. . .

Durante la sua recente visita in Vaticano, il primo ministro canadese Trudeau ha invitato Bergoglio a chiedere pubblicamente scusa per gli orrori perpetrati dalla chiesa cattolica nei confronti dei nativi canadesi nel secolo scorso. Almeno 50.000 bambini furono uccisi, ed altre decine di migliaia furono sequestrati, portati via dalle loro famiglie e sottoposti ad abusi di ogni tipo, in quello che è stato giustamente definito il Canadian Genocide, un genocidio sistematico operato dalla chiesa cattolica per eradicare la cultura dei nativi americani dal territorio canadese.

Ma il papa ha fatto orecchie da mercante. Forse non ha mai visto questo documentario, che si intitola proprio Unrepentant, e cioè "colui che non si pente".

Fonte: https://www.luogocomune.net

 

 

 

Nascosto dalla storia l’olocausto canadese.

Quello che segue è un compendio tratto dal rapporto “Hidden From History: The Canadian Holocaust- The Untold Story of the Genocide of Aboriginal Peoples by Church and State in Canada- A Summary of an Ongoing, Indipendent Inquiry into Canadian Native ‘Residential Schools’ and their Legacy”, del Rev. Kevin D. Annet, MA, Mdiv.


Il rapporto è pubblicato da The Truth Commission into Genocide in Canada, un ente investigativo pubblico che prosegue l’opera dei precedenti tribunali riguardo alle scuole residenziali per i nativi, ovvero: "The Justice in the Valley Coalition’s Inquiry into Crimes Against Aboriginal People", riunitasi il 9 dicembre 1994 a port Alberni, British Columbia, e "The International Human Rights Associatio of American Minorities Tribunal into Canadian Residential Schools", tenutasi a Vancouver, BC, dal 12 al 14 giugno 1998. Il Direttore.



PREFAZIONE

Jasper Jospeh è un nativo sessantaquattrenne di Port Hardy, British Columbia. Gli occhi gli si riempiono ancora di lacrime quando ricorda i suoi cugini, uccisi nel 1944 con iniezioni letali da personale del Nanaimo Indian Hospital.

"Avevo soltanto otto anni, e ci avevano mandati dalla scuola residenziale anglicana di Alert Bay al Nanaimo Indian Hospital, quello gestito dalla Chiesa Unitaria. Lì mi hanno tenuto in isolamento in una piccola stanza per più di tre anni, come se fossi un topo da laboratorio, somministrandomi pillole e facendomi iniezioni che mi facevano star male. Due miei cugini fecero un gran chiasso, urlando e ribellandosi ogni volta, così le infermiere fecero loro delle iniezioni, ed entrambi morirono subito. Lo fecero per farli star zitti." ( 10 novembre 2000)

A differenza del popolo tedesco dopo la Seconda Guerra Mondiale, noi canadesi dobbiamo ancora venire a conoscenza, per non parlare di fare ammenda, del genocidio che abbiamo perpetrato nei confronti di milioni di individui conquistati: uomini, donne e bambini indigeni deliberatamente sterminati dal nostro stato e dalla nostra chiesa, convinti della loro supremazia razziale.

Già dal novembre del 1907 la stampa canadese attestava che il tasso dei decessi all’interno delle scuole residenziali indiane superava il 50% (vedere Appendice, articoli giornalistici chiave). Tuttavia negli ultimi decenni la realtà di un tale massacro è stata rimossa dalla storia e dalla coscienza pubblica del Canada. Non c’è da stupirsene, perché quella storia occultata rivela un sistema il cui scopo era quello di distruggere la maggior parte della popolazione nativa tramite malattie, trasferimenti e omicidi belli e buoni, “assimilando” nel contempo una minoranza di collaborazionisti che venivano addestrati e servire quel sistema genocida.

Questa storia di genocidio deliberato coinvolge ogni livello governativo del Canada, la Royal Canadian Mounted Police (RCMP), ogni chiesa principale, grandi corporazioni e polizia, medici e giudici locali. La rete di complicità di questa macchina assassina era, e rimane, così estesa che il suo occultamento ha richiesto un’altrettanto elaborata campagna di copertura, organizzata nelle più alte sfere di potere del nostro paese; una copertura che continua tuttora, in particolare adesso che i testimoni oculari degli omicidi e delle atrocità, perpetrati presso “scuole” residenziali per nativi gestite dalla chiesa, si sono fatti avanti per la prima volta.

Perché erano le “scuole” residenziali e costituire i campi di sterminio dell’olocausto canadese e all’interno delle cui mura, secondo statistiche governative, circa la metà dei bambini lì spediti per legge morirono o scomparvero.

Secondo un sopravvissuto queste 50.000 vittime svanirono, così come i loro cadaveri “come se non fossero mai esistiti”. Ma esistevano eccome. Erano bambini innocenti, uccisi da percosse e torture e dopo essere stati deliberatamente esposti a tubercolosi e ad altre malattie da dipendenti salariati delle chiese e del governo, in base ad un progetto generale di “Soluzione Finale” concepito dal Dipartimento Affari indiani e dalle chiese cattolica e protestante.

Con tale approvazione ufficiale del massacro, emanata da Ottawa, le chiese responsabili dell’annientamento dei nativi in loco si sentirono incoraggiate e protette a sufficienza da dichiarare per tutto il 20mo secolo una guerra totale alle popolazioni indigene non cristiane.

Le vittime di tale guerra non furono soltanto i 50.000 bambini morti delle scuole residenziali, ma anche i sopravvissuti, la cui attuale condizione sociale è stata descritta dai gruppi per i diritti umani delle Nazioni Unite come quella di “una popolazione colonizzata appena al limite della sopravvivenza, con tutte le caratteristiche di una società del terzo mondo”. (12 novembre 1999)



L’olocausto continua.

Il presente rapporto è il frutto di un’indagine indipendente, durata sei anni, sulla storia nascosta del genocidio perpetrato ai danni delle popolazioni indigene del Canada; riassume le testimonianze, i documenti ed altri riscontri a riprova che il governo, le chiese e le corporazioni canadesi sono colpevoli di genocidio internazionale, in violazione della Convenzione delle Nazioni Unite sul Genocidio, che il Canada ratificò nel 1952 e alla quale è vincolata dal diritto internazionale.

Tale rapporto deriva dall’impegno e dalla collaborazione di circa 30 individui e tuttavia alcuni dei suoi autori devono restare nell’anonimato, in particolare i collaboratori indigeni i quali, a causa del loro coinvolgimento in questa indagine, sono stati minacciati di morte, attaccati, privati del lavoro e sradicati dalle loro abitazioni nelle riserve indiane.

A causa dei miei tentativi di svelare la vicenda delle morti dei bambini presso la scuola residenziale della chiesa di Alberni io, in qualità di ministro di una delle istituzioni citate nell’indagine- la Chiesa Unitaria del Canada – sono stato licenziato, inserito nella lista nera, minacciato e diffamato pubblicamente dai suoi funzionari.

Molti hanno fatto dei sacrifici per stilare questo rapporto, in modo che il mondo possa venire a conoscenza dell’olocausto canadese e per assicurarsi che i responsabili vengano giudicati dal Tribunale per i Crimini Internazionali.

La presente indagine su crimini contro l’umanità, iniziata nell’autunno del 1994 fra i nativi e gli attivisti a basso reddito a Port Alberni, nella British Columbia, è continuata nonostante le minacce di morte, gli attacchi e le risorse della chiesa e dello stato canadesi.

Il lettore ha la facoltà di onorare il nostro sacrificio raccontando ad altri questa storia e rifiutandosi di collaborare con istituzioni che hanno deliberatamente ucciso migliaia di bambini.

Questa storia di appoggio ufficiale e di collusioni, relativa ad un secolo o più di crimini contro i primi abitanti del Canada, non deve dissuaderci dallo scoprire la verità e dal portare davanti alla giustizia coloro che hanno commesso tali crimini.

E’ per questo motivo che invitiamo a ricordare non solo i 50.000 bambini deceduti nei campi di sterminio delle scuole residenziali, ma anche tutte quelle vittime silenziose che oggi patiscono in mezzo a noi in cerca di pane e giustizia.

(Rev.) Kevin D. Annett - Segretario
The Truth Commission into Genocide in Canada

Vancouver, British Columbia, 1 febbraio 2001




PARTE UNO: Riassunto delle prove di genocidio intenzionale nelle scuole residenziali canadesi.

Articolo II: L’intenzione di distruggere, integralmente o parzialmente, un gruppo nazionale etnico, razziale o religioso; vale a dire le popolazioni indigene non-cristiane del Canada.

Lo scopo fondante a monte delle oltre cento scuole residenziali indiane, edificate in Canada in base a leggi governative ed amministrate dalle chiese cattolica e protestante, era il deliberato e costante sradicamento delle popolazioni indigene e della loro cultura, nonché la conversione forzata al cristianesimo di tutti i nativi sopravvissuti.

L’intento fu enunciato nel Gradual Civillization Act del 1857 nel Canada Superiore e, precedentemente, la legislazione ispirata dalla chiesa che definiva la cultura indigena inferiore, privò la popolazione nativa della cittadinanza e la subordinò in una categoria legale separata dai non-indiani. Questa legge servì come base per il Federal Indian Act del 1874, che ribadì l’inferiorità legale e morale degli indigeni ed istituì il sistema delle scuole residenziali. La definizione legale di un indiano in quanto “individuo selvaggio, privo della conoscenza di dio e di qualsiasi stabile e chiaro credo religioso” (Revised Statutes della British Columbia, 1960) fu coniata da queste leggi e persiste sino ai giorni nostri.

Allora come adesso, gli indigeni erano considerati legalmente e concretamente come non-entità, nella loro terra e, di conseguenza, intrinsecamente sacrificabili.

Queste intenzioni genocide furono riaffermate di frequente nella legislazione governativa, nelle dichiarazioni della chiesa nonché nella corrispondenza e nei documenti di missionari, agenti indiani e funzionari delle scuole residenziali (vedere la sezione documenti). Naturalmente si trattava esattamente della ragion d’essere dell’invasione cristiana dei territori tradizionali dei nativi, sanzionata dallo stato e dal sistema stesso delle scuole residenziali, che venne istituito all’apice dell’espansionismo europeo negli anni ’80 dell’ottocento e prosegue sino al 1984.

Lo scopo era per definizione il genocidio, in quanto pianificò e portò avanti la distruzione di un gruppo etnico e religioso: tutti quegli indigeni che non si fossero convertiti al cristianesimo ed estinti culturalmente. I nativi non-cristiani erano il bersaglio dichiarato delle scuole residenziali che, sotto la maschera dell’istruzione, praticavano una pulizia etnica di massa.

Inoltre questi “pagani” erano oggetto di programmi di sterilizzazione finanziati dal governo, eseguiti presso ospedali gestiti dalla chiesa e sanatori per la tubercolosi della costa occidentale (vedere Articolo IId).

Secondo un testimone oculare, Ethel Wilson di Bella Bella, BC, un certo George Darby, medico missionario della Chiesa Unitaria, fra il 1928 ed il 1962 sterilizzò intenzionalmente indiani non-cristiani presso l’R. W. Large Memorial Hospital. Nel 1998 la signora Wilson, ora deceduta, dichiarò:

Nel 1952 il dottor Darby mi riferì che l’Ufficio Affari Indiani di Ottawa lo pagava per ogni indiano/a che sterilizzava, in particolare se costoro non frequentavano le chiese. Centinaia delle nostre donne furono sterilizzate dal dottor Darby soltanto perché non andavano in chiesa.

(Testimonianza di Ethel Wilson di fronte al tribunale dell’Associazione Internazionale per i Diritti Umani delle Minoranze Americane [IHRAAM], Vancouver, BC, 13 giugno 1998)

Secondo Christy White, cittadina di Bella Bella, la documentazione relativa a queste sterilizzazioni, finanziate dal governo ed eseguite presso l’R. W. Large Memorial Hospital, venne intenzionalmente distrutta nel 1995, subito dopo il pubblicizzato avvio di un’indagine della polozia relativa alle atrocità commesse nelle scuole residenziali della British Columbia. Nel 1998 la signora White affermò:

"Ho lavorato presso l’ospedale di Bella Bella e so che Barb Brown, uno degli amministratori, in due occasioni gettò in mare i documenti relativi alle sterilizzazioni, alcuni dei quali furono ritrovati slavati sulla spiaggia a sud della città. Questo avvenne nella primavera del 1995, subito dopo che i poliziotti avevano avviato la loro indagine sulle scuole. Stavano coprendo le tracce. Tutti sapevamo che Ottawa finanziava le sterilizzazioni, ma ci fu detto di tacere sulla questione." (testimonianza di Christy White resa a Kevin Annett, 12 agosto 1998)

Nella British Columbia la legge che consentiva la sterilizzaizone di qualsiasi ospite delle scuole residenziali fu approvata nel 1933 mentre in Alberta nel 1928 (vedere “Sterilization Victims Urged to Come Forward” di Sabrina Whyatt, Windspeaker, agosto 1998). Il Sexual Sterilization Act della British Columbia autorizzava il presidente di una scuola a consentire la sterilizzazione di qualsiasi nativo si trovasse sotto la sua responsabilità ed egli, in quanto tutore legale, poteva far sterilizzare qualsiasi bambino nativo. Tali sterilizzazioni venivano di frequente attuate nei confronti di interi gruppi di bambini indigeni quando questi avevano raggiunto la pubertà, in istituti quali la Provincial training School di red Deer, in Alberta, ed il Ponoka Mental Hospital (dal colloquio della ex infermiera Pat Taylor con Kevin Annett, 13 gennaio 2000).

Di analoga rilevanza storica è il fatto che il governo federale canadese approvò la legislazione nel 1920, rendendo obbligatorio che tutti i bambini indigeni della British Columbia – la cui costa occidentale era l’area meno cristianizzata del Canada - frequentassero le scuole residenziali, nonostante il fatto che lo stesso governo avesse già riconosciuto che il tasso di mortalità dovuto a malattie trasmissibili fosse più elevato proprio in queste scuole e che, durante la permanenza in quei luoghi, i bambini indigeni presentavano una “costituzione così indebolita da non avere alcuna vitalità atta a contrastare le malattie” (comunicazione di A. W. Neill, agente indiano della costa occidentale, al ministro per gli Affari Indiani, 25 aprile 1910).

Vale a dire che il governo canadese rese obbligatoria alle popolazioni indigene maggiormente “pagane” e mano integrate la frequenza delle scuole residenziali proprio nel periodo in cui, secondo funzionari degli Affari Indiani come il Dr. Peter Bryce, il tasso di mortalità in quelle stesse scuole aveva raggiunto il proprio apice – attorno al 40%. Questo aspetto di per sé stesso indica le intenzioni genocide nei confronti degli indigeni non-cristiani.



Articolo II (a): Uccisione di membri del gruppo da eliminare.

Testimoni oculari, documenti governativi, dichiarazioni di agenti indiani e di anziani delle tribù confermano il fatto che nelle scuole residenziali gli indigeni venivano uccisi intenzionalmente, aspetto d'altronde fortemente indicato dalla semplice questione che il tasso di mortalità nelle scuole residenziali raggiunse il 40%, con il decesso in Canada di oltre 50.000 bambini indigeni (vedere bibliografia, compreso il rapporto del Dr. Peter Bryce dell’aprile del 1909, destinato a Duncan Campbell Scott, sovrintendente agli Affari Indiani).

Inoltre il fatto che tale tasso di mortalità rimase costante nel corso degli anni, nonché all’interno delle scuole e degli istituti quali che fossero le chiese confessionali che li gestivano – cattolica romana, unitaria, presbiteriana o anglicana – indica che a monte di questi decessi vi erano politiche e condizioni comuni, questo perché ogni secondo bambino morto nel sistema delle scuole residenziali elimina la possibilità che tali decessi fossero puramente accidentali oppure frutto delle iniziative di pochi individui depravati che agivano da soli e senza protezione.

Tuttavia tale sistema non solo era intrinsecamente omicida, ma operava nell’ambito di condizioni legali e strutturali che incoraggiavano, favorivano e istigavano l’omicidio e che erano organizzate per occultare questi crimini.

Le scuole residenziali erano strutturate come campi di concentramento, secondo uno schema gerarchico di tipo militare sotto il controllo totale di un preside nominato congiuntamente dallo stato e dalla chiesa e che, generalmente, era un ecclesiastico. Nei primi anni ’30 del ‘900 il governo federale conferì al preside persino diritti di tutela legale su tutti gli studenti, almeno nelle scuole residenziali della costa occidentale. Tenendo presente che le popolazioni indigene erano per legge sotto la tutela legale dello stato e che così era stato sin dall’entrata in vigore dell’ Indian Act, tale iniziativa del governo fu assai insolita; tuttavia tale potere assoluto del direttore della scuola sulla vita degli studenti indigeni fu uno dei requisiti di qualsiasi sistema i cui assassini di indigeni dovevano essere mascherati ed in seguito negati.

Le scuole residenziali erano costruite con questo inganno, in modo tale che i decessi e le atrocità tipiche del genocidio potessero essere occultate ed in fine spiegate. Nel contesto del Canada. Questo significava una politica di graduale ma deliberato sterminio sotto paravento protettivo legale, fornito da istituzioni “legittime e fidate”: le chiese principali.

Andrebbe chiarito fin dall’inizio che le decisioni relative alle scuole residenziali, comprese quelle che provocavano le morte dei bambini ed i relativi occultamenti, erano ufficialmente autorizzate ad ogni livello dalle chiese che le gestivano e dal governo che le istituiva; solo un’organizzazione di questo tipo avrebbe permesso che i decessi continuassero così com’è avvenuto- e che coloro che commisero tali crimini si sentissero sufficientemente protetti da agire impunemente per molti anni all’interno del sistema, così come fecero dappertutto.



· Esposizione alle malattie

Nel 1909 il Dr. Peter Bryce, del Ministero della sanità dell’Ontario, fu assunto dal Dipartimento Affari Indiani di Ottawa per visitare le scuole residenziali indiane del Canada occidentale e della British Columbia e fare rapporto sulle loro condizioni sanitarie. Il rapporto di Bryce scandalizzò a tal punto governo e chiese che venne ufficialmente insabbiato, per tornare alla luce solo nel 1922 quando Bryce- che a causa della sincerità del suo rapporto fu estromesso dall’amministrazione statale – scrisse un libro al proposito, dal titolo "The Story of a National Crime" ( Ottawa, 1922).

Nel rapporto in questione il Dr. Bryce affermava che nelle scuole residenziali i bambini indiani venivano sistematicamente e deliberatamente uccisi, citava un tasso medio di mortalità fra il 35% ed il 60% e asseriva che il personale ed i funzionari della chiesa nascondevano, rifiutavano di consegnare o falsificavano regolarmente la documentazione ed altre prove relative alla morte dei bambini.

Il Dr. Bryce inoltre dichiarò che uno dei metodi principali utilizzati per uccidere i bambini indigeni era quello di esporli intenzionalmente al contagio di malattie trasmissibili come la tubercolosi per poi negare loro qualsiasi assistenza o cura medica – una prassi effettivamente riportata da alcuni fra i massimi rappresentanti anglicani sul Globe and Mail del 29 maggio 1953.

Nel marzo del 1998 William e Mabel Sport di Nanaimo, BC, due testimoni indigeni che frequentarono le scuole residenziali della costa occidentale, confermarono le affermazioni del Dr. Bryce; entrambi sostengono di essere stati intenzionalmente esposti, negli anni ’40, alla tubercolosi dal personale di due scuole residenziali, una cattolica e l’altra della Chiesa Unitaria.

Mi costringevano a dormire nello stesso letto con bambini che stavano morendo a causa della Tubercolosi; ciò accadeva intorno al 1942 nella scuola residenziale cattolica cristiana. Cercavano di ucciderci e quasi ci riuscirono. Fecero altrettanto presso le scuole indiane protestanti, tre bambini per letto, quelli sani con quelli morenti. (Testimonianza di Mabel Sport resa ai funzionari della IHRAAM, Port Alberni, BC, 31 marzo 1998)



Omicidi.

Secondo i testimoni oculari, nelle scuole residenziali erano pressi comune omicidi anche più palesi. Tali testimoni hanno descritto bambini che venivano picchiati e lasciati morire di fame, scaraventato fuori dalle finestre, strangolati e buttati giù per le scale a spintoni o a calci sino a morirne. Questi omicidi avvenivano in almeno otto scuole residenziali, gestite dalle tre principali chiese confessionali, nella sola British Columbia.

Il settantottenne Bill Seward di Nanaimo, BC, afferma:

"Mia sorella Maggie fu scaraventata da una suore dalla finestra al terzo piano della scuola di Kuper Island, e morì. Tutto venne insabbiato, né venne svolta alcuna indagine. All’epoca, essendo indiani, non potevamo assumere un avvocato e così non venne mai fatto alcunché." (Testimonianza di Bill Seward, Duncan, BC, 13 agosto 1998).

Diane Harris, assistente sanitaria del Consiglio della Tribù Chemainus della Vancouver Island, conferma i resoconti degli omicidi.

"Sentiamo in continuazione racconti sui bambini che furono uccisi a Kuper Island. Appena a sud della scuola vi era un cimitero, destinato ai bambini nati dai rapporti fra i preti e le ragazze, sino a quando nel 1973, alla chiusura della scuola, non fu portato alla luce. Le suore facevano abortire le ragazze madri ed a volte finivano con l’ucciderle. Vi erano molte sparizioni. Mia madre, che ora ha 83 anni, vide un prete trascinare una ragazza giù per le scale tirandola per i capelli e, di conseguenza, ella perì. Le ragazze venivano stuprate e uccise e poi sepolte sotto i tavolati dei pavimenti. Chiedemmo ai funzionari della RCMP locale di esumare quel luogo in cerca dei resti ma loro si sono sempre rifiutati di farlo, anche in anni recenti come il 1996; il caporale Sampson ci ha persino minacciati. Questo genere di insabbiamento è la regola. I bambini sani venivano messi in infermeria assieme a quelli malati di tubercolosi, era la procedura standard; nell’arco di sette anni abbiamo documentato 35 omicidi palesi." (testimonianza di Diane Harris resa di fronte al tribunale della IHRAAM, 13 giugno 1998)

Esistono riscontri a indicare che l’attiva collusione fra polizia, funzionari dell’ospedale, medici legali, agenti indiani e perfino capi indigeni ha contribuito ad occultare tali omicidi. Gli ospedali locali, in particolare i sanatori per la tubercolosi collegati alla chiesa unitaria e a quella cattolica romana, hanno svolto la funzione di “discariche” per i cadaveri dei bambini ed hanno regolarmente fornito certificati di morte falsi per gli studenti uccisi.

Nel caso della scuola residenziale della Chiesa Unitaria di Alberni, gli studenti che scoprivano i cadaveri di altri bambini subivano gravi punizioni. Uno di questi testimoni, Harry Wilson di Bella Bella, BC, afferma di essere stato espulso dalla scuola, quindi ricoverato in ospedale e drogato contro la sua volontà dopo aver scoperto il corpo di una ragazza deceduta nel maggio del 1967.

Cosa triste, il sistema a doppio livello di collaborazione e vittime creato nelle scuole fra gli studenti nativi continua a tutt’oggi, poiché alcuni dei rappresentanti del consiglio della tribù finanziati dallo stato – essi stessi ex collaborazionisti – sembrano avere un particolare interesse nel contribuire a sopprimere le prove e a mettere a tacere testimoni che incriminerebbero non solo gli assassini ma anche loro stessi, in quanto agenti dell'amministrazione bianca.

La maggior parte dei testimoni che hanno raccontato la loro storia agli autori e di fronte ai tribunali pubblici della costa occidentale hanno descritto o di aver visto casi di omicidio o di aver scoperto un cadavere presso la scuola residenziale che frequentavano. Il numero delle vittime, anche secondo le cifre fornite dal governo, fu enormemente elevato; ma allora dove sono tutti i cadaveri? I decessi di migliaia di studenti non sono riportati in nessuno dei registri delle scuole, degli archivi degli Affari Indiani né su altra documentazione finora presentata in tribunale o su pubblicazioni di ricerca relative alle scuole residenziali. Circa 50.000 cadaveri sono letteralmente ed ufficialmente andati perduti.

Il sistema delle scuole residenziali ha dovuto occultare non solo le prove degli omicidi ma anche i cadaveri. La presenza di fosse comuni segrete per i bambini uccisi presso le scuole cattoliche e protestanti di Sardis, Port Alberni, Kuper Island ed Alert Bay è stata attestata da numerosi testimoni, secondo i quali queste aree segrete di sepoltura contenevano anche i feti abortiti e persino i bimbi molto piccoli frutto dei rapporti e ragazze del personale delle scuole. Una delle testimoni, Ethel Wilson di Bella Bella, afferma di aver visto “file e file di piccoli scheletri” nelle fondamenta della ex scuola residenziale anglicana di St Michael’s ad Alert Bay quando al suo posto, negli anni ’60, venne edificata una nuova scuola.

"Vi erano svariate file di scheletri, tutti allineati ordinatamente, come se fosse un grande cimitero. Gli scheletri erano stati ritrovati all’interno di una delle vecchie mura della scuola di St Mike. A giudicare dalle dimensioni, nessuno di essi poteva essere molto vecchio. Ora, per quale motivo così tanti bambini sono stati sepolti in quel modo all’interno di un muro, a meno che qualcuno non stesse cercando di nascondere qualcosa?" (testimonianza di Ethel Wilson resa a Kevin Annett, Vancouver, BC, 8 agosto 1998).

Arnold Sylvester, il quale, il quale come Dennis Charlie, fra il 1939 ed il 1945 frequentò la scuola di Kuper Island, conferma questo resoconto.

"I preti scavarono in quel cimitero in tutta fretta nel1972, quando la scuola chiuse. Nessuno era autorizzato a guardarli riesumare quei resti. Penso che ciò fosse dovuto al fatto che si trattava di un cimitero particolarmente segreto, dove venivano sepolti i cadaveri delle ragazze incinte. Alcune delle ragazze ingravidate dai preti furono effettivamente uccise perché minacciavano di spifferare tutto; a volte venivano spedite via e a volte scomparivano. Non ci era consentito parlare di questo argomento." (Testimonianza di Arnold Sylvester resa a Kevin Annett, Duncan, BC, 13 agosto 1998)

Anche gli ospedali locali venivano utilizzati come discariche per i cadaveri dei bambini, come nel caso del ragazzo di Edmonds e del suo “trattamento” presso il St Paul’s Hospital, seguito al suo omicidio avvenuto presso la scuola cattolica di North Vancouver. Alcuni ospedali, comunque, sembrano essere stati luoghi particolarmente prediletti per l’accumulo dei cadaveri.

Il Nanaio Tubercolosis Hospital (chiamato The Indian Hospital) era uno di questi. Secondo alcune donne che hanno subito questo genere di torture presso tale ospedale (vedere Articolo IId), sotto la guisa di cure per la tubercolosi generazioni di bambini e adulti indigeni furono oggetto di esperimenti medici e sterilizzazione; lo stabile tuttavia era anche una sorta di magazzino-obitorio per i cadaveri dei nativi.

Secondo testimoni come Amy Tallio, che frequentò la scuola di Alberni nei primi anni ’50, il West Coast General Hospital di Port Alberni non solo accoglieva i corpi dei bambini provenienti dalla locale scuola residenziale della Chiesa Unitaria; era anche il luogo dove venivano eseguiti gli aborti sulle ragazze indigene ingravidate dai preti e dal personale e dove si sbarazzavano dei neonati che, forse, venivano uccisi.

Irene Starr, della nazione Hesquait, la quale frequentò la scuola di Alberni fra il 1952 ed 1961, conferma tutto questo:

"Alla scuola di Alberni molte ragazze rimanevano incinte. I padri dei bambini, quelli che le violentavano, erano membri del personale, gli insegnanti. Non abbiamo mai saputo cosa accadeva ai neonati, ma essi scomparivano regolarmente. Le ragazze gravide venivano portate all’ospedale di Alberni e quindi ritornavano, senza i loro bambini. Sempre. Il personale uccideva quei bambini per eliminare le loro tracce; venivano pagati dalle chiese e dallo stato per fare gli stupratori e gli assassini." (Testimonianza di Irene Starr resa a Kevin Annett, Vancouver, BC, 23 agosto 1998)



Articolo II (b): Provocare gravi danni fisici o mentali

Agli esordi dell’era delle scuole residenziali Duncan Campbell Scott, sovrintendente agli Affari Indiani, delineò così la finalità delle suddette scuole: “Uccidere l’indiano che è dentro gli indiani”.

Chiaramente l’attacco genocida contro gli indigeni non era soltanto fisico, ma anche spirituale. La cultura europea ambiva a possedere le menti e le anime delle nazioni native, per trasformare gli indigeni che non era riuscita a sterminare in copie di terza classe dei bianchi. Alfred Cadwell, direttore della scuola della Chiesa Unitaria di Ahousat, sulla costa occidentale di Vancouver Island, nel 1938 scriveva:

Il problema rappresentato dagli indiani è di natura morale e religiosa. Essi mancano dei fondamenti di base del pensiero e dello spirito civile, il che spiega la loro natura ed il loro comportamento infantile. Presso la nostra scuola ci sforziamo di trasformarli in cristiani maturi che imparino a comportarsi bene nel mondo e abbandonino il loro selvaggio stile di vita ed i loro diritti, acquisiti col trattato, che li tengono inchiodati alla loro terra e ad una primitiva esistenza. Soltanto allora il problema indiano nel nostro paese verrà risolto. ( Lettera del Rev. A. E. Cadwell all’agente indiano P. D. Ashbridge, Ahousat, BC, 12 novembre 1938)

Il fatto che questo stesso preside venga citato dai testimoni in quanto assassino di almeno due bambini – uno dei quali ucciso lo stesso mese in cui scrisse la sopraccitata lettera – non è casuale, poiché il genocidio culturale trabocca senza sforzo nell’assassinio, come i nazisti hanno dimostrato in modo così lampante nel mondo.

Nondimeno la lettera di Cadwell chiarisce due punti nodali della discussione relativa alle atrocità fisiche e mentali inflitte agli studenti indigeni: (a) le scuole residenziali costituivano un vasto programma di controllo mentale, e (B) lo scopo sotteso di questa “riprogrammazione” dei bambini indigeni era quello di scacciare i nativi via dalle loro terre onde permettere ai bianchi l’accesso ad esse.

Citando la sopravvissuta di Alberni, Harriet Nahanee:

"Ci mettevano sempre gli uni contro gli altri, costringendoci a combatterci e a molestarci a vicenda. Il tutto aveva lo scopo di dividerci e di farci il lavaggio del cervello in modo che dimenticassimo che noi eravamo i Custodi del Territorio. Il Creatore diede al nostro popolo il compito di proteggere le terre, i pesci, le foreste, questo era lo scopo delle nostre esistenze. I bianchi però volevano tutto per sé stessi, e le scuole residenziali erano il metodo a loro disposizione; metodo che funzionò. Abbiamo dimenticato il nostro sacro compito ed ora i bianchi possiedono la maggior parte delle terre e si sono impossessati di tutto il pesce e di tutti gli alberi. Noi siamo per la maggior parte poveri, dediti ai vizi, violenti in famiglia; e tutto questo iniziò nelle scuole, dove ci manipolarono la mente affinché odiassimo la nostra cultura e noi stessi, cosicché avremmo perso tutto quanto. Questo è il motivo per cui affermo che il genocidio è tuttora in corso."(Testimonianza di Harriet Nahanee resa a Kevin Annett, North Vancouver, BC, 11 dicembre 1995)

Fu solo con l’assunzione dei poteri di tutela da parte dei presidi della costa occidentale, avvenuta fra il 1933 ed il 1941, che emergono i primi riscontri di reti pedofile organizzate in quelle scuole residenziali; perché quel sistema era legalmente e moralmente libero di fare ai suoi allievi coatti tutto quello che voleva.

Le scuole residenziali divennero un rifugio sicuro- un sopravvissuto le definisce una “zona franca”- per pedofili, assassini e medici perversi che avevano bisogno di cavie umane vive per collaudi di farmaci o ricerche genetiche e sul cancro.

Scuole specifiche come quella cattolica di Kuper Island e quella della Chiesa Unitaria di Alberni, divennero centri speciali in cui, unitamente all’abituale sequela di pestaggi, stupri e noleggio di bambini a influenti pedofili, venivano praticate impunemente tecniche di sterminio su bambini indigeni provenienti da tutta la provincia.

Gran parte del male fisico e mentale recato agli studenti indigeni aveva lo scopo di spezzare la lealtà tribale tradizionale per linee di parentela, mettendo i bambini gli uni contro gli altri e privandoli dei loro legai naturali; maschi e femmine erano rigidamente segregati in dormitori separati e non potevano mai incontrarsi.

Una sopravvissuta racconta di non aver mai visto il fratellino per anni, anche se lui si trovava nel medesimo edificio della scuola anglicana di Alert Bay. Quando poi i bambini sconfinavano nei corrispettivi dormitori e le ragazze ed i ragazzi più grandicelli venivano colti a scambiarsi effusioni, venivano applicate a tutti quanti le punizioni più severe. Secondo le parole di una sopravvissuta che frequentò la scuola di Alberni nel 1959:

Un ragazzo e d una ragazza, sorpresi a baciarsi, subirono la pena delle verghe. I due vennero costretti a strisciare nudi lungo una fila di altri studenti, e noi li colpimmo con bastoni e fruste forniteci dal direttore; la ragazza fu picchiata così duramente che morì a causa di un’insufficienza renale. Ci diedero davvero una bella lezione: se cercavi di provare dei normali sentimenti per qualcuno, venivi ucciso per questo. Così imparammo ben presto a non voler bene né a fidarci di nessuno, e a fare soltanto quanto ci veniva ordinato. (testimonianza di una donna non identificata della Nazione Pacheedat, Port Renfrew, BC, 12 ottobre 1996)



Secondo Harriet Nahanee:

"Le scuole residenziali creavano due tipi di indiani: schiavi e traditori, e questi ultimi sono ancora in carica. Il resto di noi fa ciò che gli viene ordinato. I capi dei consigli della tribù hanno detto a tutti quelli della nostra riserva di non parlare in tribunale ed hanno minacciato d tagliare le nostre indennità nel caso lo facciamo." ( Harriett Nahanee, 12 giugno 1998)

La natura di quel sistema di tortura non era casuale. Ad esempio, nelle scuole residenziali canadesi di qualsiasi confessione, l’uso regolare di scosse elettriche su bambini che parlavano la loro lingua o che erano “disobbedienti” era un fenomeno diffuso, e ciò non evvaniva a casaccio ma era una prassi istituzionalizzata.

Secondo testimoni oculari, nelle scuole di Alberni e Kuper Island della British Columbia, nella scuola cattolica spagnola dell’Ontario ed in strutture ospedaliere isolate, gestite dalle chiese e dal Dipartimento Affari Indiani nel Quebec settentrionale, a Vancouver Island e nell’Alberta rurale, esistevano stanze di tortura, allestite appositamente con sedie elettriche fisse e spesso fatte funzionare da personale medico.

Mary Anne Nakogee-Davis di Thunder Bau, Ontario, nel 1963, all’età di otto anni, fu torturata su una sedia elettrica dalle suore della scuola residenziale cattolica spagnola. Ella racconta:

"Le suore la usavano come un’arma, e vi fui sottoposta in più di un’occasione. Ti legavano le braccia ai braccioli metallicci e le scosse ti facevano sobbalzare tutto il corpo. Non so che male avessi fatto per meritare una tale punizione." (Tratto da The London Free Press, London, Ontario, 22 ottobre 1996)

Torture di questo genere, analoghe ai programmi di sterilizzazione individuati presso il W. R. Large Memorial Hospital di bella Bella ed il Nanaimo Indian Hospital, venivano eseguite anche presso istituti gestiti dalle chiese con i fondi del Ministero Affari Indiani.

Frank Martin, postino indigeno della British Columbia settentrionale, descrive la sua reclusione coatta e l’impiego della sua persona per esperimenti, avvenuta nel 1963 e nel 1964 presso la Brannen Lake Reform School, vicino a Nanaimo:

"All’età di nove anni fui rapito dal mio villaggio e mandato alla scuola Brannen Lake di Nanaimo. Un medico locale mi fece un’iniezione ed io mi risvegliai in una piccola cella, forse di tre metri per quattro; mi tennero rinchiuso lì come un animale per 14 mesi. Mi tiravano fuori ogni mattina e mi somministravano scosse elettriche alla testa sino a quando non svenivo e poi, nel pomeriggio, mi sottoponevano a raggi X per diversi minuti di seguito. Non mi dissero mai perché lo facessero, ma all’età di diciotto anni mi ammalai di cancro ai polmoni pur senza aver mai fumato." ( Testimonianza videoregistrata di Frank Martin resa a Eva Lyman e Kevin Annett, Vancouver, 16 luglio 1998)

Questi esperimenti empirici combinati ad un sadismo brutale caratterizzarono questi istituti finanziati pubblicamente, in particolare il famigerato Nanaimo Indian Hospital. David Martin di Powell River, BC, nel 1958, all’età di cinque anni, fu condotto in questo ospedale e sottoposto ad esperimenti comprovati da Joan Morris, Harris Wilson ed altri testimoni citati nel presente rapporto. Secondo David:

"Mi fu detto che avevo la tubercolosi, ma io ero del tutto sano; non presentavo alcuni sintomi di quella malattia. Quindi mi mandarono al Nanaimo Indian Hospital e lì mi tennero legato in un letto per più di sei mesi. Ogni giorno i medici mi praticavano delle iniezioni che mi facevano stare davvero male e provocarono sulla mia pelle arrossamenti e prurito. Sentivo le urla di altri bambini indiani rinchiusi in celle di isolamento; non ci fu mai consentito di vederli e nessuno mi disse mai cosa stessero facendo a tutti noi in quel luogo." (David Martin a Kevin Annett, Vancouver, 12 novembre 2000)

Presto le stesse scuole residenziali una tortura ordinaria e ricorrente erano gli interventi sui denti dei bambini senza l’utilizzo di qualsiasi forma di anestesia o analgesici. Due diverse vittime di queste torture presso la scuola di Alberni descrivono di esservi state sottoposte da differenti dentisti a distanza di decenni. Harriett Nahanee fu brutalizzata in quel modo nel 1946, mentre Dennis tallio fu “sottoposto all’opera di un vecchio infermo che non mi somministrò mai degli analgesici” in quella stessa scuola nel 1965.

I sopravvissuti degli esperimenti del Dr. Josef Mengele ritengono che costui li abbia elaborati alla Cornell University di New York, i Bristol Labs di Syracuse, New York, e Uojohn Corpotation e laboratori Bayer dell’Ontario. Mengele ed i suoi ricercatori canadesi, come il famigerato psichiatra di Montreal Ewen Cameron, utilizzavano prigionieri, malati mentali e bambini indigeni provenienti dalle riserve e dalle scuole residenziali nelle loro attività volte a cancellare e rimodellare la memoria e la personalità umana, usando farmaci, scosse elettriche e metodi per indurre traumi identici a quelli impiegati per anni nelle scuole residenziali.

Ex dipendenti del governo federale hanno confermato che l’uso di “reclusi” delle scuole residenziali per esperimenti medici governativi era autorizzato tramite un accordo congiunto con le chiese che gestivano le scuole stesse.

Secondo un ex funzionario degli Affari Indiani:

"Una sorta di accordo sulla parola fu in vigore per molti anni: le chiese ci fornivano i bambini dalle scuole residenziali e noi incaricavamo l’ RCMP di consegnarli a chiunque avesse bisogno di un’infornata di soggetti da esperimento: in genere medici, a volte elementi del Dipartimento della Difesa. I cattolici lo fecero ad alto livello nel Quebec, quando trasferirono in larga scala ragazzi dagli orfanotrofi a i manicomi. Lo scopo era il medesimo: sperimentazione. A quei tempi i settori militari e dell’intelligence davano molte sovvenzioni: tutto quello che si doveva fare era fornire i soggetti. I funzionari ecclesiastici erano più che contenti di soddisfare quelle richieste. Non erano solo i presidi delle scuole residenziali a prendere tangenti da questo traffico: tutti ne approfittavano, e questo è il motivo per cui la cosa è andata avanti così a lungo; essa coinvolge proprio un sacco di alti papaveri." (Dai fascicoli riservati del tribunale dell’HIRAAM, contenenti le dichiarazioni di fonti confidenziali, 12-14 giugno 1998)

Gli esperimenti in questione e la cruda brutalità delle sevizie inflitte ai bambini nelle scuole attesta la considerazione che le istituzioni avevano degli indigeni in quanto esseri “sacrificabili” e “malati”. Decine e decine di sopravvissuti provenienti da 10 diverse scuole residenziali della British Columbia e dell’Ontario hanno descritto sotto giuramento le seguenti torture, inflitte fra il 1922 ed il 1984, a loro stessi e ad altri bambini, alcuni di solo cinque anni di età:

· stringere fili e lenze da pesca attorno al pene del bambino;

· inserire aghi nelle loro mani, guance, lingue, orecchie e pene;

· tenerli sospesi sopra tombe aperte minacciando di seppellirli vivi;

· costringerli a mangiare cibo pieno di vermi o rigurgitato;

· dire loro che i loro genitori erano morti e che stavano per essere uccisi;

· denudarli di fronte alla scolaresca riunita e umiliarli verbalmente e sessualmente;

· costringerli a stare eretti per oltre 12 ore di seguito sino a quando non crollavano;

· immergerli nell’acqua ghiacciata;

· costringerli a dormire all’aperto durante l’inverno;

· strappare loro i capelli dalla testa;

· sbattere ripetutamente le loro teste contro superfici in muratura o in legno;

· colpirli quotidianamente senza preavviso tramite fruste, bastoni, finimenti da cavallo, cinghie metalliche decorate, stecche da biliardo e tubi di ferro;

· estrarre loro i denti d’oro senza analgesici;

· rinchiuderli per giorni in stanzini non ventilati senza acqua né cibo;

· somministrare loro regolarmente scosse elettriche alla testa, ai genitali e agli arti;

Forse il riassunto più chiaro della natura e degli scopi di tale sadismo è costituito dalle parole di Bill Seward di Nanaimo, sopravvissuto alla scuola di Kuper Island:

"era la gente della chiesa ad adorare il diavolo, non noi. Volevano l’oro, il carbone, la terra che abitavamo, così ci terrorizzavano affinché consegnassimo tutto a loro. Come fa un uomo che all’età di sette anni veniva violentato quotidianamente a combinare qualcosa nella vita? Le scuole residenziali furono istituite per distruggere le nostre vite, e riuscirono nell’intento. I bianchi erano dei terroristi, puri e semplici." (Testimonianza di Bill Seward resa a Kevin Annett e ad osservatori della IHRAAM, Duncan, BC, 13 agosto 1998)



Nota del redattore:

Per avere una copia di “Hidden From History: The Canadian Holocaust”, contattare The Truth Commission into Genocide in Canada, c/-6679 Grant Street, Burnaby, BC, V5B 2k9, Canada, telefono +1(604) 293 1972, email Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. , visitare il sito web http://annett55.freewebsites.com

 

 

Canada. Sterilizzazione forzata di madri indigene: è un genocidio taciuto. Gridiamolo!

Centinaia di casi documentati già negli anni ’70, riguardano anche i disabili e malati di mente. Per par condicio, agli indigeni di sesso maschile è elargita senza richiesta la vasectomia. Quante voci nostrane mostrano occhi estasiati e scrivono lodi sperticate per quel ritaglio di terra che appare luminoso, accogliente e prospero come il volto del suo fascinoso presidente Justin Trudeau. Il sorriso apparente del Canada cela una voragine di umanità allo sbando, preda del nichilismo gaudente che è allettante quanto il canto delle sirene e pietrificante quanto lo sguardo di Medusa. Non solo genocidio…Droga, uteri e morte on demand. C’è qualcosa di marcio, riadattando Shakespeare, all’ombra di quei boschi incontaminati e qualcosa di molto amaro che nessun succo d’acero può camuffare. La legalizzazione della marijuana è solo l’ultima delle cosiddette conquiste della terra ai confini con l’Artico, e un freddo di morte ben più glaciale di quello polare soffia su quei lidi: è la patria della maternità surrogata, elargita come bene di consumo a qualunque utente, etero, single, gay; altrettanto munifici si dimostrano nel donare l’eutanasia, una caramella da somministrare ai più piccoli senza neanche chiedere il permesso ai genitori. Su questi temi si può ancora giocare alle tre carte, le mani e le parole possono fare trucchi e spacciare veleno per elisir: la droga, la dolce morte, la fabbricazione di figli a pagamento possono essere smerciati per atti benefici, salutari, pietosi. Il vaso di Pandora tracimerà rovinosamente, ma per ora tiene. Ma c’è un altro buco nero nel tessuto sociale del Canada che, tenuto in cantina per tanto tempo, sta uscendo alla luce del sole e non vedo facili vie d’uscita per salvare la faccia.

Se vuoi partorire, devi lasciare che ti chiuda le tube.
“Si chiama genocidio, si chiama tortura” ha tuonato Niki Asthon lo scorso novembre rivolgendosi al Presidente Trudeau in Parlamento, portando l’attenzione sul dramma nascosto di molte donne indigene: la sterilizzazione forzata. Sembra assurdo sentire quest’espressione nell’illuminato XXI secolo, quando la maternità viene elargita urbi et orbi grazie a una medicina sempre più simile al dottor Frankenstein. Perché costringere una donna a non avere più figli? Il corpo della donna non è venerato come sacro quando si tratta di aborto? Diventa forse profanabile se vuole conservare la vocazione alla procreazione? Si chiama selezione della razza, visto che è applicata a un gruppo etnico preciso. Gli indigeni che vivono sul territorio canadese sono sia Inuit (quelli che noi comunemente conosciamo come Eschimesi) sia nativi americani (i pellerossa, per usare un termine di facile accesso). Raccogliendo dati in rete, fondati su cronache verificate e anche studi scientifici pubblicati, emerge questa prassi neanche troppo sotterranea e aberrante: donne indigene che, recandosi in ospedale per partorire, tornano a casa sterilizzate. Alcune raccontano di una forzatura dichiarata: al momento del travaglio l’operatore medico garantisce l’assistenza al parto solo se la partoriente acconsente a farsi chiudere le tube. Altre raccontano di moduli ingannevoli non tradotti in lingua nativa e firme estorte per procedere alla sterilizzazione. Altre ancora si rendono conto della mutilazione solo a posteriori, senza nessuna informazione. Il movimento #metoo ha chiuso un occhio sulla vicenda? Hollywood fa notizia, altri quartieri periferici e meno fotogenici lasciamoli soli alle prese con il loro personale inferno.

Genocidio: qualcuno ne ha timidamente parlato.
A dire il vero, echi blandi di questa notizia – che meriterebbe di essere annunciata a volume alto come il colossal di Celentano – sono arrivati anche in Italia; ne ha dato notizia il Corriere lo scorso dicembre, rilanciando un appello di Amnesty International:
"Dopo l’intervento, il chirurgo esclamò: “Tagliato, legato, fatto. Da lì non uscirà più niente”. La legatura delle tube come mezzo per controllare le nascite della popolazione nativa del Canada non è un ricordo del passato ma il frutto presente di pregiudizio e discriminazione secolari nei confronti delle donne indigene all’interno del sistema sanitario pubblico, un fatto ampiamente noto al governo. Fino allo scorso anno, Amnesty International ha ricevuto denunce di donne sterilizzate contro la loro volontà, ingannate da dichiarazioni mediche secondo cui la procedura sarebbe stata reversibile o addirittura costrette a rimanere separate dai loro neonati fino a quando non avessero ceduto." Fonte: http://lepersoneeladignita.corriere.it
Altre voci denunciavano il crimine già molti anni fa, la sistematica pratica di violenza sulle madri indigene ha purtroppo lungo corso. Nel 2015 il sito di bioetica Bioedge rilanciò, insieme ad altri portali di comunicazione, i contenuti del libro di Karen Stote (docente di studi femminili e nativi d’America) intitolato "An Act of Genocide". Colonialism and the Sterilization of Aboriginal Women (Un genocidio in corso. Colonialismo e sterilizzazione delle donne indigene): un tuffo nell’eugenetica moderna oltreoceano. E il suo studio allarga l’orizzonte delle vittime, che sarebbero state anche persone con disabilità o deficit mentali. Una sistematica selezione della razza.

Un numero impressionante di sterilizzazioni.
Il senso del lavoro della Stote è quello non solo tecnico di raccogliere fatti e documentare, ma di dare una cornice politica precisa a questa condotta:
"Mi interessa far capire che la sterilizzazione forzata non è un atto di abuso isolato, ma una delle molte strategie politiche impiegate per danneggiare le donne indigene, per escludere gli aborigeni dalle loro terre e risorse, e per ridurre il numero di quelli verso cui il governo ha degli obblighi. Vi mostro come gli effetti della sterilizzazione degli indigeni, pianificata e non, sono in linea con la politica del passato sui Pellerossa e servono gli interessi economici e politici del Canada." Fonte: http://www.fqpn.qc.ca
Si parla di più di 300 sterilizzazioni negli anni dal 1970 al 75, per citare una delle molte tabelle presenti nel testo della Stote. A cui vanno aggiunte le vasectomie maschili eseguite al medesimo scopo; inferiori di numero ma non meno gravi nell’intento. Giova ripetere un passaggio: “ridurre il numero di quelli verso cui il governo ha degli obblighi“. Questa frase permette di guadagnare uno sguardo d’insieme che tiene conto di capra e cavoli, di maternità surrogata e persone sterilizzate. Un popolo con una chiara identità di appartenenza è il nemico peggiore di governi di facciata democratica. Il sogno del dittatore è crearsi a tavolino i propri sottomessi: benvenute siano – allora – la surrogazione e l’eutanasia, che sono briglie strette a cui tenere manichini d’uomini replicabili e sopprimibili; a morte i legami forti e la tradizione di chi ha millenni di storia nel sangue. Vanno fatti sparire gli uomini davvero liberi, quelli che appartengono a un popolo che chiama sacre certe consuetudini oggi risibili come la nascita, il matrimonio, la morte.

Fonte: https://it.aleteia.org




 

Quando si parla delle popolazioni native americane, si dimentica quasi del tutto che molte di queste, oltre che negli Stati Uniti si trovano in Canada, anche se distribuite in comunità più piccole e meno conosciute. Dello stesso Canada poi, nell’immaginario collettivo, si ha un’idea stereotipata di paese molto rispettoso dei diritti umani e civili, ma nella realtà questi diritti non valgono granché per i popoli aborigeni. Lo testimoniano le politiche di assimilazione forzata imposte ai bambini indigeni, strappati alle loro famiglie e internati in un sistema di scuole religiose, le boarding schools, istituite sin dagli inizi del Novecento, dove vennero internati circa centocinquanta mila bambini, tra i quali persero la vita più del quaranta per cento, come riportava, nel 1907, la testata quotidiana Montreal Star. Un vero e proprio genocidio, stimato in più di cinquanta mila bambini deceduti in quelle scuole. Ma da quando la tragedia delle violenze, delle sterilizzazioni, degli stupri e degli omicidi di bambini indigeni nelle scuole residenziali religiose canadesi (su 118 residential schools, 79 erano cattoliche romane e dipendevano direttamente dalla Santa Sede) è stata resa pubblica, si sono espressi dubbi, ipotizzando una campagna di disinformazione o considerando la denuncia alla stregua di una strumentale esagerazione giornalistica: come si possono definire questi crimini, sempre che ci siano stati, addirittura un genocidio? E com’è stato possibile che nessuno tra religiosi, famiglie delle vittime e istituzioni, in tanti anni non abbiano mai denunciato le torture e gli omicidi perpetrati ai danni di decine di migliaia di bambini indiani? Basta approfondire molti aspetti del vecchio sistema legislativo canadese per avere le idee più chiare. Ad esempio, la Federal Indian Act del 1874, tutt’ora in vigore, ribadisce l’inferiorità legale e morale degli indigeni ed ha istituito il sistema delle scuole residenziali. Poi la Gradual Civilization Act del 1857, legge che obbligava le famiglie indigene a firmare un documento che trasferiva alle scuole residenziali cristiane i diritti di tutela dei loro figli. Se ci si rifiutava c’era l’arresto immediato oltre a sanzioni economiche. Ma il trasferimento legale dei diritti di tutela dei minori si trasformava anche in trasferimento dei beni dei bambini deceduti, così le scuole residenziali hanno lucrato su quelle morti, appropriandosi di terre che poi rivendevano soprattutto alle multinazionali del legname. Sono molte le voci dei superstiti delle residential school, che raccontano gli orrori subiti.

Testimoniava Steven H., dalla St Paul’s Catholic day School:
"Quando avevo sei anni, proprio davanti ai miei occhi vidi una suora ammazzare una bambina. Era suor Pierre, ma il suo vero nome era Ethel Lynn. La bambina che uccise si chiamava Elaine Dik e aveva cinque anni. La suora la colpì con violenza dietro il collo e io udii quell’orribile schiocco. Morì proprio dinanzi a noi. Poi la suora ci disse di scavalcarne il corpo e andare in classe. Era il 1966."

O ancora le parole di Rick La Vallee, che del suo trauma ricorda:
"Mio fratello morì a causa di una scossa elettrica data da un ago da bestiame. Aveva quattro anni, i preti lo trascinarono e lo ferirono, gli tagliarono la pelle sotto la fronte con una frusta. Come la frusta dei cavalli. Era tagliente e aveva sopra delle lame. Io ero lì, lo sentivo gridare aiuto. Subito dopo c’era un mare di sangue sul pavimento, ma non lo portarono all’ospedale, in infermeria o altrove, e quello accadde allora, quando ero lì. Lo sento ancora che grida aiuto: “Rick, aiuto, mi stanno torturando! Sto morendo!”. E poi morì. Era il mio unico, il mio miglior amico e il mio unico fratello che ho sempre amato."

Nella British Columbia, la Sterilization Law, approvata nel 1933 e tuttora attiva, ha consentito di far sterilizzare in maniera massiccia e pianificata qualsiasi ospite nativo delle scuole residenziali. Le sterilizzazioni sono state di frequente attuate nei confronti di interi gruppi di bambini indigeni quando questi avevano raggiunto la pubertà, in istituti quali la Provincial Training School di Red Deer, in Alberta, ed il Ponoka Mental Hospital. Sarah Modeste, della Cowichan Nation, ricorda:
"Il dottor James Goodbrand sterilizzò molte delle nostre donne. Ho sentito personalmente Goodbrand dire che il governo lo pagava trecento dollari per ogni donna che sterilizzava."

Probabilmente è proprio grazie a queste leggi che, all’interno delle scuole religiose, la certezza dell’impunità ha permesso che degli orrendi crimini venissero considerati semplici effetti collaterali di quel sistema. Secondo un rapporto del dottor Peter Bryce, una buona parte delle morti dei bambini nativi nelle scuole residenziali avvenne a causa della tubercolosi. Era pratica corrente, documentata anche da un repertorio di immagini fotografiche, mescolare deliberatamente bambini sani a bambini malati. Una volta infettatati, agli ospiti degli istituti non venivano fornite cure ed erano lasciati morire. Già dal secondo decennio del secolo scorso i giornali canadesi affermavano che il tasso di mortalità dei bambini indigeni nelle boarding schools era superiore al cinquanta per cento di quanti erano obbligati a frequentarle, cioè più di un bambino su due in quelle scuole ci moriva. In molti erano coinvolti, ad ogni livello istituzionale, in queste terribili violazioni. Dai fascicoli riservati del tribunale dell’Ihraam, contenenti le dichiarazioni di fonti confidenziali, emerse che:
"Una sorta di accordo sulla parola fu in vigore per molti anni: le chiese ci fornivano i bambini dalle scuole residenziali e noi incaricavamo l’Rcmp di consegnarli a chiunque avesse bisogno di un’infornata di soggetti da esperimento: in genere medici, a volte elementi del dipartimento della difesa. I cattolici lo fecero ad alto livello nel Quebec, quando trasferirono in larga scala ragazzi dagli orfanotrofi ai manicomi. Lo scopo era il medesimo: sperimentazione. A quei tempi i settori militari e dell’intelligence davano molte sovvenzioni: tutto quello che si doveva fare era fornire i soggetti. I funzionari ecclesiastici erano più che contenti di soddisfare quelle richieste. Non erano solo i presidi delle scuole residenziali a prendere tangenti da questo traffico: tutti ne approfittavano, e questo è il motivo per cui la cosa è andata avanti così a lungo; essa coinvolge proprio un sacco di alti papaveri."

Gli esperimenti sui bambini nativi sono stati confermati dalle testimonianze di altri sopravvissuti, come quella di Jasper Jospeh, che denunciava:
"Avevo soltanto otto anni, e ci avevano mandato dalla scuola residenziale anglicana di Alert Bay al Nanaimo Indian Hospital, quello gestito dalla Chiesa Unitaria. Lì mi hanno tenuto in isolamento in una piccola stanza per più di tre anni, come se fossi un topo da laboratorio, somministrandomi pillole e facendomi iniezioni che mi facevano star male. Due miei cugini fecero un gran chiasso, urlando e ribellandosi ogni volta. Così le infermiere fecero loro delle iniezioni, ed entrambi morirono subito. Lo fecero per farli stare zitti."

 


Oltre alle decine di migliaia di morti delle scuole residenziali, le conseguenze di questo genocidio si continuano a manifestare sui sopravvissuti, attualmente vittime di un contesto di assoluto degrado psicologico, sociale e ambientale, le cui condizioni sono definite da organismi per la tutela dei diritti umani delle Nazioni Unite, quelle di “una popolazione colonizzata al limite della sopravvivenza, con tutte le caratteristiche di una società da terzo mondo”. In merito alle scuse ufficiali dell’11 giugno 2008 che il primo ministro, Stephen Harper, chiese a nome del governo canadese per gli abusi inflitti alle popolazioni indigene, due anni dopo, nel 2010, venne domandato all’ambasciatore canadese a Roma, James Fox, se ci fossero stati degli sviluppi:
"La legge finanziaria 2010 del governo canadese ha annunciato centonovantanove milioni di dollari per i prossimi due anni per garantire la continuità dei servizi di igiene mentale e supporto emotivo forniti agli ex studenti e alle loro famiglie, nonché la tempestività ed efficienza delle erogazioni agli ex studenti"
Scrissero dall’ambasciata, specificando poi che:
"l’accordo di riconciliazione (settlement agreement) da corrispondere agli ex studenti che hanno risieduto presso una scuola sesidenziale indiana, comprende elementi individuali e collettivi per il risarcimento."

Nonostante l’impegno del governo canadese riguardo i risarcimenti e la revisione di alcune leggi, non sono ancora giunte chiarificazioni in merito all’apertura di eventuali inchieste giudiziarie tese a stabilire le responsabilità dei crimini e degli omicidi avvenuti nelle residential schools. Vale a dire che si ammettono i crimini senza però che vengano perseguiti coloro che li hanno commissionati e materialmente eseguiti. Nessuna risposta è seguita invece alle domande rivolte all’ex papa Ratzinger e ai vertici vaticani da dodici anziani del Consiglio che rappresentano le nazioni Cree, Squamish, Haida e Metis e nessun riferimento o commento a questa tragedia risulta peraltro pervenuta dall’attuale pontefice. Tra le altre cose, gli anziani del Consiglio hanno chiesto di:
"[…] identificare il posto dove sono sepolti i bambini morti, affinché i loro resti vengano restituiti ai familiari per una degna sepoltura […], di identificare e consegnare le persone responsabili per queste morti […], di divulgare tutte le prove riguardanti questi decessi e i crimini commessi nelle scuole residenziali, consentendo il pubblico accesso agli archivi del Vaticano ed ai registri delle altre chiese coinvolte[…], di revocare le bolle pontificie Romanus Pontifex (1455) e Inter Caetera (1493), e tutte le altre leggi che sanzionarono la conquista e la distruzione dei popoli indigeni non-cristiani nel Nuovo Mondo[…], di revocare la politica del Vaticano che richiede che vescovi e preti tengano segrete le prove degli abusi subiti da bambini indigeni nelle loro chiese invitando le vittime al silenzio."

Marco Cinque

Fonte: https://ytali.com/2018

 

 








Segnala questa pagina web in rete.

 

Disclaimer: questo sito ("Ogigia, l'isola incantata dei navigatori del web") NON rappresenta una testata giornalistica in quanto viene aggiornato senza alcuna periodicità su vari argomenti, tra cui Linux, geopolitica, metodi di auto-costruzione di risorse, elettronica, segreti, informatica ed altri campi. Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge n. 62 del 07/03/2001. Il Webmaster inoltre dichiara di NON essere responsabile per i commenti inseriti nei post. Ogni informazione circa la salute o l'alimentazione sono solo a carattere informativo, e NON siamo responsabili di qualsiasi conseguenza negativa se qualcuno vuole improvvisarsi medico oppure dietologo; si consiglia sempre di rivolgersi a medici ed esperti qualificati. Eventuali commenti dei lettori, lesivi dell'immagine o dell'onorabilità di persone terze NON sono da attribuirsi al Webmaster, che provvederà alla loro cancellazione una volta venuto a conoscenza di un ipotetico problema. Eventuali ritardi nella cancellazione di quanto sgradito non sono imputabili a nessuno. Si declina ogni responsabilità sull'utilizzo da parte di terzi delle informazioni qui riportate. Le immagini pubblicate su questo sito, salvo diversa indicazione, sono state reperite su Internet, principalmente tramite ricerca libera con vari motori. In ogni caso si precisa che se qualcuno (potendo vantare diritti su immagini qui pubblicate, oppure su contenuti ed articoli, o per violazioni involontarie di copyright) avesse qualcosa da rimproverare o lamentare può scriverci attraverso la sezione per i contatti .