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Potenza economica, politica e sempre più militare, la Repubblica Popolare Cinese (RPC) dispone di un altro potere, quello nucleare a cui ha affidato dal 1964 il vitale compito di dissuadere i nemici dal minacciarla. Che ruolo gioca nella sicurezza nazionale il nucleare cinese? Quali sono le tendenze attuali?

La radice storica del pensiero nucleare cinese è da ricercare nell’esperienza traumatica delle crisi dello stretto di Taiwan negli anni ’50 quando gli Stati Uniti, legati alla Repubblica di Cina (Taiwan) contro il comune nemico comunista, avevano ventilato la possibilità di un attacco nucleare contro Pechino. Il traballante rapporto, poi, con l’URSS post-stalinista sarebbe poi culminato nella rottura definitiva del giugno 1959 della cooperazione nucleare.

Al momento del primo test cinese nel 1964, due contributi risultarono fondamentali per il processo di elaborazione strategica.

Il primo, quello di “guerra popolare”, fu elaborato da Mao Zedong che poneva la massima attenzione sulla guerra convenzionale, persuaso della divisione inequivocabile tra convenzionale e nucleare e convinto che le superpotenze nucleari non avrebbero mai, nonostante le minacce, utilizzato il nucleare per scoraggiare un attore convenzionale di minor potenza come la Cina. Dotarsi di capacità nucleari, quindi, era importante ma non era l’elemento principale della deterrenza secondo Mao Zedong.

Il secondo, quello di “deterrente esistenziale” elaborato da Zhou Enlai, testimonia quanto una parte della leadership cinese percepisse il rischio di essere esclusa dal club nucleare o, peggio, doverci entrare alle condizioni di qualcun altro. Consci del rischio corso durante gli anni ’50, questi leader vedevano la bomba come lo strumento per scardinare il monopolio bipolare e garantirsi la sopravvivenza in un mondo di “distruzione di massa”.

Con queste premesse si arrivò all’ottobre 1964 quando la RPC condusse il primo test nucleare facendo esplodere un ordigno di 22 kilotoni nello Xinjiang meridionale. Le cronache raccontano che esponenti del governo cinese avrebbero dichiarato dopo il test che “la Cina non avrebbe impiegato le armi nucleari in nessuna circostanza o momento”. Il concetto di “No First Use” è, quindi, un tratto congenito della dottrina nucleare cinese.

Nella dottrina nucleare della RPC, almeno fino agli anni ’90, sussisterebbe in virtù dei principi appena riportati una chiara e netta distinzione tra nucleare e convenzionale per cui l’arma nucleare sarebbe da utilizzare solo ed esclusivamente nel caso di un attacco nucleare nemico, mentre per tutte le altre opzioni rimarrebbe prerogativa della forza convenzionale proteggere la sicurezza nazionale. Coerentemente con la visione maoista, il convenzionale dissuaderebbe il convenzionale, il nucleare dissuaderebbe il nucleare. Corollario di questo approccio è da considerare l’impegno cinese a non utilizzare l’arma atomica contro uno stato non nucleare o in una zona denuclearizzata e che, quindi, non può esercitare una minaccia nucleare contro Pechino.

I principi essenziali individuati fino a qui aiutano, quindi, a comprendere il perché quando si parli del potere nucleare cinese lo si qualifichi come un “deterrente minimo” e un “deterrente difensivo”, volto a dissuadere potenziali nemici dal minacciare e utilizzare l’arma nucleare contro Pechino tramite la minaccia di una rappresaglia counter-value, minima ma credibile.

Il concetto di second strike è quindi centrale nel pensiero strategico cinese e, assicurare che la Cina vanti questa capacità, è una priorità di sicurezza nazionale per la leadership comunista. Nei documenti strategici cinesi, la forza nucleare, per poter assicurare un second strike deve essere resiliente, affidabile e capace di penetrare le difese nemiche. Pur fondamentale, il concetto di second strike dimostra quanto la Cina fosse in una posizione di mera reazione alle capacità di attacco dei nemici.

A partire dagli anni ’90, nei documenti strategici cinesi, pur venendo confermata la piena adesione alla “NFU policy”, vengono aggiunte alcune importante eccezioni, che renderebbero la divisione tra convenzionale e nucleare più sfumata nelle decisioni della leadership cinese e, quindi, sembrano moderare l’importanza del NFU.

Il testo “Science of Second Artillery Campaigns” (2004) del Second Artillery Corps, ad esempio, riporta che un attacco nucleare cinese è da considerare possibile, non solo dopo un first strike nucleare nemico, ma anche dopo la semplice minaccia, in seguito ad un attacco convenzionale contro impianti nucleari (con conseguente pericolo di radioattività) o contro “importanti obiettivi strategici cinesi”, in caso di bombardamento convenzionale prolungato e ad alta intensità da parte di un attore più forte (sia convenzionalmente che strategicamente) che causino danni insostenibili. Inoltre, viene riservata la possibilità di strike nucleare anche come deterrente di un attacco a uno dei nodi fondamentali dell’infrastruttura cinese nucleare.

Se considerate genuine e non un bluff per mostrare i muscoli e rinforzare la deterrenza cinese, queste eccezioni sfumano enormemente il ruolo del NFU cinese, introducendo la possibilità di pre-emptive strike, ossia attacco preventivo, in caso di minaccia imminente e facendo venire meno la distinzione tra attacco convenzionale e nucleare, e di fatto aprendo alla possibilità di una rappresaglia nucleare di fronte a un attacco convenzionale.

Inoltre, il combinato disposto delle eccezioni sopra-menzionate e della modernizzazione nucleare cinese in corso sembra rendere l’approccio nucleare odierno più flessibile e meno nitido. Infatti, le nuove tecnologie e i sistemi dual-use (sia per la capacità convenzionale che nucleare) introdotti, quali satelliti, sottomarini ma anche gli stessi missili di teatro o a raggio corto/intermedio (che possono montare o meno testate nucleari), possono, in caso di crisi, fornire lo ‹‹slippery slope›› (il pendio scivoloso) di cui parla Robert Jervis, rischiando di trasformare un conflitto convenzionale in una guerra nucleare. Pechino sarebbe portata a considerare un attacco contro questi sistemi un’avvisaglia dell’imminente first strike americano contro le capacità nucleari cinesi e potrebbe optare per una risposta nucleare.

Sembrerebbe, quindi, che la Cina, forte di un’ascesa economica travolgente, stia affidando al nucleare un ruolo crescente per la deterrenza delle minacce, sia nucleari che convenzionali, alla propria sicurezza nazionale e, a tal fine, stia perseguendo un processo di modernizzazione delle proprie capacità. Valutare se e come questa tendenza influenzi la relazione strategica tra USA e Cina e il contesto di sicurezza in Asia Pacifico è compito arduo, ma mostra chiaramente l’aspirazione cinese a un ruolo di leader non solo economico.

Riprendendo le parole di Xi Jinping (dicembre 2012), il potere nucleare funge non solo da “cardine della deterrenza strategica” e, quindi, della “sicurezza nazionale” cinese ma anche da “supporto allo status di grande potenza del paese”.

Fonte: https://www.geopolitica.info
 

 

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