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L’ora legale mette a rischio i nostri ritmi biologici, aggravando stress e problemi simili. A dirlo è un gruppo di cronobiologi, che ha scritto al Parlamento europeo chiedendone l’abolizione. La richiesta si basa sullo studio dell’European Society for Biological Rithms “Evidence-based approach to evaluating Daylight Saving Time (DST): The relevance to our Biological Clock”, in cui si mostrano i disturbi legati al cambio di orario che, secondo gli esperti, potrebbero protrarsi fino a 7 mesi dopo il passaggio all’ora legale .

I dati dello studio erano già noti, da anni l’Esbr spiega che il passaggio dall’ora solare all’ora legale ha degli effetti sui ritmi biologici dell’uomo. Secondo i ricercatori, i nostri ritmi dipendono dai geni: ognuno di noi ha le sue abitudini in merito al sonno.

Ci sono persone che amano andare a letto presto e svegliarsi con le prime luci del mattino, altre che fanno il contrario. Ciò che ci impone un’omogeneità sono i ritmi sociali, gli orari di lavoro e di vita insieme agli altri. Secondo i ricercatori l’ora legale forzerebbe i ritmi naturali dell’uomo, imponendo ritmi sociali decisamente non adeguati.

Il jet lag sociale , secondo gli esperti dell’Esbr, è associato al consumo di nicotica alcol, caffeina, al sovrappeso e la sindrome metabolica, perché alla lunga diventa una sorta di stato cronico.

Inoltre gli effetti si trascinano per un bel po’: da quelli più immediati, nel week end successivo al cambio, a quelli più prolungati e meno evidenti, che possono arrivare a durare ben 7 mesi.

Alle opinioni degli esperti dell’Esbr fanno eco diverse associazioni in vari Paesi: da noi è il Codancons a supportare la tesi degli effetti collaterali , chiedendone da anni l’abolizione:

Circa l’80% dei cittadini italiani accoglierebbe con favore una eventuale abolizione del passaggio da ora solare a ora legale, e preferirebbe mantenere tutto l’anno l’ora legale. Questo perché il passaggio da un orario all’altro comporta conseguenze per l’uomo e non è immune da svantaggi.

Sono numerosi, secondo il Codacons, gli effetti immediati: alterazione dei ritmi cardiaci, stress, stanchezza, spossatezza, inappetenza, problemi d’umore e difficoltà di concentrazione.

Inoltre lo spostamento delle lancette comporta un impatto economico non indifferente, sia dal punto di vista dell’adeguamento dell’elettronica ai nuovi orari, ma anche per il costo sanitario che comporta. Secondo gli esperti europei dell’Esbr, l’esborso conseguente al cambio di orario corrisponde all’1% del Pil dei Paesi del continente, pari a 131 miliardi di euro.

di Francesca Fiore

Fonte: http://www.greenstyle.it

 

 

L'ora legale è stata davvero accettata con generale soddisfazione di tutti? Parrebbe proprio di no. I pareri contrari sono numerosi e talvolta vibranti. In qualche caso clamorosi, come quello del sindaco di Città del Messico, che si è rifiutato di applicarla, o autorevolissimi, come quello del matematico ed astronomo Michele Rajna. In Rete, sull'interessante sito Turisti per Caso, si è tenuto un sondaggio la cui lettura, fatte le debite premesse sulla non scientifica selezione del campione, rivela come in realtà la percentuale attuale dei contrari non sia poi così esigua. Non è così alta come quella registrata dal sito di sleepfoundation.org (che dichiara un 49% di contrari), tuttavia richiede la sua attenzione. La contrarietà si può indicare come dettata da alcuni argomenti essenziali, comuni a genti diverse e, ci si passi il bisticcio, ad ogni latitudine. Cercheremo di riassumerne alcuni punti degni di nota, premettendo che Ottiolu.net non intende assumere alcuna posizione rispetto agli argomenti trattati e cerca invece di osservare, come sempre, la massima oggettiva neutralità.



Il problema rurale.
Intanto si segnala che una delle più concrete opposizioni viene dagli ambienti del lavoro naturale, per i quali l'applicazione di un'ora "ufficiale" dello Stato, contrapposta o sovrapposta all'ora solare, può effettivamente rappresentare solo una ben disturbante complicazione. In effetti, anche con l'ora legale i cicli biologici ed astronomici proseguono ovviamente con i loro ritmi immutati, quelli biologici continuano anzi a seguire quelli astronomici e giustamente nulla cambia nel lavoro dei campi e dell'allevamento: in ora solare, sempre alla stessa ora si dovrà infatti zappare, irrigare, mungere o quant'altro. Chi lavora in questi settori, perciò, si trova a dover riprogrammare tutti i rapporti con il mondo esterno alla sua azienda, con intuibile ed innegabile sofferenza pratica. Il "progresso" del terzo millennio sembra essersi proposto la progressiva eliminazione di queste attività, ma tuttora esse riguardano diversi milioni di famiglie italiane, milioni e milioni di cittadini italiani. Ma non solo: all'estero, ad esempio, per rispetto nei riguardi del suo mondo rurale, il Giappone si guarda bene dall'applicare la misura, ed anche la Francia, nel 1997, ne interruppe l'applicazione esattamente per gli stessi motivi.



Il problema sanitario.
Sulla scorta di taluni studi scientifici riguardanti gli effetti del cambiamento d'orario determinato dall'applicazione dell'ora legale, si sostiene che l'organismo di alcuni soggetti subisca disturbi o danni dallo sfalsamento dei ritmi biologici (determinati da condizioni oggettive esterne compulsive, prima fra le quali l'orario di lavoro), in primo luogo riguardanti la perdita di sonno e la modifica delle abitudini alimentari. La perdita del sonno (il termine medico inglese è "sleep desynchronosis"), la conseguente irritabilità, o le variazioni dell'umore, sono i prodromi di alcuni disagi di cui il più immediato è la cefalea (disturbo oggi finalmente considerato in tutta la sua gravità), ma che possono giungere a vere e proprie sindromi psico-neurologiche, passando per le influenze sulle azioni (critiche per chi svolge lavori pericolosi, ma anche per chi guida un'auto). Psicologi e psicanalisti di fatto registrano un incremento sensibile di contatti subito dopo l'applicazione dell'ora percepita, almeno a livello istintivo, come "artificiale". A questi disagi, vanno perciò aggiunti quelli indiretti, come gli effetti di un'aumentata esposizione al rischio di incidente (domestico, sportivo o, ahimé, sul lavoro) come risulta agli statunitensi, che hanno una statistica anche su questo. Tali danni sono tuttavia differenti dalle conseguenze del classico "jet-lag" (che si fonda sul cambio di fuso orario), perché in questo caso il "nuovo" orario cui l'organismo viene sottoposto è coerente con l'ordinario andamento astronomico nella località di riferimento e presto l'organismo vi si adatta (aiutato dalla percezione fisica delle fasi del giorno), mentre con l'ora legale l'ambiente circostante continua evidentemente a "funzionare" come in precedenza, solo con un'ora di anticipo, e l'organismo non riceve segnali chiari e netti di una variazione astronomica che infatti non c'è. Più serio e potenzialmente più grave (se non altro, per la riprovazione sociale di qualsiasi coazione cui si sottomettano i bambini) è il problema che riguarda gli effetti sull'infanzia. Di recente, infatti, i pediatri hanno iniziato a lanciare allarmi per il rischio di stress cui i bambini, specialmente i più piccoli, potrebbero venire esposti e sempre più spesso questi messaggi sono veicolati da mezzi di informazione di massa. I cambiamenti che l'ora legale causa nella vita quotidiana degli adulti (anzi, tali cambiamenti sono proprio l'obiettivo dell'applicazione di questa misura) finiscono fatalmente, si sostiene, per riverberarsi sugli incolpevoli piccoli, i quali pian piano debbono adeguarsi ai nuovi ritmi e faticano a raggiungere la normalizzazione dei ritmi biologici, che otterrebbero invece proprio quando l'ora legale cessa, costringendoli immediatamente dopo ad un nuovo adattamento in senso contrario. Gli interessati a questa posizione sollecitano l'abolizione dell'ora legale ovvero la sua uniforme applicazione costante durante tutto l'arco dell'anno, eliminando comunque i traumatici sobbalzi di inizio e fine sfalsamento.



Il problema etico.
Non va omessa menzione della posizione che reputa immorale la modificazione dell'ora naturale per opinabili motivi materiali di ordine economico e amministrativo (ed includiamo in questa anche la posizione di coloro che la ritengono blasfema avendo attribuito significati religiosi alle materie astronomiche). In sostanza, da questo punto di vista si definisce l'applicazione dell'ora legale come una sorta di furbesco espediente, pragmaticamente ben più comodo che non l'eventuale sforzo per sollecitare l'adeguamento delle abitudini collettive alla mutata esigenza. In questa visione eticizzante, lo Stato dovrebbe bensì procurare l'adesione (anche forzosa) dei cittadini al sistema orario reputato necessario imponendo esplicitamente un sacrificio espresso (la mutazione delle abitudini di vita), piuttosto che far passare "sottotraccia" un artificio che obbliga i cittadini al medesimo sacrificio facendolo però apparire come un irresistibile evento quasi climatico, di stagione, al quale le norme che impongono l'ora legale potrebbero addirittura sembrare un "efficace" rimedio di un prodigioso governo. In realtà, dicono i contrari, basterebbe sollecitare la gente ad alzarsi prima la mattina, ma siccome questo argomento tutto sarebbe meno che popolare, giacché il sacrificio è sempre meno di moda, i governanti la prendono alla larga, sconvolgendo la vita a tutti per favorire pochi.



Il problema finalistico.
Tra le obiezioni, va poi riportata quella finalistica, quasi sottintesa in tutte le altre, che smonterebbe il presupposto stesso dell'applicazione dell'ora legale confutandone e disconoscendone le motivazioni: quando l'ora legale fu inizialmente applicata (secondo decennio del Novecento - in Italia nel 1916) la corrente elettrica domestica era talmente poco diffusa, e dunque ancora solo privilegio delle classi agiate, che davvero non poteva parlarsi di struggente esigenza di risparmio energetico, tantomeno da risolversi con l'anticipazione dell'orario generale. Per quanto riguarda l'Italia, le risorse energetiche erano allora sfruttate principalmente per le nascenti industrie; il 74% dell'elettricità era prodotto da centrali idroelettriche, il resto da risorse importate. Quando però, all'inizio del conflitto, si rese necessario surrogare le cessate importazioni, le centrali idroelettriche non solo sopperirono agevolmente, ma addirittura furono capaci di raddoppiare agevolmente la produzione (vedi un interessante studio della Fondazione Micheletti). In più, tutto ciò era principalmente riferito alle grandi industrie, che già andavano, in genere, a ciclo continuo, quindi senza differenze pratiche sull'orario. Per tempi attuali (poiché oggi registriamo di questi indici), si sottolinea inoltre che l'ora legale induce costi diretti da perdita di efficienza della forza lavoro, che almeno nel periodo immediatamente successivo ai cambiamenti mostra cali di attenzione e di produttività ed aumentato rischio di incidente. Insieme al costo sociale dei disagi sanitari (vedi sopra), ed al regolare calo delle Borse Valori nei primi giorni di applicazione dell'ora nuova, questo effetto inaridisce il presunto obiettivo di miglioramento economico. Il problema finalistico si riassume perciò nella non condivisibilità della ragioni addotte a giustificazione della manovra, non trovandosi seria ragione sufficiente per validare questa pratica, e si risolve in alcuni interrogativi (che, almeno per ora, effettivamente non trovano facile risposta). Dunque, posto che alla fruizione di un maggior numero di ore di luce solare meglio contribuirebbe un mutamento delle abitudini individuali (in tal caso proporzionalmente dipendenti dall'effettivo interesse individuale), e visto che non sempre appare ben palesemente dimostrata l'urgenza del risparmio energetico (impellenza che ad esempio non si ravvisava nel 1966, anno sì di flessione, ma non ancora di grave crisi economica), per quale motivo viene imposta l'ora legale? Corollari di questa questione sono altri tre interrogativi:

Calcolando che, detratte le otto ore ideali di sonno, il cittadino medio è in circolazione per almeno 16 ore al dì, ma spesso più a lungo, e notando che tale intervallo è sempre superiore alla durata media del giorno (cioè della durata della luce solare) tutto l'anno e quindi anche nei periodi di ora legale (a ottobre si hanno in media 11 ore di sole), così da aversi sicuramente sempre una certa parte del periodo di veglia comunque ammantata dal buio, per una durata costante, quand'è che si risparmia? Se il cittadino accende la luce presto la mattina o tardi la sera, per la stessa durata di tempo poiché non cambiano le sue esigenze, qual'è la differenza?

Alla luce, è il caso di dire, del punto precedente, anche volendo ipotizzare che per una migliore organizzazione sociale sia opportuno fare iniziare la giornata-tipo del cittadino medio in vicinanza dell'alba, dedicando la luce al lavoro e lasciandogli il buio per le ore del riposo, come mai l'ora legale si protrae sino a comprendere mesi nei quali è praticamente certo che la giornata-tipo del cittadino medio abbracci sia le ore buie del mattino che quelle della sera, e non viene dunque applicata per periodi più brevi?

Se davvero il riferimento principale è puramente quello alla durata della luce solare, visto che il giorno più lungo dell'anno cade il 21 giugno (in cui si hanno in Italia circa 15 ore e 15 minuti di sole), come mai il periodo di ora legale inizia circa tre mesi prima del giorno più lungo, ma termina asimmetricamente circa quattro mesi dopo? (a fine marzo si hanno infatti circa 12 ore e 45 minuti di sole, come all'inizio di settembre, a fine ottobre solo circa 10 ore e 25 minuti)

Come si vede, le discussioni sono nutrite e non si può negare che qualche interrogativo effettivamente induca a riflettere. Ottiolu.net è ovviamente a disposizione di chi desideri contribuire con argomenti appropriati.

Fonte: http://www.ottiolu.net

 


 

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