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Da quello che fu il “Celeste Impero” delle antiche dinastie filtra ancora poco sui più ambiziosi programmi di aerei da combattimento stealth e di “quinta generazione”, come si suol dire. Di sicuro la Cina, dopo vent’anni di crescita commerciale sfociata in un apparato industriale ormai mastodontico, si conferma in grado di sostenere numerosi progetti paralleli in un campo come l’aviazione ad alte prestazioni che rischia di diventare economicamente proibitivo per la maggior parte dei Paesi industrializzati. E’ prematuro e azzardato dire che la nuova “officina del mondo”, come era stata nel XIX secolo la Gran Bretagna del vapore, possa pazientemente estendere l’onnipresente marchio “Made in China” anche ai settori più strategici delle costruzioni aeronautiche, ma tale pur remota possibilità, sui tempi lunghi della Storia, esiste.

 

 

Il j-31 caccia imbarcato?
Al salone aeronautico di Zhuhai, tenutosi dall’11 al 16 novembre 2014 nell’omonima città della provincia del Guangdong, l’attenzione degli esperti è stata monopolizzata dal nuovo caccia sperimentale Shenyang J-31, che ha suscitato meraviglia mista a perplessità.

 

 

Pur avendo compiuto il suo primo volo fin dal 31 ottobre 2012, il prototipo del J-31 non era mai stato mostrato prima di allora in una pubblica esibizione, guarda caso proprio mentre il presidente americano Barack Obama visitava Pechino. Dopo il decollo ha cabrato arrampicandosi quasi in verticale per poi sbizzarrirsi in virate e tonneau, mostrando tuttavia difetti talmente grossolani da far venire più di un sospetto. In particolare, spesso dopo una virata, e talvolta anche in volo livellato, l’aereo tendeva a perdere quota tanto da costringere apparentemente il pilota a rintuzzare la velocità con una fiammata di postbruciatore. Queste pecche dovrebbero essere la prova che la squadra di progettazione dell’aereo, guidata dall’ingegner Sun Cong, non si è avvalsa, come volevano alcune voci non confermabili, di esperti tecnici russi ex-dipendenti dell’ufficio Mig.

 

 

Peraltro, lo stesso capo ingegnere Mig, Vladimir Barkovsky, osservando il J-31 lo ha definito «un ottimo lavoro indigeno». Com’è possibile che a due anni dal volo del prototipo, la squadra di Sun Cong non abbia eliminato questi presunti difetti prima di mostrare l’aereo al mondo? Verrebbe quasi da pensare a imperfezioni volutamente “costruite” per far credere che l’aereo sia meno pronto di quanto sia in realtà, stando alla massima eternata fin dal IV secolo avanti Cristo nel Bingfa, l’altresì nota Arte della guerra di Sun Zi: «Mostrati forte quando sei debole, ma debole quando sei forte». A riprova, pochi giorni prima che si aprisse il salone, il 5 novembre, un alto esponente di un’industria aeronautica statunitense, sotto anonimato, aveva dichiarato all’US Naval Institute: «Definirei il debutto del J-31 a Zhuhai “incrementale e misurato”. Ci sono stati molti rapporti secondo cui il J-31 potrebbe essere esportato. Se fosse così, allora mostrarlo ha senso più nell’attirare compratori stranieri. Comunque devono ancora fare strada coi loro motori a reazione, solo il tempo ce lo dirà».

 

 

La stessa fonte, ha riportato l’opinione di un altro anonimo, un ex-pilota USAF: «Ricordate che gli airshow sono esattamente questo, degli airshow. Non danno alcuna idea reale delle capacità di una macchina. Di solito puntano solo a regalare qualche manovra acrobatica spettacolare per attirare l’attenzione, ma senza rivelare la sostanza». E’ vero che l’aereo alloggia motori ancora provvisori, le due turboventole russe Klimov RD-93 che dovrebbero essere sostituite in fase di produzione con i loro derivati migliorati cinesi WS-13A. Seppure il tallone d’Achille dell’industria aeronautica cinese resti sempre quello dei motori a turbina si registra una rinnovata fiducia nel J-31, che sta emergendo come la vera risposta di Pechino all’americano Lockheed Martin F-35, non solo riguardo all’impiego nel combattimento aereo, ma anche come velivolo da esportazione, il che ne farebbe il primo caccia a getto di “quinta generazione” pensato per nazioni di Asia Meridionale, Medio Oriente, forse Sudamerica.

 

 

Non solo, emerge sempre più con insistenza l’ipotesi, pur cauta, di una variante imbarcata del J-31, proprio come nel caso dell’F-35. Per l’esperto cinese di aviazione Xu Yongling: «Il J-31 è molto adatto a operare da portaerei (nella foto la cinese Liaoning), ma non abbiamo informazioni sulla compatibilità fra esso e l’attuale tecnologia per aeroplani imbarcati. Comunque si stima che entrerà in servizio sulla portaerei più tardi che con i reparti di terra». Anche il progettista Sun Cong ritiene il J-31 adatto all’impiego sulla portaerei Liaoning e sulle unità che la seguiranno, ma la diretta interessata, la Marina Popolare Cinese, non si sbottona. Anzi, il vice ammiraglio Zhang Zhaotong, intervenendo il 17 novembre si è detto scettico soprattutto per la possibilità di dotare l’aereo di motori adatti: «Sarà molto difficile fare retroingegneria dai motori russi, inoltre credo che il J-31 sia troppo pesante».

 

 

In realtà, con circa 18 tonnellate di peso al decollo, il J-31 è più leggero dell’F-35 e non è escluso che l’apparente sfiducia del vice ammiraglio faccia parte di un preordinato “basso profilo” adottato da Pechino per lasciar credere che il J-31 sia uno stealth “di risulta” destinato solo a far cassa con le esportazioni. Il Pakistan ha già mostrato interesse, dato che il 22 novembre il suo ministro per la produzione militare, Rana Tanveer Hussain, ha vagheggiato consultazioni coi cinesi per il futuro acquisto di una quantità di J-31 che Jane’s stima in 30-40 esemplari. I russi, ovviamente, sostengono che l’aereo ha ottime capacità anche coi loro motori.

 

 

Al salone di Zhuhai era presente il capo del settore equipaggiamenti aerei del Rosoboronexport, l’ente statale per l’esportazione di armi, Serghei Kornev, che ha dichiarato: «Il J-31 col motore russo RD-93 è considerato un programma di esportazione capace di rivaleggiare con l’aereo di quinta generazione americano F-35 nei mercati regionali. Il programma è molto ambizioso ma realistico, specialmente considerando l’alto costo dell’F-35 e i vari problemi nel suo sviluppo». Per inciso, Kornev ne ha approfittato per minimizzare i problemi di brevetti legati all’abitudine cinese di copiare sistemi russi anche senza licenza, come era avvenuto coi Sukhoi Su-27 poi sfornati come J-11, ricordando che dal 2008 un accordo globale fra i due governi regolamenta la materia. La struttura dello Shenyang J-31, specie la sua fusoliera relativamente sottile, indicano che si è puntato a farne un velivolo da combattimento manovrato, ma con secondarie capacità di attacco al suolo. A Zhuhai c’era un simulacro statico che mostrava sotto il muso un sensore ottico EOSS adatto al rilevamento e ingaggio di bersagli terrestri, oltre a estremità tronche delle derive verticali. La stiva dell’armamento pare limitata a un massimo di 5.000 libbre, circa 2.200 kg, e la dotazione di missili aria aria dovrebbe contare non più di quattro PL-12. Sono prevedibili però piloni per carichi esterni. E se anche tale opzione spezza la sagoma stealth dell’aeroplano rendendolo visibile ai radar, i cinesi lo userebbero in tal modo solo in situazioni locali di superiorità aerea talmente vistosa da render possibile la rinuncia temporanea all’invisibilità. Del resto, lo stesso F-35 porta internamente un quarto degli 8.000 kg di carico bellico accreditatigli. L’avionica mostrata dal simulacro prefigura per gli esemplari di serie uno schermo multifunzione touch screen da 20 X 8 pollici abbinato a futuro casco per presentazione dati. La velocità massima dichiarata di Mach 1,8 è compatibile con quella di un “dogfighter” e, soprattutto, il raggio d’azione di 1.250 km supera, sebbene di poco, i 1.100 km dell’F-35 con solo carburante interno.

 

 

 

Il J-20 accelera.
La tempistica di sviluppo del J-31 dipenderà molto dalla messa a punto delle nuove turboventole WS-13A, specie quanto a controllo dei consumi per ampliare l’autonomia del velivolo, ma per ora sembra meno avanzata rispetto alla tabella di marcia dell’altro caccia “invisibile” realizzato dalla Cina, il Chengdu J-20 di cui ormai sono in circolazione ben cinque prototipi volanti. I tre più recenti sono considerati come macchine quasi “di preserie”. Il quinto esemplare, per la cronaca, è stato osservato in volo per la prima volta il 29 novembre 2014, quando ha decollato da una pista vicino Chengdu, la città del Sichuan che appunto dà il nome all’omonima fabbrica aeronautica, ed è rimasto in aria per poco tempo senza retrarre il carrello. Il primissimo prototipo volò già l’11 gennaio 2011 ai comandi del collaudatore Li Gang. Il secondo ebbe il battesimo dell’aria nel maggio 2012, mentre i successivi tre aerei sono stati tutti posti in volo nel corso del 2014. A partire dal terzo esemplare il J-20 ha già incorporato notevoli perfezionamenti.

 

 

Sotto il muso è stata aggiunta una piccola torretta, ancora vuota ma che accoglierà l’apparato ottico e infrarosso per detezione e mira di bersagli terrestri o marittimi. Le prese d’aria sono state meglio sagomate per distribuire il flusso verso i compressori e alimentare le turbine per la “supercrociera” che pare confermarsi uno dei cardini del progetto. Le derive verticali hanno inoltre le estremità tronche, mentre i portelli del carrello e delle stive armamenti sono stati ridisegnati con profili dalla più pronunciata dentellatura, aumentadone l’invisibilità elettromagnetica. La dotazione di sensori di allerta distribuiti sulla fusoliera sembra completa, anche se sulla loro effettiva qualità nulla si può dire di preciso. I due motori sono ancora i russi Saturn AL-31 da 13.500 kg di spinta, ma per la produzione in serie i cinesi sperano di poter utilizzare quanto prima il WS-15 nazionale, oppure i Saturn AL-117 che però i russi riluttano a vendere separatamente dai caccia Su-35.

 

 

Sempre oberati dal problema di sganciarsi da forniture straniere di turbogetti e turboventole efficienti, i cinesi avevano stimato all’inizio dell’anno che il WS-15 fosse pronto già entro la fine del 2014, ma i tempi sembrano allungarsi e si stima che questi motori non possano essere montati su aerei operativi prima del 2020. Perciò i cinesi stanno anche valutando se comprare 24 esemplari del Su-35 per coprire il gap finchè non saranno pienamente operativi sia il J-20, sia il J-31. A differenza di quanto accade con lo Shenyang J-31, le autorità cinesi pompano molto la macchina della propaganda per incensare il Chengdu J-20, quasi in un gioco delle parti.

 

 

Già il capo della squadra di progettazione, l’ingegner Yang Wei, è stato paragonato nientemeno che allo storico progettista americano Kelly Johnson, padre di numerosi “classici” della Lockheed come l’F-104 Starfighter. Poi ci si sono messi dispacci roboanti come quello che il giornale di regime Global Times, alias Huanqiu Shibao, ha diffuso lo scorso 5 ottobre, prendendo spunto dallo schieramento, pochi giorni prima, degli F-22 Raptor del 27° Squadron dell’USAF sulla base di Al Dhafra, negli Emirati Arabi Uniti, per partecipare all’offensiva aerea contro il Califfato islamico dell’Isis: «Il J-20 può surclassare l’F-22 nel combattimento ravvicinato perché gli americani, causa i tagli alla difesa, non dispongono di un adeguato sistema di ingaggio all’infrarosso e di un casco intelligente per i dati». Come mole, il J-20 è certo paragonabile al Raptor, anzi è anche più possente, con un peso al decollo stimato sulle 32-36 tonnellate contro le 30 tipiche dell’F-22.

 

 

E’ più grosso soprattutto per trasportare più carburante, con una quantità stimata in 25.000 libbre contro le 18.000 del caccia Lockheed, il che si traduce con un raggio di combattimento fenomenale, non dichiarato ma sicuramente superiore ai 760 km dell’aereo americano col solo carburante interno. L’enfasi sul combattimento manovrato potrebbe però portare fuori strada. L’architettura del J-20, come rilevato da numerosi esperti di aerodinamica, come il russo Vladimir Karnozov, indica che il velivolo è un cacciabombardiere che ha come missione basilare l’attacco di obbiettivi di superficie a grande distanza e solo in secondo luogo la caccia, ma più intesa come intercettazione che come duello manovrato a distanza ravvicinata. Il nodo sta nella supercrociera prolungata, che consentirebbe al J-20 un rapidissimo avvicinamento agli obbiettivi seguito da un altrettanto celere disimpegno.

 

 

Ha osservato Karnozov: «Secondo me i cinesi hanno ottimizzato il loro aereo per Mach fra 1,4 e 1,6. Questo è il punto, il J-20 è una piattaforma lanciamissili capace di eludere l’intercettazione nemica mediante una supercrociera supersonica. Può diventare un ottimo intercettore, non c’è dubbio. Ma il suo compito principale sembra essere antinave, cioè sparare missili contro il naviglio nemico mentre sfugge alla sua copertura aerea». In sostanza, il significato più profondo del Chengdu J-20 è portarsi almeno a oltre Mach 1,4, cioè 1.500 km/h ad alta quota oppure 1.700 km/h a bassa quota, senza postbruciatore, e vantando una certa invisibilità, sul cui reale livello nulla trapela, a distanze di anche 1000 km, o più, dalla terraferma cinese e bersagliare con missili aria-superficie unità navali avversarie, probabilmente americane e specialmente le portaerei.

 

 

La crociera supersonica non verrebbe tenuta ovviamente per l’interezza del volo, per risparmiare carburante, ma solo nella zona “calda” infestata dall’ombrello aereo nemico. La configurazione canard del J-20 confermerebbe che lo scopo non è l’alta manovrabilità, bensì il volo supersonico per lunghi periodi di tempo, poiché le alette, a differenza di altri velivoli canard, come l’Eurofighter Typhoon o il SAAB JAS-39 Gripen, non sono distanti dall’ala, isolate all’estremità del muso, bensì, viceversa, molto arretrate, vicine all’ala e come raccolte presso il baricentro dell’aeroplano, anche per farle ricadere comodamente entro il cono dell’onda d’urto sonica a scanso di turbolenze.

 

 

Contro le flotte avversarie.
La filosofia alla base del Chengdu J-20 può ricordare per certi aspetti quella che diede origine nel 1939 al celebre caccia giapponese Mitsubishi A6M Reisen, il celebre Zero. Alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale i giapponesi avevano voluto un caccia da superiorità aerea a grandissima autonomia, fenomenale per un monomotore a elica dell’epoca, in modo da proiettare la loro forza aerea, sia da portaerei, sia da basi a terra, sulle sconfinate distese marine e insulari dell’Oceano Pacifico, già prevedendo che l’avversario per eccellenza, presto o tardi, sarebbero stati gli USA. Parimenti, ma non del tutto, i cinesi oggi perseguono lo sviluppo di quello che è un cacciabombardiere strategico, a grande autonomia, per proiettare la loro forza ben oltre il margine della loro piattaforma continentale, almeno fino a coprire, e superare, la cintura peninsulare e insulare che cinge come un catenaccio il continente cinese su tutto l’arco orientale. Se il J-20, anche solo con carburante interno, potrà volare fino a 1.000-1.200 km dalle coste cinesi, colpire e tornare alla base, nel suo raggio d’azione ricadranno non solo Taiwan, che è dietro l’angolo, ma anche le Filippine, l’intera Corea e quasi tutto il Giappone. Senza contare la possibilità di serbatoi ausiliari esterni, sganciati prima di arrivare nella zona dei bersagli in modo da conservare un pulito profilo furtivo, oppure di rifornimento in volo. Per certi aspetti, quindi, sembra un caccia a grande autonomia proprio come il vecchio Zero, e già il paragone fra la Cina di oggi e il Giappone degli anni Trenta fa riflettere. Ma per altri versi ricorda anche le origini del Boeing B-17, la celebre Fortezza Volante che nel 1935 era stata concepita dagli americani con l’intento primario di ingaggiare e sbaragliare flotte nemiche lontano dalle coste degli Stati Uniti, memori degli esperimenti di bombardamento antinave compiuti dal colonnello Billy Mitchell fin dal 1921 con dei vecchi biplani nella baia di Chesapeake.

 

 

D’altronde, nella faccenda si incastra un ulteriore dettaglio interessante. Il 24 novembre 2014, come segnalato da Jane’s e dalla CNN via fonti di Hong Kong, è stato confermato da foto satellitari scattate il 14 novembre che il governo di Pechino sta costruendo una vera e propria isola artificiale sfruttando come supporto geologico la scogliera di Fiery Cross, detta Yongshu dai cinesi, nella zona occidentale delle contese isole Spratly, ammucchiando terra e sedimenti grazie a una sfilza di grandi battelli da dragaggio. Le draghe stanno scavando il fondo marino aprendo un porto abbastanza grande per navi da guerra, mentre terra e rocce frantumate di riporto vanno ad accrescere una striscia compatta lunga più di 3200 metri (due miglia) e larga fra 200 e 300 metri. Vi sorgerà una pista evidentemente adatta anche a caccia a getto, oltre che grossi trasporti e fors’anche cisterne volanti.

 

 

E’ vero che anche altre nazioni rivierasche delle Spratly hanno creato piccole piste per aeromobili, ma questa cinese le batterà tutte. In effetti il Global Times ha raccolto in quei giorni la dichiarazione del generale Luo Yuan, che difende la realizzazione della base: «La costruzione e la manutenzione di infrastrutture e altre attività che conduciamo su queste isole avvengono nel quadro dei nostri diritti di sovranità e sono legittime». L’isola artificiale di Fiery Cross, tornando ai ricorsi della Storia, farebbe venire in mente un parallelo con la costruzione da parte americana della pista dell’atollo di Midway nel 1938, pista che ingigantì agli occhi del Giappone, e in particolare dell’ammiraglio Isoroku Yamamoto, l’importanza della sperduta isoletta, altrimenti remota, facendone l’epicentro dell’omonima carneficina aeronavale del 1942.

 

 

Tornando a questa nuova base aerea cinese, situata suppergiù a 9° 37’ di latitudine Nord e 112° 58’ di longitudine Est, quando sarà pronta potrà essere un caposaldo formidabile per una eventuale guarnigione di caccia e cacciabombardieri a grande autonomia. Dista 1.300 km dallo Stretto della Malacca, fra 1.000 e 1.200 km dalla maggior parte dell’arcipelago delle Filippine, inclusa la capitale Manila. Pure il grosso del Vietnam ricade entro i 1.000-1.200 km di raggio dall’isola. Non è difficile immaginare in futuro che una squadriglia di Chengdu J-20 ivi dislocata, con l’eventuale appoggio di qualche aerocisterna, che siano i vecchi Xian HY-6U o gli Ilyushin Il-78 attesi dalla Russia, possa tenere in ostaggio il traffico navale e aereo della regione, minacciando fra l’altro di strangolare i flussi di petrolio passanti per nave dall’Oceano Indiano al Pacifico, verso Corea, Taiwan e Giappone, attraverso le strettoie dell’Indonesia.

 

 

Il 9 novembre 2009 il generale dell’Aeronautica Popolare Cinese He Weirong aveva pronosticato che il primo caccia di quinta generazione in Cina sarebbe «entrato in servizio entro 8 o 10 anni al massimo». A prima vista sembra dargli ragione l’accelerazione vantata nel 2014 dal programma J-20, con l’assemblaggio dei primi esemplari di produzione previsto entro la fine del 2015, la consegna ai reparti dell’aviazione nel 2017 e, dopo l’addestramento, la piena operatività dell’aereo raggiunta nel 2019. Il tutto mentre s’inizia a pensare a una variante biposto, J-20S, destinata all’attacco, secondo una logica evolutiva analoga a quella che nel 1986 portò per esempio gli Stati Uniti a derivare dall’intercettore di punta McDonnell Douglas F-15 Eagle il cacciabombardiere F-15E Strike Eagle. Che poi molta farina del sacco cinese sia stata in realtà “rubata”, poco importa. E’ noto fin dalla primavera 2009 l’allarme lanciato dal Pentagono sul furto di dati e progetti dell’F-35 effettuato per via telematica da hacker cinesi quasi sicuramente legati alla celebre Unità 61398, il reparto di “cyberguerra” dell’esercito insediato in un sorvegliatissimo e cablatissimo palazzo di Shanghai. Il successo del Chengdu J-20 e dello Shenyang J-31 dipenderà in larga misura dalla già ricordata risoluzione del problema dei motori. In particolare, per il J-31 sarà interessante vedere se davvero sostituirà gli attuali Shenyang J-15, copia dei russi Sukhoi Su-33, sul ponte della Liaoning. L’ovvio ritegno con cui i cinesi parlano dei loro due caccia “furtivi” si mescola, insomma, anche con una certa disinformazione, lasciando credere che il J-31 non verrà imbarcato tanto facilmente sull’attuale e sulle future portaerei cinesi e, dall’altro lato, cercando di far passare l’idea che il J-20 sia più un caccia che un incursore. Cioè in altre parole cercando di non allarmare gli americani su quella che potrebbe essere la vera portata strategica di questi due velivoli, il primo un buon, per quanto imperfetto, caccia da difesa e da superiorità aerea, sia da basi che da portaerei, e il secondo un cacciabombardiere antinave, ma anche intercettore da ingaggio distante, entrambi con grande autonomia per spaziare fin sulle isole esterne dell’Asia, che sarebbero le retrovie logistiche immediate di un ipotetico schieramento anti-cinese a guida statunitense.

 

 

Cavalli da tiro.
Nel frattempo, la galassia aeronautica cinese prosegue programmi meno ambiziosi, quasi dei “cavalli da tiro”, da cui i cinesi sperano di ricavare opportunità di sbocco commerciale all’estero unitamente a una riserva di aerei meno sofisticati in grado di “fare massa” in caso di guerra. Parliamo dei noti Chengdu J-10 e Chengdu/PAC JF-17, quest’ultimo in collaborazione col Pakistan, a cui vale la pena accennare in chiusura per dimostrare quanto il colosso asiatico sia vivace nel settore. Anzitutto, pur se operativo solo con l’aviazione pachistana, il JF-17 ha permesso ai cinesi di esercitare capacità tecniche su un velivolo da caccia-attacco forse mediocre, ma che in caso di necessità, tensione o “conflitto caldo”, potrebbe essere prodotto in emergenza anche per l’aviazione cinese, che giustamente non ha mai sottovalutato la potenza del numero. L’esportazione del JF-17 finora non è realmente decollata e anche la recente dichiarazione, il 2 dicembre 2014, del Ministero della Difesa di Islamabad secondo cui la Nigeria starebbe trattando per 25-40 esemplari, va presa con le pinze.

 

 

Quanto al Chengdu J-10, svelato dal 2007 e come noto derivato da due abortiti progetti forestieri, soprattutto l’israeliano Lavi (a sua volta di ascendenza F-16) e in parte il russo Mig-1.44, si sa che dal luglio 2013 è cominciata la produzione in serie della nuova versione J-10B, migliorata nel radar e nei sensori, nonché alleggerita e con modifiche a presa d’aria, ali e deriva verticale. Una versione ancora imperfetta e sottoposta a collaudi. Dal 9 ottobre 2014 sono iniziate le prove di una nuova partita di J-10B, di cui le foto diffuse mostravano un massimo di 6 esemplari, seppure basandosi sui numeri di serie assegnati, potrebbero essere fino a 10 unità, a meno di non pensare a informazioni deviate, in ottemperanza all’eterna arte dell’inganno dei discendenti di Sun Zi. Poco più di un mese dopo, il 15 novembre, ha fatto notizia il grave incidente di un J-10B precipitato e impastatosi dentro un laghetto artificiale nella contea di Pi, ad appena 12 km dalla sede del complesso aeronautico Chengdu. Il pilota si è salvato eiettandosi e a terra solo sette persone sono state ferite dai detriti scagliati all’impatto. E’ andata bene perché il caccia ha sfiorato di poche decine di metri un condominio. L’avaria dev’essere intervenuta pochi minuti dopo il decollo, ma non si sa se sia imputabile al motore, un turboreattore WS-10 indigeno, o a residua instabilità nonostante le modifiche alla cellula. I cinesi, con la loro proverbiale pazienza, vanno avanti a testa bassa.

Foto: Shenyang, CAC, Xinhua, Pakistan Air Force, Jane’s, Sidney Morning Herald, Huangiu.com, Aviation Week



Mirko Molteni
Nato nel 1974 in Brianza, giornalista e saggista di storia aeronautica e militare, è laureato in Scienze Politiche all'Università Statale di Milano e collabora coi quotidiani "Libero", "Italia Oggi" e con riviste specializzate. Per la casa editrice bolognese Odoya ha scritto nel 2012 "L'aviazione italiana 1940-1945: azioni belliche e scelte operative", seguito nel 2013 da "Un secolo di battaglie aeree: l'aviazione militare nel Novecento". Nel 2014 è uscito per il medesimo editore il suo ultimo lavoro: "Storia dei grandi esploratori: dagli Egizi a Magellano".

Fonte: http://www.analisidifesa.it

 

 

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