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La comunione d’intenti tra Russia e Cina sembra sempre più solida, ma il costante afflusso di cinesi che attraversano il confine dell’estremo oriente russo gravando su quel territorio scarsamente popolato potrebbe compromettere l’equilibrio tra i due giganti asiatici e creare qualche problema in futuro.

A prima vista cosa ci potrebbe mai essere di più diverso tra le soleggiate, celebri e agognate spiagge della California rispetto alle remote, ghiacciate e dimenticate coste dell’estremo oriente russo? Eppure le due sponde condividono molto di più che lo stesso, immenso, Oceano Pacifico.

Per poter comprendere il lunghissimo fil rouge che lega Vladivostok e San Diego occorre fare una breve digressione alle cronache americane di una settimana fa, dove in California (stato più popoloso degli Stati Uniti e regina della “West Coast”) troneggiava l’ufficialità del tanto atteso sorpasso demografico degli ispanici rispetto ai “bianchi non ispanici”.

La notizia è stata accolta dall’opinione pubblica americana con una mitezza che sorprende dopo anni di dibattiti, cronache e paranoie sull’inarrestabile ispanizzazione del paese. Sarà stata la consapevolezza che il sorpasso era ormai una questione inevitabile, o forse saranno stati altri dati demografici – quelli attuali – che dipingono una comunità ispanica sempre meno isolata rispetto al tessuto sociale del paese e che sembra ormai parte integrata del melting pot americano. La sola certezza è che al momento vengono smentite tutte le previsioni apocalittiche che vedevano nel sorpasso il preludio a conflitti interni alla nazione a causa dello sconvolgimento demografico nel Sud-Ovest americano (dove si concentra in massa la comunità ispanica), tra i quali spiccano certamente quelle di Samuel P. Huntington, che vent’anni or sono vedeva per gli Stati Uniti o una balcanizzazione nelle sue regioni sud orientali o, addirittura, una progressiva dissoluzione dell’identità culturale e sociale dell’intera nazione.

Cosa c’entra in tutto questo la remota sponda pacifica russa rispetto alla sempre più latina corrispettiva americana? C’entra eccome in quanto, con molto meno clamore mediatico, un fenomeno molto simile sta contemporaneamente interessando la Russia e la sua estrema propaggine orientale, delimitata dalla Cina e dalle rive del fiume Amur. Sempre più cinesi infatti decidono di oltrepassare il fiume e sistemarsi in Russia, complice una situazione in cui una regione immensa, e con un crescente bisogno di manodopera per l’industria estrattiva, ora più che mai fatica a rimpinguare quel pugno di milioni di abitanti che abitano quelle terre sconfinate.

Mosca non intende fare una conta precisa dei cinesi presenti oltre confine, ma esistono delle stime del "Moscow Carnegie Center", aggiornate all’anno scorso, che parlano di 5 milioni di cinesi irregolarmente entrati in Russia. Il fenomeno, in costante ascesa sin dalla caduta dell’Unione Sovietica, è sotto l’occhio vigile degli analisti per ragioni molto simili a quelle che rendono ancora oggi la California e tutto il Sud Ovest americano un “osservato speciale”.

Una delle ragioni principali difatti per la quale Hungtinton temeva la crescente ispanizzazione della regione è di carattere storico. Tra gli ispanici statunitensi la comunità preponderante proviene dal confinante Messico. La particolarità segnalata dal teorico dello scontro di civiltà e da molti altri analisti è che in origine quei territori erano sotto il controllo del Messico, ereditato dalla colonizzazione spagnola del continente. A seguito della guerra tra Messico e Stati Uniti tra il 1846 e il 1848, il Messico sconfitto cedette sotto indennizzo, un terzo del proprio territorio all’Unione, stabilendo come nuova linea di confine tra i due paesi il corso del fiume Rio Grande, com’è ancora oggi. Quei territori, allora scarsamente popolati, perlopiù da tribù indiane locali, furono da lì a pochi anni investiti da colossali fenomeni migratori di massa quali la corsa all’oro in California.

Questo colossale spostamento di americani, perlopiù “bianchi” verso quei territori selvaggi, che tutti noi conosciamo grazie alle innumerevoli raffigurazioni del “Far West”, aveva sostanzialmente eclissato l’allora scarsa impronta messicana di quelle terre, destinata tuttavia a ripresentarsi con numeri molto importanti più di un secolo dopo. Numeri tali che secondo diverse interpretazioni (nonchè timori americani) potrebbero spingere l’opinione pubblica messicana da entrambe le sponde del Rio Grande a rivendicare territori in California, Nevada, Arizona, Utah e Texas.

Qualcosa di sorprendentemente simile accadde, sempre verso la metà del XIX Secolo, dall’altra parte dell’Oceano Pacifico. Molte delle terre a Nord dell’Amur erano formalmente soggette al dominio dell’Impero Cinese della dinastia Qing. Tuttavia la scarsità di popolazione e l’inospitalità di quelle regioni erano tali che quando i primi coloni russi raggiunsero quelle lande non c’era sostanzialmente traccia dell’autorità cinese; proprio come per il Sud Ovest Americano dell’epoca, dove non c’era quasi traccia di presenza umana a parte qualche tribù nomade locale. Fu sotto la spinta dei coloni e l’opportunità da parte della Russia di porsi in posizione di forza nei confronti del decadente Impero Cinese, allora fiaccato dalla “Rivolta dei Taiping” e alle prese con la fallimentare “Seconda Guerra dell’Oppio”, che vennero stabiliti confini definitivi tra i due imperi a tutto vantaggio dei russi per mezzo dei trattati di Arguin e Pechino (1858 e 1860), che fissarono la frontiera sulle rive del fiume Amur. Alla Russia più che i circa 600.000 chilometri quadrati di nuovo territorio acquisito (praticamente disabitato) interessava la possibilità di poter fondare un porto sull’Oceano Pacifico libero tutto l’anno dai ghiacci, porto che oggi tutti noi conosciamo come Vladivostok.

Per la Russia l’epopea del “Far East” – a noi meno nota rispetto al “Far West” americano, di cui ci rimane solo qualche simbolo quale la ferrovia transiberiana – fu speculare e importante tanto quanto quella americana e contribuì a formare l’identità nazionale contemporanea, soprattutto in quei momenti dove la Russia, diplomaticamente e culturalmente, intendeva distinguersi dal teatro europeo esaltando la sua natura di grande piattaforma asiatica.

Oggi, agli albori del “Secolo del Pacifico”, dove il più grande oceano del mondo non costituirà più una colossale frontiera tra blocchi continentali, ma il centro pulsante dei traffici, degli interessi e delle problematiche politiche di domani, la Russia più che mai riscopre il suo amore verso quelle sue remote lande. Lande che si svelano sempre più ricche di minerali e giacimenti di idrocarburi strategici fondamentali, i quali costituiscono non solo un’inestimabile fonte di ricchezza (e l’unico volano dell’espansione economica russa), ma una vera e propria arma che consente alla Russia d’imporsi su più scacchieri internazionali con molta più efficacia rispetto alle sue riserve di arsenale nucleare. Non sorprende dunque come l’idea di un Estremo Oriente russo minacciato da una sempre maggior presenza cinese susciti paure e paranoie da parte russa, magari meno rumorose a quelle speculari degli americani verso la “reconquista” messicana ma, probabilmente, più profonde e prese sul serio anche nelle stanze dei bottoni del Cremlino.

Nonostante ciò, l’alleanza d’intenti tra Russia e Cina sembra più che mai solida. Ma cosa teme Mosca?

Innanzitutto il carattere endemico di ogni matrimonio d’interesse, che tra nazioni e, soprattutto, imperi, tende ad avere una longevità persino minore rispetto a quello tra star di Hollywood. E se il matrimonio si dovesse rompere, i cocci (in questo caso il crescente numero di cinesi oltre confine), potrebbero tagliare in profondità se maneggiati da una mano maldestra. Dall’altra sponda invece il Messico non si limita a restare un alleato di punta per gli Stati Uniti, ma spinge sempre più verso un’integrazione economica, sociale e politica tra le tre grandi nazioni nordamericane, già riunite nel NAFTA, un progetto in grado di disinnescare del tutto qualsivoglia bomba demografica aldilà del Rio Grande, qualcosa che tra Russia e Cina sarebbe pura fantascienza nel medio periodo.

In secondo luogo numeri e proporzioni impongono Mosca di restare più guardinga di Washington. Negli Stati Uniti sembra ormai assodato che l’espansione ispanica e nella fattispecie messicana abbia raggiunto il suo apice qualche anno addietro e da ora in poi sia destinata a calare progressivamente sia per i tassi di natalità di molti paesi latino americani (paragonabili a quelli statunitensi) sia per l’ascesa economica della regione e in particolar modo proprio del Messico, che pur con le sue gravi instabilità interne sembra destinato a diventare una potenza associabile agli altri BRICS. Questo apice vede attualmente circa trenta milioni di cittadini americani d’origine messicana. Un decimo della popolazione statunitense e quasi un terzo di quella messicana e sono più di un terzo i messicani che abitano in California e in Texas. Proporzioni impressionanti che se non creano sconvolgimenti ora che hanno raggiunto il loro culmine, quindi è ragionevole dedurre che non lo faranno in futuro, soprattutto in uno scenario dove gli Stati Uniti nonostante la penetrazione messicana al suo interno, vantano un numero di abitanti tre volte superiore a quello del suo vicino meridionale.

Cifre molte diverse invece intercorrono tra Russia e Cina, dove la prima costituisce meno di un decimo della popolazione della seconda. Seppure la Cina da tempo sia stagnante dal punto di vista demografico, può vantare un capitale umano incomparabile rispetto ai meno di sette milioni di abitanti dell’Estremo Oriente russo. In più occasioni governatori e ufficiali russi locali hanno denunciato la fiumana cinese che nel giro di pochi mesi ha sconvolto il panorama della regione; la più recente ha portato un milione e mezzo di cinesi presenti illegalmente nella regione nell’arco di soli diciotto mesi passati dal luglio del 2014. Questo, di fronte ai censimenti ufficiali del governo che, al contrario, minimizzano la presenza cinese a poche decine di migliaia, contribuisce a creare un clima di confusione e, naturalmente, a gettare benzina sul fuoco sulle paranoie di analisti e opinione pubblica.

L’ultima e forse più concreta ragione risiede nel fatto che ciò che più temono i russi è lo stesso fenomeno che potrebbe garantire la salvaguardia dei confini nel caso in cui accada per davvero uno sconvolgimento demografico nell’Estremo Oriente, a favore cinese. La mentalità strategica cinese, forgiata da millenni di cultura confunciana oltre che dalla ferma convinzione di risiedere al centro del Mondo, raramente punta all’acquisizione diretta di nuovi territori, dal momento in cui ciò che davvero conta è instaurare un rapporto gerarchico di subalternità tra le nazioni confinanti (e nel nostro mondo globalizzato oggi il confinante sta anche nell’altro capo del globo). Pechino, in quest’ipotetico futuro dove da una sponda all’altra del fiume Amur si potrebbe chiacchierare amabilmente del più e del meno in mandarino, potrebbe avere tutto l’interesse a preservare, anzi a coccolare l’orgoglio russo di vedere la bandiera panslava sventolare sulle sponde del Pacifico se ciò le garantisse, ad esempio, il controllo sostanziale delle ricchissime risorse presenti nella Siberia Orientale.

Per la Cina non sarebbe niente da nuovo: da secoli è in grado di utilizzare il peso delle sue comunità “oltremare” per influenzare gli equilibri economici e politici del paese “ospitante”, tra i quali i casi di spicco sono certamente Malesia e Indonesia, quest’ultimo un gigante da più di duecento milioni di abitanti, la cui influenza della piccola minoranza cinese è tale (reale o percepita che fosse), da aver scatenato vere e proprie rivolte in passato da parte della popolazione locale infuriata.

La Russia dal canto suo ha più che mai bisogno della sua estrema periferia la quale, suo malgrado, potrebbe riscoprirsi come prossima periferia per una Cina intenzionata a diventare il centro gravitazionale del pianeta, una situazione che per la mentalità strategica cinese non sarebbe altro che il ritorno alla sua storica posizione e visione di sé. Per Mosca invece la posta in palio è forse ancora più cruciale poiché, sulle rive dell’Amur e sui suoi equilibri (anche demografici) si giocherà il suo status di potenza globale nel prossimo futuro.

Fonte: http://www.thezeppelin.org

 

 

“Come arginare l’irrompere delle masse cinesi che non inonderanno soltanto la Siberia, compresi i nuovi possedimenti dell’Asia centrale, ma dilagheranno oltre gli Urali, fino al Volga?” Bakunin, "Stato e anarchia."

Bakunin, nel suo "Stato e anarchia", scritto nel 1873, aveva giustamente profetizzato diversi avvenimenti storici, che si verificarono nel secolo successivo, come l’eccessiva violenza e zelo dell’esercito e del popolo tedesco, come l’impossibilità della Russia zarista di condurre una guerra contro la Germania e tra tante analisi azzeccate, una ancora non si è verificata, ma a nostro avviso, presto potrebbe accadere, cioè l’invasione cinese della Siberia e della Russia estremo-orientale. Facciamo una piccola premessa. La Cina non è un alleato della Russia ma un paese con attualmente dei buoni rapporti diplomatici, ma niente di più. Non c’è tra Russia e Cina un’alleanza militare con cui si difendono l’un l’altro come i paesi della NATO. Detto questo, anche recentemente, la Cina si è astenuta nella risoluzione contro l’annessione russa della Crimea. Inoltre ricordiamo come i due paesi, in passato, abbiamo anche avuto dei limitati conflitti militari, quindi i rapporti non furono mai idilliaci. E proprio su questa linea è da vedere il forte avvicinamento tra Russia ed India, due paesi confinanti con la Cina che stanno sentendo sempre di più il fiato del dragone cinese sul collo.

Fatta questa premessa, ora analizziamo insieme la situazione, ed ognuno tragga da sé le proprie conclusioni: da una parte gli Stati Uniti mettono fine all’embargo ad un tradizionale alleato della Russia, Cuba, con il chiaro intento di consolidare il proprio ruolo di potenza egemone nel continente americano e di sottrarre alleati alla Russia. Dall’altro capo, abbiamo un paese, la Cina, che vuole diventare la potenza egemone dell’Asia, ha una popolazione enorme in continua crescita, ha bisogno vorace quindi di spazio, di gas, petrolio e materie prime ed è circondata da paesi sovraffollati che non gli possono offrire nessuna consistente risorsa energetica. L’unico paese confinante, pieno di risorse e praticamente vuoto è la Russia. Credo che senza scomodare considerazioni geopolitiche complesse, solo per un principio osmotico, la Cina ha bisogno della Russia estremo-orientale, come la Germania nazista aveva bisogno del suo spazio vitale. A queste considerazioni è da sommare la graduale invasione migratoria dei cinesi in queste regioni russe e le rivendicazioni indipendentiste della Siberia. Inoltre, Russia e Cina sono rivali perché la prima punta all’espansione dell’Unione Euroasiatica e la seconda all’espansione della Silk Road Economic Belt. E non dimentichiamoci che la Cina ha bisogno dell’Occidente per poter continuare la propria crescita economica, ha bisogno dei compratori, mentre della Russia ha bisogno delle sue risorse ed è strategicamente più sensato conquistare le risorse e tenere buoni rapporti con i compratori. Ed ancora, eliminata la Russia in Asia, rimarrebbe solo l’India come serio rivale all’egemonia cinese.

Alla luce di queste considerazioni, la strategia occidentale tesa a distruggere economicamente la Russia e l’incremento della pressione militare ai confini, più che ad un cambio di regime immediato ha lo scopo di spingere Putin ad una guerra in Europa Orientale e a fargli commettere un passo falso. O almeno a creare la situazione giusta in cui organizzare un evento tragico a cui dare la colpa al Cremlino, sullo stile dell’abbattimento dell’aereo malese. Una volta impegnato Putin in una guerra ibrida o aperta di vaste proporzioni in Europa Orientale, probabilmente nell’enorme territorio russo la povertà aumenterà in maniera esponenziale e il sostegno allo Zar inizierà sempre più a diminuire. A questo punto, la Cina potrebbe sfruttare l’occasione o per invadere direttamente la Russia, magari appoggiando una risoluzione dell’ONU in tal senso o a causa di una qualche divergenza sulle forniture di gas, oppure sobillando ed aiutando le popolazioni non etnicamente russe presenti nella Russia dell’est,(a questo proposito rimandiamo al nostro articolo "La Russia verso la frammentazione") a rivoltarsi, con lo scopo di creare una serie di stati indipendenti facilmente assimilabili dalla Cina; quindi utilizzando la stessa tattica usata da Putin in Crimea. A sostegno della nostra tesi c’è anche il fatto che il cannone finanziario internazionale si sia scagliato ultimamente contro la Russia mentre contro la Cina ancora no. Non è da escludere che Occidente e Cina non abbiano intavolato una trattativa per spartirsi la Russia, come fecero Germania e Unione Sovietica nei confronti della Polonia nella Seconda Guerra Mondiale. Una trattativa che lascerebbe la Russia orientale nelle mani della Cina e, a quel punto, probabilmente nella Russia occidentale, privata delle proprie risorse economiche principali, ci sarebbe un cambio di regime favorevole all’espansione definitiva dell’Unione Europea a tutta l’Europa geografica, come già sostenuto nell’articolo "La lunga marcia dell’Eurocrazia".

Molti lettori sicuramente obietteranno che questa è follia, che Russia e Cina sono alleate contro gli USA e via dicendo, ma io non sottovaluterei l’intelligenza strategica e l’amoralità della classe dirigente cinese ed inoltre, la Storia è piena di cambi di alleanza e tradimenti, come l’attacco dell’Italia all’Austria nella Prima Guerra Mondiale o l’invasione tedesca della Russia dopo la spartizione della Polonia. Concludiamo dicendo ad ognuno di monitorare con la propria testa l’evoluzione di queste situazioni geopolitiche; a nostro avviso l’ostilità della Cina nei confronti della Russia non è questione di se ma di quando.

Fonte: http://www.hescaton.com

 

 

La Russia ha lanciato un programma per affittare ai cinesi ampie porzioni di terreni siberiani disabitati. Non solo ai cinesi, a dire il vero, ma soprattutto a loro. Il progetto dovrebbe rafforzare l'amicizia tra i due Paesi e al tempo stesso riempire le casse del governo centrale e di quelli regionali russi, mentre sul lato cinese darebbe sfogo alla pressione demografica e aumenterebbe la sicurezza alimentare.

È la tipica soluzione win-win che i media corporate occidentali – ultimo il New York Times pochi giorni fa – hanno sempre dipinto come “invasione” della Siberia da parte delle cavallette cinesi, cioè potenziale fonte di tensioni tra Mosca e Pechino. Ora, è invece lo stesso Putin a tenere a battesimo il progetto.

La mente del piano è il vice Primo ministro russo, nonché responsabile per lo politiche orientali, Yuri Trutnev, secondo cui un pezzetto di Siberia orientale potrebbe essere utilizzato per “l'agricoltura, lo sviluppo degli affari, la silvicoltura o la caccia”. Il governo di Mosca possiede vaste estensioni di terreni demaniali sotto-utilizzati, soprattutto a oriente, e vorrebbe usarne 614 milioni di ettari, cioè oltre 6mila chilometri quadrati, per prendere i classici tre piccioni con una fava: rimpinguare le casse statali; sfamare la popolazione che comincia a subire gli effetti della crisi indotta dal crollo del rublo; riempire territori vuoti ed esposti a invasioni - vere o presunte - altrui. In tutta la Siberia, vivono circa 38 milioni di russi.

Il programma dà quindi precedenza ai compatrioti: ogni residente in Russia avrà diritto a un ettaro di terreno libero; ma in base al successo dell'offerta, la quantità potrebbe aumentare. Le terre non saranno invece vendute o cedute in forma definitiva a cittadini stranieri; affittate sì. Si tratta di una precisazione importante – da parte di Mosca - perché imprese cinesi, giapponesi e sudcoreane stanno da tempo investendo massicciamente e ampliando la propria sfera d'influenza proprio in Siberia orientale. A oggi, la legge russa consente agli stranieri di possedere terreni non destinati all'agricoltura a condizione che non confinino con qualche Paese limitrofo.

È soprattutto la Cina a scommettere da tempo sulla regione: nel 2014, la China Development Bank ha lanciato investimenti per 5 miliardi dollari in progetti infrastrutturali siberiani. Questo, al netto dei due grandi gasdotti in costruzione, frutto degli accordi tra Putin e Xi Jinping. C'è poi la componente umana: un giovane uiguro, cioè membro della minoranza turcofona dello Xinjiang non sempre in idilliaci rapporti con Pechino, ha detto allo scrivente: “Ecco dove finiranno per spedirci”. Un po' scherzava, un po' forse no.

Il confine tra i due giganti di Eurasia si estende per quasi 4.500 chilometri, lungo i quali circa 6 milioni di russi fronteggiano 90 milioni di cinesi. Oltre a commercio e investimenti transfrontalieri, i matrimoni misti sono già diffusi e, sottolinea il New York Times, per i siberiani Pechino è decisamente più vicina di Mosca. Insomma, c'è un rischio di lenta colonizzazione, o assimilazione che dir si voglia.

Nelle intenzioni russe e contro gli auspici del corporate outlet statunitense, i cinesi dovrebbero però essere tenuti a bada grazie a uno scambio che farebbe tutti felici e contenti: i residenti locali affitteranno loro alcuni dei terreni e dal commercio trarranno beneficio pure i bilanci delle amministrazioni siberiane. Al contempo, le remote regioni orientali potrebbero diventare il principale esportatore di cibo organico sia per la Russia, sia per la Cina stessa, alle prese con il suo grande processo di urbanizzazione e a corto di terreni agricoli per riempire lo stomaco di duecento milioni di neo-inurbati.

Putin ha dato pieno supporto al piano, citando un precedente storico: “L'idea è sana ed è già stata attuata”, avrebbe detto il presidente, secondo il sito del Cremlino. Allude alla campagna delle “Terre Vergini” lanciata dall'Unione Sovietica degli anni Cinquanta, quando in una grande “avventura socialista”, centinaia di migliaia di giovani volontari si trasferirono in Siberia e in Kazakistan per coltivare la terra. I risultati furono altalenanti, ma è rimasta scolpita nell'epica del Paese più grande del mondo.

Esposta al duplice attacco della Nato e dei sauditi sul fronte delle sanzioni economiche e dell'abbattimento dei prezzi petroliferi, Mosca riscopre dunque l'epopea socialista mentre strizza l'occhio a Pechino, utilizzando la risorsa di cui ha maggiore disponibilità: la terra. Nikolai Simonov, che è ministro dell'Industria, del Commercio e dello Sviluppo Economico per la regione di Novosibirsk, ha invitato la cittadinanza a piantare patate, dato che il crollo del rublo ha già determinato un rialzo dei prezzi alimentari: “Credo che dovremmo chiedere alle persone di tornare agli orti – ha detto – che sono stati dimenticati e abbandonati da molti. Dobbiamo risolvere il problema dell'approvvigionamento di patate in modo calmo, senza panico”.

Fu Pietro il Grande a introdurre la patata in Russia 300 anni fa. All'inizio fu respinta dalla superstizione popolare come “mela del diavolo”, ma poi divenne ingrediente chiave della dieta base – vodka compresa – e ha da allora salvato milioni di vite durante le ricorrenti carestie d'epoca zarista e poi sovietica.

La Russia fu la prima produttrice mondiale di patate fino alla fine dell'Unione Sovietica nel 1990, quando è stata spodestata - indovinate un po' - dalla Cina (India al secondo posto). Dati recenti mostrano circa 30 milioni di tonnellate di patate sono prodotte in Russia ogni anno, anche se il numero è in calo. Al culmine dell'era sovietica, più di un terzo delle patate erano coltivate in aziende agricole specializzate, statali o collettive; ora solo il 13 per cento è prodotto dalle imprese, mentre il 79 per cento cresce nei giardini e negli orti della gente comune.

Forse, i prossimi piantatori di patate siberiane saranno soprattutto cinesi.

Fonte: http://www.china-files.com

 

 

Il diseguale sviluppo di Cina e Russia è considerato una delle più grandi sfide per l’evolversi dei futuri legami bilaterali tra i due Paesi. Tra gli accademici russi lo scetticismo concernente la prospettiva delle relazioni sino-russe è sempre esistito. Alla luce dei recenti sviluppi, ci sono nuove connotazioni e la visione popolare della materia ha adesso nuova nitidezza. Per assicurare che la relazione tra Cina e Russia rimanga vibrante e durevole nel tempo, la relazione bilaterale ha bisogno di essere aggiornata e nuovi elementi necessitano di essere aggiunti in agenda.

La confusione russa nei riguardi della Cina.
Dmitrij Trenin, direttore del Carnegie Moscow Center, crede che prima della fine del ventesimo secolo ci sia stato un drammatico scambio di posizioni tra Cina e Russia: la Russia finiva in una posizione di debolezza dopo essere stata in una di forza, mentre, al contrario, la Cina stava divenendo più forte dopo essere stata in una posizione più debole. Prima del collasso dell’Unione Sovietica, il PIL cinese era solamente un terzo di quello russo; verso la fine degli anni Novanta, il divario tra i due Paesi cominciò a farsi più stretto, mentre adesso il PIL della Cina è quattro volte quello della Russia ed è la prima volta nella storia recente che la Cina presenta un’immagine più forte di quella russa. Questa situazione è vista in Russia come un terremoto politico. La Russia si sente sempre più a disagio per il fatto di essere vicina della Cina. Sergej Karaganov, famoso esperto di relazioni internazionali, una volta disse: “non solo nel subconscio pubblico russo, ma anche nella mente delle élites, la Cina adesso è vista sempre più come una minaccia piuttosto che come un’opportunità”. Ci sono anche interpretazioni di matrice russa fortemente divergenti circa la minaccia rappresentata da Pechino.

Immigrazione: è questa la visione della minaccia più popolare: molti in Russia ritengono che la Cina sia sovrappopolata e, per la popolazione che ha, abbia uno scarso territorio e lo stesso vale per le risorse. Al contrario, la vicina Russia e la Siberia sono così diverse da essere scarsamente popolate ma con un vasto territorio e abbondanti risorse. Questa situazione rappresenta un’enorme attrazione per la Cina. L’afflusso di immigrati cinesi, legali o illegali, è difficile da gestire: alcuni esperti sono preoccupati dal fatto che gli immigrati cinesi supereranno in numero i russi che vivono e risiedono nell’estremo oriente del territorio russo.

Espansione economica: questa visione considera le attività economiche cinesi nelle regioni situate all’estremo est e nella regione siberiana come una minaccia alla Russia. Coloro che aderiscono a questa posizione credono che lo sviluppo della Cina in queste zone sia pericoloso per la Russia e che l’area potrebbe, eventualmente, finire sotto il dominio economico cinese. Qualcuno lo chiama “colonialismo” cinese. Il pericolo economico, insieme con quello relativo all’immigrazione, potrebbe minare alla base il controllo russo sulla regione e mettervi in serio pericolo la sovranità russa.

Pericolo territoriale: la Cina e la Russia hanno risolto tutte le loro dispute territoriali, così come è stato riconosciuto dalle due parti con un accordo bilaterale del 2004 relativo ai 4.300 chilometri di confine del settore orientale. Nonostante questo, la paura russa relativa alla minaccia territoriale cinese esiste tutt’ora. Durante le trattative per le intese sui confini siglate a metà XIX secolo la Cina, pur riconoscendone il valore legale, ha sempre considerato gli accordi come qualcosa di imposto: nella logica russa, il fatto che la Cina consideri i trattati ineguali, allude alla negazione della legittimità del trattato da parte cinese. Pertanto, in Russia si è molto sensibili a come l’opinione pubblica cinese guarda al tema dell’iniquità dei trattati, temendo che si prefiguri il rifiuto di questi storici trattati una volta che la Cina diverrà più forte.

Minaccia di espansione: questa visione crede che inevitabilmente la Cina si espanderà e conclude con l’assunto che la Cina occuperà la Siberia e le regioni orientali: l’occupazione di queste non sarà ottenuta tramite mezzi pacifici come l’immigrazione e l’espansione economica ma, bensì, con la forza. Alexander Khramchiklin, capo del dipartimento analitico dell’Istituto di Analisi Politica e Militare, è il rappresentante principale di questa tesi che è piuttosto estrema, non largamente accettata e fortemente criticata anche all’interno della stessa Federazione Russa.

Oltre alle minacce di “tipo classico” sopra menzionate, quando si verificano circostanze per cui il gap tra i due Paesi si allarga, gli accademici russi sviluppano nuove interpretazioni finalizzate alla comprensione del pericolo cinese.

Minaccia di tipo nuovo: questa tesi prende le distanze da quella che vede la minaccia provenire da una possibile aggressione cinese di tipo militare tradizionale e non condivide neppure i punti di quella che vede la minaccia arrivare dal pericolo dell’immigrazione cinese verso le regioni della Siberia e orientali. Karaganov è il personaggio di spicco che sostiene questa tesi e asserisce che il pericolo cinese verso la Russia sia di un tipo nuovo, completamente differente rispetto agli altri. La Russia probabilmente diventerà “l’appendice della Cina per le materie prime e per la sua condotta politica”.

La minaccia alla sicurezza strategica: questa tesi che modella la Cina come un potenziale pericolo per la Russa si basa sulla percezione della capacità piuttosto che sull’intenzione. Negli anni recenti, le comparazioni tra la potenza militare cinese e russa non sono certo state favorevoli ai russi. Le forze militari convenzionali di Pechino hanno sorpassato quelle russe e il divario tra i due Paesi per quel che riguarda le armi nucleari strategiche si è assottigliato. Le spese militari cinesi nel 2011 sono state di 601.1 miliardi di yuan. Stando alle cifre divulgate da SIPRI (Stockholm International Peace Research Institute), le spese militari russe per il 2011 sono state di 64.21 miliardi di dollari mentre quelle della Cina si assestano a 129.27 miliardi di dollari, il doppio di quelle della Russia. Lo spazio per la crescita della spesa militare cinese è ancora abbastanza grande.

Minaccia cinese alla sfera di influenza russa: la Russia vede la regione post-sovietica come propria sfera di influenza, una regione dove ha interessi particolari ma è opinione diffusa che la Cina vi abbia posto una sfida alla Russia. “I cinesi sono ovunque, e il loro panorama di business è così ampio da coprire la regione del Mar Baltico, Ucraina, Bielorussia e Moldova. Diversamente dalla nostra politica estera, il cinese porta avanti i propri affari in modo silenzioso. È un peccato che piuttosto che essere un alleato per contenere l’impatto della crescita degli Stati Uniti, la Cina sia diventata nostro competitore nella regione post-Sovietica”.

L’Asia centrale detiene la posizione più importante nelle questioni relative allo spazio postsovietico. La crescita della potenza cinese pone un importante quesito alla Russia: come fronteggiare la Cina? Molti sono coloro che ritengono che nel futuro prossimo la Cina rimpiazzerà gli Stati Uniti diventando l’economia più vasta del mondo. Molti russi credono che la competizione ed il confronto tra Cina e Russia diventerà la corrente principale. Quale parte dovrebbe prendere Mosca e quale ruolo giocare? Allo stesso tempo, la Russia è impaurita dal “G2” (Cina e USA) nel quale gli interessi russi sarebbero sacrificati dalla collusione tra Cina e Usa. Gli accademici russi non sono concordi a questo riguardo.

Allinearsi alla Cina: la Russia dovrebbe stringere i suoi legami strategici con la Cina, allinearsi con Pechino sul fronte diplomatico per controbilanciare il potere statunitense e, politicamente, dovrebbe accettare il modello cinese guardando alla Cina come modello e risorsa fisica per la modernizzazione della Russia: chi crede a questa teoria crede che la Cina sia indispensabile per lo sviluppo delle regioni orientali della Russia e della Siberia.

Contenere la Cina: questa visione prevede che la Cina non possa essere d’aiuto per la Russia nel risolvere i problemi interni di modernizzazione e nemmeno con i problemi relativi alla sicurezza. Alla luce di questo, la Cina non dovrebbe essere una priorità nella diplomazia estera della Russia: Mosca dovrebbe, piuttosto, costituire un’alleanza con i Paesi democratici in cui i suoi maggiori alleati nella regione dell’Asia pacifica dovrebbero essere Giappone, Corea del Sud e Stati Uniti. La Russia dovrebbe permettere a questi Paesi di diventare i suoi maggiori collaboratori nello sviluppo del suo far east in modo che la regione diventi uno spazio per la collaborazione tra la Russia e il Giappone, Corea del Sud e USA volta al contenimento della Cina. In termini di sicurezza, questo gruppo impone un’alleanza con USA, UE, Giappone ed India. Ovviamente, questa visione è fortemente ideologica e filosoficamente liberale e rappresenta, politicamente, un punto di vista pro-occidentale: forgiando un’alleanza con l’Occidente, il suo obiettivo vorrebbe essere contenere la Cina.

Bilanciare la Cina: sviluppare relazioni con la Cina e attribuire importanza al mantenimento di buoni rapporti tra Mosca e Pechino. Davanti al rapido crescere della Cina, la Russia ha comunque la necessità di bilanciare la Cina e di rafforzare il proprio status con l’incremento della cooperazione con gli altri Paesi; dall’altro lato, la Russia dovrebbe mantenere le distanze da Pechino per non cadere in possibili conflitti che i cinesi potrebbero avere con i paesi vicini. In questo scenario, il Giappone gioca un ruolo molto speciale: è la “Germania dell’Est” per la Russia – sia una risorsa per la modernizzazione sia un attore per offrire più spazio per trattare con la Cina. Mentre in un possibile confronto tra Cina e USA, il “bilanciamento” consisterebbe nella volontà russa di essere mediatore e copertura tra le due parti per poter massimizzare il risultato minimizzando i costi. Questa visione ha un grande impatto sulle elités russe.

Analisi essenziale e elaborazione.
Il pericolo proveniente dagli immigrati cinesi è un vecchio argomento in Russia ma risponde più ad una campagna politica piuttosto che essere basato sulla realtà fatti. Sia i funzionari che gli esperti più seri russi negano tale accusa: Konstantin Romdanovsky, direttore del Russian Federal Migration Service, dice che ogni anno entrano in Russia 13 o 14 milioni di stranieri di cui 3/4 provenienti dai paesi della CSI, 1/10 dall’UE e circa 400.000 sono cinesi. Molti stranieri rimangono per brevi periodi e solo 680.000 scelgono di rimanerci permanentemente. Il pericolo derivante dall’immigrazione cinese non esiste. Stando ai dati ufficiali citati dall’Institute of Far Eastern Studies, Accademia russa delle Scienze, ci sono circa 200.000 immigrati cinesi che vivono in Russia, lo 0.02% della popolazione russa. Uno studio dell’Istituto di Studi Strategici è arrivato alla conclusione che non c’è segno di immigrazione cinese su larga scala. La Cina non rappresenta, quindi, un pericolo diretto per l’immigrazione in Russia. La tesi chiamata “espansione economica cinese” è anch’essa pura campagna politica: come dato di fatto, le attività economiche cinesi in Russia sono tutte elaborate sotto le leggi e i regolamenti russi. Stando così le cose, le attività economiche cinesi non possono rappresentare una minaccia per la Russia e queste non permetteranno alla Cina di prendere il controllo della regione orientale. Come la globalizzazione si approfondisce, la cooperazione e l’integrazione tra aree confinanti diventa un trend naturale. Non è una sorpresa che la Cina stia incrementando la sua presenza economica e le attività in Russia, in quanto è il vicino più prossimo della Russia in Estremo Oriente. Inoltre, lo sviluppo di risorse della Cina in Estremo Oriente e in Siberia porta benefici anche all’economia russa, un fatto che è riconosciuto da alcuni esperti russi. Così, l’accusa che la Cina potrebbe occupare l’Estremo Oriente e la Siberia non è un giudizio accademicamente serio ed è una esagerazione che ignora le oggettive ragioni e le tendenze dei tempi. La tematica territoriale è delicata per la Russia ma non è niente di più che questo: delicata. Le preoccupazioni russe riguardo il fatto che la Cina possa negare i trattati storici non diventeranno reali: la Cina non ha nessuna intenzione di cambiare questi trattati. Lo storico trattato tra i due Paesi coinvolge circa 1.500 milioni di chilometri quadrati che sono legati a Russia, Kazakhstan, Kyrgyzstan e Tajikistan. Se i cinesi volessero negare questi trattati dovrebbero fronteggiare una crisi con tutti questi Paesi. Nel caso Pechino volesse produrre un qualsiasi cambiamento dello status quo causerebbe qualcosa come una guerra su ampia scala. Questa non è un’opzione praticabile per la Cina. Per quel che concerne la minaccia che abbiamo chiamato di “nuovo tipo”, questo vale più per la Russia che per la Cina: dentro la struttura economica della Russia, il settore delle risorse – energia in particolare – pesa solitamente di più. Questo è un problema a lungo termine per la Russia e la Cina non è responsabile di questo problema. Non è un problema che si presenta solo nei legami economici sino-russi ma è un fenomeno prevalente nelle attività che lega la Federazione Russa con altri Paesi. E non è gentile incolpare solo la Cina: come dato di fatto, la Cina ripone attenzione alle preoccupazioni della Russia e cerca di rendere la struttura commerciale più bilanciata ma ci vorrà molto tempo per cambiare il modello attuale e la chiave è in mano alla Russia. La teoria che vuole che la Russia diventi un’appendice della Cina non è una teoria reale, non importa quanto la Cina cresca, la Russia rimane sempre una grande Nazione. Non c’è nessun paese vicino alla Cina che diventerà una sua appendice, per non parlare di un Paese forte come la Russia. Le preoccupazioni russe circa la sicurezza strategica sono comprensibili. Comunque, nel contesto delle relazioni sino-russe, la sicurezza strategica di Mosca è pienamente garantita. Politicamente parlando, non c’è nessun motivo per la Cina di diventare un nemico. Nella sua forza militare, la Cina sta cercando di recuperare il ritardo: l’arsenale strategico cinese è molto più piccolo di quello russo e anche come armamenti è dietro: la Cina, al momento, importa velivoli, sottomarini, navi da guerra e missili dalla Russia, un fatto che prova inoltre che la Russia ha un notevole vantaggio in questo campo. Nel futuro, la Cina avrà l’opportunità di restringere questo divario ma non avrà un travolgente vantaggio sulla Russia. La Russia ha usato il suo vantaggio strategico e il senso di insicurezza proviene dal diminuire di questo piuttosto che da una reale minaccia di sicurezza. La presenza attiva della Cina nelle regioni che appartenevano all’ex Unione Sovietica è un dato di fatto ma questa è caratterizzata da normali attività politiche ed economiche che non hanno come bersaglio la Russia e non intendono escludere Mosca da queste regioni: la Cina rispetta i legami storici che la Russia ha con la regione ed evita di avere conflitti aperti con Mosca, fatto notato dagli esperti russi. Ma c’è da notare il fatto che le ex repubbliche sovietiche hanno guadagnato la loro indipendenza e non fanno più parte della Russia: hanno i loro diritti e richieste di sviluppo economico e di relazioni politiche con il mondo esterno e altri Paesi, inoltre, desiderano sviluppare relazioni del genere con le ex repubbliche sovietiche. Questi sviluppi e legami non possono essere considerati una sfida agli interessi della Russia. Tra tutte le ipotesi citate, quella che vale la pena analizzare è quella relativa al “bilanciamento” del potere cinese: l’idea di allinearsi con la Cina è considerata una scelta che restringerebbe lo spazio russo mentre l’ipotesi di “contenere” la Cina si pensa possa avere molti negativi effetti. Il risultato, “bilanciare la Cina” sembra essere l’opzione più intelligente. Molte elites russe si sono dedicate a quest’idea. Pensare ad una tale soluzione è ragionevole ma, alla resa dei conti, è veramente difficile metterla in pratica dal momento che gli effetti potrebbero rivelarsi totalmente opposti a quelli che si intendeva raggiungere. La visione di una Russia che si ponga da mediatore tra USA e Cina ha un significato puramente teoretico dal momento che né la Cina né gli USA hanno bisogno necessariamente di un mediatore. E, per quanto riguarda la Cina, Pechino vorrebbe trattare la Russia come un partner piuttosto che come un mediatore. La Cina ha dei conflitti con gli Stati Uniti e alcuni dei suoi vicini ma questi sono in assoluta opposizione o scontro. Rendere le politiche russe basate sul confronto cinese con gli Stati Uniti e altri Paesi non è un approccio politico affidabile.

Modesti aggiustamenti e bilanciamento.
La Cina e la Russia non hanno alcuna necessità di eludere qualsiasi questione o argomento tra di loro. Il costante aggiustamento e bilanciamento dei requisiti delle due parti è la via migliore per mantenere i legami bilaterali vibranti come non mai. Nella prospettiva russa, c’è bisogno di adattarsi alle trasformazioni cinesi e imparare ad andare d’accordo con la Cina con una nuova prospettiva e mentalità, mentre non c’è nessun bisogno di essere più ansiosi e fantasiosi al riguardo. Il cambiamento nel bilanciamento di potere tra i due Paesi è cominciato con la caduta dell’Unione Sovietica ed è durato per più di venti anni. La Cina ha sempre rispettato la Russia e non ha mai cambiato il suo atteggiamento con la crescita della sua forza. Perfino durante gli anni ’90 quando la Russia si trovava al suo punto più basso, la Cina ha sempre visto la Russia come una grande potenza, cosa che era veramente rara tra le altre nazioni. Benché il PIL cinese abbia sorpassato di gran lunga quello russo, non ci saranno grossi divari, specialmente nel campo della sicurezza: la Russia ha il suo jolly mentre la Cina ha la sua carta più bassa. Il PIL non può rappresentare tutto e alcuni esperti russi hanno le idee chiare su questo punto. Dalla prospettiva cinese, Pechino non hai mai considerato di essere più forte della Russia e mantiene cara la parità tra i due Paesi. La Cina dovrebbe prestare attenzione ai sentimenti russi e aggiustare la propria mentalità e politiche basandole sulla risposta dei russi. Nel futuro sviluppo delle relazioni sino-russe il valore della parità politica dovrebbe essere sottolineato in modo particolare per dimostrare il fedele adempimento a questo concetto. Allo stesso tempo, Pechino dovrebbe mostrare a Mosca che in Cina si desidera vedere una Russia prospera. Per quel che riguarda le relazioni con le grandi potenze, la Cina non dovrebbe accettare il cosiddetto “G2”. Benché Cina e Stati Uniti occupino il secondo ed il primo posto per quanto riguarda la grandezza delle rispettive economie e le relazioni tra i due Paesi siano le più importanti relazioni bilaterali del mondo, il modo di pensare del “G2” è sbagliato e non applicabile in alcuni scenari: il pensiero è basato su una mentalità egemonica che si può spiegare con la legge del più forte e che va contro il principio cinese per cui tutti i Paesi, non importa se grandi o piccoli, sono uguali, così come il proclama che la Cina non persegue l’egemonia. Il “G2” condurrà la Cina a distanziarsi dagli altri Paesi e la spingerà sull’altro versante e questo potrebbe non piacere a molti altri piccoli Stati. Questo ostacolerà sicuramente anche i legami tra Cina e Russia: questo pensiero è in contrasto con la relazione strategica sino-russa, a meno che la Russia non voglia essere il “fratello minore” della Cina. Il pensiero alla base del “G2” non vedrebbe solamente la rottura della partnership strategica tra Pechino e Mosca ma, in più, la Russia imporrebbe ulteriormente la propria politica di contenimento della Cina. In pratica, questo pensiero non è basato sulla realtà dei fatti, specialmente se si guarda alla situazione odierna della società internazionale perché gli altri grandi Paesi non sarebbe ascoltati. La Cina, invece, dovrebbe promuovere una visione del mondo multipolare: comparata con le strutture unipolari o bipolari, la multipolarizzazione risponde a molti più bisogni globali. Per quanto riguarda i legami sino-russi, non si tratta solamente del consenso raggiunto dai due Paesi nell’ordine e nelle strutture internazionali seguito alla Guerra Fredda ma anche la base per la parità dei due Paesi nella società internazionale. La Cina dovrebbe impegnarsi di più in una cooperazione con la Russia sulle tematiche multipolari, promuovere una partnership strategica di cooperazione con Mosca che sia conforme ai proclami internazionali cinesi e che serva al meglio gli interessi nazionali di Pechino. Per quanto concerne la sicurezza strategica, la Cina ha la necessità di dare una risposta positiva. Il tema della sicurezza è di particolare interesse ed è la pietra angolare dei rapporti delle relazioni bilaterali con la Russia. Nel caso ci fosse una qualsiasi disputa sul tema della sicurezza questa minerebbe le basi dei rapporti. Nella propria offerta di ridurre le armi nucleari la Russia ha intenzione di invitare la Cina alle negoziazioni con gli USA ma Pechino non vuole essere coinvolta in queste discussioni poiché ritiene che le proprie armi nucleari non siano al livello di quelle della Russia o degli Stati Uniti. È ragionevole che la Cina non sia desiderosa di partecipare a questa piattaforma ma, vista da una prospettiva avanzata, la Russia e gli Stati Uniti si avvicineranno e formeranno probabilmente un fronte contro la Cina, situazione che non gioverebbe ai legami con la Russia. Quel che è più importante è che l’interesse russo per la sicurezza strategica aumenta e questo potrebbe diventare un problema dopo che le preoccupazioni al riguardo si accumulano in una certa misura. Tra gli accademici russi c’è ancora chi è sospettoso sul fatto che la Cina mantenga uno sviluppo pacifico nel lungo termine. Cina e Russia hanno instaurato meccanismi di garanzia per i loro interessi nella sicurezza strategica (in campo militare e politico) ma hanno bisogno di migliorarli in virtù delle nuove circostanze. Nel corso degli anni ’90, i due Paesi approntarono meccanismi di mutua assistenza militare nell’area dei confini allo scopo di risolvere il problema relativo alla sicurezza. Cina e Russia possono prendere in prestito questo modello nell’area della sicurezza strategica e adottare misure volte ad approfondire il meccanismo per favorire la creazione di una fiducia di lungo termine in questo campo. A lungo andare, la stabilità della regione dell’Asia Pacifica, specialmente nel nordest asiatico, porrà una minaccia sia per la Cina che per la Russia. Cina e Russia condividono una visione similare, sono simili anche per posizione e condizione così come simili sono gli interessi, per quel che riguarda la sicurezza dell’Asia Pacifica. Nel costruire un sistema di sicurezza nell’area, Cina e Russia possono formare un piattaforma congiunta come pivot: la piattaforma è designata per spingere verso una visione comune e provvedere a formare una pietra angolare per la sicurezza collettiva nella regione che si affaccia sul Pacifico piuttosto che creare uno strumento per opporsi agli Stati Uniti. Alcuni studiosi russi suggeriscono un sistema di sicurezza nell’area del Pacifico che sia più comprensivo ma questo può essere molto difficile da raggiungere presto. La cooperazione tra Mosca e Pechino a questo riguardo potrebbe essere molto più efficace rispetto alle azioni unilaterali intraprese dai due Paesi e la loro cooperazione avrebbe un maggiore impatto nel costruire un sistema comprensivo in futuro. Le regioni dell’Estremo Oriente russo e dell’Asia centrale sono state considerate come due delle più complicate nelle relazioni sino-russe. Ma se si guarda la problematica da un’altra prospettiva ci accorgiamo di come ci siano regioni con un grande potenziale per la cooperazione: se questa viene raggiunta, anche in Estremo Oriente e in Asia Centrale incrementeranno ulteriormente i loro legami. Ci sono enormi opportunità per dar vita ad una cooperazione in Estremo Oriente dove la Russia ha disposto una politica nazionale per lo sviluppo di queste regioni e anche della Siberia e, per rigenerare l’economia russa e integrarla nell’economia dell’area pacifica dell’Asia, il Governo centrale di Mosca ha riposto molta importanza sulla regione. Il ruolo della Cina nello sviluppo di queste regioni, invece, non è chiaro. Da una parte, entrambi i Paesi vogliono collaborare su questa tematica: nel 2009, è stato ratificato un piano di azione per sviluppare la cooperazione nelle regioni nordorientali della Cina così come in Estremo Oriente e in Siberia. Ma, dall’altra parte, la Russia è abbastanza sospettosa riguardo all’enorme flusso in entrata di capitali e di forza lavoro cinesi che ha ostacolato l’approfondimento delle cooperazione. Le due controparti dovrebbero sforzarsi di andare oltre il collo di bottiglia che si è creato. La Russia è preoccupata dal controllo cinese sulla economia e sulle politiche nell’Estremo Oriente e in Siberia ma questo modo di ragionare non aiuta a risolvere i problemi. La Russia dovrebbe incrementare la propria fiducia, la Siberia e le regioni orientali hanno bisogno di svilupparsi e lo sviluppo deve essere aperto. La Cina e la Russia condividono 4350 chilometri in questa area che li rendono partner naturali che non possono essere separati l’uno dall’altro. Non è ragionevole escludere la Cina dai processi di sviluppo dell’area. La zona dell’Asia Centrale è un altra regione sensibile ai timori nelle relazioni tra Cina e Russia. Non si può certo negare che i due Paesi abbiano uno scontro di interessi nella regione e stiano conducendo una competizione economica così come non dovrebbero essere ignorati gli interessi comuni che condividono in Asia Centrale, un’area di vicinato tra Cina e Russia. Il risultato è che i due Paesi condividono molti interessi comuni. Da un punto di vista strategico, si tratta di una zona cuscinetto tra Cina e Russia. Per permettere alla regione di funzionare da cuscinetto, non possono semplicemente evitare di avere contatti tra di loro ma devono cooperare. Da una prospettiva più generale, l’Asia centrale, la Russia orientale e la Mongolia connettono tutte la Cina con la Russia. Queste regioni hanno un significato speciale per entrambe le parti e se dovesse accadere qualcosa in queste regioni allora le relazioni tra Cina e Russia sarebbero in pericolo: non è un caso che le questioni storiche sorte tra le due potenze abbiano preso vita in queste regioni. Per di più, i due Paesi dovrebbero avere una visione di fare della connessione di queste tre regioni collegate una stabile cintura che serva ad una stabilità di lunga durata tra Cina e Russia. Per abbracciare il futuro, Russia e Cina dovrebbero rafforzare la cooperazione in corso e inoltre sviluppare una nuova agenda: la cooperazione economica dovrebbe essere rafforzata e le sue strutture ottimizzate. Mentre si allarga la portata dello scambio, entrambe le parti dovrebbe inoltre lavorare in una direzione più aperta per quel che riguarda gli investimenti e la ricerca scientifica e tecnologica. La Russia spera che la Cina sia non solo un consumatore ma anche un investitore. Il fatto è che gli investitori cinesi hanno il desiderio di entrare nel mercato russo ma spesso incontrano una serie di ostacoli come la chiusura del mercato ad investitori stranieri in alcune aree, un ambiente povero di investimenti e di applicazione della legge, e poche garanzie sulla sicurezza degli investimenti. Il partenariato strategico in campo energetico è di massima importanza: le esportazioni energetiche sono il pilastro dell’ economia russa mentre le importazioni di energia sono la linfa vitale dell’economia cinese. La Russia ha una enorme capacità di esportazione di petrolio, la Cina possiede un mercato immenso ed è un “gigante” come consumatore. Cina e Russia sono vicine e questo significa che il trasporto di gas e petrolio è molto più facile senza la necessità di passare un paese terzo o trasportarlo via mare e quindi il trasporto è sicuro e garantito. Fino ad ora, il volume di scambio annuale di petrolio si assesta intorno ai 15 milioni di barili. La Russia ha esportato nel 2012 240 milioni di barili di petrolio mentre la Cina ne ha importati 270 milioni. Comunque, lo scambio di petrolio conta per meno del 7% per ogni Paese: la Cina e la Russia hanno, quindi, molto potenziale per incrementare la scala della cooperazione energetica e incrementare anche il volume di scambio ad un livello ragionevole. Stando così la situazione del mercato internazionale dell’energia, sviluppare un’ importante politica di sicurezza energetica porterebbe a indubbi vantaggi per entrambi i Paesi. Nelle future relazioni internazionali, politiche ed economiche, i meccanismi regionali e multilaterali giocheranno un ruolo sempre più importante e la cooperazione in questi meccanismi dovrebbe essere una parte importante dell’agenda di cui Russia e Cina dovrebbero discutere. Organi come SCO, BRICS e G20 dovrebbero diventare le piattaforme principali per poter incrementare la cooperazione dal momento che questi permettono di essere rapidi e flessibili nelle operazioni. La collaborazione nello sviluppo del Polo Nord potrebbe essere una nuova tematica da inserire in agenda: benché questo dipenda prevalentemente dall’atteggiamento russo: Mosca è riluttante nel rispondere al coinvolgimento cinese negli affari relativi al Polo Nord. La ragione principale risiede nel fatto che la Russia vuole mantenere il proprio monopolio sul Polo Nord cercando di non coinvolgere Paesi “non polari” nei propri affari. Non c’è dubbio che i Paesi che circondano il Polo hanno molto da dire in materia ma il Polo Nord non concerne solo i Paesi che si affacciano sulla regione Artica, piuttosto, riguarda tutti i Paesi del mondo. La Cina ha cominciato a condurre ricerche scientifiche nel Polo Nord già dagli anni 90 ed è stata ritenuta uno speciale osservatore dal Consiglio Artico. Nel 2008, la Cina ha presentato una domanda diretta ad ottenere lo status di osservatore permanente. Cina e Russia hanno il potenziale per favorire la cooperazione nella ricerca scientifica, protezione ambientale, sviluppo delle risorse oltre la “northern route” e questa cooperazione sarebbe un grande vantaggio per tutti. Cina e Russia dovrebbero lavorare a stretto contatto anche sulle tematiche più calde nelle aree che le circondano e creare un organismo che possa risolvere questi problemi. Ci sono due questioni calde che si protraggono da tempo nel vicinato di Russia e Cina: ad est, la questione della penisola coreana mentre ad ovest il problema afgano. Uno concerne la pace e la sicurezza dell’area nordest dell’Asia mentre l’altro è legato alla pace e alla sicurezza dell’Asia centrale e meridionale. Entrambe, quindi, riguardano la stabilità regionale. La piattaforma della SCO può essere la base di partenza ma non opera al suo massimo potenziale. La SCO può recitare un ruolo unico nell’assicurare la sicurezza delle Nazioni, la salvaguardia della pace regionale e spingere in avanti per stabilire un ordine ragionevole di politica internazionale ed economico.

Conclusioni.
Per Cina e Russia stabilire relazioni di buon vicinato è un’opzione che si sposa con i fondamentali interessi dei due Paesi. Sia gli accademici russi che quelli cinesi devono avere una visione chiara di questo percorso. Inoltre, come partner strategici, le relazioni tra i due Paesi potrebbero rappresentare un nuovo modello di relazione tra grandi potenze, caratterizzato da equità politica, mutua sicurezza, cooperazione e sviluppo reciproco. I due Paesi in questione hanno differenti sistemi politici, strutture sociali, mentalità etniche e, in generale, un diverso modo di pensare. Spesso, quindi, si ritrovano “non allineate”. Cina e Russia non sono due società “omogenee” e le voci dei loro media sono molto dinamiche: questo richiede un adattamento di entrambi ai diversi appelli e alle differenti voci dei media per maneggiare i legami bilaterali in condizioni diversificate. Le relazioni sino-russe dovrebbero essere costruite sugli interessi, razionalità e norme che non devono ripetere i sentimenti di fantasticare o idealizzare l’altro. Il partenariato strategico significa che le due parti non violino gli interessi, le logiche e le regole ma piuttosto obbediscano a queste. Sia Cina che Russia dovrebbero non fantasticare sull’aspettarsi che l’una ignori gli interessi, le logiche e le regole dell’altra. Se questo accadrà, Cina e Russia possono forgiare un legame più stabile.



Zhao Huasheng è il direttore del Centro Studi sulla Russia e l’Asia centrale alla Università di Fudan (Shanghai). Il presente articolo è apparso in “China International Studies”, No.39, March/April 2013.

(Traduzione di Andrea Turi)

Fonte: http://www.eurasia-rivista.org

 

 

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