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Da circa un secolo la politica estera degli Stati Uniti si è basata sull'imperativo strategico di impedire la formazione di un egemone regionale in Europa e in Asia orientale. È una delle ragioni principali per cui sono intervenuti nella Prima e Seconda Guerra Mondiale, e hanno duramente contrastato i piani espansivi sovietici. Dall'inizio della Guerra Fredda, a queste due regioni si è aggiunto anche il Medio-Oriente (e più precisamente il Golfo Persico), principalmente a causa delle enormi riserve energetiche.

Ed è all'interno di questa prospettiva che bisognerebbe leggere la strategia americana di contenimento nei confronti dell'Iran. Teheran infatti, negli ultimi anni non solo è riuscita a costituire delle forze armate di tutto rispetto, sia a livello quantitativo che qualitativo, ma sopratutto ha approfittato di alcuni risvolti geopolitici regionali per espandere la propria rete di alleanze e di influenza politica in Libano, nello Yemen, e in particolare in Siria e Iraq. L'acquisizione della bomba atomica infine, incrementerebbe ulteriormente il peso geopolitico di Teheran, indebolendo in questo modo la posizione strategica e negoziale degli Stati Uniti nella regione.

Tuttavia, un eccessivo impiego di risorse nei confronti dell'Iran sarebbe un grosso errore da parte di Washington. Nonostante quanto detto precedentemente infatti, non solo Teheran non rappresenta una vera e propria minaccia alla sicurezza nazionale americana, ma soprattutto gli Stati Uniti dovrebbero rivolgere la maggior parte delle proprie risorse al contenimento della Cina, unica nazione potenzialmente in grado di intaccarne “l'egemonia globale”.

Prendendo in considerazione il livello economico e demografico (le fondamenta di qualunque forma di potere nazionale), l'Iran è detentore di un PIL di soli 1.64 trilioni di dollari a differenza dei quasi 20 trilioni di dollari di ricchezza prodotti dagli USA (dati cia.gov). Anche in termini demografici, gli Stati Uniti con una popolazione di 329 milioni di abitanti (e in crescita) surclassano l'Iran con “soli” 83 milioni di abitanti.

A confronto, la Cina possiede una popolazione di oltre 1 miliardo di abitanti, e un PIL che nel giro di pochi anni supererà quello statunitense, divenendo così la principale potenza economica al mondo. Anche in termini tecnologici, soprattutto nel campo dell'intelligenza artificiale e della quantistica, Pechino ha dimostrato di non essere troppo lontano (o persino allo stesso livello in certi casi) dal proprio rivale a stelle e strisce. Un po' meno rosea la situazione delle forze armate – nonostante i recenti progressi nella missilistica – settore in cui gli Stati Uniti per il momento continuano a detenere il primato.

Da secoli abituata a pensarsi al centro del mondo (Zhōngguó - 中國 - significa letteralmente "Regno di mezzo", ndd), la Cina sta progressivamente ritornando nell'arena internazionale, decisa a giocare un ruolo di primo piano allo stesso livello degli Stati Uniti, se non addirittura superiore. Progetti infrastrutturali faraonici come quelli dispiegati nello sviluppo delle “vie della seta”, e la formazione di istituzioni parallele a quelle create e dominate dall'Occidente a seguito della Seconda Guerra Mondiale, quali la Banca Asiatica di Investimento e l'Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai, attestano tale volontà (e vocazione?) imperiale.

Dunque, se da una prospettiva americana è essenziale il contenimento dell'Iran per evitare che acquisisca l'arma nucleare (deterrente che tuttavia nel lungo termine il regime degli Ayotallah pare comunque intenzionato a procurarsi in quanto garante difensivo di ultima istanza, e constata l'impossibilità di fidarsi degli Stati Uniti, e di altre nazioni), e si trasformi in un egemone regionale capace di decidere il bello e il cattivo tempo in una delle zone più importanti al mondo in termini energetici e strategici; quest'ultimo non dovrebbe essere perseguito a scapito della più ampia competizione geopolitica nei confronti della Cina. Tale colosso infatti, per essere fronteggiato efficacemente, richiede la massima concentrazione di risorse finanziarie, diplomatiche e militari.

In gioco vi è lo status di “potenza globale numero uno”, con tutte le conseguenze che tale “ruolo” comporta.

Fonte: http://www.difesaonline.it

 

 

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