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Un termine strano, demanufacturing, per definire il ricondizionamento degli elettrodomestici rotti per reimmetterli sul mercato e dai pezzi rimasti ricavarne materia prima. Oltre all’incredibile quantità di materie prime che gli elettrodomestici sono potenzialmente in grado di offrire, esiste un mondo di opportunità che si cela dietro ogni singolo apparecchio rotto o inutilizzato e che grazie al demanufacturing siamo oggi in grado di scoprire.

 

 

Se da un solo frigorifero rotto si possono recuperare 28 kg di ferro, 3 kg di alluminio e altrettanti di rame e altri metalli per un totale di quasi 40 kg di materie prime perfettamente riutilizzabili, moltiplicando queste cifre per tutti i frigoriferi abbandonati in fondo a una cantina, inutilizzati o semplicemente rotti, il totale di metalli ‘nobili’ e altri materiali ancora recuperabili sale vertiginosamente. Ciò vale anche per altri oggetti ed elettrodomestici di uso comune di cui le nostre case abbondano, come lavatrici, televisori, smartphone, tostapane, ventilatori, asciugacapelli, friggitrici e chi più ne ha più ne metta. Ma sem oltre al riciclo delle materie prime, ricondizionassimo il vecchio apparecchio e lo rendessimo disponibile sul mercato ad un prezzo più basso? Questo si chiama demanufactoring.

Ma cos’è il demanufactoring, in cosa consiste, chi può praticarlo e quali ne sono i vantaggi?

S’intende la riparazione automatica degli elettrodomestici usati con l’obiettivo di immetterli nuovamente nel mercato evitando così di costruirne altri da zero. Già nella sua definizione, quindi, l’operazione si rivela come pratica virtuosa, innovativa e d economicamente vantaggiosa per produttori, consumatori finali e ambiente.

Come funziona il demanufactoring? L’apparecchio viene smontato, i pezzi funzionanti isolati, rigenerati e riassemblati in un nuovo elettrodomestico molto meno costoso sia dal punto di vista produttivo che commerciale. Le materie prime, come i metalli e le plastiche, ricavate dal processo di rigenerazione, vengono anch’esse riciclate e impiegate nel medesimo processo produttivo o avviate ad altre forme di recupero.

Siamo di fronte a un modello di economia circolare e sostenibile basata sulla rigenerazione a ciclo continuo degli elettrodomestici e dei materiali che li compongono, dove gli sprechi sono banditi e la parola d’ordine diventa ‘recuperare’ tutto ciò che si può per dare nuova vita a qualcosa di ‘nuovo, ma non troppo‘.

Una strategia adottata da molti marchi e aziende nel mondo, prime fra tutte Toshiba, Ford, Panasonic, Apple ma anche l’italianissima Candy che hanno fatto della lotta allo spreco la loro mission aziendale. E i vantaggi sono lampanti sia per quanto riguarda l’immagine delle aziende agli occhi dei consumatori, sia da un punto di vista prettamente economico con una riduzione dei costi di produzione che può arrivare all’85% per ogni elettrodomestico ’ricondizionato’.

Ma torniamo ad un esempio concreto e vediamo quanto materiale può essere recuperato attraverso il demanufacturing da una lavatrice non più funzionante. Sappiate che una lavatrice comune è costituita soprattutto da acciaio e plastica. Quelle di ultima generazione, inoltre, sono dotate di sistema di asciugatura interno a pompa di calore che utilizza clorofluorocarburi come refrigeranti per il motore, refrigeranti che possono essere recuperati e riutilizzati proprio come quelli dei frigoriferi, dei freezer e dei condizionatori. Nel grafico qui sotto potete osservare la composizione dei materiali con relative percentuali.

 

 

 

La fonte è autorevole poiché proviene da Panasonic – leader mondiale dell’elettronica di consumo – uno dei primi produttori al Mondo ad aver fatto del demanufacturing una vera e propria politica aziendale applicata a tutte le sue linee di prodotto. In questo modo, il colosso giapponese garantisce alla propria filiera un tasso di riciclo minimo per ogni lavatrice pari al 65% delle sue componenti, che sale all’88% se si considerano anche le asciugatrici. A questo si sommano le percentuali altrettanto importanti derivanti dal riciclo di condizionatori, frigoriferi, tv, ecc.

In media, il recupero dei materiali ricavabile dal demanufacturing è superiore all’80%. I materiali di risulta come i telai dei grandi elettrodomestici, vengo letteralmente ‘frullati’ e separati con sistemi a magneti e vibranti che permettono di isolare i residui ferrosi dalle plastiche e dalle resine più leggere. Il risultato? Una discreta quantità di materie prime purissime che possono essere vendute o riutilizzate per la creazione di nuovi elettrodomestici.

Ecco quindi cos’è, effettivamente e indiscutibilmente, il demanufacturing: un cambiamento radicale verso l’eco-sostenibilità per un settore – quello dell’elettronica di consumo – che nell’ultimo secolo è stato interamente basato sul concetto di ‘obsolescenza programmata’ e iperconsumo.

Fonte: http://www.tuttogreen.it

 


 

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