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Oggi vi raccontiamo la storia di Francesco Souberan, l’agricoltore che ha scelto di coltivare patate recuperando l'attività di famiglia e che, sulle montagne di Bardonecchia, tra 1400mt e i 1900mt di altitudine, porta avanti un'antica tradizione valorizzando l'agricoltura biologica.



Abbiamo incontrato il produttore proprio al mercatino, mentre preparava il suo banchetto. Curava l’allestimento con grande cura, dividendo con attenzione tutte le tipologie di patate. Sì, perché è la patata la specialità del produttore: una storia che va avanti da anni, dai tempi dei suoi bisnonni. E Fabrizio, 12 anni, fa è stato l’artefice della rinascita di questa tradizione.

«Desideravo recuperare i terreni dei miei nonni, che sono stati abbandonati per circa 30 anni. Mi spiaceva avere questo patrimonio e non utilizzarlo, così, nel tempo, ho affiancato la mia attività di artigiano edile alla coltivazione». L’idea ha dato i suoi frutti, con una costante crescita di produzione, fino ad arrivare ai 150 quintali di produzione attuali: «Negli anni ho aumentato le quantità, ma senza mai esagerare, perché la coltivazione deve essere sempre gestibile e naturale”.

Ecco, la sostenibilità è una delle peculiarità principali delle sue patate, grazie a una serie di fattori, come la posizione dei suoi campi, ossia a Bardonecchia, con terreni che si trovano dai 1.500 ai 2.000 metri d’altezza e hanno una formazione indicata per questo tipo di coltivazione. Vere patate di montagna quindi, come specifica nei cartelli informativi del suo banchetto, che hanno anche la certificazione biologica.

Nella zona dove sono ubicati i terreni, vista l’altezza, non sono presenti parassiti e quindi non sono necessari prodotti chimici per contrastarli. Non solo: per concimare non usa letame, ma si serve della pratica agronomica del sovescio, che permette anche di far riposare i campi. «È facile, per me, proporre prodotti bio: la natura mi difende essendo a Bardonecchia. Basti pensare – racconta – che i miei campi sono sulle piste da sci… E ora sono ricoperti di neve. Questo è un bene per i terreni, perché possono riposare fino alla prossima raccolta (l’ultima è avvenuta a ottobre)».

Il contesto è uno dei segreti che suggella la qualità del prodotto, che, dalle parole di Fabrizio, è molto apprezzato dalla sua clientela. Di recente, inoltre, ha coltivato anche cavoli, barbabietole rosse e cipolle, mentre per il prossimo anno il produttore ha intenzione di proporre anche carote, rape e broccoli.

 



La patata, comunque, rimane la regina delle sue produzioni, con tre macro-qualità, ovvero quelle a pasta soda (conosciute come gruppo A), semifarinose (gruppo B) e farinosa (gruppo C). Una distinzione che si riferisce agli usi in cucina: «La soda che vendo  – descrive il produttore – è la Nicola, ottima da preparare bollita, al vapore o in insalata. Per il gruppo B, invece, la patata Laura, una rossa, ottima da fare al forno o fritta o la Malou, una a lunga conservazione che va bene per tutti gli usi. Per il gruppo C, infine, vendo la Dayfla, una bianca, ideale per gnocchi, la purea di patate e le chips».

Per quanto concerne le proprietà, Fabrizio spiega che sono ricche di potassio e hanno zuccheri a lento assorbimento: “Io ne mangio tante,  circa 100 kg all’anno – aggiunge Fabrizio sorridendo – e sono in ottima forma”.

In tema di cibo sano e locale, il produttore si è detto molto soddisfatto di vendere al punto vendita di Cittadellarte, dove è presente ogni 15 giorni: «Quando Marco Maffeo mi ha invitato a venire al mercatino Let Eat Bi – spiega – sono stato lusingato. Mi fa molto piacere vendere in un contesto simile, con altri colleghi che puntano sui loro prodotti sani, locali e stagionali. Tutti propongono qualcosa di naturale e credono nei valori della sostenibilità, non sono semplici commercianti che vendono per trarre profitto, ma per qualcosa che va oltre il guadagno».

Sostenibilità, una parola chiave quanto mai necessaria: l’esperienza di Fabrizio in ambito agricolo, infatti, lo ha portato a constatare una criticità e a lanciare un allarme: «Mi sono accorto, anche dai miei raccolti, dell’impatto del cambiamento climatico. È tangibile: alcune verdure, ad esempio, non sono mai cresciute tanto come nell’ultimo periodo, basti vedere le zucchine, che abbiamo avuto addirittura fino a settembre”. Il produttore, inoltre, nota una scarsa attenzione sul tema: “Alle persone, purtroppo, importa poco che io abbia la certificazione bio. Forse perché c’è un abuso di questo termine e viene visto semplicemente come merce più cara. Non è così: nel mio caso è davvero sinonimo di prodotto sano e naturale».

Fabrizio conclude con un pensiero che riflette la passione per la sua attività: «Le mie due figlie, di 10 e 13 anni, d’estate mi aiutano a togliere le erbe infestanti nei campi. Sarei contento se una di loro continuasse la strada di famiglia? Perché no, è un lavoro faticoso, ma gratificante. Vedere i campi spogli e poi pieni di raccolto è una soddisfazione impagabile».

Articolo tratto da http://journal.cittadellarte.it

Fonte: https://www.italiachecambia.org


 

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