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Sensori sopra la pelle, dispositivi che vi si infilano sotto e nuove interfaccia di comunicazione che vi corrono attraverso. Mondo fisico ed elettronico sempre più vicini.

 

 

C'è molto di affascinante nell'annuncio che nei giorni scorsi ha percorso la grande rete: sono pronti i primi capi di abbigliamento che tengono sotto controllo l'attività elettrica dell'organismo e possono attivarsi in caso di attacco cardiaco. Un'attivazione che può tradursi in molte cose, come chiamare sul posto in automatico un intervento medico d'urgenza.

Ok, siamo solo ai test, ma Koen Joosse, uno dei ricercatori della Philips che giochicchia con i tessuti nei lab di Aachen, in Germania, ha assicurato che i primi collaudi sono già in fase avanzata. La cosa è grossa: in ballo c'è l'Unione Europea e il progetto My Heart al quale, oltre alla multinazionale olandese, partecipano anche colossi come Nokia, Vodafone o Mediatec, il big dei dispositivi diagnostici.

I nuovi tessuti intelligenti, mantenuti a contatto con la pelle, possono misurarne le oscillazioni elettriche attraverso una rete di sensori che è parte costitutiva del tessuto stesso. Questo significa che un continuo monitoraggio di quanto accade sul profilo elettrico, specchio efficiente dello stress e dello stato di salute del cuore, potrebbe in prospettiva consentire non solo un intervento d'emergenza più rapido ma anche arrivare ad avvertire quando si conduce una vita "a rischio". Per non parlare delle possibili applicazioni nel mondo dello sport e del fitness.

Ma ciò che più intriga del progettone è implicito: l'avvicinamento sempre più avanzato della tecnologia al corpo umano. Dalle interfacce tradizionali si sta rapidamente giungendo a nuove forme di connessione uomo-tecnologia, destinate a formare una sorta di simbiosi con l'homo tecnologicus di questo millennio. Se già si stanno progettando dispositivi capaci di far correre i propri segnali attraverso le membra dell'utente, si evolvono anche i tessuti capaci di tenere sott'occhio quel che succede al loro interno. Se a questo aggiungiamo anche i chip da installare all'interno del corpo, il quadro appare sempre più nitido, un quadro fatto di capacità di elaborazione, di transazione e di comunicazione del tutto nuove e molto più a portata di mano, anzi di pelle.

La via dei tessuti intelligenti sembra dunque rappresentare un'opportunità troppo importante per essere mancata. E questo non solo perché spingono la prevenzione ad un nuovo livello, rendendola più presente e meno invasiva, ma anche perché nel mondo ricco possono consentire a tutti noi di sapere qualcosa di più su noi stessi: conoscersi meglio per vivere meglio e in maggiore sicurezza. La chiamano "tecnologia ambientale" ma vi si attaglia maggiormente "ambiente tecnologico", definizione che prende in mezzo non solo l'evoluzione nel mondo fisico ma anche quella della socialità elettronica del cibermondo, spinte propulsive capaci di espandere l'ambiente dell'individuo nel suo complesso.

C'è da preoccuparsi? A parte le ovvie considerazioni sulla privacy di prodottini come il VeriChip, rimane da chiedersi cosa costerà tutto questo in termini di riservatezza. Una domanda destinata a crollare non solo sotto il peso di un business che si annuncia colossale (sono 33 i giganti che lavorano sul progetto europeo) ma anche sotto quello dell'indifferenza che circonda la privacy e che, anno dopo anno, ne decreta la subalternità rispetto alle grandi prospettive, talvolta un po' inquietanti, aperte dall'incessante ricerca hi-tech. Quando si parla di dispositivi "intelligenti" ci si trova dinanzi al problema di sempre, già avvertito su tutte le tecnologie di controllo sociale, come la videosorveglianza: di quale sia il giusto equilibrio tra sicurezza personale e riservatezza, e se l'identità dell'individuo non rischi di sfumare nella necessità di socializzazione dei propri comportamenti.

Gilberto Mondi

Fonti: http://punto-informatico.it

 

 

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