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“Ti criticheranno sempre, parleranno male di te e sarà difficile che incontri qualcuno al quale tu possa piacere così come sei! Quindi vivi, fai quello che ti dice il cuore, la vita è come un’opera di teatro, ma non ha prove iniziali: canta, balla, ridi e vivi intensamente ogni giorno della tua vita prima che l’opera finisca priva di applausi.” Lo diceva Charlie Chaplin. Questo pensiero offre molti spunti di riflessione.

 

 

Vi siete mai soffermati a pensare quante volte vi trovate a giudicare qualcuno ogni giorno? Quante sono le critiche che sentiamo e quante quelle che facciamo da quando ci svegliamo a quando andiamo a letto? Sicuramente saranno molte o in ogni caso, un numero sempre troppo elevato per poter vivere con la serenità mentale di cui abbiamo bisogno. Uno dei segreti che ci insegna la filosofia buddista per riscoprire la pace spirituale è di non criticare, mai. Tuttavia, questo è probabilmente uno dei principi più difficili da applicare dato che siamo portati a criticare per natura. Vediamo qualcosa che non ci piace o non soddisfa le nostre aspettative e valori, e lo critichiamo immediatamente. Ci sono persone che sono veri e propri specialisti in questo campo, sono persone che vivono praticamente solo per criticare ciò che fanno gli altri. Ma vi siete mai chiesti cosa si cela dietro ad una critica?

Il meccanismo della proiezione.
Innanzitutto che cos’è esattamente la proiezione? Si tratta di quel meccanismo di difesa attraverso cui il soggetto espelle da sé e localizza nell’altro (persona o cosa), sentimenti, desideri o qualità che sono suoi ma che egli non riconosce o rifiuta in sé. In un’accezione prettamente psicanalitica questo meccanismo di difesa serve a fare economia mentale, dal momento in cui ci libera di sensazioni, emozioni, sentimenti, caratteristiche che sono percepiti come sgradevoli e non si vuole tenere per sé

Il SE’ rinnegato.
Ecco perché dobbiamo stare ben attenti ogni qualvolta ci troviamo a formulare giudizi rigidi e lapidari nei confronti degli altri. Se guardassimo bene e attentamente dentro di noi ci accorgeremmo che quelle persone che noi critichiamo sono portatrici di caratteristiche che noi stessi non riconosciamo di avere: possiamo dire che quelle persone portano caratteristiche che risiedono, per dirla con Jung, nella nostra parte Ombra, o che fanno parte di quelli che chiamiamo i nostri sé rinnegati. In ogni caso si tratta di quelle parti che noi non vogliamo accettare di avere: vuoi per motivi religiosi, etici, morali, educativi, familiari, si tratta di caratteristiche che se ammettessimo di avere, manderebbero in crisi un certo coerente sistema valoriale-personale sul quale per anni ci siamo costruiti. Basterebbe comprendere che questa è una falsa individuazione: ci facciamo forti dell’essere persone moralmente rette, ma dentro una parte di noi vorrebbe essere smaliziata e priva di inibizioni; ci facciamo forti di essere abili risparmiatori come ci ha insegnato il papà, ma di fatto dentro di noi c’è una parte più spendacciona che vorrebbe emergere e trovare spazio; ci consideriamo fieramente riservati e attenti al buon comportarsi quando in realtà c’è la parte di noi più casinista e sfacciata che vorrebbe essere ascoltata. E così via. In pratica, molte delle persone che si dedicano a criticare gli altri cercano semplicemente di distrarre la loro mente dal disagio esistenziale che stanno vivendo. Criticano gli altri per non essere costrette a criticare se stesse e non dover prendere delle misure per risolvere i loro problemi. Quindi, si limitano a guardare la pagliuzza nell’occhio altrui ignorando la trave che c’è nei loro occhi. Ma come avviene nel concreto questo meccanismo? Lo possiamo riconoscere in tantissime occasioni: ad esempio interroghiamoci quando chiamiamo “poco di buono” una donna solo perchè ha un fare molto espansivo con gli uomini; interroghiamoci quando critichiamo il vicino che compra sempre un cellulare nuovo ogni mese; interroghiamoci quando critichiamo l’amico buffone che fa l’idiota del villaggio. Non vorremmo forse essere un pò smaliziate come quelle che chiamiamo “poco di buono”? Non vorremmo forse spendere più soldi come il vicino di casa ma non possiamo permettercelo? Non vorremmo forse essere più espansivi come l’amico buffone? Se pensiamo che qualcuno stia con con noi per raggiungere degli scopi, per interesse, quegli obiettivi sono i nostri. Se pensiamo sempre che il nostro partner ci tradisca è perchè noi siamo dei potenziali traditori nelle medesime situazioni in cui lo immaginiamo tradirci. Ecco perché dobbiamo stare ben attenti ogni qualvolta ci troviamo a formulare giudizi rigidi e lapidari nei confronti degli altri. Se guardassimo bene e attentamente dentro di noi ci accorgeremmo che quelle persone che noi critichiamo sono portatrici di caratteristiche che noi stessi non riconosciamo di avere: possiamo dire che quelle persone portano caratteristiche che risiedono, per dirla con Jung, nella nostra parte Ombra, o che fanno parte di quelli che chiamiamo, per dirla con i coniugi Stone, i nostri sé rinnegati. In ogni caso si tratta di quelle parti che noi non vogliamo accettare di avere: vuoi per motivi religiosi, etici, morali, educativi, familiari, si tratta di caratteristiche che se ammettessimo di avere, manderebbero in crisi un certo coerente sistema valoriale-personale sul quale per anni ci siamo costruiti.

Conoscete la storia dei tre setacci?
Nell’antica Grecia Socrate aveva una grande reputazione di saggezza. Un giorno venne qualcuno a trovare il grande filosofo, e gli disse:
“Sai cosa ho appena sentito sul tuo amico?”
“Un momento“, rispose Socrate “Prima che me lo racconti, vorrei farti un test, quello dei tre setacci.”
“I tre setacci?”
“Sì“ continuò Socrate. “Prima di raccontare ogni cosa sugli altri, è bene prendere il tempo di filtrare ciò che si vorrebbe dire. Io lo chiamo il test dei tre setacci. Il primo setaccio è la verità. Hai verificato se quello che mi dirai è VERO?”
“No… Ne ho solo sentito parlare.”
“Molto bene. Quindi non sai se è la verità. Continuiamo col secondo setaccio, quello della bontà. Quello che vuoi dirmi sul mio amico, è qualcosa di BUONO?”
“Ah no, al contrario!”
“Dunque“ continuò Socrate “vuoi raccontarmi brutte cose su di lui e non sai nemmeno certo che siano vere. Forse puoi ancora passare il test, rimane il terzo setaccio, quello dell’utilità. È UTILE che io sappia cosa avrebbe fatto questo amico?”
“No, davvero.”
“Allora“ concluse Socrate “se ciò che volevi raccontarmi non è né vero, né buono, né utile, io preferisco non saperlo; e consiglio a te di dimenticarlo.“
La storia dei tre setacci di Socrate è un grande insegnamento per portarci a riflettere prima di parlare male degli altri o ascoltare le maldicenze altrui.

Come uscire da questa trappola?
- Impariamo a riconoscere quando e cosa stiamo proiettando sull’altro;
- Impariamo ad accettare che quello che stiamo proiettando è un qualcosa che risiede dentro di noi da qualche parte del nostro sé.
In effetti, si tratta di un cammino di consapevolezza che implica grande capacità e sforzo di mettersi in discussione. È un cammino non privo di sofferenze che spesso implica il sostegno di uno psicologo, che aiuti progressivamente ad accettare che non siamo fatti di poche parti rigide, ma di molte parti flessibili. Concludo con una citazione di Osho che parla proprio della proiezione:
“Quando vedi rabbia negli altri,
va e scava profondamente dentro di te
e vedrai che quella rabbia
si trova anche lì.
Quando vedi troppo ego negli altri,
va semplicemente dentro di te
e vedrai quell’ego seduto lì dentro.
La dimensione interiore
opera come un proiettore:
gli altri diventano schermi
e tu inizi a vedere dei film su di loro,
che di fatto sono solo i nastri registrati
di ciò che tu sei”


Anna Maria Sepe

Fonte: http://psicoadvisor.com

 


 

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