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Ogni anno un terzo del cibo prodotto sulla Terra, circa 1,3 miliardi di tonnellate, viene perso. Nei Paesi ricchi, tra cui l'Italia, si sprecano 222 milioni di tonnellate di cibo l'anno. In Europa e Nord America si stima che i consumatori buttino via circa 100 chili di cibo a persona ogni anno. Dati che stridono con altre zone del mondo: l'Africa Sub-sahariana, per esempio, produce 230 milioni di tonnellate di cibo l'anno.

 

 

Sulla base di questi dati - ufficialmente diffusi dall'Organizzazione delle Nazioni Unite - l'Associazione nazionale dei dietisti italiani (Andid) vuole far riflettere in vista delle feste natalizie, dove lo spreco cresce a dismisura. "Da sempre le feste natalizie e di fine anno sono l'occasione per condividere tavole imbandite, piatti ricercati, dove il cibo diventa il simbolo non solo della festa, ma anche dell'abbondanza, del piacere, della spensieratezza, dell'auspicio di un futuro di ricchezza e benessere. - spiega la presidente Andid, Giovanna Cecchetto - Anche in epoche in cui non regnavano certo disponibilità di cibo e denaro paragonabili a quelle di oggi, vigeva l'usanza di creare ricette elaborate, a base di ingredienti prelibati e particolarmente ricchi in grassi, zuccheri e calorie. Ma, a differenza di oggi, quei cibi erano destinati a durare anche dopo le festività e venivano 'centellinati' nel tempo grazie alla pratica del 'riciclo', cioè di una vera creatività culinaria che trasformava gli avanzi, in piatti altrettanto gustosi e nutrizionalmente adeguati. Oggi non è più così: si butta tutto".

Secondo l'Istat i cibi finiscono al macero perché ne sono stati comprati troppi (40% dei casi), perché ci siamo fatti convincere dal "prendi tre paghi due" (21%), sono scaduti o sono andati a male (24%), non sono piaciuti (9 %) o non servivano proprio (7%). "Contenere e sfuggire questi sprechi è possibile - conclude l'esperta - con un approccio ecologico all'alimentazione tale da consentire la soddisfazione delle esigenze delle attuali generazioni, senza tuttavia danneggiare quelle future. Ciò significa non solo offrire cibo 'buono' da un punto di vista nutrizionale, ma anche porre al centro di una riflessione allargata il cibo come risorsa naturale e prodotto dell'attività dell'uomo, come strumento per uno sviluppo equo, sostenibile e partecipato, come responsabilità sociale per la promozione della salute".

Fonte: http://www.tiscali.it

 


 

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