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Alcuni giorni orsono la Revue de la Défense Nationale (FR) ha pubblicato un articolo del colonnello François-Règis Legrier dal titolo: “La battaglia di Hajin: vittoria tattica o sconfitta strategica?”. L’articolo è stato ritirato velocemente dal sito web della rivista della Difesa francese, anche se è tuttora disponibile su alcuni siti web. Cosa diceva di così sovversivo l’articolo? Cerchiamo di capirlo insieme. Nel suo pezzo, il colonnello Legrier effettua un inquadramento operativo dell’Area Delle Operazioni evidenziando anche gli attori in gioco (Daesh, Coalizione Occidentale, Forze Democratiche Curde, Forze Governative Siriane e Milizie Hezbollah). Sin qui, nulla che non sia già noto a chi segue il conflitto in Siria, anche se in Italia la copertura mediatica è praticamente nulla. Successivamente, però, il colonnello prende in esame la natura e la dimensione dell’intervento occidentale in quel Teatro Di Operazioni, delineando sia quelle che a suo avviso sono alcune problematiche sia le possibili soluzioni. Qui, in tutta evidenza cominciano i guai, almeno secondo lo Stato Maggiore della Difesa francese. Il colonnello Legrier pone, come problema di fondo, quello dell’approccio strategico al conflitto. In particolare, evidenzia come l’obiettivo strategico non può essere quello di “scacciare” Daesh da un luogo fisico e/o di neutralizzare un certo numero di terroristi, poiché in breve tempo il fenomeno nascerà a poca distanza se non nello stesso luogo. Il perché è evidente. Da un punto di vista strategico devono essere analizzate tutte le cause che hanno consentito la nascita e il proliferare di questo movimento. Il conflitto, sempre da un punto di vista strategico, deve puntare sul confronto di “volontà”, influenzando nel senso da noi voluto la percezione della popolazione e delle istituzioni locali e regionali. Solo in tale maniera, pianificando anche una fase post-conflittuale, si evita che l’integralismo rinasca in breve tempo in una popolazione stremata che si trova a vivere in un territorio completamente martoriato dal conflitto. Un diverso approccio strategico, tra l’altro, avrebbe consentito anche una migliore gestione del conflitto a livello operativo e tattico. I combattimenti in Iraq e Siria, ad esempio, sono stati considerati a sé stanti, e non come un unico insieme visto che gli effetti da ottenere e il nemico da combattere sono gli stessi. In termini sintetici, il col. Legrier individua anche ulteriori vulnerabilità nell’approccio occidentale al conflitto in atto in Iraq e Siria. In primo luogo, per ragioni di mero opportunismo politico, i paesi occidentali hanno scelto di condurre le battaglie per procura, utilizzando, cioè, come unità sul terreno quasi esclusivamente delle milizie locali a cui è stato garantito un supporto di fuoco aereo e di artiglieria della coalizione, unitamente all’impiego di assetti delle forze speciali. L’aver evitato l’impiego di unità convenzionali occidentali ha comportato la necessità di dover concordare i tempi dell’azione con le milizie locali, non sempre interessate a procedere in tempi rapidi. Di fatto, la coalizione occidentale ha dovuto subire, in talune occasioni, i loro tempi della manovra, con la conseguente necessità di un ampio impiego del fuoco letale come unico mezzo per restringere la libertà d’azione di Daesh. L’effetto sul tessuto infrastrutturale e sociale di questo tipo di approccio è stato molto pesante. Da parte occidentale, inoltre, l’aver impiegato solo forze speciali sul terreno ha comportato uno snaturamento delle loro caratteristiche, visto che sono state impiegate – prevalentemente – per condurre operazioni convenzionali. Questo solo perché in occidente si è creata la convinzione che l’impiego delle forze speciali per attività tattiche convenzionali sia meno “pericoloso” nei confronti dell’opinione pubblica. Inoltre, l’approccio iper tecnologico al combattimento ha determinato l’impossibilità per la coalizione occidentale di poter supportare le Forze Democratiche Siriane in caso di brutto tempo. Ovviamente, questa vulnerabilità è stata largamente sfruttata da Daesh che ha pianificato le sue attività tattiche in modo da sfruttare tale fattore. Diversamente, la presenza di unità convenzionali della Coalizione avrebbe generato un effetto combinato di movimento e fuoco che avrebbe garantito la libertà d’azione necessaria a sconfiggere Daesh in tempi più contenuti, e senza giungere alla distruzione pressoché totale del tessuto infrastrutturale e sociale dei territori interessati. Infine, ma non per ultimo, viene citata anche la problematica della lotta informativa che Daesh ha saputo condurre in maniera molto professionale, agendo spesso in anticipo sulle mosse occidentali e riuscendo a proporsi come un valido attore, almeno agli occhi di molti di coloro che poi si sono arruolati nelle sue fila o sono divenuti fiancheggiatori. In conclusione, il col. Legrier evidenzia come la battaglia di Hajin è stata sicuramente vinta, ma sono state poste le basi per il risorgere del fenomeno. Senza un approccio strategico per eradicare il fenomeno, e non semplicemente eliminare alcuni seguaci, la vittoria strategica non ci potrà essere. Questo elemento non può che essere definito dal livello politico che, conseguentemente, deve mettere in campo gli assetti necessari, militari e non, secondo un approccio che deve essere multidisciplinare. Stiamo parlando di concetti universalmente noti e citati nella bibliografia mondiale di settore. Evidentemente, si preferisce continuare con la politica degli annunci sensazionali piuttosto che con la pianificazione seria delle attività di politica di difesa e sicurezza, anche in sede multinazionale. Tutto ciò sulle spalle delle popolazioni locali e degli operatori sul terreno.

Fonte, note e link: http://www.difesaonline.it

 

 

 

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