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Le armi simbolo della sua sfida sono i missili e le testate nucleari. Ma la vera forza di Kim Jong Un è il suo «mondo di sotto». Un regno delle viscere creato dopo la guerra degli anni ’50, quando i bombardamenti americani rasero al suolo città, campagne e industrie della Corea del Nord. Nel 1953 la ricostruzione, voluta da Kim Il Sung, progenitore della dinastia rossa e nonno dell’attuale dittatore, puntò a un doppio obbiettivo. Da una parte far rinascere città e industrie, dall’altra crearne una sorta d’invisibile copia sotterranea in cui nascondere il complesso militare e industriale, rendendolo invulnerabile agli attacchi. «L’intera nazione deve diventare una fortezza, dobbiamo seppellirci sottoterra per proteggerci», scriveva nel 1963 Kim Il Sung.

 

 

Così oggi dopo 70 anni di scavi super segreti, Pyongyang controlla un mondo sotterraneo progettato per garantire l’invulnerabilità degli insediamenti industriali, delle forze armate e di tutto l’apparato strategico nordcoreano. In quell’immensa ragnatela di tunnel, gallerie e rifugi si muovono e si addestrano 180mila commandos-fulmine, uno dei corpi d’élite più numerosi ma meno visibili del pianeta. Lì si ampliano e si moltiplicano installazioni missilistiche e siti nucleari. Lì si celano i depositi di armi chimiche e batteriologiche accumulati in settant’anni. Lì si diramano i cunicoli su cui si muovono cannoni e missili, pronti ad emergere dalle grotte artificiali scavate nei fianchi delle montagne che si affacciano sulla Corea del Sud. In quel mondo di sotto si cela insomma la potenza militare di Pyongyang. Una potenza militare di cui è difficile stimare entità ed efficienza, ma capace in teoria di infliggere perdite pesantissime alle forze americane e a quelle di Seul.

 

 

All’origine di tutto vi sono le tecniche di costruzione dei tunnel sotterranei, apprese dagli alleati della Cina comunista. Tecniche di cui i coreani fecero tesoro trasformandosi nei nuovi maestri delle viscere. E infatti, proprio grazie ai consigli di un centinaio di istruttori di Pyongyang, i vietcong svilupparono quella rete di tunnel rivelatasi la vera spina nel fianco degli americani in Vietnam. E nei decenni sono sempre i nordcoreani a insegnare la stessa tecnica agli iraniani, che poi la trasferiranno a Hezbollah ed a Hamas, contribuendo alla sua diffusione in seno alle formazioni del terrorismo islamist,a fino ad arrivare ai tunnel utilizzati dall’Isis a Mosul e a Raqqa. Ma quanto si è visto nelle basi dell’Isis o a Gaza è poca cosa rispetto alla gruviera nascosta della Corea del Nord. Secondo il Pentagono sotto la zona demilitarizzata si snodano una ventina di tunnel abbastanza larghi da consentire il passaggio di 15mila soldati all’ora, e garantire la loro infiltrazione in vaste aree del sud. Ogni tunnel ha entrate in grado di resistere ad attacchi chimici, un sistema di areazione autonomo e segue percorsi a zig zag, con comparti di sicurezza sigillati per bloccare tentativi di allagamento o attacchi a colpi di lanciafiamme. Ma quella propaggine offensiva è solo lo sbocco finale di un mondo delle tenebre che si apre già sotto Pyongyang. Una delle sue porte è la metropolitana della capitale. Scavata a 110 metri di profondità, è progettata per trasformarsi in un bunker nucleare ed è collegata a una pista parzialmente sotterrata dell’aeroporto, da cui garantire la fuga dei vertici del Paese. Dalle stazioni del metro, di cui non esistono mappe ufficiali, si diramano collegamenti con i siti nucleari e missilistici e con almeno 10mila insediamenti industriali. Stando al racconto d’un disertore fuggito nel 1996, lui e gli altri addetti alle costruzioni di questi siti s’erano impegnati a lavorare nel sottosuolo fino a 60 anni, a sposare solamente lavoratrici dello stesso sito e a non uscire mai dal villaggio in superficie a loro riservato. E il clima di segretezza imposto ai lavoratori era tale che, nonostante gli anni passati in quel luogo, il disertore non è mai riuscito a capire di cosa si occupasse. «Alcuni dicevano che il complesso serviva alla costruzione di armi chimiche, ma nessuno lo ha mai compreso veramente e nessuno - ha raccontato – si è mai sognato di chiederlo».

 

 

Di certo il sottosuolo nasconde le 17 fabbriche d’armi che sfornano ogni anno 20mila mitragliatori kalashnikov e 3.000 pezzi d’artiglieria. Cinque impianti sotterranei sono invece destinati alla produzione annuale di 200 carri armati e 400 blindati, oltre a numerosi hovercraft anfibi. Altri 3 impianti garantiscono l’approvvigionamento di munizioni, mentre 8 siti super segreti sono riservati alla produzione di testate chimiche o batteriologiche. Secondo molti esperti neppure l’uso di bombe nucleari tattiche garantisce la distruzione di questi siti strategici, collegati da 500 chilometri di tunnel e scavati sotto 80 metri di roccia. La B-61 modello 11, un’arma nucleare con una potenza modulabile da 1 a 100 chilotoni, ne ha bisogno di almeno 10 per garantire il risultato. La ricaduta nucleare generata dalla sua esplosione rischierebbe però d’arrivare fino al Giappone. E la Gbu 20, una bomba convenzionale da oltre duemila chili studiata per penetrare i bunker fino a 30 metri, rischia di rivelarsi altrettanto inefficace. I tempi lunghi necessari ad annientare il mondo di sotto di Kim Jong Un darebbero quasi sicuramente la possibilità al giovane dittatore di rispondere con salve di missili e di artiglieria, accompagnate da una massiccia infiltrazione di commandos. Le 180mila unità delle forze speciali restano, a dispetto del numero superiore a quelle statunitensi, un corpo altamente selezionato e super motivato. Per il poco che se ne sa, i commandos-fulmine sono addestrati a creare una serie di fronti secondari dietro le prime linee americane e sudcoreane, e a penetrare i centri industriali e le città attaccando obbiettivi civili e militari. «Queste forze speciali – annotava nel 2015 un rapporto del Dipartimento della Difesa Usa destinato al Congresso – operano come unità specializzate nelle operazioni di ricognizione, infiltrazioni da mare e cielo ed operazioni di commando. Tutte privilegiano velocità e sorpresa per portare a termine le loro missioni».

 

 

Infatti, oltre a muoversi nei tunnel sotterranei, i commandos-fulmine hanno sperimentato piccoli aerei di legno invisibili ai radar, mini sommergibili e potenti hovercraft per raggiungere a sorpresa i due lati costieri del Sud. Ma per muoversi tra i picchi rocciosi del nord i fulmine pedalano (unica unità al mondo oltre a quelle svizzere) in sella a mountain bike in grado di superare boschi e torrenti. E a dimostrazione delle loro capacità e delle loro motivazioni viene ricordato l’episodio del settembre 1996, quando un sottomarino nord coreano (mandato a recuperare una coppia d’incursori reduci da un’infiltrazione nei territori di Seul) restò incagliato davanti alle coste sud coreane, costringendo allo sbarco i due commandos e l’equipaggio. Mentre l’equipaggio si arrese, i due uomini delle forze speciali tennero in scacco per 50 giorni le forze di Seul mandate a catturarli, uccidendo 11 militari sudcoreani. Una lezione che a Seul nessuno ha mai dimenticato.

Fonte: http://www.occhidellaguerra.it

 

 

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