali cambogiane sia finanziando l’acquisto di pattugliatori sia provvedendo alla modernizzazione della base navale di Ream. Senza dimenticare l’esercitazione congiunta che si è tenuta nel 2016: una prima assoluta nei rapporti tra i due Paesi.

Il quadro strategico si infittisce.
A nulla sono valse le rassicurazioni da parte del governo cambogiano per bocca del premier Hun Sen, che immediatamente dopo il vertice di Singapore ha inviato una lettera in risposta a quella di Mike Pence in cui il vice presidente americano sollevava le proprie preoccupazioni. “La Costituzione cambogiana vieta la presenza di truppe o di basi militari nel nostro territorio, siano esse forze navali, di terra o aeree” sono state le parole di Hun Sen alla stampa internazionale. “Si tratta solo di una mistificazione della realtà” ha poi aggiunto. Resta però il fatto che i legami tra Phnom Penh e Pechino sono molto stretti: a giugno di quest’anno la Cina ha siglato un contratto di ulteriori 100 milioni di dollari per modernizzare le Forze Armate cambogiane. Risulta chiaro che un porto di tale grandezza e importanza possa venire utilizzato per uno scopo doppio che prevederà anche l’attracco di navi militari e dati i rapporti tra i due Paesi c’è il forte sospetto che questo possa accadere al di là delle rassicurazioni del governo cambogiano. Non sarebbe infatti così strano se la Cina decidesse di sfruttare la propria penetrazione commerciale anche per finalità militari, soprattutto avendo presente che la sua politica della “Filo di perle” volta a costruire basi navali lungo la rotta che va dal Mar Cinese Orientale sino al Mediterraneo passando per l’Oceano Indiano prevede appunto questa possibilità. Il sospetto che si possa assistere ad una tale eventualità viene soprattutto se pensiamo alla posizione strategica della Cambogia e al fatto che la Cina potrebbe sentirsi minacciata dalla possibile costruzione di una base navale indiana nello Stretto della Malacca – che seguirebbe le stesse modalità che si temono per il caso cambogiano. Base navale che andrebbe ad aggiungersi alla presenza navale americana in quel settore del globo e che quindi contribuisce ad aumentare i timori cinesi di vedere limitati i propri desideri di espansione.

Fonte: http://www.occhidellaguerra.it

 

 

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