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Per un uso sostenibile dell’acqua ritorna l’antica tecnica idraulica araba del Qanat. La cultura araba e persiana infatti, sono famose anche per aver saputo sfruttare l’acqua, bene prezioso nelle zone aride in cui si sono sviluppate. Gli arabi sono stati capaci di ricavare rigogliosi giardini e coltivazioni particolari come quella del riso da terreni secchi. Spagna e Sicilia, che ora soffrono di seri problemi nell’approvvigionamento idrico, erano zone molto più fertili durante il dominio arabo. Proprio a Palermo esistono ancora oggi i resti ben conservati di una notevole opera di ingegneria idraulica costruita dagli Arabi, il Qanat.

 

 

Nato e sviluppato dell’antica Persia, il qanat è un sistema di trasporto prevalentemente sotterraneo dell’acqua, studiato proprio per i paesi con un clima arido. Era un’opera complessa che richiedeva tempo e investimenti, ma questo non ha impedito che fosse realizzato con successo nei territori posti lungo la Via della Seta e nell’Europa controllata dagli Arabi, dal VII secolo d.C. in poi.

Costituiti da una serie di cunicoli verticali simili a pozzi e collegati da un canale sotterraneo a lieve pendenza, i qanat permettono di attingere alle falde acquifere senza bisogno di pompe e di trasportare l’acqua anche per grandi distanze evitando l’evaporazione.

Il successo di questa tecnologia nel trasportare l’acqua è tale che ne troviamo esempi anche in Germania e nelle Americhe, ad Atacama in Perù e a Nazca in Cile.

Nonostante la diffusione moderna delle pompe idrauliche i qanat vengono ancora utilizzati in Medio Oriente. In Iran esistono ad esempio 22.000 qanat, che si sviluppano in lunghezza fino a 273.000 km sotto terra.

Perché servirsi oggi di un metodo antico? Perché le pompe meccaniche, nonostante la maggiore efficienza e la possibilità di dosare la quantità d’acqua da prelevare, impoveriscono e possono causare il cedimento delle falde acquifere. I qanat invece possono integrarsi con sistemi di irrigazione a goccia e favorire un utilizzo ecologico delle risorse idriche perché non utilizzano energia elettrica per far arivare l’acqua là dove serve.

Proprio in Iran è nato nel 2005 il Centro Internazionale sui Qanat, ed un accordo con l’UNESCO ne prevede la loro salvaguardia e manutenzione. I qanat vengono così rivalutati, non solo come importante risorsa idrica sostenibile, ma anche come edifici storici capaci di attrarre quel turismo sostenibile in rapida crescita in tutto il mondo, garantendo così una ricaduta diretta sull’agricoltura locale, in un vero e proprio circolo virtuoso.

Sarebbe interessante che questa rivalutazione storica e agricola fosse sviluppata anche in Sicilia, nei luoghi dove esistono ancora questi pozzi.

 

Fonte: https://www.tuttogreen.it

 


 

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