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Nel 1971 l’Italia pianificò un’operazione militare (la prima a livello strategico dalla fine della Seconda Guerra Mondiale) per intervenire in Libia e rovesciare il regime del colonnello Muammar Gheddafi.

Subito dopo la presa del potere del gruppo di ufficiali, che depose re Iris, circa 30.000 italiani furono costretti a lasciare la Libia, senza nulla, con le terre confiscate e i conti bancari bloccati.

L’Esecutivo italiano, presieduto allora da Emilio Colombo, cercò di reagire all’impudenza del colonnello, muovendosi contemporaneamente sia sul piano politico che su quello militare. Ovviamente l’opinione pubblica rimase all’oscuro di queste manovre, poco incline a guardare oltre i confini nazionali, ancora schiacciata dalla vergognosa resa nell’ultimo conflitto mondiale.

Il 5 maggio 1971, il ministro degli Affari Esteri Aldo Moro si recò a Tripoli per ristabilire le normali relazioni con la Libia. Obiettivo della missione era continuare ad importare i prodotti energetici (petrolio e gas naturali) essenziali all’economia italiana, e allo stesso tempo collaborare con il nuovo regime al fine di creare una manodopera locale specializzata, fondamentale per la modernizzazione della Libia.

Tuttavia l’iniziativa politica da sola non poteva far calare la tensione fra i due Paesi, infatti anche se non c’era alcuna possibilità di far rientrare i coloni italiani in possesso delle terre espropriate, la presenza di uno schieramento militare pronto a colpire Tripoli e minacciare il Governo rivoluzionario di Gheddafi ebbe un effetto reale.

La Marina Militare poteva contare su incrociatori lanciamissili, ciascuno con 8 pezzi da 76 mm oltre a cacciatorpediniere con artiglieria da 127 mm per appoggiare un eventuale sbarco di forze anfibie. Diverse unità navali avevano la capacità di far operare da bordo elicotteri. Purtroppo assai carente era la componente da sbarco. Il Battaglione anfibio SAN MARCO era stato ricostituito solo nel 1964, quindi appare ipotizzabile che ci si sarebbe avvalsi del Reggimento Lagunari Serenissima dell’Esercito, specializzato in operazioni lacustri. Entrambi i reparti disponevano allora dei veicoli anfibi cingolati LVTP-5.

Purtroppo mancavano unità anfibie, in linea la Marina poteva disporre solamente dell’ANDREA BAFILE (foto), con un dislocamento di 13.400 tonnellate, ma si trattava di una vecchia nave idrovolanti statunitense. Inoltre si potevano utilizzare navi mercantili adattate per le operazioni di sbarco come l’ETNA e il VESUVIO, ma anche motozattere del periodo bellico da 240 tonnellate, magari facendole partire dai porti di Augusta o Lampedusa.

Fondamentale sarebbe stato il contributo del GOI (Gruppo Operativo Incursori), con i loro mezzi d’assalto sarebbero stati fra i primi a colpire, plausibile un loro dispiegamento per impossessarsi del porto di Tripoli, attaccando di notte con i loro BIR 58, in grado di avvicinarsi all’obiettivo in superficie per poi immergersi.

Nel 1971 la Brigata FOLGORE costituiva la riserva strategica dello Stato Maggiore dell’Esercito; in tutte le esercitazioni a fuoco il tema dominante era l’impiego di un gruppo tattico a livello di battaglione impiegato per la conquista preventiva di un obiettivo dopo un aviolancio. Quindi i parà erano l’unico reparto delle Forze Armate in grado di essere impiegato con poco preavviso per lanciare un chiaro messaggio all’arrogante colonnello.

Appare probabile che un gruppo tattico FOLGORE, con un aviolancio (il trasferimento da Pisa a Trapani avrebbe dovuto utilizzare almeno 6 C-119G, in due sortite), avrebbe avuto il compito di impadronirsi dell’aeroporto di Tripoli-Mittiga, in concomitanza con l’azione della Marina per impadronirsi del porto. L’appoggio aereo sarebbe stato fornito dai Fiat G-91R, i quali potevano arrivare sui cieli di Tripoli decollando da Lampedusa, mentre da Sigonella e Trapani sarebbero decollati gli F-104G per assicurare la superiorità aerea.

Nonostante il danno subito dai coloni italiani, la missione di Moro in Libia - con alle spalle il dispositivo militare - salvò gli interessi energetici dell’Italia, dando poi seguito a forme di collaborazione sempre più strette, tanto che in seguito i servizi segreti italiani sventarono diversi attentati finalizzati al rovesciamento del regime del colonnello Gheddafi.

di Tiziano Ciocchetti
19/11/18

Fonte: http://www.difesaonline.it

 

 

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