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I droni si stanno imponendo come protagonisti della guerra aerea. Hanno però un limite: il raggio d’azione. Negli USA, aziende e agenzie stanno studiando soluzioni per aggirare il problema, ipotizzando l’uso di navi madri in grado di lanciare e recuperare apparecchi a pilotaggio remoto.

 

Rappresentazione artistica del programma Gremlins della DARPA.



Per UAV si intende Unmanned Aerial Vehicle, vale a dire un velivolo senza pilota: in sostanza, dei droni. In ambito militare se ne fa un uso sempre più massiccio. Lo dimostrano anche le previsioni di crescita per gli anni a venire. Le normative internazionali stanno cercando di star dietro a un mercato in espansione con notevoli usi commerciali.

I droni militari stanno diventando sempre più piccoli, potenti ed equipaggiati con armi e sensori all’avanguardia. C’è però un aspetto che al momento ne riduce l’utilizzo e la capacità operativa: il raggio d’azione, in molti casi ancora troppo limitato per far fare agli UAV un salto di qualità.

Come scritto da Aviation Week, a sollevare di recente il problema è stato Steve Walker, vicedirettore della DARPA, un’agenzia governativa americana che sviluppa tecnologie militari. Walker ne ha parlato nel corso di una conferenza, chiedendosi se e come sia possibile utilizzare i droni in un teatro come quello dell’Oceano Pacifico dove le distanze si ampliano a dismisura e il raggio d’azione fa la differenza. La risposta, per la DARPA, potrebbe essere il programma Gremlins, un progetto ancora in fase iniziale a cui stanno lavorando aziende come Lockheed Martin e General Atomics Aeronautical Systems.

 

Un Lockheed Martin C-130.



In sostanza si tratta di creare una “nave madre” derivata da un aereo di grandi dimensioni, che sia in grado di ospitare una piccola flotta di droni a basso costo che lavorerebbero in squadra sullo stesso teatro operativo, svolgendo soprattutto operazioni di localizzazione e guerra cibernetica. Gli UAV così potrebbero lasciare la nave madre, compiere la missione e fare ritorno: un’idea non lontana dal concetto delle portaerei. Il vantaggio sarebbe appunto quello di spostare facilmente e in fretta piccole flotte di droni, raggiungendo in poco tempo il luogo dove c’è bisogno di utilizzarli.

La DARPA pensa di utilizzare un Lockheed Martin C-130, un aereo da trasporto tattico con una lunga carriera alle spalle che è adoperato da moltissime aviazioni militari, compresa quella italiana. La base del C-130 è già stata utilizzata per produrre aerei cisterna, velivoli antincendio e per la guerra elettronica. Altri velivoli che potrebbero trovare un ruolo nel progetto sono i B-52 e i B-1.

La DARPA non è l’unico soggetto che sta valutando idee del genere, però. Lo scorso giugno, la Science Applications International (SAIC) e la ArcXeon hanno presentato la loro idea: un dirigibile in grado di trasportare i droni.

Secondo le due aziende, l’utilizzo di un dirigibile renderebbe più semplici le operazioni rispetto alla soluzione della DARPA: meno infrastrutture a terra e un raggio d’azione più lungo, ad esempio. Anche i costi potrebbero essere più contenuti, sostiene la SAIC, secondo la quale si potrebbe sviluppare un braccio meccanico in grado di agganciare i droni, rifornirli e rilanciarli. Oltre a un utilizzo militare, le due aziende sono convinte che l’idea potrebbe prestarsi bene a un uso commerciale.

Fonte: http://www.flyorbitnews.com

 


 

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