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Ancora una volta i ricercatori italiani hanno ricevuto premi internazionali per i loro risultati scientifici. Niente di strano per chi conosce il nostro passato ed il nostro talento nazionale, ma e' interessante notare che si tratta per lo piu' di italiani che stanno lavorando all'estero. Cosi' i frutti delle loro ricerche porteranno soldi, fama, innovazione, posti di lavoro ed espansione dei mercati ad altre nazioni, rendendo queste ancora piu' delle forti concorrenti. Ma non basta, oltre all'idiozia di costringere i nostri cervelloni ad arricchire altri stati occorre ricordare che la popolazione italiana e' sempre piu' ostile verso le persone intelligenti e capaci, contribuendo cosi' alla loro fuga oltre confine , oppure a non consentirgli di attivarsi a vantaggio dell'economia italiana mediante isolamento, sabotaggio , sputtanamento ed altre forme di stalking contro "i nerd"... Per poi lamentarsi che non ci sono ne' soldi ne' lavoro! Ecco un articolo che dovrebbe far riflettere.

 

 

I ricercatori italiani si piazzano secondi, dopo i tedeschi. L’anno scorso erano terzi. Ma l’Italia come Paese non vede il podio nemmeno da lontano: è ottava. È il divario fotografato dall’ultimo bando Erc «consolidator», prestigioso finanziamento assegnato da Bruxelles ai ricercatori eccellenti. Con 38 progetti approvati, ciascuno del valore di 2 milioni spalmati in cinque anni, i ricercatori italiani brillano, ma solo 14 progetti si svolgeranno qui. Gli altri all’Eth di Zurigo, a Berlino o Parigi. Col bando dell’anno scorso c’era stata polemica, quando l’ex ministro Stefania Giannini aveva fatto i complimenti ai 30 italiani premiati. Dimenticando che 17 erano cervelli in fuga. Questa volta l’Italia è riuscita a fare peggio.

Le ricerche vanno dalla cura dei tumori o dei disturbi psichici allo studio del funzionamento dei mercati neri, alla migrazione dell’homo sapiens nell’Europa del Sud, solo il 10 per cento dei progetti viene approvato. Sono riusciti ad aggiudicarsene (due) il Politecnico di Milano, la Bocconi, il San Raffaele e l’Istituto Europeo di Oncologia, l’Iit di Genova, le università di Bologna, Torino, Perugia, Trento, Roma Tre, La Sapienza, l’European University Institute e l’Università di Firenze. Sud non pervenuto. Tanti italiani vengono assunti come collaboratori, spesso all’estero, dai vincitori di premi Erc.

«Una grande scoperta fatta all’estero va a beneficio di tutti i Paesi europei, quindi anche dell’Italia», mette le mani avanti Fabio Zwirner, membro italiano del consiglio scientifico dell’Erc. «Vedere gli italiani secondi, primi se consideriamo solo le ricercatrici, è buono, ma il dato Paese è sconfortante». Anche la Germania esporta cervelli, ma ne attira altrettanti. Dall’Italia ne sono partiti 24, qui ne è arrivato uno. Dal 2007 hanno vinto un bando Erc 348 italiani rimasti qui e 296 all’estero, gli stranieri in Italia sono 29, uno a dieci. È come se l’Italia, che contribuisce per il 10 per cento alla ricerca europea, si fosse persa in questa partita 600 milioni di euro.

C’è chi corre ai ripari. «Abbiamo attivato politiche per attrarre dall’estero e per convincere i nostri a restare - spiega Gianmaria Ajani, rettore dell’Università di Torino - garantendo progressioni di carriera. Se l’Italia è indietro è soprattutto per gli stipendi bassi e perché non tutti gli atenei adottano incentivi».

«Il sistema della formazione funziona - dice Zwirner - poi mancano strutture e sostegno. La politica incomincia a introdurre correttivi». Dalle chiamate dirette per prof stranieri alle iniziative di singoli atenei, alla promessa del Miur di finanziare progetti Erc bocciati per pochi punti. Speranze, sia pure con critiche di merito, le avevano suscitate le cattedre Natta. «Paesi all’inizio poco competitivi hanno introdotto misure drastiche, la scelta sta pagando».

Giacomo Scalari, vincitore di un Erc a Zurigo, lavora a un laser nell’estremo infrarosso. «Sono in Svizzera da 15 anni, realtà molto positiva, c’è un grande rispetto per il mestiere del ricercatore. Non si vede solo dalle retribuzioni. A differenza di quand’ero in Italia sento che la società ci vede come valore aggiunto».

Fonte: http://www.lastampa.it

 


 

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