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Non si tratta di nuove armi, né di soldi, né di basi in territori sconosciuti. L’arma “segreta” della Cina contro gli Stati Uniti potrebbe essere molto più profonda e già inserita in territorio americano. Si tratta del “Made in China”, cioè di tutto quello che viene fabbricato in Cina e che inonda i mercati mondiali, anche quelli americani. Fin  quei nulla di preoccupante, si direbbe. Ma se questa produzione invade anche l’industria della difesa, allora le cose cambiano e in maniera sensibile. Ed è quello che inquieta il Pentagono, che, come scrive The National Interest, in un recente rapporto ha messo in guardia l’intero apparato militare-industriale. Le imprese cinesi svolgono un ruolo preponderante all’interno dell’industria bellica statunitense. Moltissime componenti delle armi utilizzate delle forze Usa sono cinesi e si producono solo ed esclusivamente in Cina. Questo comporta una dipendenza di fondamentale importanza della Difesa americana nei confronti dell’industria di Pechino e consegna al dragone le chiavi per controllare buona parte di quella americana. E questo vale soprattutto per gli attuali sistemi di difesa, incentrati su un’elettronica molto avanzata e dove ogni singolo componente diventa indispensabile. Il Pentagono porta all’attenzione dei media e dell’amministrazione Usa l’esempio dei circuiti stampati per interconnettere i vari componenti elettronici dei macchinari. “Oggi il 90% della produzione mondiale di Pcb (“printed circuit board” ndr) è in Asia, di cui oltre la metà è in Cina. Gli Stati Uniti rappresentano solo il 5% della produzione globale, con un calo del 70% da 10 miliardi di dollari a 3 miliardi” si legge nel rapporto della Difesa degli Stati Uniti.  ”Il numero di produttori nazionali di Pcb si è ridotto da oltre 2.000 negli anni ’80 a 312 nel 2016. Di conseguenza, il dipartimento della Difesa sta diventando sempre più dipendente dai prodotti di origine estera per soddisfare i requisiti militari critici”. Da questo punto di vista, la guerra all’industria cinese da parte di Donald Trump può essere letta anche sotto questa prospettiva. Il Pentagono, come si sa, ha una forte influenza sulle decisione dell’amministrazione. E la Casa Bianca era, almeno fino a pochi mesi fa, circondata da militari che, ancora oggi, hanno un peso specifico nelle scelte strategiche di Washington. Colpire l’import cinese significa non soltanto sfidare la Cina a livello commerciale, ma anche incentivare la produzione nazionale in un alcuni settori strategici di fondamentale importanza. Gli Stati Uniti che dipendono militarmente dalle fabbriche cinesi è un’immagine che ad Arlington non piace affatto.



Rischi sulla cyber sicurezza.
Per alcuni analisti, il rischio non è solo nel dipendere dall’industria di un paese avversario. Ma di essere anche esposti a possibili attacchi cyber proprio attraverso i componenti elettronici più avanzati. I timori l’elettronica cinese nelle armi americane possa essere infettata da virus informatici che permetterebbero alla Cina di spiare o disabilitare i prodotti militari Usa non sono così peregrini. E infatti, il Pentagono aveva già proposto il divieto di utilizzo di smartphone e apparecchi cinesi nelle basi militari americane proprio per evitare rischi di hackeraggio. In particolare, la direttiva della Difesa degli Stati Uniti colpiva i telefoni della Huawei Technologies e della Zte. Attualmente Trump sembra abbia raggiunto un accordo con la Zte per riprendere la sua attività commerciale negli Stati Uniti. Ma sulla Difesa restano ancora molti gli ostacoli. Del resto, il mercato americano oggi non può fare a meno dei prodotti made in China. Costi e qualità sono ottimi, ma c’è soprattutto un altro fattore che li rende indispensabili: molti componenti si producono solo in Cina. Che di fatto monopolizza la produzione di elementi essenziali nella vita dei cittadini ma anche negli apparati pubblici e privati delle nazioni di tutto il mondo. Ma quello che adesso ci si domanda, come fa il think-tank americano, è se effettivamente negli Stati Uniti siano ancora in grado di produrre questi componenti. E se siano in grado di farla in quantità equivalenti e con lo stesso rapporto qualità-prezzo. Il rischio è che la risposta sia negativa e che sia necessario molto più tempo di quanto si possa immaginare. Essersi piegati alla globalizzazione comporta anche l’assoluta difficoltà di nazionalizzare l’industria strategica.

 

Fonte: http://www.occhidellaguerra.it

 


 

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