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L'industria 4.0 viene venduta come una della più grandi opportunità di sviluppo dei nostri tempi, alcuni addirittura parlano della prima grande rivoluzione in grado di liberare le persone dai lavori pesanti e far fare tutto alle macchine. In realtà, per via dell'attuale impostazione del nostro sistema è probabile che l'avvento dell'industria 4.0 si trasformi in un bagno di sangue per le fasce più deboli della popolazione.



Industria 4.0 contro le masse.
L'industria 4.0 è da molti semplificata con il concetto di automazione dei processi industriali, cioè macchine che fanno tutto da sole, ma non si tratta solo di questo. Si tratta soprattutto di interconnessione tra tutti gli step produttivi: proviamo a capire con un esempio volutamente banale. Una fabbrica che produce cappelli viene completamente automatizzata, per cui nessun uomo vi lavora. Questa fabbrica produce 1000 cappelli rossi al giorno. Un computer che analizza quotidianamente le mode e le tendenze attraverso i dai raccolti sui social, comprende che i cappelli rossi non sono più di moda e che ora vanno per la maggiore quelli gialli. Il computer decide autonomamente (e in tempo reale) di modificare la produzione e iniziare a fabbricare cappelli gialli invece che rossi. Lo fa per inseguire la moda e continuare a garantire guadagni, senza alcun intervento umano perché a lui è affidato l'intero processo produttivo. Ecco, questo è un esempio in parte futuristico, ma (penso) sufficientemente chiaro per comprendere dove si vorrebbe arrivare con l'industria 4.0. Vi sono aziende che oggi sono già ben avviate lungo questa strada, ma la maggior parte di chi spinge in questa direzione non fa altro che vendere fuffa, generando un vero a proprio terrorismo psicologico che aumenta i costi indiretti delle aziende. Molte società, infatti, si sentono inadeguate e lontane da questa realtà, ma per paura di perdere il treno iniziano processi di cambiamento poco efficaci, che non portano ad un reale beneficio. Si tratta di normali dinamiche che intercorrono quando si prospettano grandi cambiamenti, lo abbiamo visto accadere anche con l'avvento del web: tutte le aziende vogliono avere una presenza in rete, spinte dal miraggio di vendere di più, ma la maggior parte non fa altro che spendere per posizionarsi sui motori o avviare campagne social senza poi avere reali benefici. Il rischio più grosso però lo corre (come sempre) la povera gente. I ruoli (posti di lavoro) oggi ricoperti dalla parte più povera e debole della popolazione verranno presto occupati da macchine totalmente autonome. Questo è ciò che spera la maggior parte dei “padroni”, perché le macchine sono molto meno problematiche delle persone, producono di più e senza lamentarsi, non si ammalano, non scioperano e non hanno diritti. Si rischia quindi uno scenario nel quale la povera gente subirà una larga perdita di posti di lavoro. Questa conseguenza non deriva dalla banale considerazione “lavorano le macchine al posto dell'uomo”, ma da un'analisi ben più profonda. Alcuni ritengono che in questo cambiamento non si considera il fatto che si creeranno altri posti di lavoro, più elevati, legati alla progettazione delle macchine, alle strategie di marketing o all'analisi dei dati. Purtroppo ad oggi non esiste uno studio serio completo che abbia stimato, a fronte della perdita di Xmila posti quanti se ne creeranno, ma una considerazione semplice la possiamo fare: che tipologia di nuovi posti di lavoro si creerebbero? Prendiamo come esempio l'azienda che fabbrica cappelli: Se saranno le macchine a produrli, come verranno impiegate le persone che prima li confezionavano? Potranno queste persone diventare progettisti, analisti o perfino social media manager aziendali? Probabilmente no perché questi impieghi richiedono anni di studio, precise specializzazioni e capacità che gli operai generalmente non hanno. Questo semplice esempio ci fa comprendere che coloro che non hanno potuto studiare e che non hanno competenze specifiche, non potranno essere riqualificati e non potranno che perdere il lavoro, in uno scenario dove gli impieghi più semplici tenderanno a sparire. E le persone che non hanno potuto studiare ci saranno sempre, perché derivanti dalla normale impostazione della nostra società. Se le macchine aggiusteranno le macchine, laveranno i pavimenti e faranno la guardia di notte, la povera gente cosa farà?  Il problema, sulla lunga distanza, forse non si pone; alcuni (giustamente) sottolineano come si potrebbe arrivare ad uno scenario dove vi sarà un reddito base per tutti e ognuno potrà scegliere come meglio vivere. Lavoreranno le macchine e noi ci dedicheremo a ciò che amiamo, ma questo richiede un cambiamento radicale dell'intero sistema, cambiamento che arriverà certamente in ritardo rispetto alla rivoluzione industriale 4.0. La tecnologia, infatti, viaggia dieci volte più veloce delle burocrazia e i grandi imprenditori non aspetteranno. Essi rincorreranno il profitto come hanno sempre fatto, fregandosene di mandare sul lastrico centinaia di migliaia di famiglie. Più poveri non significherà, per loro, meno introiti, perché non è certo quella fascia sociale che acquista i loro prodotti: il ceto medio/alto, proprio quello che ricoprirà i nuovi posti di lavoro creatisi, continuerà ad acquistare i prodotti, anzi, visto che la produzione costerà meno, riusciranno anche a vendere di più. Uno scenario piuttosto probabile è quindi che nella fase iniziale avverrà un grosso impoverimento delle fasce più deboli della popolazione, mentre i ricchi diventano più ricchi. I poveri verranno letteralmente sterminati in quanto inutili e privi di competenze, visto che queste diventeranno dominio delle macchine e non più del singolo. La popolazione dei vaganti, così possiamo definirla, subirà un vero e proprio sterminio per colpa del dio business. Ogni volta che sentiremo un manager o un amministratore delegato osannare l'industria 4.0 come grande opportunità, ricordiamoci anche di questo possibile scenario e non dimentichiamoci mai che tutto quello che dirà nasce solo ed esclusivamente dal desiderio di fare soldi. Nel nostro piccolo possiamo contrastare tutto questo smettendo di acquistare nella grandi catene e dalle multinazionali, soprattutto ripudiando l'inutile, in modo da non alimentarne il business fine a se stesso. Affidarci ai piccolo produttori e a chi fa ancora le cose per passione, non per lo sfrenato guadagno; in questo modo la nostra semplicità volontaria potrà, letteralmente, salvare intere famiglie.

Fonte: https://www.smetteredilavorare.it

 

 

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