Lo statista americano Lyndon LaRouche e i suoi collaboratori nel mondo ripetono continuamente una verità assai sgradevole ma essenziale per capire ciò che accade nel mondo: gli imperi finanziari di Wall Street e della City di Londra cercano, con la copertura di una politica “rispettosa” dell’ambiente e del clima, di riportare la popolazione mondiale al di sotto dei due miliardi di abitanti.

È una nostra fissazione, degna dei complottisti? Nient’affatto, poiché la storia è piena di esempi che mostrano come l’Impero Britannico in modo particolare abbia organizzato dei genocidi, cioè abbia provocato la morte di decine di milioni di persone non per quel che avevano, ma per quel che erano. Nei libri di scuola questa verità non trova ancora lo spazio necessario, ma non tarderà a comparirvi. Nessuno in Europa, per esempio, nega gli accadimenti in Irlanda, tra il 1845 e il 1852, ricordati alla voce della “grande carestia delle patate” e l’emigrazione che questa provocò, riducendo di un quarto la popolazione iniziale.

Ancor peggiore fu la grande carestia che colpì il Bengala, documentata da Ramtanu Maitra sull’Executive Intelligence Review del 3 luglio 2015.

 

Vittime della carestia provocata da Winston Churchill, in Bengala, nel 1943.



“Odio gli indiani”, disse a Leopold Amery, Segretario di Stato per l’India, “sono un popolo bestiale con una religione bestiale […] Si moltiplicano come conigli”. A una richiesta urgente di cibo per l’India, rispose: “Se davvero il cibo è così scarso, per quale ragione Gandhi non è ancora morto?”

 

Ritratto di parte della famiglia del barone Robert Clive, con serva indiana, dipinto da Joshua Reynolds nel 1765.



I coloni britannici fecero morire di fame oltre sessanta milioni di indiani. Perché?
di Ramtanu Maitra

"La mancanza cronica di cibo e acqua, la mancanza di igiene e di assistenza medica, la trascuratezza nei mezzi di comunicazione, la povertà delle misure educative, l’onnipresente spirito di depressione che vidi di persona, prevalente nei nostri villaggi dopo oltre un secolo di dominio britannico, mi fa perdere ogni illusione sulla loro benevolenza."
Radindranath Tagore

"Se la storia del governo britannico dell’India fosse condensata in un singolo fatto, questo sarebbe che in India non vi fu alcun aumento di reddito procapite dal 1757 al 1947."
Mike Davis, "Late Victorian Holocausts: El Nino Famines and the Making of the Third World", London, Verso Books, 2001.

Churchill, spiegando perché difendesse l’accumulo di cibo in Gran Bretagna, mentre milioni di persone morivano di fame in Bengala, disse al suo segretario privato che “gli hindu sono una razza sudicia, protetta grazie alla sua continua riproduzione dal destino che merita”.
Madhusree Mukerjee, "Churchill’s Secret War: The British Empire and the Ravaging of India during World War II", New York: Basic Books.

Durante i centonovant’anni di saccheggio e di sfruttamento per mano britannica, il subcontinente indiano subì una dozzina di grandi carestie, che nel loro insieme uccisero milioni di indiani di ogni regione. Quanti milioni di indiani perirono in questo modo non è facile da stimare con esattezza, tuttavia i dati forniti dai dominatori britannici indicano che potrebbero essere sessanta. Ovviamente, la cifra reale potrebbe essere di gran lunga superiore. Gli analisti britannici imputano alla siccità il crollo della produzione agricola che portò alle carestie, ma questa è una mera menzogna. I britannici, impegnati nelle guerre in Europa (e altrove) e nell’impresa coloniale in Africa, esportarono grano dall’India per sostenere le proprie operazioni militari, causando così la penuria di cibo in India. Gli abitanti che si trovarono a vivere nelle zone colpite delle carestie vagavano senza meta, ridotti a scheletri ricoperti di pelle, e morivano a milioni. La natura satanica di questi dominatori britannici non verrà mai ribadita a sufficienza.

 

Statua di Robert Clive.



Una politica sistematica di spopolamento.
Benché non esistano censimenti accurati, nell’anno 1750 la popolazione indiana era intorno ai centocinquantacinque (155) milioni. Quando ebbe fine il dominio britannico, nel 1947, la popolazione dell’India non ancora divisa era intorno ai trecentonovanta (390) milioni. In altre parole, durante i centonovanta anni di saccheggio e di carestie organizzate, la popolazione crebbe di duecentoquaranta (240) milioni. Dal 1947 e per sessantotto (68) anni la popolazione del subcontinente indiano (India, Pakistan, Bangladesh) andò crescendo fino a raggiungere quasi il numero di un miliardo e seicento milioni. Nonostante la povertà e i difetti nella sua economia, con l’indipendenza dall’Impero Britannico la popolazione aumentò di un miliardo e duecento milioni di persone in quasi un terzo del tempo. I dati mostrano che in questo ultimo periodo il subcontinente indiano fu colpito dalla siccità in alcune regioni, ma senza che questa si trasformasse in carestie. Ciò non toglie che la carenza di cibo e di sistemi di distribuzione di generi alimentari ancora uccida migliaia di persone ogni anno. È da notare anche che prima che gli scarponi britannici calcassero il suolo indiano la carestie che pure si ebbero, furono registrate con molta minore frequenza, intorno a una per secolo. Da ciò si evince che non vi furono ragioni naturali delle carestie durante il controllo coloniale. Esse si ebbero soltanto perché l’Impero le progettò, con l’intento di rafforzarsi con il saccheggio e l’adozione di una politica di spopolamento non dichiarata. La ragione fu quindi la convinzione che questa politica avrebbe ridotto i costi del controllo imperiale sulla regione. Consideriamo il caso del Bengala, la parte orientale del subcontinente in cui la Compagnia Britannica delle Indie Orientali (CBIO, definita dalla patente della regina Elisabetta l' “Onorevole Compagna delle Indie Orientali”) prese piede nel 1757. I rapaci saccheggiatori, sotto la guida di Robert Clive, un oppiomane e degenerato che nel 1774 si spappolò il cervello nella sua residenza di Berkley Square, a Londra (acquistata con i proventi del suo saccheggio) presero il controllo degli odierni Bengala dell’Ovest, Bangladesh, Bihar e Odisha (in precedenza Orissa) nel 1765. All’epoca secondo i dati storici pervenuti l’economia indiana rappresentava un quarto del PIL mondiale, seconda dopo quelle cinese, mentre la Gran Bretagna contribuiva a un misero 2 percento. Il Bengala era la provincia più ricca dell’India. Una volta estromesso il viceré a conclusione della battaglia di Plassey (Pôlashir, Palashi), Clive pose sul trono un suo fantoccio, tramite il quale arrivò a un accordo a favore della CBIO, che divenne così l’esattrice unica della regione, e lasciò al fantoccio la responsabilità nominale del governo della regione. L’accordo durò un secolo, mentre sempre più stati indiani andavano in bancarotta per facilitare le future carestie. Il denaro delle tasse entrava nei forzieri britannici, mentre i bengalesi e gli indiani del Bihar morivano a milioni. Clive, che divenne un membro della Royal Society nel 1768 e la cui statua ancora campeggia a Whitehall, il centro del male imperiale, nei pressi del gabinetto di guerra, ebbe a dire quanto segue, in sua difesa, quando il Parlamento britannico, giocando alla “purezza”, lo accusò di saccheggi e altri abusi in India:

“Considerate la situazione in cui mi pose la Vittoria di Plassey. Un grande Principe era divenuto dipendente dal mio piacere; una città opulenta era alla mia mercé; i suoi più ricchi banchieri si facevano la guerra per un mio sorriso; camminavo attraverso portoni che erano aperti soltanto per me, con le mani cariche di oro e gioielli! Per Dio, Sig. Presidente, in questo momento sono stupito della mia stessa moderazione”.

Clive tuttavia non fu l’unico colono britannico con le mani sporche di sangue. L’Impero Britannico mandò in India un macellaio dopo l’altro, tutti cresciuti con l’idea di saccheggiare e spopolare. Già nel 1770, all’epoca della prima grande carestia nel Bengala, la provincia era stata saccheggiata completamente. Ciò che seguì fu semplicemente un orrore. Ecco come John Fiske descrisse tale carestia nel libro American Philosopher in the Unseen World:

“Per tutta l’estate del 1770 la gente continuò a morire. I contadini e gli allevatori vendettero il loro bestiame; vendettero i loro attrezzi agricoli; divorarono le loro sementi; vendettero figli e figlie, nella misura in cui non fu più possibile trovare altri compratori di bambini; mangiarono le foglie degli alberi e l’erba dei campi… Le strade si riempirono di gruppi promiscui di morenti e di cadaveri. Le sepolture non poterono essere condotte con la necessaria rapidità; perfino i cani e gli sciacalli, gli spazzini necrofagi dell’oriente, divennero incapaci di compiere il loro rivoltante lavoro, e la moltitudine di cadaveri mutilati e suppuranti alla lunga minacciò l’esistenza stessa dei cittadini…”

C’era una ragione per quella carestia? No, se i britannici avessero voluta evitarla. Il Bengala, allora come oggi, aveva la capacità di offrire tre raccolti all’anno. Si trova sul delta del Gange. Anche in caso di siccità, i tre raccolti sono garantiti. Come era prevalente nei tempi del moghul e in precedenza, inoltre, il grano in sovrappiù veniva immagazzinato per garantire il nutrimento della popolazione in caso di basse rese dei raccolti futuri. Il saccheggio dei raccolti da parte di Clive e della banda dei suoi complici, drenò il grano dal Bengala tanto da far morire dieci milioni di indiani, cioè da eliminarne un terzo. Si dovrebbe notare che la cosiddetta rivoluzione industriale attribuita alla Gran Bretagna iniziò nel 1770, lo stesso anno di questo quasi genocidio in Bengala. Il "Partito del Tè" di Boston che diede il via alla Rivoluzione Americana prese piede nel 1773. Permise all’Impero Britannico di capire che i suoi giorni in America erano ormai contati, e di decidersi a concentrare i suoi sforzi sullo sfruttamento dell’India.

 

 

Perché le carestie furono così frequenti durante i giorni del Raj britannico?
La prima ragione della regolarità con cui le carestie si verificarono e furono lasciate imperversare per anni ad ogni occasione, sta nella politica imperiale britannica di spopolamento delle sue colonie. Se queste carestie non si fossero abbattute sull’India, la sua popolazione avrebbe raggiunto il miliardo molto prima del XX secolo, cosa che britannici consideravano o avrebbero considerato un esito disastroso. Innanzitutto perché una popolazione maggiore avrebbe significato un maggior consumo di prodotti locali da parte degli indigeni, riducendo le possibilità del Raj britannico di saccheggiare con profitto. La soluzione logica sarebbe stata quella di sviluppare infrastrutture agricole per tutta l’India, ma ciò avrebbe non soltanto costretto la Gran Bretagna a spendere più denaro per sostenere il proprio impero coloniale e bestiale, ma avrebbe anche sviluppato un popolo in salute che avrebbe potuto ribellarsi dell’abominio chiamato Raj britannico. Queste carestie di massa ebbero il risultato voluto di indebolire la struttura sociale e la spina dorsale degli indiani, rendendo sempre meno probabili le ribellioni contro le forze coloniali. Per perpetuare le carestie e dunque spopolare gli indiani “pagani” e “scuri” gli imperialisti britannici lanciarono una campagna di propaganda sistematica, usando allo scopo il fabbricante di frodi Thomas Malthus, e diffondendo le sue farneticazioni non scientifiche raccolte nel “Saggio sulla Popolazione”:

“Questa naturale ineguaglianza dei due poteri della popolazione e della produzione sulla Terra,” scrisse Malthus “e quella grande legge della nostra natura che vuole che siano costantemente uguali i loro effetti, costituisce la grande difficoltà che a me pare insormontabile sulla via verso la perfettibilità della società. Ogni altro argomento è degno di considerazione minore o subordinata rispetto a questo. Non vedo con quale mezzo l’uomo possa sfuggire al peso di questa legge che pervade tutta la natura animata”.

Benché Malthus fosse stato ordinato sacerdote della Chiesa Anglicana, l’Impero Britannico lo rese un “economista” stipendiato dalla CBIO, beneficiaria del monopolio concesso da Elisabetta I sul commercio in Asia, e forte di tale privilegio impegnata ogni dove a colonizzare con la propria milizia ben armata, ma sotto la bandiera inglese di San Giorgio. Malthus fu individuato presso il College Imperiale di Haileybury, tipico terreno di reclutamento di alcuni dei peggiori criminali coloniali. Fu in questo college che furono formati i pianificatori della politica imperiale di genocidio per l’India. Tra di essi Sir John Lawrence (viceré dell’India nel periodo 1864-1868) e Sir Richard Temple (luogotenente generale del Bengala e, più tardi, governatore di Bombay). Mentre Malthus elaborava la sua sinistra “teoria scientifica” per giustificare lo spopolamento quale processo naturale e necessario, l’Impero Britannico raccolse un pugno di altri “economisti” affinché scrivessero a favore della necessità del libero mercato. Il liberismo ebbe così un ruolo preminente nell’adozione della politica genocida in India, grazie agli sforzi del Raj britannico. Il libero mercato, infatti, è l’altra faccia della medaglia del controllo demografico proposto da Malthus. Quando arrivò la grande carestia del 1876, la Gran Bretagna aveva ormai costruito alcune ferrovie in India. Benché fossero state presentate come mezzo di contrasto delle carestie, esse furono invece usate dai mercanti per trasportare il grano dei magazzini dai distretti colpiti della siccità fino ai depositi centrali per l’accaparramento. L’opposizione dei liberoscambisti, inoltre, contro ogni politica di controllo dei prezzi portò alla speculazione sul grano. Il risultato fu che per raccogliere il grano dai distretti colpiti dalla siccità fu raccolto il necessario capitale e il suo impiego rappresentò un investimento nell’aggravarsi della calamità. Il prezzo del grano aumentò in maniera sorprendentemente rapida e il grano abbandonò le regioni in cui era più richiesto, per essere immagazzinato in attesa di un ulteriore rialzo dei prezzi. Il Raj britannico sapeva o avrebbe dovuto sapere. Anche se i coloni britannici non sostennero apertamente questo processo speculativo, ne furono perfettamente consapevoli e furono perfettamente a loro agio con la promozione del libero mercato ai danni di milioni di vite umane. Ecco come Mike Davis descrisse quanto accaduto:

“Il rialzo dei prezzi fu così straordinario e la fornitura disponibile così scarsa, se confrontata con i ben noti requisiti, che i mercanti e i trafficanti, sperando in enormi guadagni futuri, apparvero determinati a trattenere le loro riserve di grano per un tempo indefinito e a non suddividere una merce che stava diventando rara. Fu evidente al governo che i mezzi per trasportare il grano su rotaia stavano facendo rialzare i prezzi ovunque, e che l’attività di apparente importazione e di transito ferroviario, non indicava alcuna aggiunta alla riserve di cibo del Governo. Nel frattempo, nelle regioni [colpite dalla carestia] il commercio al dettaglio era ormai sospeso. O i prezzi richiesti andavano oltre i mezzi di pagamento delle moltitudini, oppure i negozi rimanevano sempre chiusi”.

 

Possedimenti (in rosa) della Compagnia Britannica delle Indie Orientali nell’India del 1765 e del 1805.



Edward Robert Lytton Bulwer-Lytton, Conte di Lytton.
A quel tempo il viceré era Lord Lytton, un poeta favorito dalla Regina Vittoria ma noto come “macellaio” da molti indiani. Egli si oppose di tutto cuore a ogni sforzo di raccogliere il grano per nutrire la popolazione colpita della carestia, poiché ciò avrebbe interferito con le forze del mercato. Nell’autunno del 1876, mentre il raccolto monsonico avvizziva nei campi dell’India meridionale, Lytton fu assorbito dall’organizzazione dell’oceanico Imperial Assemblage a Delhi, per proclamare imperatrice la Regina Vittoria. Come giustificò questa cosa, Lytton? Poiché era un ammiratore e un seguace di Adam Smith. Mike Davis scrisse che Smith:

“un secolo prima ne ‘La ricchezza delle nazioni’ aveva asserito (nei confronti della terribile carestia del Bengala del 1770) che la carestia non aveva avuto altra origine che dalla violenza con cui il governo aveva cercato, con mezzi impropri, di rimediare alla penuria, Lytton stava applicando ciò che Smith gli aveva insegnato e aveva insegnato ad altri fautori del sistema del libero mercato. L’ingiunzione di Smith contro i tentativi di Stato di regolamentare il prezzo del grano durante la carestia del 1770 era stata insegnata e tramandata per anni nel famoso college di Haileybury della Compagnia delle Indie Orientali”.

Lytton impartì ordini precisi affinché “non vi fosse interferenza di alcun tipo da parte del Governo con l’obiettivo di ridurre il prezzo del cibo” e “nelle sue lettere all’Ufficio delle Indie Orientali in Gran Bretagna e ai politici di entrambi i partiti, egli denunciò le ‘isterie umanitarie'”. Per via di un diktat ufficiale, dunque, l’India al pari dell’Irlanda prima di essa, divenne un laboratorio utilitarista in cui si giocò d’azzardo sulla vita di milioni di persone, perseguendo una fede dogmatica negli onnipotenti mercati capaci di superare l' ”inconvenienza della penuria”.

 

Un bambino morto durante la “carestia di Winston Churchill” (1943).



Le grandi carestie (oltre il milione di morti).
Due dozzine di carestie uccisero almeno sessanta milioni di indiani. Qui ci interessiamo a quelle che uccisero, ciascuna, più di un milione di individui. Esse furono:

Carestia del Bengala, 1770 ~ 10 milioni di morti

Carestie di Madras, 1782-1783
e di Chalisa, 1783-1784 ~ 11 milioni di morti

Carestia di Doji Bara (o “del teschio”) 1791-1792 ~ 11 milioni di morti

Carestia del Doab Alto, 1860-1861 ~ 2 milioni di morti

Carestia di Orissa, 1866 ~ 1 milione di morti

Carestia di Rajputana, 1869 ~ 1,5 milioni di morti

Grande Carestia, 1876-1878 ~ 5,5 (o 11) milioni di morti

Carestie indiane, 1896-1897 e 1899-1900 ~ 6 milioni di morti (nelle sole regioni controllate dalla CBIO)

Carestia del Bengala, 1943-1944 ~ 3,5 (o 5) milioni di morti

 

Campi di soccorso o campi di concentramento?

 

 

Molti suggerimenti arrivarono ad Adolf Hitler da parte britannica, su come eliminare milioni di persone. Quello che certamente accolse nell’istituire i suoi lager fu ricavato dalla gestione dei campi che i britannici impiegarono per “soccorrere” i milioni di affamati. Chiunque entrasse in tali campi, non ne sarebbe uscito vivo. Considerate le azioni del vicario del viceré Lytton, Richard Temple, un altro prodotto di Haileybury imbevuto di dottrina genocida in funzione imperiale. Temple prese ordini da Lytton per assicurare che le opere di soccorso non costassero “più del necessario”. Dopo essere stato attaccato duramente dai liberisti presso The Economist, ecc. per aver lasciato pensare agli indiani che “sia compito del governo il mantenerli in vita”, Temple cercò di ricostruirsi una reputazione, per esempio cominciando “a condurre esperimenti per vedere con quale quantità minima di cibo gli indiani potessero sopravvivere, annotando freddamente nel suo diario quando ‘gente sana e robusta’ era ridotta a ‘poco più che scheletri animati… Inetti per qualunque lavoro.” [da Johann Hari: "The truth? Our empire killed millions"]

Stando ad alcuni analisti, i campi organizzati da Temple non erano molto differenti da quelli delle SS. La gente, ormai mezza morta di fame, era costretta a marciare per centinaia di chilometri per raggiungere i campi in cui avrebbero avuto cibo razionato in cambio di lavoro, con quantità di cibo inferiori a quelle concesse ai futuri prigionieri dei nazisti.

"I britannici si rifiutarono di prestare un soccorso adeguato alle vittime della carestia motivando che tale misura avrebbe incoraggiato l’indolenza. Sir Richard Temple, che nel 1877 era stato selezionato per organizzare gli sforzi di soccorso in piena carestia, decise che la razione di cibo per gli indiani affamati dovesse ammontare a sedici once di riso al giorno, meno della dieta per i prigionieri del campo di concentramento di Buchenwald destinato agli ebrei nella Germania di Hitler. La ritrosia dei britannici nel rispondere con urgenza e vigore alla penuria di cibo ebbe come esito una serie di circa due dozzine di sconcertanti carestie, durante l’occupazione britannica dell’India. Queste spazzarono via decine di milioni di persone. La frequenza delle carestie mostrò un sconcertante tendenza a crescere nel XIX secolo." – B.M. Bhatia, "Famines in India, A Study in Some Aspects of the Economic History of India", 1860-1945 – 1963 (Asia Publishing House, Bombay).

Fu voluto allora, ed è voluto ora.

 

Un campo di concentramento britannico per donne e bambini, durante la seconda guerra contro i boeri.

 

Lizzie Van Zyl, una giovanissima vittima (non sufficientemente celebre) della malnutrizione forzata dei britannici durante la seconda guerra contro i boeri.


Fonte http://www.stampalibera.com

 



LO SCONOSCIUTO OLOCAUSTO DELL’INDIA

Sulle cause dello sterminio per fame nella colonia inglese dell’India, 1942-1945

Di Wolfgang Pfitzner (1999)[1]

Lo sterminio per fame – scatenato da Stalin – che ebbe luogo in Ucraina all’inizio degli anni ’30, nel quale caddero vittime circa 7 milioni di persone, è un fatto ormai risaputo. E’ molto meno risaputo che l’Inghilterra applicò una politica analoga in Irlanda, per spezzare la volontà di indipendenza degli irlandesi. Ancora meno conosciute sono le conseguenze che la politica inglese di occupazione ebbe sulla condizione alimentare in India. Sebbene il subcontinente indiano aveva sempre sofferto a causa di carestie relativamente gravi, tali carestie non furono mai così devastanti come sotto l’occupazione inglese.

 


Introduzione.
La fame è sempre stata un compagno costante nella storia dell’India. Già nel Medioevo, l’India aveva sofferto a causa di molte carestie, provocate per la maggior parte dalla siccità. Un peggioramento decisamente più drastico, tuttavia, ebbe luogo con l’inizio del dominio coloniale inglese. Lo studioso indiano Mohiuddin Alamgir ha scritto al riguardo le seguenti parole:
“Durante il periodo coloniale l’India ha sofferto, a causa delle carestie, più frequentemente, più duramente, e su scala più vasta di quanto accadde nelle epoche precedenti.  […] E’ importante notare che la fame e la mortalità ebbero luogo anche quando c’era una struttura amministrativa uniforme e un sistema di comunicazioni assai superiore a quello in vigore, prima degli inglesi, in India sotto i mogol. Oltre agli abituali fattori climatici, risulta che la situazione già cattiva divenne addirittura peggiore in seguito alle manipolazioni dei prezzi da parte dei commercianti, all’inerzia del governo, come pure all’esportazione di cibo persino in tempi di penuria, accompagnate da un peggioramento progressivo dei guadagni, così come dalla situazione occupazionale dei braccianti e dei piccoli agricoltori.”[2]  

Le carestie più spaventose ebbero luogo nel Bengala nel 1770, all’epoca il granaio dell’India, quando circa un terzo della popolazione morì a causa della siccità: 10 milioni di persone! La compagnia britannica East India Company, che aveva occupato il paese cinque anni prima, era totalmente impreparata ad affrontare una tale situazione. Ma non tentò neppure di fornire il minimo aiuto degno di questo nome. I colonialisti inglesi evidentemente erano interessati soltanto a massimizzare il loro profitto attraverso il commercio e l’esportazione di cibo, la qual cosa, anche se non aveva provocato la carestia, la rese certo decisamente peggiore.[3] Fino allo scioglimento della colonia inglese nel 1947, ebbero luogo qualcosa come trenta carestie[4]: alcune fonti ne menzionano addirittura circa 40, a seconda della definizione di carestia.[5] Di conseguenza il Bengala, che era stato il granaio dell’India, venne trasformato nell’ospizio per i poveri dell’Asia nel giro di soli due secoli. Vi sono molte ragioni per questa politica coloniale catastrofica durata 182 anni, a causa della quale caddero vittime – rispetto a coloro che sarebbero morti in circostanze normali – innumerevoli milioni di indiani. All’inizio si trattò dello smantellamento del sistema sociale indiano tradizionale, nel quale i governatori e i proprietari terrieri (in ligua hindi: zamindari) si prendevano cura dei loro sudditi nei momenti di bisogno, fornendo loro le razioni di cibo necessarie alla sopravvivenza. Gli inglesi sostituirono questo sistema sociale paternalistico con qualcosa che venne in seguito denunciato come “capitalismo di Manchester”: i proprietari terrieri dovevano pagare una tassa fissa all’autorità coloniale. La questione dei guadagni dai canoni d’affitto venne lasciata al “libero mercato”. Gli evasori fiscali vennero semplicemente ignorati; gli affittuari che non erano riusciti a far fronte ai propri impegni vennero sfrattati. In molti casi, i vecchi proprietari terrieri vennero trasformati in capitalisti rampanti. La conseguenza fu la distruzione dei mezzi di sostentamento di molti agricoltori e braccianti. Il ricco divenne più ricco e più spietato, il povero più povero e più indifeso.[6] Secondo l’ideologia del capitalismo di Manchester, ogni intervento delle autorità nell’economia veniva generalmente evitato. A dispetto di frequenti carestie, non venne attuato alcun intervento efficace, come ad esempio controlli dei prezzi, sussidi, misure di assistenza sociale, o acquisti e trasporti di cibo finanziati o sostenuti dal governo.[7] La situazione si aggravò, specialmente con il volgere dal diciannovesimo al ventesimo secolo, a causa della crescita accelerata della popolazione, che portò ad un aumento degli agricoltori nullatenenti, come pure all’aumento dei canoni di affitto fino al 50% del valore del raccolto.[8]
 

 

Le cause dell’ultima tragedia coloniale indiana.
L’ultima grande carestia nel Bengala sotto l’occupazione inglese ebbe luogo tra il 1942 e il 1945 (nella zona del Brahmaputra-Gange-Delta, oggi in parte appartenente all’India, in parte al Bangladesh). Oltre alle sfavorevoli condizioni sociali già descritte, si aggiunsero altri fattori, che alla fine provocarono la catastrofe. Il prof. Amartya Sen, che ha ricevuto il Premio Nobel per l’economia nel 1998, hafatto propria la stravagante opinione che questa carestia fu fittizia perché fondamentalmente non vi sarebbe stata penuria di cibo,[9] una presa di posizione che gli ha procurato una forte opposizione, a dir poco.[10] La discussione derivata dalla contorta teoria di Sen ha rafforzato la teoria che la mancanza di cibo è la causa principale delle carestie.[11] La letteratura specializzata ha elencato le seguenti cause di questa catastrofe, durante la quale persero la vita dai quattro ai cinque milioni di persone:[12]
- Dal 1940, tutte le riforme costituzionali proposte vennero rinviate per mettere l’India totalmente al servizio degli sforzi di guerra contro la Germania.Di conseguenza, il Partito del Congresso, il più grande partito nazionale indiano (quello di Gandhi) revocò la propria collaborazione con il governo, cosa che portò a notevoli tensioni politiche interne. A causa della situazione socialmente tesa, sorsero ripetutamente violenti conflitti tra le autorità coloniali e combattenti indipendentisti. Poiché il Golfo del Bengala era visto come uno luoghi possibili per un’invasione giapponese, gli inglesi consideravano inaccettabile un forte movimento d’indipendenza, e perciò misero in atto un’azione di polizia militare nell’ottobre del 1942, durante la quale vennero distrutti 193 sedi di partito ed edifici del Partito del Congresso e innumerevoli persone vennero arrestate. Tra l’agosto del 1942 e il febbraio del 1943, vennero fucilate dalla polizia inglese 43 persone. Inoltre, le truppe inglesi furono coinvolte, tra le altre cose, in un numero imprecisato di stupri e di furti di derrate alimentari.
- Nel Maggio del 1942 la colonia inglese di Burna, che fino ad allora aveva esportato cibo in India, cadde in mano giapponese.
- Nell’estate del 1941 la Gran Bretagna perse il controllo del Golfo del Bengala per circa un anno, cosa che portò al crollo di tutto il traffico marino civile. L’esportazione del principale prodotto del Bengala – la juta – per via di mare, divenne impossibile come l’importazione di cibo. Il Bengala subì il sovraffollamento sia di rifugiati che di soldati in ritirata da varie colonie inglesi che erano state occupate dai giapponesi. Soltanto nel Marzo del 1942, arrivarono ogni giorno a Calcutta e a Chittagong dalle 2.000 alle 3.000 persone, tra soldati e civili, e nel mese di Maggio ne venne contato un totale di 300.000. Poiché queste persone non potevano essere tutte alloggiate nelle città, vennero eretti dei campi di accoglienza provvisori nelle campagne, in attesa di trasportare i nuovi venuti verso l’interno. Nel frattempo, ne morirono migliaia a causa della malaria e del colera. In seguito poi ai massicci acquisti di cibo, effettuati dal governo, i prezzi nelle campagne salirono alle stelle. Aspettando lo sbarco giapponese nel Golfo del Bengala, le autorità inglesi di occupazione emanarono il cosiddetto “Boat-Denial Scheme” [Programma di rifiuto delle imbarcazioni], che portò alla confisca di tutte le barche e le navi che potevano ospitare più di 10 persone. Questo provvedimento portò alla confisca di non meno di 66.500 imbarcazioni. Di conseguenza, il sistema di navigazione interno crollò completamente. La pesca divenne praticamente impossibile, e molti coltivatori di riso e juta non poterono più spedire le loro merci. L’economia finì per crollare completamente, specialmente nel delta inferiore del Gange. La requisizione di terreni a causa delle fortificazioni e delle costruzioni militari (piste d’atterraggio per aerei, campi per militari e per rifugiati) portò all’espulsione dalla loro terra di un numero di persone compreso tra le 150.000 e le 180.000 unità, trasformandole in senzatetto. Le consegne di cibo da altre parti del paese verso il Bengala vennero respinte dal governo, da un lato per indebolire il movimento d’indipendenza, dall’altro per rendere il cibo studiatamente scarso. Questa fu una politica di particolare crudeltà introdotta nel 1942 sotto la denominazione di “Rice Denial Scheme” [Programma di rifiuto del riso]. Lo scopo di tutto ciò era di impedire un efficiente rifornimento di cibo ai giapponesi dopo un’eventuale invasione. Nel quadro di questa politica, il governo autorizzò i mercanti ad acquistare riso a qualunque prezzo e a venderlo al governo per essere immagazzinato nei depositi governativi. Questo assegno in bianco del governo scatenò l’inflazione dei prezzi. Il risultato fu che alcuni mercanti non consegnarono il cibo al governo ma lo accumularono [in proprio], sperando in margini di profitto più alti quando lo avrebbero venduto in seguito. Questo portò ad ulteriori penurie di cibo sul mercato e ad ulteriori aumenti dei prezzi. Per considerazioni militari, il governo ordinò che il rifornimento di cibo destinato ai soldati, agli impiegati governativi e ai lavoratori dell’industria militare dovesse essere mantenuto a qualunque costo. Oltre a questa spinta verso l’inflazione, le massicce attività militari nel Bengala, che venivano fondamentalmente finanziate con il lavoro straordinario delle stamperie della moneta, condussero ad un’inflazione generale, che colpì in modo particolarmente duro la popolazione impoverita delle campagne.[13]
- Il 16 Ottobre del 1942 un uragano provocò un’onda alta cinque metri, che inondò l’intero delta inferiore del Gange. Esso distrusse il raccolto dell’inverno, disseminò di sale una gigantesca area di terra, uccise circa 14.500 persone e il 10% del bestiame. Il legname per la cremazione dei cadaveri non era disponibile, e la putrefazione dei cadaveri provocò la contaminazione dell’acqua potabile e infine la diffusione del colera e di altre malattie contagiose. Per quanto riguarda le misure di assistenza introdotte dopo l’inondazione dell’autunno/inverno del 1942/43, il governo restituì solo un terzo del cibo che era stato ritirato in precedenza dal Bengala. Ulteriori forniture di cibo da altre zone dell’India vennero acquistate solo durante la primavera successiva quando la carestia del Bengala era in pieno svolgimento. Questo di nuovo portò ad un aumento generale dei prezzi. Il governo non pensò mai ad esercitare un controllo legale sui prezzi degli alimenti essenziali. Poiché i trasporti militari avevano la precedenza assoluta, il sistema indiano dei trasporti non fu in grado di fornire maggiori quantità di cibo al Bengala. Anche se la legge inglese in India aveva stabilito che in caso di carestie avrebbero dovute essere applicate misure di emergenza, la carestia del Bengala non venne mai riconosciuta come tale, non venne dichiarato lo stato di emergenza, e perciò non venne presa alcuna drastica contromisura per migliorare la situazione. Non fu fino all’Ottobre del 1943 che il governo inglese prese atto della situazione di emergenza, ma continuò a rifiutarsi di introdurre ogni misura necessaria di aiuto.


La responsabilità inglese.
I dati statistici riguardanti il Bengala degli anni 1942-44 rivelano che la disponibilità di cibo fu la più scarsa in un arco di almeno 15 anni, e probabilmente più bassa dell’11% rispetto al 1941.[14] Questa penuria di cibo provocata dalla guerra e dalla catastrofe dell’inondazione potrebbe non essere stata sufficiente, da sola, a scatenare una carestia tanto enorme, tale da condurre 4 milioni di persone alla morte per fame, tra le quali circa un terzo dell’intera popolazione dei senza terra. Si trattò in realtà di una combinazione di diversi fattori a provocare la catastrofe, della quale portano la responsabilità principalmente le autorità inglesi di occupazione, fattori che sono così riassumibili:
a) Il capitalismo inglese modello Manchester distrusse il sistema sociale tradizionale e causò l’impoverimento di larghi settori della popolazione.
b) La soppressione del movimento d’indipendenza indiano e la mancanza di volontà degli inglesi di aiutare i ribelli indiani in difficoltà.
c) Una politica militare attuata in modo spietato sulla pelle dei settori socialmente deboli della popolazione, che assomiglia in parte alla politica di Stalin della “terra bruciata”.
d) Mancanza di volontà e incompetenza, da parte dei colonizzatori, nel riconoscere la catastrofe della carestia e nell’introdurre contromisure appropriate, specialmente importazioni di cibo.

 

Un paragone europeo.
Le catastrofi che vennero provocate dall’imperialismo inglese non sono limitate al subcontinente indiano. Per molti aspetti, la storia delle sofferenze irlandesi assomiglia a quella dell’India, sebbene gli irlandesi abbiano sofferto molto più a lungo e più spaventosamente sotto l’Inghilterra di quanto sia accaduto agli Indiani. James Mullin ha scritto su questo argomento nel giornale The Irish People:
“[…] Sembra che gli impiegati statali coloniali inglesi in India abbiano provocato una carestia simile, come fecero in Irlanda un secolo prima. […]”[15]

Inoltre, una caratteristica straordinaria di questo elenco orribile di genocidi e stermini mondiali, provocati dall’imperialismo inglese (attraverso guerre, epidemie e carestie), è la totale assenza di una qualsiasi consapevolezza pubblica [di tali fatti] in Inghilterra. L’analisi degli scritti riguardanti la storia inglese mostra ad esempio, che la carestia irlandese degli anni 1845-1847 è trattata con poche righe al massimo. E, come Mullin fa notare, può difficilmente sorprendere il fatto che la carestia del Bengala non sia menzionata affatto. Anche se l’India importò circa 1.8 milioni di tonnellate di cereali prima della guerra, l’Inghilterra si assicurò che l’India avesse un surplus di esportazione di riso a livelli record nell’anno finanziario 1942/43. "La cattiva situazione del Bengala venne discussa nel Parlamento Inglese durante una riunione a cui partecipò solo il 10% dei membri. Ripetute richieste di importare cibo in India (400 milioni di persone) portarono alla fornitura di circa mezzo milione di tonnellate di cereali negli anni 1943 e1944. Incontrasto con questa misura fu l’importazione netta in Gran Bretagna (50 milioni di persone) di 10 milioni di tonnellate solo nella seconda metà dell’anno1943.”

Churchill negò ripetutamente ogni esportazione di cibo in India, a dispetto del fatto che circa 2.4 milioni di indiani prestavano servizio nell’esercito inglese durante la seconda guerra mondiale. Il Premio Nobel Amartya Sen è sopravvissuto alla carestia del Bengala, avendo all’epoca nove anni d’età. Egli ha raccontato di quante persone affamate e morenti apparissero improvvisamente dal nulla. Secondo l’opinione del prof. Sen, sono sempre i sistemi politici dispotici che sono affetti da catastrofi dovute alla fame, mai le democrazie, perché esse devono prestare più attenzione ai bisogni basilari delle persone. Considerando, tuttavia, che la democrazia non ha preservato l’India, il Bangladesh e altri paesi del terzo mondo dal soffrire gravi carestie, l’opinione di Sen è certamente semplicistica. Nell’India coloniale e in Irlanda, gli inglesi hanno governato in modo dispotico. Essi esercitavano un potere assoluto, che spesso corrompe in modo totale, come è ben risaputo. Ma governi corrotti hanno poco interesse nel fermare una carestia, quali che siano le ragioni del suo accadimento. In Irlanda, come pure in India, il cibo avrebbe potuto essere disponibile, se non con una redistribuzione, anche per mezzo di importazioni massicce o di un cambiamento delle politiche repressive, ma non c’erano incentivi per tali cambiamenti. La politica coloniale inglese fu animata esclusivamente dallo sfruttamento delle sue colonie per quanto i popoli soggetti lo avrebbero permesso senza importanti ribellioni.

 

Opposte attenzioni.
In anni recenti, il giovane storico tedesco Christian Gerlach si è fatto conoscere per il suo esame della politica alimentare del Terzo Reich durante la seconda guerra mondiale. In due monografie egli ha affermato che il Terzo Reich, in base alle esperienze acquisite durante la prima guerra mondiale, fece qualsiasi cosa per assicurare che la popolazione tedesca non soffrisse a causa della fame durante la guerra. A tale scopo, le risorse alimentari dei territori occupati vennero utilizzate per garantire i bisogni della Germania, trascurando deliberatamente i bisogni alimentari delle popolazioni occupate. Secondo Gerlach, questo fu particolarmente vero per i territori orientali che vennero temporaneamente occupati dai tedeschi durante la campagna di Russia. Di conseguenza, i due libri di Gerlach riguardanti tale argomento, che vennero pubblicati dall’editore comunista Jan Philipp Reemtsma, hanno titoli eloquenti: "Guerra, nutrizione e genocidio, e Omicidi Calcolati: La politica tedesca economica e di sterminio nella Russia Bianca dal 1941 al 1944."[16] Gerlach è certamente corretto nella misura in cui il governo del Reich riteneva prioritario il nutrimento delle truppe combattenti e del suo stesso popolo rispetto al nutrimento dei gruppi di popolazione essenzialmente inattivi delle zone occupate. Sotto questo aspetto la politica della Gran Bretagna assomiglia a quella della Germania dell’epoca, entrambe improntate ad una logica puramente bellica. C’è comunque una bella differenza: mentre la situazione alimentare nelle zone dell’Unione Sovietica occupate dai tedeschi era disastrosa in certe aree non a causa di provvedimenti tedeschi, ma a causa della politica della “terra bruciata” attuata da Stalin durante la ritirata sovietica – un fatto cui Gerlach quasi non dedica attenzione – la corrispondente penuria e l’inflazione dell’India furono essenzialmente la conseguenza della politica inglese. Purtroppo bisogna anche aggiungere che, come sempre, le atrocità tedesche, vere o presunte, ricevono un’attenzione unilaterale e spesso distorta da parte dell’opinione pubblica, mentre descrizioni equilibrate e studi comparativi di eventi analoghi che sono accaduti altrove nel mondo vengono generalmente evitati. Questi ultimi, infatti, potrebbero mettere in dubbio la presunta unicità della “malvagità” tedesca e una cosa del genere è, come si sa, politicamente scorretta e perciò indesiderabile.

[1] Traduzione di Andrea Carancini. Il testo in inglese dell’articolo può essere consultato all’indirizzo: http://vho.org/tr .

[2] Mohiuddin Alamgir, Bangladesh, Bangladesh Institute of Development Studies,Dacca, 1978, p. 48.

[3] Mohiuddin Alamgir, Famine in South Asia [La carestia nell’Asia meridionale], Oleshlager, Gunn & Han, Cambridge, 1980, p. 59.

[4] C. Walford, “The Gamines of the World: Past and Present” [I monelli del mondo: passato e presente], in Journal of the Statistical Society, 41 (3) (1978), pp. 436-442.

[5] A. Loveday, The History and Economics of Indian Famines [La storia e l’economia delle carestie indiane], Bell & Sons,London 1914, p. 135.

[6] Per questo vedi Paul R. Greenough, Prosperity and Misery in Modern Bengal, Oxford University Press, New York/Oxford, 1982, pp. 42-61.

[7] Riguardo agli effetti disastrosi dell’applicazione integrale della teoria del libero mercato in India, vedi S. Ambirajan, Classical Political Economy and British Policy in India [Economia politica classica e politica inglese in India], Cambridge University Press, Cambridge, 1978, specialmente le pagine 59-100 dedicate a varie carestie.

[8] Paul R. Greenough, op. cit. (nota 5), pp. 61-70.

[9] Amartya Sen, Poverty and Famines [Povertà e carestie], Oxford University Press,New York/Oxford, 1981, pp. 52-85.

[10] Peter Bowbrick, How Sen’s Theory Can Cause Famines [Come la teoria di Sen può provocare carestie], Quality Economics, Nottingham, 1997; P. Bowbrick, A refutation of Professor Sen’s theory of Famines [Una confutazione della teoria sulle carestiedel prof. Sen] .Institute ofAgricoltural Economics,Oxford, 1986.

[11] Per questo, vedi la Lettera all’editore di Peter Bowbrick, “Tatsachen, Theorie und der Nobelpreis”, in Vierteljahreshefte fur freie Geschichtsforschung 4 (3&4) (2000); in inglese: “Fact, theory and the Nobel Prize” [La realtà, la teoria e il Premio Nobel]; in rete: www.vho.org .

[12] Tali cause sono state riassunte in modo ottimale da Paul R. Greenough, op. cit. (nota 5), pp. 86-138.

[13] Per questo, vedi: Sugata Bos, “Starvation amidst Plenty: The Making of Famine in Bengal, Honan and Tonkin, 1942-1945” [La fame in mezzo all’abbondanza: la causa della carestia in Bengala, nell’Honan e  nel Tonchino], in Modern Asia Studies 24 (4) (1990), pp. 699-727.

[14] O Goswami, “The Bengal Famine of 1943: Re-examining the Data” [La carestia del Bengala del 1943: riesaminare I dati], in The Indian Economic and Social History Review, vol. 27, n°4, 1990.

[15] “British greed, grain exports and callous indifference. The 1943 famine in Bengal, India” [Avidità inglese, esportazioni di grano e cinica indifferenza: la carestia del 1943 nel Bengala, India], The Irish People (NY), 14 Novembre 1998; ho tratto da questo articolo tutte le citazioni seguenti.

[16] Hamburger Edition, Hamburg, 1998 e 1999.

 

Fonte iniziale: http://ita.vho.org

Fonte: https://dagobertobellucci.wordpress.com

 

 

 

Un gruppo di ricerche indiane e nordamericane simulava l’umidità del suolo durante le principali carestie indiane per giungere alla conclusione.

La carestia bengalese del 1943 fu causata dalle politiche dell’allora primo ministro inglese Winston Churchill e non dalla siccità, secondo un gruppo di ricercatori indiani e nordamericani in uno studio pubblicato sulla rivista Geophysical Research Letters. I ricercatori giunsero a questa conclusione utilizzando i dati meteorologici per simulare l’umidità presente nel suolo durante sei grandi carestie indiane, quelle del 1873-74, 1876, 1877, 1896-97, 1899 e 1943. Il deficit dell’umidità del suolo è un indicatore chiave di scarse precipitazioni e alte temperature. Secondo lo studio, le prime cinque carestie erano il risultato della siccità, come concluso dallo studio sull’umidità del suolo, ma non nel 1943. Non ci furono carestie importanti dall’indipendenza, aveva detto Vimal Mishra alla CNN , “E così abbiamo iniziato la ricerca pensando che le carestie sarebbero state causate dalla siccità per fattori come l’assenza d’irrigazione”. Mishra, professore associato dell’Istituto indiano di tecnologia, Gandhinagar, era coautore dello studio insieme a Amar Deep Tiwari, Saran Aadhar, Reepal Shah, Mu Xiao, DS Pai e Dennis Lettenmaier. La carestia del Bengala del 1943 portò alla morte di circa tre milioni di persone, ed è ampiamente ritenuto da diversi storici che fu causata o peggiorata dalle politiche inglesi dell’epoca. Lo studio dimostra che sebbene la regione orientale dell’India subì una grave siccità all’inizio degli anni ’40, le precipitazioni era al di sopra della media alla fine del 1943, periodo considerato picco della carestia. Le politiche inglese che sarebbero causa della carestia furono la pesante distribuzione di cibo e beni vitali ai militari durante la Seconda Guerra Mondiale, arrestando l’importazione di riso, e che il governo inglese non dichiarò la carestia in India. Secondo lo studio, un altro fattore che esacerbò la mortalità della carestia del 1943 fu l’occupazione giapponese della Birmania (ora Myanmar), una delle principali fonti di importazioni di riso dell’India. Lo studio osserva che in passato le carestie, nonostante fossero mortali, non poterono causare molti danni grazie alle importazioni di riso dal Myanmar e degli aiuti umanitari del governo inglese. Parlando alla CNN, Mishra disse che durante la carestia del 1873-74, il vicegovernatore del Bengala, Richard Temple, salvò molte vite importando e distribuendo cibo. Ma il governo inglese lo criticò ed abbandonò le sue politiche durante la siccità del 1943, portando ad innumerevoli vittime. Che la carestia del Bengala del 1943 fu il risultato della negligenza volontaria del governo inglese era accettato e vi si credette molto in tutta India per molto. Nel 1981, l’economista Amartya Sen, vincitore del premio Nobel, affermò che le forniture avrebbero dovuto essere abbondanti nel 1943 per controllare le vittime della carestia. Il libro di Madhushree Mukherjee del 2011, Churchill’s Secret War: The British Empire and the Ravaging of India during the World War II, osserva che la carestia fu causata da pesanti esportazioni di cibo dall’India. Man mano che la carestia peggiorava, scrive, tra gennaio e luglio 1943 furono esportate dall’India 70.000 tonnellate di riso. Nonostante all’epoca il Governo di guerra di Churchill fu avvertito della carestia, scrive Mukerjee, il primo ministro inglese fu riluttante nel dedicare tempo e risorse per risolvere il problema indiano e invece rafforzò le operazioni militari e accumulò scorte in patria. “Una concessione a un Paese una volta sola incoraggia le richieste di tutti gli altri”, commentò Churchill in una nota del 10 marzo 1943, citata nel libro di Mukerjee. “Devono imparare a prendersi cura di se stessi come abbiamo fatto noi. La grave situazione del programma d’importazione del Regno Unito mette in pericolo lo sforzo bellico e non possiamo permetterci di spedire navi solo come gesto di buona volontà”, Nel 2017, il parlamentare del Congresso Shashi Tharoor disse di Churchill: “Questo è un uomo che gli inglesi ci farebbero salutare come apostolo della libertà e della democrazia, quando aveva tanto sangue nelle mani come i peggiori dittatori genocidi del XX secolo”, narrando il caos provocato dall’impero inglese in India nel suo libro Inglorious Empire. Dall’indipendenza, la popolazione indiana è aumentata di diverse volte, ma la morte per carestia fu messa sotto controllo. “L’espansione dell’irrigazione, migliore sistema di distribuzione pubblica, occupazione rurale e trasporti ridussero l’impatto della siccità sulla vita del popolo dopo l’indipendenza”, secondo lo studio di Mishra. Le rivelazioni di Mishra e dello studio dei suoi colleghi ricercatori è ripreso da molti indiani e altri, come visto su twitter. Un utente mise in dubbio la validità di uno studio che salutava Churchill come crociato dei diritti umani.

Traduzione di Alessandro Lattanzio

Fonte estera: https://scroll.in

Fonte italiana: http://aurorasito.altervista.org



 

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